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Autore: Inucchan    15/03/2010    15 recensioni
Sette anni scivolano come frammenti di specchi dimenticati, sui bordi di vite intrecciate che continuano a dipanarsi tra i conflitti d'un mondo cambiato. I tuoi occhi, così uguali ai miei, nei quali scorgo solo la malinconia d'un ricordo lontano, spezzato ed infranto. Lascia ch'io ti conosca attraverso lo sguardo. L'abbandono ed il senso di vuoto, tutta una vita che sfiorisce e rifiorisce dietro un solo monito. Ed è nato tutto da un patto di sangue, dal quale non riesco più a liberarmi. Rimani incatenato a me, tu che hai gli occhi del mio stesso colore. Non lasciarti sfuggire il mio respiro sulle labbra, tu che dici d'essere la donna che amo. Perchè il destino ancora non ha smesso d'ordire le sue trame, ed ancora una volta ne siamo tutti inevitabilmente legati.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Inuyasha, Kagome, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Io e te siamo legati da uno strano destino 2 - Il patto di sangue.

 

 

Prologo

 

 

 

 

 

"Lo aveva detto..."  una pausa, trattenuta sul diaframma per non continuare la frase. Avrebbe dovuto credergli? Oh si, fidarsi delle parole di un ragazzino diciottenne. Quanto pesan le parole dopo sette anni di attesa?

Ed io avevo promesso, e tutt'ora...  persino l'eco dell'immaginazione freme basso, sotto il tocco anestetico d'un volto sfocato, che addita alla mente ricordi confusi, i quali, senza forma, si degnano di tornare sotto forma di tediosi reflussi di stomaco. Inutile temere, pensare, attendere. Tutto perduto, inevitabilmente scivolato in una promessa infranta. Lei, adulta ora, che stringe tra le mani il giornale fingendo di leggerlo.

Raggelanti, gli eventi descritti in prima pagina; cos'è, il mondo s'è forse fermato per poi ripartire al contrario? L'ebano, quel bruno intenso nascosto dietro le ciglia di lei è spento, così come l'attenzione che dona alle notizie del giorno.

"Mamma!" e scuote il capo, sbattendo le palpebre più e più volte, come se fosse uscita da una trance temporanea, getta allarmata lo sguardo al di sotto della sua posizione per trovarsi dinanzi all'espressione contrita del primogenito.

"Oh, si. Si! Ti stavo ascoltando, dimmi tutto Nekogai" formula agitandosi sulla seggiola, per poi farla ricadere rovinosamente alle sue spalle, solo per essersi sollevata di botto.

Lui la fissa come si potrebbe osservare una genitrice goffa come quella che ha dinanzi, alza un sopracciglio, incrocia le piccole braccia al petto e sospira profondamente.

Chi è tra i due il vero genitore?

"E' ora di cena" bisbiglia basso, mentre le iridi d'oro scivolano su di lei come sull'acqua. Perchè deve martoriarla in questo modo, lui, quel piccolo essere che non è altri che il suo specchio; non si rende neppure conto di quanto la sua esistenza sia un peso oramai. Chi non nasce per amore, è destinato a essere un peso, in modo irreversibile. Eppure un tempo era così, sino a pochi anni prima lui era il più grande desiderio di lei. Ed ora...

Kagome, povera, piccola Kagome. Cos'è successo al sorriso che stringeva allora sulle labbra? Ora, cosa c'è di sbagliato che le dilania il volto rovinosamente? Quella curva preziosa che ha deciso di rimuovere anche alla vista di suo figlio, quell'energia, vitalità, ardore che sprizzavano dal corpo come gridi liberatori; cosa ne è stato di quella Lei?

Chi è questa donna dai capelli legati e scomposti sul volto, che porta i segni precoci di un dolore ancora non superato? Cos'hai perso Kagome... cosa ti manca?

I passi, si diffondono come tuoni sordi nell'enorme casa in stile Shintoista, troppo grande per loro due da soli. E quel suono che a lei pare così dannatamente vicino, all'udito del figlio risulta un ovattato abbandono.

Okaasan, smetterò un giorno di sentirmi in colpa per te? Seppur non sia così, è questo ciò che lui sente Kagome, come non puoi non renderti conto della gravità che pesa sulle spalle del tuo stesso sangue? Una linfa, che inevitabilmente appartiene anche a lui, quello che un tempo era il tuo più bel sogno, e che ora s'è tramutato nell'incubo più ricorrente.

Il salone è vuoto, esiste solamente lui nella stanza ora, coi suoi giochi tra le mani ed il televisore acceso in modalità senza voce. Guarda le immagini che passano, tentando di dipingere nelle figure demoniache che vede comparire nelle interviste, un possibile dettaglio del profilo di colui che avrebbe dovuto essere ... suo padre?

Ha mai avuto un secondo genitore, oltre Kagome? Il volto non si rattrista, rimane silenziosamente piegato in quella smorfia di distacco che potrebbe più appartenere a un adulto anzichè ad un bambino. L'unico suono che rintocca, oltre il respiro, è quello dell'enorme pendolo che il vecchio bisnonno ha lasciato come ricordo di sè, prima d'essere catturato dalla morte. Lo sguardo si sposta verso l'orologio ora, correndo lungo il perimetro della parete bianca, sino a fermarsi immobile sul primo gradino che porta al piano superiore, dove c'è quella cosa.

Si alza, per percorrere silenzioso il corridoio ed arrivare proprio sotto la tromba della scalinata; alza il naso in su, spalancando la bocca per respirare quell'antico profumo che proviene dall'alto. Cosa c'è dietro quella porta? Quella sua innata curiosità lo ha sempre cacciato nei guai, ed ha l'impressione che cadrà nel tranello anche questa volta, come quella precedente e quella ancora prima. E' un bambino in fondo, cosa puo' saperne lui di cos'è giusto e cos'è sbagliato? O forse, non ha la minima intenzione di darsene conto; ha solo voglia di scoprire ciò che gli viene nascosto da troppo tempo.

Ogni volta che fa riferimento all'odore che sente, la madre si arrabbia, impedendogli di porre altre domande. Perchè? Sale i gradini di corsa, uno dietro l'altro, traendo enormi respiri nella foga. Si ferma dinanzi alla porta, che dalla sua visuale sembra un'immenso portale misterioso che lo potrebbe condurre chissà dove, chissà, magari nello spazio. Poggia i palmi delle mani sulla superficie, poggiandovi successivamente il capo per ascoltare cosa vi sia al di dietro. Percepisce un movimento, alza le orecchie canine sopra la testa, flettendole verso la direzione dalla quale proviene il rumore.

"Ehi" mormora a voce bassa, senza bussare o chieder altro. Sa che c'è qualcuno che l'ascolta dietro di essa.

"...Sei tornato anche oggi, chi sei?" scatta col corpo indietro, gli è stata fornita una risposta questa volta. Trema. Il piccolo corpo non regge la troppa eccitazione e s'accascia sulle ginocchia, con le mani tratte tra le gambe che tremano.

"I...Io sono..." non riesce neppure a parlare, che piccolo idiota! C'è qualcosa o qualcuno dietro quella parete che li divide, non dovrebbe far altro che abbattere quell'unico ostacolo. E se fosse un mostro, od un demone pronto a divorarlo? In fondo lui, non è altri che un ibrido, ancora incapace di sfruttare a pieno le sue capacità.

Silenzio, che dura secondi immensi, nei quali un fiotto di saliva percorre la gola come fosse veleno. Il battito cardiaco martella nel petto veloce, con lo stesso identico ritmo del ticchettio di quel pendolo che giace al piano inferiore.

"Sei qui per restituirmi ciò che voglio?" sibila la voce dietro la porta, bassa, di una tonalità quasi impercettibile, come se non possedesse da tempo la facoltà retorica.

"Cio' che..." indietreggia ancora, finendo con le spalle al muro, il bambino. Non capisce, non è capace di comprendere cosa desideri l'entità sconosciuta da lui. Ha paura, ha voglia di chiamare sua madre, non avrebbe dovuto osare tanto stavolta, eppure...

"Il tuo odore mi rassicura, perchè?" risponde alla questione dell'altro, con un'altra domanda precisa. Nessun'altro rumore. Nessuno dei due è stato capace di fornire una risposta all'altro, sembra come se l'altra figura si fosse alzata da terra e se ne fosse andata, abbadonandolo là, tra la tensione ed il desiderio di scoperta.

"Nekogai... cosa ci fai davanti a quella porta?" lei lo ha visto, è nei guai ora. Non gli era concesso, ha disobbedito di nuovo. Apre la bocca per dire qualcosa, ed abbassa le orecchie sopra il capo, muovendo qualche passo verso la madre per abbracciarle una gamba.

"Scusami" formula solamente, con la voce che rischia uno schianto dalla serietà al pianto, da un momento all'altro. Lei si china, accogliendolo tra le braccia come qualsiasi madre dovrebbe saper fare, lo conforta, e poggia una mano sopra il capo di lui.

"Non dovresti venire qui, non c'è niente qui, è solo il rumore del vento quello che senti" come potrebbe essere così? Lui ha udito chiaramente il suono di una voce provenire da quella stanza, ma rimane in silenzio, non osa interrompere la madre, non vuole ferirla di nuovo.

"Non verrò più" anche se lo promette, sa benissimo che non ci sarà modo di scappare dalla curiosità che lo lega in modo quasi ossessivo a quell'odore. Non avrebbe modo di evitarlo nemmeno se lo volesse.

"Promettimelo, ti prego" il tono di lei è calmo, balena esterno dalle labbra come una nenia di pura quiete, che pare voglia dissuaderlo dolcemente dal tentativo di scoprire qualcosa che lo ferirebbe, che per lui non sarebbe altro che il nulla. Tu non soffrirai, tu sei mio figlio.

Posa il volto sulla piccola spalla di lui, stringendoselo al petto come l'ultimo tesoro rimasto su questa terra. Una, forse l'ultima lacrima della giornata le sfiora raminga la guancia, perchè mentirgli è come sentire un peso ancora più grande nel petto. Seppur sa già che lui percepisce nettamente ogni sfumatura d'angoscia che tenta miserabilmente di nascondere dietro quella falsa tranquillità. Quand'è cominciato tutto questo, da quando, ha smesso di sorridere?

"Vai a dormire ora, è tardi" posa le labbra sulla fronte del figlio, che s'allontana obbediente, osservandola con un minimo di compassione negli occhi tondi, da bambino, che possiede. Non guardarmi con quell'espressione, non essere così uguale a lui.

Rimane così, in ginocchio, attendendo come faceva spesso sua madre, che lui se ne sia andato, prima di potersi liberare della maschera che indossa giornalmente.

Si piega su sè stessa, in avanti, come uno stelo spezzato dal vento e copre gli occhi scuri con entrambe le mani. Possono due spalle così piccole come le sue, reggere una sofferenza ed un segreto così grandi?

"Come posso far finta che non sia accaduto nulla? Come posso tornare indietro per rimediare a tutti i miei errori? Dimmelo tu..." volge lo sguardo verso la porta chiusa, osservandola con mille frammenti di dolore trapunti nelle iridi scure. Si alza, muovendosi circospetta verso l'uscio, per aprirne uno spiraglio prima di spalancarla.

Non chiede permesso, si fa avanti silenziosa fermandosi dinanzi all'ombra di colui che un tempo era vita.

"..." Ogni giorno, per due anni, ha attraversato quella stanza vuota. E ad ogni passo, martoriava la mente per cercare le parole giuste da dire, il gesto più semplice da compiere. Nulla. Per tutto il tempo è sempre rimasto tutto invariato, lei, una semplice spettatrice. Lui, l'attore incontrastato della tragedia.

Eccoli, i suoi occhi vuoti che la osservano da quella seggiola, dalla quale non si alza da chissà quanto. Inespressivo, totalmente vitreo di tutto. Pare che sia passata qualche entità maligna a rubargli l'anima, per portarsela chissà dove all'inferno.

Inuyasha, vorrebbe chiamarlo, come aveva fatto per l'ultima volta il giorno in cui si erano salutati all'aeroporto. Eppure le sue labbra non si muovono.

"... Ogni giorno vieni qui..." comincia lui, rimanendo ad osservarla immobile, come se stesse guardando qualcosa al di là della sua figura ferma sulla porta.

"...ed ogni giorno ti ripeto sempre la stessa domanda..." se avesse potuto contare le volte, tutte le innumerevoli volte in cui quelle parole le hanno frantumato la voglia di vivere, non avrebbe più possibilità di ricordarne il conteggio. Perchè ogni giorno, quel sentimento che ancora stringe nel petto subisce un nuovo tramonto, che affonda inevitabilmente con quella voglia di piangere che si esimia dal mostrargli.

"Chi sei?" battuta finale, concessa solo e soltanto a lui. Lei però, da brava spettatrice non risponde. Scuote solamente il capo per poi allontanarsi e richiudersi la porta alle spalle. Cosa, che diavolo dovrei dirti? Sono la madre di tuo figlio, sono colei per cui hai rischiato tutto questo, sono la donna che ti aveva promesso che t'avrebbe aspettato. E ho intenzione di mantenere la parola data...

 

 

  
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