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Autore: SunVenice    06/04/2010    13 recensioni
Il governo mondiale ordina una strage oltre la Red Line, tre ragazzi sono costretti ad un doloroso esodo per recuperare almeno un pezzo della propria vita, e due mondi, da anni separati, si incontreranno sulla Grande Rotta, svelando un segreto che nessuno avrebbe mai voluto venisse divulgato. "Vuoi sapere chi sono?"
La storia continua dopo quasi tre anni di assenza! (psss! è anche ON HIATUS,perchè? Perchè sono masochista!)
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Barba bianca, Marco, Nuovo personaggio, Portuguese D. Ace
Note: What if? | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le Sirene di Fuoco'
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Pongo qui i miei più sentiti saluti ai lettori ponendo due semplici ed elementari condizioni:

1: Non andatevene subito!

2: Leggete almeno questo capitolo fino alla fine!

3: Se e dico se, questo piccolo esperimento vi interessa, seguite le istruzioni a fine capitolo.. ops Atto, pardon.

Questa è una readerxPG. La protagonista della storia NON sono io, né mai lo sarò.

I mugiwara e compagnia bella non sono mia proprietà (magari! Potessi me li comprerei.) Questa fan fiction non è a scopo di lucro (per ora… chissà >:) ) Bando alle ciance e buona lettura!

 

Kaizoku no Allegretto

L’allegretto del pirata

Atto 1

Preludio

Mi svegliai con la sensazione di galleggiare nel vuoto. Poi, aprendo lentamente gli occhi, intontiti e bruciati dal sole, mi accorsi che non era vuoto, ma acqua.

Un’enorme distesa di acqua azzurra come il cielo mi circondava, profonda, salata.

Acqua di mare che mi impregnava i vestiti di cui non mi ricordavo neppure l’esistenza, attaccandomeli alla pelle bruciata.

 Un oceano.

E l’unica cosa che mi impediva di sprofondarvi era una pezzo di legno scheggiato e grezzo che mi pungeva dolorosamente in mezzo alle dita delle mani.

Provai a muovere le gambe che fluttuavano inerti nell’acqua, ma solo per riscoprirle addormentate, così come le braccia stancamente poggiate su quella piccola e fragile ancora di salvezza.

Sentivo i capelli secchi solleticarmi la fronte e le tempie mi cominciarono gradualmente a pulsare, impedendomi di pensare.

Dove mi trovavo?

La mia vista era annebbiata e gli occhi mi bruciavano insopportabilmente. Sulle guance sentivo la fastidiosa sensazione di sale marino rappresosi sulla mia pelle tirata ed intorpidita.

Ruotai dolorosamente il collo da un lato, poggiando una guancia sulla superficie spinosa della trave in legno.

Fu allora che notai qualcosa all’orizzonte: una nave.

Attraverso la mia vista sfuocata appariva come una chiazza marrone allungata con una nube bianca informe che la seguiva, ma non poteva essere che una nave.

Lentamente provai a tirare la testa e dar voce ad un urlo, ma la sensazione di secco in gola, unita alle mie labbra secche che si spaccarono appena ci provai, provocò solo la fuoriuscita di un grugnito strozzato. Ritornai con la fronte sul pezzo di legno, non potevo fare altro.

Sperai che mi notassero, dal più profondo della mia anima, mentre vedevo quella macchia farsi sempre più grande ai miei occhi.

Se non mi avrebbero vista, altrimenti, io …

 

Già ma io … chi ero?

Sbarrai gli occhi, accorgendomi solo in quel momento di non ricordarmi nemmeno il mio nome.

Quel pensiero assillante mi accompagnò finché non scivolai lentamente nell’oblio dell’incoscienza.

Risuonò una voce. E l’acqua attorno a me si mosse inquieta.

 

Atto 1, scena 1

 

Sulla Moby Dick l’intero equipaggio fremeva, sporgendosi dal parapetto dell’imbarcazione, nella speranza di scorgere meglio il volto del naufrago che aveva fatto rallentare la loro possente nave. Dal proprio seggio, Edward Newgate, alias Barbabianca, torreggiava il ponte della nave, osservando divertito l’interesse quasi puerile dei propri figlioli, ridacchiando sotto i propri lungi baffi a mezzaluna.  Non era difficile interpretare le varie esclamazioni che si confondevano l’una con l’altra trai i membri dell’equipaggio.

“Ehi, spostati, non vedo-!” “Guarda che non ci vedo neppure io, scemo!” “Ma chi è? Una donna o un uomo?!” “E che ne so! Lo chiedi a me?!” “E piantatela! Lo stanno tirando sulla scialuppa!”

In mezzo alla marmaglia di curiosi, un po’ meno scalpitanti e pressati dalla presenza dei propri fratelli, gli uomini più fidati del capitano, osservavano come meglio potevano la scena, allungando chi più chi meno il collo verso il fianco della nave.

“Ehi ragazzi, che ne pensate?” chiese uno dei più giovani con i gomiti poggiati sulla ringhiera legnosa del parapetto, allargando sul viso lentigginoso un sorriso impertinente al quale solo due degli altri quattro, uno provvisto di un lungo cilindro e dei lunghi baffoni neri, e l’altro con un alquanto bizzarro ciuffo biondo, risposero.

“Chissà…” rispose vago il primo di questi lisciandosi pensoso uno dei propri baffi.

“Io dico che sarà interessante!” asserì deciso il secondo dando un’occhiata d’intesa al più robusto ed alto di tutti che ancora a braccia incrociate non accennava a sciogliere il proprio broncio burbero. Questo mosse solo gli occhi in direzione del fratello, permanendo tuttavia rigido come una roccia nella propria posizione.

“In effetti è la prima volta che raccogliamo un naufrago.” Rispose comunque il gorillone dalla faccia austera, muovendo appena la mascella nel farlo.

“E tu Marco?” azzardò il moro dal viso scoccando un’occhiata insistente all’unico che non gli aveva ancora risposto.

Alla sua domanda il biondo dalla faccia assonnata e quasi svogliata parve corrucciarsi un poco per poi mandare un sonoro sbuffo a fondersi con l’aria salina della nave.

“Speriamo solo che non ci dia problemi.” Disse, provocando le occhiate incuriosite degli altri.

A conferma delle sue preoccupazioni, i gridolini preoccupati delle infermiere del capitano, anche loro accorse a vedere il nuovo arrivato, riecheggiarono nelle loro orecchie, mentre queste ultime si guardavano piene di apprensione coprendosi le labbra per lo stupore nel vedere più o meno in che condizioni gravava il malcapitato.

“Oh no! Guardate com’è ridotta!”“Povera bambina!” “Penelope, vai a prendere il necessario per darle un primo soccorso. Speriamo che non sia troppo disidratata.” “Corro!” “Santo cielo! Guardatele la pelle!”

Tra i quattro comandanti per un attimo cadde il silenzio.

“Ma come fanno a sapere che è una donna?” chiese stupito ed incredulo al tempo stesso Ace, non avendo neppure lui capito quale fosse il sesso del nuovo arrivato, nonostante la sua fosse una buona postazione. A rispondergli però furono le spallucce dei suoi compagni.

“Intuito femminile …” azzardò Satch, sedendosi sul parapetto ed accavallando noncurante la gamba sinistra su quella destra, lasciata penzolare nel vuoto aldilà della ringhiera.

Ormai la scialuppa era stata riagganciata e tirata su quasi del tutto, tanto che la folla di pirati curiosi si era già raggruppata il più possibile dove si sarebbe fermata, impedendo così ai cinque comandanti di poter dare conferma o meno alle parole delle infermiere del babbo.

“Ma insomma, ragazzi! Datevi un po’ di contegno!” sbraitò improvvisamente Marco, zittendo immediatamente il vociare dei suoi fratelli che, punti sul vivo, si scambiarono qualche occhiata per poi mettersi a ridacchiare imbarazzati.

“Scusi comandante. Ci siamo lasciati prendere dall’entusiasmo!” ridacchiò un membro della prima flotta, seguito a ruota da un altro: “Già, ci siamo comportati come un gruppo di poppanti in cerca di caramelle.”

Seguì una risata generale che però si spense non appena il gruppo di infermiere già munite di cassetta di pronto soccorso, acqua e di una barella.

“Spostatevi spostatevi!” li incitò una di queste, mentre sistemavano velocemente a terra la lettiga.

“Forza, aiutateci a metterla sulla branda.” Ordinò la prima delle infermiere a due pirati accanto a loro che, annuendo, si afferrarono il malato.

“1, 2…3!Via!” contò la donna, coordinando così l’azione dei due.

Messo il nuovo giunto sulla barella le infermiere si premurarono subito di rialzarla e dirigersi di corsa verso l’interno della Moby, anche se dovettero sollevarla tutte e sei per riuscire ad avanzare senza problemi.

Questo non fece che coprire quindi ulteriormente la visuale ai cinque comandanti che videro soltanto le sei correre dentro la nave, mentre una di loro incitava continuamente le altre:

“Su! Su! Portiamola al coperto!”

Fu tutto quello che udirono, prima di vederle scomparire oltre l’enorme portone che portava alla sottocoperta.

Ace sbuffò deluso.

“E che diamine!”

 

 

 

Atto 1, Scena 2, Arioso della dispersa

Nella mia mente non facevano che passarmi immagini confusionarie e caotiche. Voci echeggianti e deformate da chissà cosa. Sensazioni fuggevoli che riuscivo a malapena a registrare a causa del torpore che mi bloccava su quello che intuii essere un letto.

Sotto le braccia e sul collo a volte percepivo al gradevole sensazione di fresco scontrarsi con la mia pelle e qualche volta, mi parve addirittura di udire una voce femminile dire qualcosa con tono di richiamo per poi sentire qualcosa di acquoso scivolarmi giù per le labbra.

La testa continuava a farmi male. Terribilmente. La mia mente era pervasa continuamente da incubi veloci ed intensi che mi turbavano a tal punto da farmi scoprire continuamente da delle coperte che qualcuno continuava pazientemente a rimboccarmi.

Forse durante quelle ore, o giorni, pensai addirittura di stare per morire.

Poi un giorno mi risvegliai, aprendo gli occhi lentamente, e la prima cosa che vidi fu una figura così rosa e bionda da farmi desiderare di nuovo il buio dei miei occhi chiusi. Intontita provai a dire qualcosa.

“Eh..n.” fu la sola cosa che riuscii a rantolare, temendo che la pelle secca delle mia labbra si spaccasse di nuovo. La chioma gialla si mosse, mostrandomi un volto ancora un po’ sfocato e graziosamente deformato dallo stupore.

Ara!” esclamò quella portandosi le mani al viso “Anata wa me wo sama shi desu!”

Non capii nulla di quello che disse. Rimasi un attimo a guardarla confusa, ma quello che ottenni fu di vederla dirigersi velocemente verso l’uscita della stanza affacciandovisi per poi gridare:

Minna! Hayaku! Me wo sama shi desu!

Apparvero al tre donne da quella porta, tutte vestite in rosa, e io quasi tremai, non capendo quello che stava accadendo. Le vedevo semplicemente agitarsi davanti a me per la stanza, chiedendomi un sacco di cose che non capivo.

Una di loro mi mise seduta con la schiena contro il cuscino.

Mi venne la nausea. Mi portai una mano alla bocca, percependo comunque i muscoli del braccio tendersi dolorosamente in segno di protesta. Non mi accorsi che una delle donne aveva alzato la voce, facendo cessare il putiferio attorno a me.

Poi sentii il letto abbassarsi sotto il peso di qualcuno e, rialzando gli occhi, incontrai le iridi azzurre della bionda di poco prima.

Daijobu desu ka?” mi chiese quella. Aveva un tono delicato e suadente e questo mi aiutò a rilassarmi un poco, ma lo stesso non riuscii a cogliere il significato della sua domanda.

“Non..” mi fermai subito sentendo la gola stringersi. Mi misi una mano sul collo abbassando gli occhi, imponendomi di darmi un poco di tempo pria di ricominciare a parlare. Vidi la mano smaltata e ben curata di quella donna porgermi qualcosa. Mi stupii un poco, vedendo che era un bicchiere d’acqua.

Ritornai ad osservarla e questa mi sorrise angelicamente “Nomu?” la vidi domandare inclinando la testa di lato.

Intuii che significasse qualcosa riferito al bicchiere, magari “Sete?”. Lo accettai di buon grado, svuotandone avidamente il contenuto con una foga che non credevo di avere. Avevo davvero tanta tanta sete.

“Grazie.” Riuscii a dire non appena mi fui scolata anche l’ultima goccia d’acqua, ma mi pentii quasi subito della mia risposta, vedendo l’infermiera bionda sbarrare gli occhi stupita e venendo subito imitata dalle altre che, intanto, si erano bloccare, rimanendo con oggetti a mezz’aria ed altre posizioni strambe.

Eto… nani?” domandò un poco intimorita un’altra ragazza, mora e con un bel paio di occhiali che le coprivano mezzo volto.

Le guardai stranita: non avevano capito quello che avevo detto.

“Grazie, per l’acqua.” Specificai, alzando un pochino il bicchiere, ma non ottenni un grande risultato a giudicare dalle occhiate interrogative che lanciarono l’una con l’altra.

E di colpo mi sentii abbattuta nell’animo: non solo non riuscivo a ricordarmi chi fossi o come mi chiamassi, ero anche finita in mezzo a della gente che non parlava la mia lingua.

Sentii una lacrima scendermi sul viso, trovando nella mia mente nient’altro che una distesa nera, dove una volta, forse, erano custoditi i miei ricordi. Non ricordavo niente. Assolutamente niente.

 

Atto1, Scena 3

 

Era ora di pranzo ormai sulla Moby e nell’enorme sala che accoglieva l’immensa marmaglia di pirati affamati, mettendo a loro disposizione tonnellate e tonnellate di cibo, i comandanti, riuniti accanto all’enorme mole del loro capitano, si stavano rifocillando non meno ansiosi dei loro compagni: era stata una giornata faticosa e come al solito tutti avevano dato il loro contributo alle manovre mattutine della nave.

Il comandante della seconda flotta, Portuguese D. Ace, stava sbranando contento un enorme pezzo di carne, addentandone soddisfatto un boccone grande quanto la sua bocca spalancata.

“Uhm! Ragasci, mva qvella naufhaga nomp dovebbe essersc i…” mugugnò masticando per poi inghiottire tutto di colpo “ … svegliata?”

Accanto a lui Marco e Vista lo guardarono, ridacchiando: tanto educato il loro fratellino, ma quando si trattava di cibo lasciava il galateo in cabina chiusa a doppio lucchetto.

“Bhe, aveva preso un bel colpo di sole, dopotutto.” Intervenne Satch, poggiando la bottiglia dal quale aveva tirato un grosso sorso “Magari ci metterà ancora un paio di giorni.”

“Guraguragura!” tuonò divertito Barbabianca, attirando l’attenzione dei propri figli che in risposta sollevarono solennemente boccali e bottiglie in onore dell’allegria del padre, lanciando un urlo esultante.

“Ansioso di vedere la nuova arrivata, Ace?” chiese sorridendo largamente il vecchio, sporgendosi appena dalla propria sedia per afferrare un’enorme cosciotto di chissà quale specie di animale.

Ace non si curò della frecciatina e sotto gli occhi degli altri quattro comandanti diede un altro paio di morsi alla propria bistecca.

“Piuttosto papà…” chiese con tono pacato il comandante della prima flotta “… le tue infermiere non ti hanno detto ancora nulla?”

“Gurargura. Dicono che ormai il peggio è passato, ma fin’ora non me l’hanno mai lasciata vedere.” Rispose il gigante tirando poi una lunga sorsata al suo boccale di sake, contento che non ci fossero le infermiere a dargli noia sulla quantità.

“Non la lasciano vedere a nessuno.” Precisò Marco infilzando con la forchetta un pezzo di carne dal proprio piatto.

“Eeh.” Sospirò Satch accavallando le gambe “Le donne hanno un grande senso di protezione verso gli animaletti feriti.”

Improvvisamente si sentì una delle porte che davano sulla sala spalancarsi di botto, facendo affluire fra i tavoli tre o quattro infermiere che, correndo, si avvicinarono il più possibile al tavolo del capitano.

Senchou! Senchou!” gridarono all’unisono le donne vestite in rosa, facendo scattare i sopraccigli di molti nel tavolo dei comandanti.

“Si è svegliata!” proclamò infine una di loro con sguardo preoccupato.

“Bene!” disse gioioso “Rendetela presentabile e portatela qui! Ho proprio voglia di fare quattro chiacchiere con lei!” concluse battendo un paio di volte la mano sul bracciolo della sedia.

“Temo che sia impossibile, senchou.” Si affrettò ad aggiungere dispiaciuta la donna, gelando sul nascere la risata tonante dell’uomo.

“Uhm?” fece incuriosito Ace, mentre al suo fianco Marco alzava un sopracciglio dirigendo lo sguardo stanco sulla donna “Non sarà mica muta.” Azzardò il comandante della prima flotta ricevendo in risposta un segno di dissenso da parte dell’infermiera.

“Appena si è svegliata abbiamo cominciato a parlarle, ma…” continuò l’altra, tornando a guardare la figura imponente del loro capitano “… non capisce una sola parola di quello che diciamo e sembra che parli un’altra … lingua.” Terminò affranta nel vedere la delusione e lo stupore negli occhi del suo capitano.

“Che? Un’altra lingua? Ma come? La nostra è una lingua universale!” esclamò Satch voltandosi verso la donna, quasi incredulo.

“Deve venire da un posto veramente sperduto, allora.” Intervenne laconico Jaws che fino ad allora non aveva aperto bocca.

“Però!” fece ammirato Ace, per nulla smontato da quella notizia “Chissà da che isola proviene!Magari potremmo riaccompagnarla alla sua terra natale! Sarebbe interessante scoprire un’isola ancora inesplorata, no?” aggiunse poi , lanciando un’occhiata d’intesa al padre che gli rispose con altrettanto entusiasmo.

“Guraguragura! Ben detto figliolo!” esclamò il vecchio guardando poi l’infermiera “E dov’è ora?”

La donna un poco intontita dalla piega inaspettata che aveva preso la conversazione, tentennò alla domanda per un attimo, ridandosi immediatamente un poco di contegno.

“La stiamo lavando, penso che tra pochi minuti sarà pronta.” Rispose subito, provocando il buon’umore del capitano.

“Bene! Bene! Sbrigatevi a portarla qui! Non vedo l’ora!”

Detto questo si aspettavano che tutte le infermiere si dileguassero come ordinatole dal capitano, ma, con grande sorpresa di molti, la stessa donna che aveva informato l’uomo delle condizioni della ragazza si fermò avvicinandosi al tavolo dei comandanti.

I cinque si sentirono un poco turbati dal modo in cui la donna gli analizzò da capo a piedi, accostandosi con fare pensieroso una mano al mento ed assumendo un’espressione critica.

Infine gli occhi color nocciola di quella si fermarono su Marco.

Il biondo per tutta risposta alzò un sopracciglio con fare interrogativo, senza far tuttavia scomparire con la propria occhiata la sicurezza dell’altra.

“Comandante Marco…” disse la donna indicandolo con il dito indice “Potrebbe prestarci qualche suo vestito?”

Inutile dire che la tavolata dei comandanti ci rimase di sasso.

 

Atto 1, Scena 4, Arioso della Bambola spoglia

 

Se non fosse stato per il fatto che avrei rischiato di farmi finire tutta la schiuma in bocca, mi sarei messa ad urlare per il dolore. Diamine! A contatto con il sapone la mia pelle bruciava come se sopra ci stessero  mettendo l’acido!

Per me fu un sollievo uscire da quella tinozza delle torture e quasi mi venne voglia di abbracciare l’infermiera bionda che avevo visto la prima volta che mi ero svegliata, quando la vidi porgermi un asciugamano.

“Grazie.” Sospirai inconsciamente non appena i miei piedi rientrarono a contatto con il pavimento in legno della stanza. Quella rimase un attimo a guardarmi per poi sorridere compiaciuta ed esclamare.

Aah. ‘Grazie’ wa ‘arigatou’, desu ka. Neh?”

Rimasi un attimo a guardarla attonita, stringendomi addosso il telo da bagno. Ok, avevo capito che nella frase centrava qualcosa il mio “grazie”, ma il resto della frase mi rimaneva comunque estraneo.

“Ehm …” biscicai, ma venni interrotta dal suono della porta che si spalancava. Non mi stupii nel vedere entrare un’altra infermiera rosa dotata di una folta chioma rossa chiusa in una treccia ordinata. Era quello che teneva in braccio che mi diede da pensare.

Specie quando finirono di mettermelo addosso.

Una camicia bianca seguita da un paio di pantaloni larghi. Molto larghi.

Era palese che fossero i vestiti di un uomo.

Mi girai verso di loro incerta su come far capire loro che magari avrei preferito un altro tipo di indumenti, ma le parole mi ritornarono in gola nel vedere le 4 infermiere, bionda inclusa, pararsi di fronte a me con espressione speranzosa, sostenendo insieme una “deliziosa” divisa rosa identica a quelle da loro indossate.

Ovviamente ringraziai, tenendomi stretta la camicia che avevo addosso.

Fu mentre ci dirigevamo verso una meta a me sconosciuta che mi accorsi di un piccolo particolare: se stavo indossando degli abiti maschili, allora sulla nave non c’erano solo donne.

Questa nuova scoperta però non fece che mettermi più ansia di prima. Le mie ossa tremarono, forse anche a causa dell’aria umida del corridoio che, confrontata alla mia pelle accalorata e spellata, pareva un soffio gelido.

Non sapevo chi ero e nemmeno in che posto mi trovavo. La gente attorno a me parlava una lingua a me sconosciuta e … tremai, udendo in lontananza un grande vociare di tipo maschile farsi più vicino.

Una lacrima di frustrazione mi stuzzicò l’occhio destro.

Non sapevo cosa fare.

 

Atto 1, Scena 5

 

Marco ormai cominciava a spazientirsi delle battutine allusive nei suoi confronti: non era un tipo dall’indole bellicosa, ma di certo non era uno stinco di santo. E sentiva che se Ace avesse continuato a lanciargli frecciatine, come minimo avrebbe dato fuoco al tavolo. Insomma, aveva soltanto accettato di dare alla naufraga un cambio dei suoi vestiti, mica di andarci a letto!

“Volete piantarla con questa storia?” disse a mo’ di avvertimento, poggiando una mano sulla guancia con fare scocciato, senza però soffocare, con suo grande rammarico, l’entusiasmo del fratello.

“Eddai Marco. Non è cosa da tutti i giorni avere una donna nei propri panni. È normale essere emozionati.” Ridacchiò invece quello dandogli un altro paio di pacche sulla schiena, provocando sia l’ilarità generale, sia un paio di pensieri omicidi nella mente del comandante della prima flotta.

Cosa non da poco per uno calmo come lui.

I suoi occhi socchiusi si mossero a sfidare quelli neri ed impertinenti del compagno.

“Capito, Capito.” Aggiunse frettolosamente l’altro, capendo di star percorrendo un terreno minato, per poi rivolgersi all’infermiera che era rimasta lì a controllare che il babbo non esagerasse con il sake. “E la nostra ospite quanto ci metterà? Sono curioso di vedere che aspetto ha.”

Quella, attraverso i propri grandissimi occhiali scuri, gli lanciò un’occhiataccia puntellandosi con fare severo una mano sul fianco generoso, provocando una conseguente esplosione di sangue dal naso di almeno metà ciurma che sedeva dietro di lei. Eh sì, Newgate se le sceglieva bene le infermiere.

“Gradirei che la piantaste, Comandante Ace. Quella povera piccina deve averne passate di tutti i colori, e di certo non le serve che un mucchio di uomini di mare in crisi di astinenza le renda insopportabili anche le ore dei pasti. ”

Uhm, forse il babbo avrebbe fatto meglio a scegliersele non così bene le infermiere.

“Ben ti sta.” Lo canzonò quasi disinteressato Marco, notando l’espressione colpita del moro.

“Aah.” rise poggiandosi una mano dietro la testa scoperta dal cappello, simulando imbarazzo.“Non ci so proprio fare con le donne di carattere.”

Un brusio proveniente dalla loro sinistra gli fece distrarre dalla loro coinvolgente conversazione, portandoli ad allungare il collo in direzione della porta che conduceva all’infermeria e dalla quale, camminando a ventaglio, sorridenti come sempre, le infermiere del pirata più temuto al mondo sfilavano fiere, strappando qualche fischio di apprezzamento da parte della ciurma.

Queste, non appena si fermarono dinanzi al capitano, onorarono i più intraprendenti della nave di qualche saluto e bacio volante, per poi cominciare finalmente a parlare.

“Senchou, l’abbiamo portata.” Lo informò Penelope, la bionda più ambita dell’intero equipaggio, sorridendo amabilmente.

L’interpellato sorrise, sporgendosi quanto più i fili delle flebo glielo permisero cercando con lo sguardo in mezzo alle sue donne più fidate, la figura sconosciuta della naufraga, che, con suo grande disappunto, non vide.

All’occhiata interrogativa sia del capitano che dei cinque comandanti, le infermiere dietro Penelope ridacchiarono, trattenendo a malapena le risa con le mani. La donna dai capelli biondi in risposta le zittì con una occhiata severa, per poi voltarsi e cominciare a farsi largo tra le sue colleghe.

Mo, Mo. Daijobu. Il nostro capitano non ti mangerà mica.” Disse con tono dolce e vellutato Penelope, riuscendo a stupire il grande Barbabianca.

“Si è nascosta non appena l’ha vista, senchou.” Ridacchiò a mo di spiegazione Carol, la rossa con la treccia che aveva chiesto i vestiti a Marco, indicando con il dito indice il pavimento accanto a lei.

“Aah!Eccoti qui!” aveva intanto esclamato Penelope esultante, essendo riuscita a trovare la loro paziente, attaccatasi disperatamente alle calze di Carol.

A quella vista il pirata dai grandi baffi bianchi non riuscì a trattenere una risata.

“Guraguragura!” tuonò, venendo però prontamente zittito dalla bionda infermiera, preoccupata che la piccina potesse scappare via, se avesse udito una seconda volta la risata tuonante del loro capitano.

“Senchou!” disse “La prego! È spaventata a morte!” concluse riuscendo a far tacere l’allegria del grande pirata, ritornando a rivolgersi dolcemente alla ragazza.

“Coraggio tesoro, coraggio. Devi ringraziare il capitano no? Ricordi? ‘Grazie’.”

Il risultato però non fu migliore di quelli precedenti  e con un poco di dispiacere, Penelope di rimise in piedi pensierosa, mettendo le mani sui fianchi.

“Bene ragazze.” Esclamò infine rivolgendosi alle colleghe “Facciamo così: al mio tre allontanatevi tutte insieme da Carol.”

Quella strategia riuscì a far spalancare, inorridito ed ammirato, persino la mascella di Jaws, seguito a ruota dai suoi fratelli. Pazzesco, ora si capiva perché le donne pirata erano le più temute al mondo: con un cervello così, il fisico giusto ed una buona tecnica di combattimento, le donne avrebbero potuto benissimo conquistare il mondo. In tutti i sensi.

“Allora. Ichi.” Cominciò a contare Penelope dopo aver battuto insieme un paio di volte le mani.

Nii.” Ormai tutta la sala si era zittita, in attesa del fatidico tre.

San!”

 

Atto 1, Scena 6, Arioso indeciso

 

Riaprii un occhio impaurita e quasi mi sentii morire, nel ritrovarmi scoperta. Completamente scoperta e sotto gli occhi curiosi di tutta quella gente, mentre mi aggrappavo disperatamente alle sottane di una delle infermiere. Sentii il sangue defluire velocemente dal mio viso per poi rifluirvi arrossando le guance di botto.

E per poco non mi sentii svenire, mentre alzavo gli occhi su quell’enorme gigante che torreggiava accanto a me, osservandomi sorridendo. Se, quando l’avevo visto la prima volta entrando dalla porticina del corridoio mi ero sentita prossima a darmela a gambe, in quel momento avrei anche venduto l’anima pur di poter scomparire da quella sala.

Un paio di colpetti sulla testa da parte dell’infermiera rossa mi fece tornare bruscamente alla dura realtà. Non capii quello che mi disse, ma dal tono intuii che sicuramente le sue parole non significavano “Prego tesoro, puoi restare attaccata alla mia minigonna per tutto il tempo che vuoi”. No. Decisamente non voleva dire quello.

Le lasciai timorosamente la stoffa rosa della divisa, guardandola dispiaciuta

“S-scusa.” Dissi, ma quella era già partita lontano, raggiungendo le altre, lasciandomi lì in mezzo a tutti, rannicchiata come una bambina per terra.

Inutile dire che mi venne quasi da piangere. Cosa dovevo fare? Cosa?!

Cercai disperatamente gli occhi dell’infermiera bionda e, quando li trovai sperai che mi potesse far capire come comportarmi. Quella però non fece altro che sorridermi incoraggiante, tenendosi distante proprio come il resto delle sue colleghe.

Perfetto, pensai in preda al panico ritornando ad osservare il gigantone dai baffi assurdi. Ancora non aveva parlato. Era rimasto semplicemente ad osservarmi per tutto il tempo senza spiccicare una parola.

E io a poco a poco, forse un poco incoraggiata da quel suo silenzio, mi rialzai in piedi. Non appena ebbi disteso anche l’ultima vertebra della mia schiena mi guardai nervosamente attorno, inizialmente per trovare una rapida via di fuga, poi per osservare i vari volti che non smettevano di studiarmi. Mi sentivo un animale da circo.

Che cosa volevano che facessi?

Se le mie deduzioni non erano errate il colosso di fronte a me doveva essere il capitano della nave, quindi come minimo dovevo ringraziarlo. In fondo era merito suo se non era morta in mezzo al mare.

Sentii una manica della camicia srotolarsi lungo il mio braccio, finendo per penzolarmi  fino a metà gamba, e io, rossa in viso, me la tirai su più in fretta che potei. Quasi quasi rimpiangevo il vestitino rosa.

Attorno a me udii qualche risatina, soffocata immediatamente da qualcosa che somigliava al suono di gomitate tirate dritte nello stomaco.

Presi un bel respiro, imponendomi di non pesarci.

“Ecco…” cominciai tenendo lo sguardo rivolto verso il basso.

“La ringrazio per avermi salvato la vita, signore…” sapevo che le mie parole non avrebbero avuto alcun significato per le loro orecchie, ma volevo comunque ringraziarlo a dovere. “La vita. Sa? … So che non mi capisce …, ma, ecco, quello che volevo dirle è…” cincischiai un pochino sulle ultime parole, cominciando a torturarmi inconsciamente l’orlo della camicia non mia.

“Grazie.”

“Guraguragura!!”

“Eek!” saltai all’indietro alla risata inaspettata del capitano, portandomi d’istinto le mani all’altezza del petto e stringendo spasmodicamente il cotone della maglietta, sentendo il cuore rimbombarmi frenetico nelle orecchie.

Attorno a me il silenzio si era dissolto tra le risate divertire del resto della ciurma e dal rumore di piatti scontrati l’uno con l’altro.

Sentii le braccia dell’infermiera bionda circondarmi le spalle, guidandomi ad uno dei tavoli, ma io non ci feci molto caso, preoccupata com’ero a far ritornare il battito cardiaco al giusto ritmo. All’anima. Non sarei riuscita a sopravvivere per più di un giorno in quel posto se per ogni cosa rideva in quel modo.

 

Atto 1, Scena 7

 

“Povera piccola!” ridacchiò Satch guardando la nuova arrivata venire condotta al tavolo delle infermiere. Era stato tutto il tempo ad osservare le reazioni di quello scricciolo e a quanto pareva doveva essere spaventata a morte. “Papà deve averle fatto una brutta impressione.” Concluse sospirando, scatenando qualche risata da parte di Ace e Vista.

“No, ma non mi dire! Un uomo docile come papà?” ironizzò Ace “È solo il pirata più temuto al mondo!”

Alla sua battuta fece eco la risata del tavolo dei comandanti a cui solo Marco non partecipò, apparentemente intento a terminare di mangiare il proprio piatto, e questo ovviamente, non passò inosservato agli occhi del comandante in seconda.

“Ehi, Marco. Che ti prende? La vista dello scricciolo ti ha fatto perdere l’appetito?” chiese guardando preoccupato il modo in cui il biondo stuzzicava il proprio cibo con la forchetta.

La Fenice sbuffò.

“No. Sto solo cercando di capire da che razza di posto possa essere arrivata.” Si giustificò coinciso ritornando lentamente a mangiare, mentre al suo fianco i suoi fratelli si guardarono: in effetti aveva ragione.

“E come.” Aggiunse infine, godendosi la vista degli altri comandanti mentre cercavano di mettere insieme i neuroni.

“Oh bhe. Ci sono tante possibilità: una tempesta; un attacco da qualche nave pirata;…” elencò Vista lisciandosi pensoso i baffi.

“Un Bustercall della marina.” Intervenne Jaws addentando il quarto cosciotto della giornata.

Spazientito Marco si fece indietro con la sedia, dondolandosi all’indietro con lo schienale che quasi raggiungeva il muro in legno dietro di lui, tenendosi al tavolo con un piede: non era quello che intendeva per “come”.

“E non avete pensato ad una nave di schiavi?”

Silenzio.

“Eeeh” sospirò il biondo “Ma dove la tenete la testa voi?”

 

Atto 1, Scena 8, Arioso agitato

 

Quelle infermiere cominciavano a darmi suoi nervi. Va bene, lasciamo fuori la bionda che mi sta particolarmente simpatica, ma le altre proprio no. Insomma! Avrei voluto sorseggiare il mio brodino di verdure in santa pace! Non ero così messa male da farmi imboccare come una neonata.

O sì?

Un poco scocciata accettai l’ennesima cucchiaiata da parte della rossa che si era assunta l’onere di imboccarmi. Non era tanto male il minestrone, era il mio primo pasto dopo giorni dopotutto, ma il fatto di essere trattata come una menomata mi faceva irritare un po’. E poi non faceva che rovesciarmi il contenuto del cucchiaio sulla camicia!

Intercettai la sua mano, facendole capire con gli occhi che preferivo mangiare da sola. La vidi scambiarsi un paio di parole con la bionda e poi lasciarmi in mano il mestolino. Esultai mentalmente: gloria immensa, potevo mangiare come si deve!

Dovetti ricredermi però non appena provai ad afferrare con due dita la posata, perché sentii le ferite della mia pelle bruciata e spellata aprirsi di colpo, formando come dei sottili taglietti sulla pelle viva.

“Ahia!” esclamai portandomi la ferita alla bocca e facendo inevitabilmente ricadere sulla tovaglia il cucchiaio.

Anataha mima shitaka?” mi disse la rossa ridacchiando riprendendo possesso della mia posata “Saa. Ima tabete kudasai.”  Concluse riempendolo di nuovo e facendo per ricominciare ad imboccarmi.

Mi imbronciai delusa. Ma che dovevo fare io!? Se soltanto avessi saputo interpretare mezza parola di quello che aveva detto mi sarei sentita meno inutile!

Non  mi restò che accettare di essere imboccata finché la mia zuppa non scomparve dal fondo del piatto, senza che me ne accorgessi e, non ancora sazia, cominciai tristemente a raschiare il fondo del mio piatto, tenendo il cucchiaio con l’indice ed il pollice per non farmi male. Caspita, avevo davvero fame! Vidi la bionda e la rossa sorridersi e quest’ultima alzarsi dal tavolo forse alla ricerca di altro cibo e io ne approfittai per guardarmi attorno.

La sala mensa mi si presentava immensa come mi era apparsa la prima volta che vi avevo messo piede. In ogni angolo della stanza erano stati sistemati dei tavoli: quelli centrali erano stati provvisti di sedie, in quel momento occupate da uomini affamati intenti a combattere, letteralmente, per il cibo sistemato però in grande quantità sui tavoli laterali che seguivano a ferro di cavallo l’andamento della stanza, lasciando spazio sul lato libero al grande tavolo del capitan-gigante.

Mi fermai ad osservarlo trangugiare una quantità di cibo quattro volte superiore a quella sistemata sui tavoli da buffet e venni colta da un improvviso senso di nausea. Decisamente non ero ancora pronta per mangiare qualcosa di solido.

Rimasi ancora un po’ ad osservare nei dintorni del capitano quando notai un tavolo leggermente più vicino degli altri. Vi erano sedute cinque persone, o meglio, cinque uomini completamente diversi l’uno dall’altro intenti a prendersi in giro a vicenda. Il primo che notai era un uomo enorme, non come il capitano, ma di mole assolutamente impressionante, scuro in volto ed apparentemente seccato, con addosso una strana armatura; il secondo era un uomo biondo con i capelli sistemati a ciuffo con chissà cosa ed un bizzarro nastro blu con tanto di ficco al collo. Dopo di loro, verso sinistra, stava seduto composto un uomo baffuto con un cappello a cilindro calato sulla testa che gli donava una strana aria distinta. Gli ultimi due erano due ragazzi: uno moro e l’altro biondo. Il primo aveva un’espressione simpatica in viso, forse accentuata dalle lentiggini che gli puntellavano le guance, non indossava una maglietta, e su una delle braccia chiare mi parve scorgere una sorta di tatuaggio che percorreva in lunghezza l’avambraccio. Il secondo era il suo completo opposto: biondo ed abbronzato, inclinato scompostamente sulla sedia dondolante che minacciava di farlo scivolare da un momento all’altro.

Ma non è pericoloso? Mi chiesi concentrandomi su di lui.

Era un tipo strano. Non strano nel senso cattivo, ma … di certo i suoi capelli non potevano essere ritenuti normali. Non che io avessi chiaro il concetto di normalità ben chiaro.

Per me era come vedere un mondo completamente nuovo, mai visto. In quel momento mi sarebbe potuto passare accanto anche un uccello a due teste e non mi sarei meravigliata più di tanto. Ammettiamolo, dopo aver visto un colosso enorme come il capitano, anche se mi fossi ricordata da dove venivo e com’era la mia vita prima, il mio concetto di normalità, sarebbe finito direttamente nel cesto della spazzatura.

Comunque, i capelli dell’ultimo seduto al tavolo mi ricordavano qualcosa… Erano una sorta di ciuffo posto in cima alla testa che lasciava il resto della nuca scoperto. La sua camicia era completamente aperta e lasciava scoperto il torace dove faceva bella mostra di sé uno strano tatuaggio di cui non capii la forma.

Stavo ancora esaminando quello strano simbolo quando l’infermiera rossa tornò al tavolo con un’altra ciotola di brodo fumante. Allargai un sorriso di gratitudine mentre mi poggiava davanti il piatto che però s dissolse non appena vidi che il biondo dai capelli strani aveva spostato la sua attenzione dal moro accanto a lui a … me.

Avvampai e voltai lo sguardo. In preda al panico mi chiesi se mi avesse vista studiarlo. E mi rannicchiai la testa tra le spalle, accorgendomi di aver nuovamente fatto la figura dell’idiota.

 

Atto 1, Scena 9

 

“Oh oh! La bambolina ti fa gli occhi dolci!” sfotté Vista.

Un fischio irriverente da parte di Ace gli stuzzicò fastidiosamente l’orecchio sinistro, facendolo accigliare. Quel giorno era decisamente propenso a farsi buttare fuori bordo.

Si rimise pigramente seduto composto, facendo scendere la sedia con tutte e quattro le gambe ben attaccate a terra, poi poggiò il mento su una mano, fingendo di non aver sentito nulla. Se i cani continuavano ad abbaiare, l’unica era lasciare che si sgolassero per bene senza darci troppa pena. In ogni caso continuò ad osservare la nuova giunta, vedendola rannicchiarsi nuovamente su se stessa.

“Qualcuno dovrà insegnarle a parlare la nostra lingua, non pensi papà?” chiese improvvisamente il comandante in prima.

Di colpo il tavolo si riempì di facce serie, compresa quella di Ace.

“In effetti non possiamo sbarcarla nella prima isola che ci capita senza che capisca una parola di quello che diciamo.” Constatò Pugno di Fuoco, cominciando anche lui ad osservare pensoso la naufraga.

“Stai proponendo di farla seguire da uno dei tuoi fratelli, Marco?” chiese Barbabianca dando un lungo sorso di sake.

Il biondo chiuse gli occhi con fare indifferente  senza dare risposta, segno che non voleva mettere bocca sulle decisioni del padre, almeno, non su quella.

“Ma non pensi che le infermiere bastino?” domandò Vista, meritandosi le occhiatacce di Marco e di Jaws.

“Le infermiere devono prendersi cura di papà, non possono mettersi a fare anche da insegnanti a quella ragazzina.” Lo zittì un poco acidamente il colosso, incrociando le braccia al petto.

“Uno dell’equipaggio andrà più che bene.” Aggiunse il biondo, aspettandosi qualche proposta interessante da parte dei fratelli.

“Che ne pensi di Teach?”

Ok. Quella non sembrava affatto una proposta intelligente. Gli sguardi di tutti si puntarono su Ace, fulminandolo inorriditi. Seguì una risata collettiva che vide partecipe anche il capitano.

“Teach?! Ma scherzi? Con lui come insegnante la prima parola che quello scricciolo imparerà sarà ‘crostata di ciliegie’!!” ridacchiò tenendosi la pancia Satch, battendo freneticamente una mano sul tavolo come in segno di resa.

“Già a pensarci bene non credo che Teach sia il tipo adatto per fare da baby sitter.” Ammise un poco sconsolato il moro, guardando Marco coprirsi con un braccio il volto poggiato sul tavolo nell’atto di riprendere fiato dalla lunga risata.

“Qualcuno dovrà comunque prendersi questa responsabilità.” Dichiarò Newgate “Nessuno dei vostri fratelli vi sembra adatto?”

La domanda del padre diede molto da pensare ai cinque comandanti che si misero a ragionare intensamente sul carattere e i compiti giornalieri di ogni singolo membro del proprio equipaggio.

“Nessuno.” Disse Satch dispiaciuto, seguito a ruota da Jaws e Vista, che scossero la testa negativamente.

“Nessuno.” Ribadì Marco guardando infine Ace, ancora pensieroso.

Il moro aprì la bocca per parlare e, cadde incosciente di faccia nel proprio piatto, imbrattandosi i capelli di sugo di cinghiale.

“Guraguragura!!” tuonò più divertito che mai Barbabianca assistendo ad uno dei soliti attacchi narcolettici del figlio.

“Eh, mi sa che anche lui non aveva nessuno di adatto.” Ironizzò Satch ridendo insieme agli altri.

“Vorrà dire che a insegnarle la nostra lingua sarà uno di voi, figlioli.”

I sorrisi scomparvero così com’erano venuti. Come prego?

Marco sbuffò. Avrebbe dovuto immaginarlo che sarebbe finita così.

 

Fine Atto Primo

 

Yeeeeheee!! Complimenti! Avete finito il primo atto! Bene e adesso le istruzioni: questa chicca o schifezza, va’ chiamatela come vi pare, l’ho concepita leggendo in inglese una fan fiction che faceva in modo che il lettore potesse intercalarsi nel personaggio, lasciato opportunamente privo di nome e aspetto fisico. Ho voluto provare a scriverne una, partorendo Kaizoku no Allegretto aggiungendo però un’altra cosa: essendo che io odio intercalarmi in personaggi che vanno a finire nel mondo di un anime e manga che siano, ho deciso di fare nel seguente modo.

Continuerò la fanfic seguendo esclusivamente le proposte dei lettori, come in una Blog novel, in modo tale che alla fine la storia possa risultare una cosa di tutti. (già, la storia di una possibile fic a fine di lucro era una balla. Che ci volete fare…)

Ok, spero che la spiegazione sia stata esauriente!

Visto che il primo capitolo lascia molte cose su cui pensare facciamo così: lasciate perdere l’identità della tizia (tranquille, sarete in grado di darle un nome più avanti.) e ditemi cosa vorreste che accadeste sulla Moby nell’immediato.

Non saranno prese in considerazione proposte come:

Es. “Ciao! Vorrei che la tipa intervenisse all’esecuzione di Ace” Primo: nella storia non è ancora accaduto. Cavolo, sono ancora tutti felici e contenti sulla Moby! Secondo: non sto dicendo di no ad una proposta come questa, ci arriveremo, tranquilli.

Mi raccomando proposte solo sugli accadimenti immediati della storia!!

Ok!? Bye bye! E mi raccomando, scrivete e recensite numerosi! ^^

Su richiesta di HUNTERGIADA…

Note di LIBRETTO: Jap  >  Ita

Anata wa me wo sama shi desu  > Ti sei svegliata.

Minna! Hayaku! Me wo sama shi desu!  > Ragazze! Sbrigatevi! Si è svegliata

Daijobu desu ka?  >  Tutto bene?

Nomu?  >  Bere?

Eto… nani?  >  Ehm… prego?

Senchou  >  capitano

Aah. ‘Grazie’ wa ‘arigatou’, desu ka. Neh  > Aah. ‘Grazie’ sta per ‘arigatou’. No?

Mo, Mo. Daijobu  >  Su, su. Tutto a posto.

Anataha mima shitaka?  >  Hai visto?

Saa. Ima tabete kudasai.  >  Avanti. Adesso mangia.

 

   
 
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