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Autore: Black Angel    11/08/2005    5 recensioni
Cos’è l’amore? Una domanda così semplice, eppure così complessa. Come quella parola che suona soave a ogni orecchio: Amore. Possibile che una sola parola possa descrivere un sentimento così grande, così esteso, così…profondo? Possibile che in una così piccola parola si nasconda un significato così vario? Perché di “amore” ne esistono tanti: l’amore passionale e violento di due amanti, quello dolce e puro di due fidanzati, l’amore naturale per il proprio figlio, quello gioioso tra amici…quello tra fratelli… Amore…..come facciamo a sapere se è veramente quello che fa battere il nostro cuore? Come facciamo a sapere se è quel sentimento, o una giovanile infatuazione che durerà solo qualche giorno? Come facciamo a riconoscere la persona giusta? Platone diceva che tutti noi siamo stati divisi, come una mela, e che non facciamo altro che cercare quella parte da cui siamo stati brutalmente privati: l’anima gemella. Ma esisterà davvero? Esiste la mia anima gemella…?
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico, Triste, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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4. Love me, love me

Colonna sonora: Savane Garden – Truly Madly Deeply

 

Restammo abbracciati così a lungo. Il mio respiro, ora calmo, che s’infrangeva contro la camicetta della divisa di Mary, le sue dita affusolate che s’intrecciavano con le mie corte ciocche setate.

- Sai – esordì allegramente lei, dopo quei lunghi attimi di placido silenzio – Non so come, ma avevo sempre saputo che il vostro legame sarebbe sfociato in qualcosa di molto forte. Che avreste dimenticato quel giorno e sareste andati avanti -

M’irrigidii nella stretta di quel corpo tanto morbido, al sentire nuovamente quel giorno fare capolino nel mio presente. Quel maledetto giorno che tutti sembravano ricordare tranne il sottoscritto, quasi tutto il mondo si fosse unito in una grande congiura architettata per portarmi alla pazzia.

Ero stufo di rimanere nell’oblio della mia memoria: io volevo conoscere cosa ci aveva divisi in quel giorno.

Pigro, alzai il volto verso quello della mia migliore amica - Quel giorno... - soppesai con cura quelle due parole, dandogli più peso del dovuto – Anche Michael lo ripete spesso. Si può sapere che è successo di tanto grave? - mi osai a domandare. Le iridi smeraldo della mia amica, si allargarono incredule

- Davvero non lo ricordi? – mi chiese, quasi scettica.

Scossi la testa – Non completamente – ammisi, sconfitto dalla mia impotenza sul mio stesso passato

- Non ti ricordi neanche del vostro litigio? – continuò, sempre più stupita.

Scossi nuovamente la testa. Non ricordavo nemmeno che ci fosse stato un litigio!

Rassegnatasi alla mia ignoranza, Mary si decise a raccontarmi ciò che mi ossessionava da due giorni ormai.

Sospirando, si sciolse dall’abbraccio e, assumendo il medesimo tono di un’anziana nonna che narra le tristi vicende del suo passato, iniziò a parlare

- C’ero anch’io quel giorno – mi disse – Tu e Michael m’invitaste a giocare con il vostro nuovo videogioco, cosa che avremmo sicuramente fatto se non fosse successo tutto quel putiferio -

 

La mattina era passata nel silenzio. Non ci fu nessuna parola tra noi, solo sguardi: confusi, tristi, malinconici...freddi, crudeli, micidiali…

Le mie speranze, createsi durante quella dolcissima notte, vennero spazzate via in un attimo dalle sue gelide parole mattutine. La felicità di essere riuscito a toccare il mio sogno sparì del tutto, seguito da ogni speranza, emozione piacevole e sensazioni di gioia. L’unica cosa che permaneva era l’amore per lui.

Un amore straziante immerso nella follia del peccato, ma pur sempre amore…

Nonostante mi sentissi alla stregua di una qualsiasi delle ochette con cui era solito divertirsi non potevo fare a meno di sentire il mio cuore accelerare i battiti e la gola seccarsi ogni volta che il suo nome mi saettava nei pensieri. La realtà è che non avevo mai potuto fare a meno di amarlo!

Non ricordo quando iniziai ad accorgermi che i sentimenti che nutrivo per Steve non seguivano la giusta strada, ma da lì a provare una forte attrazione anche sul lato fisico il passo fu assai breve. Iniziai ad allontanarlo il più possibile da me, nella speranza di dimenticare quei sentimenti impuri, e il litigio che si scatenò tra noi quel giorno fu un ottimo espediente. Ma nonostante tutto non ci riuscì: continuavo ad amare mio fratello e, ogni volta che mi guardavo allo specchio, vedevo solo un essere sporco, maledettamente sporco e infinitamente perverso.

Cercai di allontanare questa perversione da me. Giuro che ci provai in tutti i modi possibili!

In quel periodo ebbi molte relazioni con diverse ragazze, ma con nessuna di loro funzionò alle lunghe, neppure con colei a cui mi concessi per la prima volta. Tentai, così, d’intraprendere questa strada con gli esponenti del mio stesso sesso, pensando che i miei pensieri impuri fossero riconducibili a una mia strana inclinazione sessuale.

Andrew, un ragazzo che incontrai casualmente ad una festa, fu colui che potrei definire il mio mentore in questo campo. La nostra storia andò avanti per otto mesi, con più bassi che alti, finché lui non mi lasciò.

- Mi sto innamorando di te, Michael - mi disse con quel suo sorriso triste che lo rendeva irresistibile - Ma so che tu non mi ricambierai mai e io…io ho bisogno…- non lo lasciai finire: gli diedi un ultimo bacio e mi allontanai. Ero ben consapevole di ciò che voleva dirmi, poiché io stesso me n’ero sempre reso conto: ogni volta che lo baciavo, che mi abbracciava, che facevamo l’amore io non vedevo lui…io vedevo Steve.

Amavo mio fratello e non c’era modo di cambiarlo! Ero pervaso da un amore impossibile, peccaminoso, condannabile da ogni senso morale. Come potevo sperare che un tale sentimento fosse corrisposto?

Eppure quella notte sotto i suoi baci, sotto i suoi tocchi, sotto i suoi sospiri iniziai a credere che potesse essere un amore a due vie. Oh cavolo, ma come potevo essere così ingenuo?

Lacrime silenziose scesero sulle mie guance. Le asciugai rapidamente prima che spalancassi la porta della terrazza. L’odore umido della pioggia m’invase velocemente, insieme all’insistente rumore delle gocce che s’infrangevano contro la tettoia. L’unica cosa di cui avevo bisogno in quel momento era di stare da solo con i miei pensieri, nel vano tentativo di schiarirli un po’. Il mio desiderio, però, non venne esaudito: qualcuno aveva già occupato quel luogo e, guarda la fortuna!, erano le ultime che avrei voluto vedere in quel momento…o forse le prime…

- Non esiste amore sbagliato o malato, Steve – sentì dire Mary-Jane

- A-amore?! – la sua voce era confusa, insicura. Ogni suo dubbio pareva avere un suono.

“Di che diavolo stanno parlando?” mi chiesi, aggrottando le sopraciglia “Di me forse?”

Vidi la chioma dorata della nostra amica d’infanzia spostarsi sopra il corpo supino di mio fratello, e non potei trattenermi di stringere gli occhi per qualche breve secondo. Non ero geloso di Jane, non avrei mai potuto esserlo, soprattutto sapendo che quei due erano semplicemente grandi amici. No, non era gelosia quella che sentivo, era semplice e pura invidia: volevo poter avere anch’io quella libertà con mio fratello. Una liberà così scontata, così pura…ma io non ero affatto puro, e allora come lo potevano essere i miei gesti?

Un altro frammento del loro discorso mi giunse perfettamente nitido, facendomi sentire maggiormente in colpa per quella situazione in cui ricoprivo il ruolo di perfetta spia.

- Ma stavolta, stavolta è diverso: sei preoccupato, turbato, confuso, è il tuo unico pensiero…tuo fratello…- 

Ebbi la conferma di ciò che sospettavo: il centro del discorso ero proprio io!

- E tu come fai a sapere…? -

- Mi credi davvero così stupida? - rise lei - Ti conosco troppo bene -

- Allora, se lo sai, perché continui a dire che non è sbagliato? Non è forse un peccato da maledire? Cazzo, è pur sempre mio fratello, no? E io me lo sono fatto, tranquillamente, come se fosse una qualsiasi di quelle stupide che mi ronzano sempre intorno! Perché continui a dire che non sono malato? -

Quelle parole mi trafissero il cuore, come una scheggia affondata con sadica lentezza, per farmi soffrire il più possibile.

Ora iniziavo a capire il suo comportamento discostante che aveva tenuto quella mattina: io lo ripugnavo! Ciò che io avevo osato chiamare amore lui lo trovava semplicemente abominevole.

“Come ho potuto essere così stupido?” domandai a me stesso, mentre il gusto salato delle mie lacrime mi bagnava le labbra “Come ho potuto credere per un solo istante che potessi essere corrisposto?”

Soffocai i singhiozzi contro la manica della giacca che componeva la divisa scolastica, poggiando l’altra mano sul maniglione antipanico che riconduceva dentro alla scuola, intenzionato a correre il più lontano possibile da quella maledetta terrazza. Mi fermai non appena una frase stuzzicò la mia curiosità

- C’ero anch’io quel giorno – stava dicendo la ragazza - Tu e Michael m’invitaste a giocare con il vostro nuovo videogioco, cosa che avremmo sicuramente fatto se non fosse successo tutto quel putiferio -

 

Era un altro caldo pomeriggio d’inizio Luglio. Uno come tanti altri con il sole che batteva infuocato su tutte le case, il cielo azzurro privato dei veli delle nuvole e il vento che pareva essersi addormentato in qualche zona d’ombra, dimenticandosi di allietare con il suo sospiro i comuni mortali. Un silenzio tombale si era sparso nelle strade, ormai prive del via vai cittadino. In quel silenzio aleggiava la mia vocina sottile, che intonava una canzoncina mentre saltellavo sul marciapiede. Più che una canzoncina era una filastrocca che usavo nel gioco della campana. Non ci volle molto, infatti, prima che iniziassi a saltare su un piede solo o su entrambi, alternandoli mentre sotto di essi andava a disegnarsi, con linee immaginarie, lo schema di quel gioco.

Un sorriso ingenuo illuminava il mio volto infantile, scoperto da due buffi codini che fermavano le miei ciocche dorate ai lati della mia testolina. Tenevano molto caldo quei capelli e non avrei esitato a tagliarli se Michael e Steve non mi aveste detto che erano più luminosi del sole e più preziosi dell’oro.

Già, quei due fratellini che tutti non potevano fare a meno di adorare, me compresa: di una bellezza quasi angelica, molto intelligenti nonostante la tenera età e profondamente legati l’uno all’altro. Un legame così forte che nessuno riusciva a immaginarseli separati.

Steve era il più grande: aveva nove anni ed era un mio compagno di classe. Aveva ricevuto fin da subito la nomina a bambino più carino della scuola e, in prima elementare, i nostri compagni fecero di tutto per farci fare un fidanzamento ufficiale. La cosa durò a malapena una settimana. Dopo fu solo la nostra amicizia a crescere, un’amicizia che ci avrebbe accompagnato per molti e molti anni.

Michael, invece, lo conobbi successivamente, quando il fratello iniziò a invitarmi a casa sua sotto cortese richiesta della madre. Michael, forse a causa dei due anni che ci distanziavano o forse per suo vero e proprio carattere, era molto più timido del maggiore, nonché assai più dolce e taciturno. Ricordo che era in grado di farti intenerire soltanto con un suo flebile sorriso.

Proprio per queste sue caratteristiche, Steve, forte sia di carattere che di fisico, aveva coltivato una sorta d’istinto di protezione nei suoi confronti, cosa che sembrava rendere la signora Guire particolarmente felice.

Quel giorno i due fratelli preferiti da tutto il circondato m’invitarono a casa loro per provare il videogioco, regalatogli in occasione della festa del 4 Luglio: “Dolls & Cars Attack”, ossia il gioco che tutti i bambini attendevano impazienti da due mesi.

Così, saltellando come Cappuccetto Rosso alla volta della casetta della nonnina, arrivai a casa loro, di poco distante dalla mia. Chi mi venne ad aprire fu proprio il secondogenito

- Ciao Jane – salutò vivacemente, invitandomi ad entrare

- Piccola Mary-Jane, che piacere vederti ancora – mi accolse gentilmente la padrona di casa. La signora Guire era sempre dolce e premurosa con me e non si risparmiava dall’offrirmi ogni genere di dolcetto preparato quotidianamente dalle sue mani di fata. Si giustificava dicendo che le erano nati due splendidi maschietti ma che lei aveva sempre desiderato una femminuccia.

- Sei carina come al solito – mi disse, baciandomi la fronte

- Mamma! – esclamò un’irritata voce dalle scale – Piantala di fare complimenti a questa strega -

- Steve, suvvia, fai il gentile con la piccola Mary-Jane – lo ammonì dolcemente la donna, pur sapendo che le sue frecciatine non erano altro che il suo modo di dimostrarmi il suo affetto.

Dopo un grosso bicchierone di latte e un paio di biscotti, salimmo tutti e tre in camera di Steve e ci dilettammo con il videogioco, commentando ogni minima cosa con l’eccitazione di cui sono capaci solo i bambini. Eravamo più o meno a metà partita quando la voce profonda del signor Guire ci raggiunse fino in camera. Sarebbe iniziata allora la fine di molte cose…

- Michael vieni giù – sbraitò, con il tono più infuriato che gli avevo sentito addosso. Il più piccolo ci dedicò uno sguardo interrogativo, ma fu solo quando il fratello annuì deciso con il capo che si decise a scendere dal padre, mentre noi ci appostavamo sulle scale per poter vedere tutta la scena.

- No – la voce strozzata della signora Guire uscì dalla cucina, mista ai singhiozzi di un pianto che probabilmente la stava affliggendo – Vattene, ma lascia in pace loro –

- Taci! - urlò l’uomo - Sono anche figli miei - ringhiò, prima di rivolgere il suo sguardo al pargoletto che era appena entrato nella stanza. Il suo sguardo confuso e impaurito si posò ripetutamente sia sul padre che sulla madre, la quale tentò di chiamarlo ma venne bloccata da una occhiata eloquente del marito.

Michael venne sollevato dalle forti braccia del padre, che sembrava essersi un poco raddolcito con la sua vicinanza

- Cosa c’è, papà? -

- Michael, il mio ometto! Tu sei grande abbastanza per capire quello che ti sto per dire, vero? – il bambino annuì con scarsa convinzione – Papà va in un'altra casa –

Il piccolo inclinò il volto da un lato - Perché? -

- Lui e la mamma non vanno tanto d’accordo, così papà va via -

- Ma sarai sempre qui, vero? – chiese il figlio, non riuscendo a comprendere pienamente quelle parole

- No, Michael no. E’ per questo che voglio chiederti di venire con me. Saremo io e te soli…- un gemito di dolore della signora Guire lo obbligò ad interrompersi, prima di riprendere, più convinto di prima – Ti piace l’idea? -

- M-ma-ma la mamma e Steve? – balbettò confuso Michael. Di certo non voleva che suo padre se ne andasse di casa, ma non voleva nemmeno separarsi dalla sua mamma e, soprattutto, dal suo caro fratello.

- Loro resteranno qui, Michael -

Quella frase suonò come una condanna a morte su quella casa.

Steve si alzò di scatto, andandosi a chiudere in camera sua prima che il discorso potesse terminare. Io mi limitai a scuotere pazientemente il capo, consapevole che il mio amichetto era sempre stato troppo impulsivo, continuando poi a seguire con interesse quella conversazione

- Io non voglio. Non voglio separarmi da Steve - piagnucolò

- Michael cerca di capire…-

- No! Voglio stare dove c’è Steve…io voglio stare insieme a lui e alla mamma -

- Oh, bene! – esclamò l’uomo, ormai al limite della pazienza, poggiandolo nuovamente a terra – Famiglia ingrata. Chissà cosa diavolo hai inculcato nella testa di questi due poveri bambini – urlò rivolto alla moglie, che ancora singhiozzava in cucina – Una famiglia di disgraziati! Ecco cosa diventerà – gridò, prima di sbattersi la porta di casa alle spalle. Quelle, che suonarono quasi come un cattivo augurio, furono le sue ultime parole e l’ultima volta che i suoi figli lo videro.

Michael rimase qualche attimo fermo a fissare la porta dietro alla quale suo padre era scomparso, aspettandosi, forse, di vederlo tornare con in mano i regali che aveva promesso ad entrambi insieme ai  biglietti per la partita dei Dogers.

Ecco qual è la colpa dei bambini: quella di sognare, di sperare, d’illudersi anche davanti all’evidenza.

E la colpa degli adulti? Di distruggere ogni sogni, ogni speranza, ogni illusione…

Rientrai nella cameretta, mentre il più piccolo risaliva le scale in perfetto silenzio, rotto solamente dal lamento incontrollato della signora Guire al quale si era unito anche quello del mio coetaneo.

- Steve – lo chiamai cautamente, sedendomi sul letto, al fianco della sua figura rannicchiata

- Va via -

- Non è colpa di tuo fratello – cercai di spiegargli

- E invece sì! E’ lui che ha fatto andare via papà – borbottò lui, scosso dal pianto

- No, non è vero! – esclamai, indignata davanti alla sua ottusaggine

- Beh, papà voleva portarselo via, no? – disse, alzando finalmente il volto e mostrandomi le lacrime che lo rigavano – E’ lui il suo preferito -

- Io non vado via con papà – informò la voce minuta del fratellino, ora fermo sulla soglia

- Non m’interessa – ribatté gelido l’altro, trafiggendolo con un’occhiata dura

- Steve – tentai di rimproverarlo, ma non mi diede neanche retta: per loro, in quel momento, non ero altro che uno spettro fastidioso.

- Io pensavo che saresti stato felice se fossi rimasto qui -

- Ti credi davvero così importante? Credi di essere così necessario da darmi la felicità? -

Fu gelido, spietato senza alcun ritegno: la rabbia aveva cancellato da lui ogni possibile ragionamento logico.

Rabbia per essere quello imperfetto, per essere sempre secondo tra i due, e soprattutto, per la consapevolezza che il suo protetto, prima o poi, non avrebbe più avuto bisogno di lui. Una furia cieca che lo portò a non notare nemmeno gli occhi argentati che si velavano velocemente di lucido, mentre il piccolo cuoricino del minore andava in frantumi a quelle parole.

- Ma…ma…-

- Sta zitto! – urlò l’altro, alzandosi da letto e avvicinandosi a grandi passi al più piccolo – Se volevi andare con papà perché non ci sei andato? Perché non sei andato via con lui, lasciando me e la mamma da soli? Credi che non ce la sappiamo cavare? Credi che non potremo essere felice senza di te? Beh, ti sbagli. Io… io…ti odio! -.

Un urlo che accompagnò il rumore sordo di qualcosa che cadeva a peso morto giù per le scale: il corpo di Michael. Impaurito per il comportamento del fratello aveva arretrato fino a poggiare i piedi sugli scali e, scivolando su uno di questi, era caduto facendosi l’intera rampa ruzzolando. Ma se le ferite riportate da quel volo sarebbero guarite in meno di una settimana, la ferita che gli si era aperta nel suo cuore non sarebbe mai stata risanata. Quel – Ti odio! – l’aveva attraversato da parte a parte, più dolorosamente di qualsiasi schiaffo. Eppure proprio quell’urlo non era riferito a lui. Steve non vedeva altro che suo padre nel corpo minuto del fratellino. A lui era rivolto quel grido liberatorio. Ma i bambini sono troppo ingenui per comprendere una cosa tanto complessa.

Così Michael rimase immobile alla fine delle scale, con gli occhi sbarrati e pieni di lacrime come quelli di suo fratello, che era corso a rifugiarsi nuovamente nella sua camera, e come quelli della madre, singhiozzante in cucina.

In quel bel giorno d’estate, molte cose ebbero fine.

 

- Io-io…fu colpa mia – sussurrai incredulo da ciò che io stesso avevo detto al piccolo Michael d’allora.

- No, affatto – si affrettò a correggermi Mary – Non fu colpa tua. Tu vedesti in Michael, il figlio prediletto, la figura di colui che non ti aveva mai dato importanza: tuo padre -

- Questo non mi giustifica affatto – ribattei, iniziando ad infervorarmi

- Non è una giustificazione: hai reagito esattamente come qualunque altro bambino -

- Sono stato semplicemente un ipocrita: ho detto di odiarlo, che non creava la mia felicità quand’era l’esatto contrario -

- Ti riferivi a tuo padre in quel momento, non a tuo fratello stesso – ripeté pazientemente lei, rialzandosi in piedi e riaggiustandosi alla bell’e meglio la divisa.

- Smettila con questa psicologia da quattro soldi, Mary – dissi esasperato. Lei sorrise pazientemente, accarezzandomi la guancia

- Che lagna che sei – mormorò, pochi secondi prima che il trillo della campanella ci richiamasse nella nostra aula. La mia amica accolse con uno sbuffo quel fastidioso rumore, che ricorreva fin troppo spesso anche nei suoi incubi

- Non ho proprio voglia di subirmi un’altra le-zio-ne?! – iniziò inspiegabilmente a sillabare, mentre il suo sguardo si perdeva in un punto indeterminato dietro le mie spalle. La guardai per qualche attimo, aggrottando le sopracciglia, prima di seguire la linea dei suoi occhi la quale si posava sull’ultima persona che avrei pensato, e avrei sperato, di vedere in quel momento

- M-M-Michael – balbettai – Da quanto sei lì? -

- Da abbastanza – si limitò a rispondere.

“Risposta per niente positiva” sembravo l’unico a pensarla così, visto che sul volto di Mary non c’era altro che uno sguardo trionfante, estremamente irritante per il sottoscritto.

- Beh, io devo andare o la professoressa si divertirà a torturarmi -  disse, mentre si allontanava sempre più da noi - Non preoccuparti: la trovo io una scusa che ti permetta di risolvere il tuo…ehm…contrattempo. Prenditela con tutta calma – concluse, facendomi l’occhiolino, prima di sparire velocemente dietro la pesante porta di ferro che divideva il resto dell’edificio da quel piccolo pezzo di paradiso. Un paradiso piuttosto silenzioso, ad essere sinceri.

Come c’era d’aspettarsi, infatti, dopo la scomparsa della ragazza tutto pepe nessuno di noi due ebbe il coraggio di spiccicare una sola parola, lasciando che un filo di tensione ci legasse.

- Io…- tentai di dire qualcosa, ma nulla riuscì a sfuggire a quel nodo che mi aveva chiuso la gola

- Io ti disgusto, vero? – mi chiese, abbassando lo sguardo rassegnato. La sua voce tremava sotto la frustrazione e la disperazione che, sapevo, si nascondevano nel suo animo, ma non potei fare a meno di guardarlo con un tono interrogativo

Cosa? E questa quando gli è saltata in testa? Come diavolo può credere che una persona così splendida possa disgustarmi?”

- Michael, ma cosa stai…-

- Stamattina mi hai respinto quasi fossi la peste e adesso non facevi altro che ripetere che era sbagliato, un peccato da maledire. Ti ho sentito, Steve – m’interruppe alzando di poco la voce. Notavo il suo tentativo di rimanere il più calmo possibile, nonostante il suo nervosismo fosse ben definito dal tremito che gli attraversava tutto il corpo. La sua voce tornò a farsi sentire, questa volta con una piega che ben si sposava con la sofferenza che gli batteva nel petto

- So come mi vedi: sporco, perverso, una cosa da rinnegare, da nascondere. E’ inutile che menti, perché io stesso mi vedo così. Ma anche se sono un mostro nulla ti da il diritto di giocare con i miei sentimenti, d’ingannarmi solo per divertirti un po’ – urlò con quanto fiato aveva in gola, mentre le lacrime uscivano violentemente dai suoi occhi grigi – Nulla ti dai il diritto di prendermi ogni volta che il tuo corpo lo desidera, per poi lasciarmi quasi fossi un ogg – fermai le sue parole stringendomelo forte al petto. Non avevo più la forza per subire quelle sue continue critiche rivolte a se stesso, e del tutto lontane dalla sua vera natura.

Lentamente il suo corpo si sciolse nel mio abbraccio singhiozzando contro la camicia della mia divisa. Iniziai a cullarlo con dolcezza, nella speranza di riuscire a placare il pianto che lo strozzava.

- Basta piangere – gli sussurrai

- Perché? – mormorò lui, visibilmente distrutto – Perché non puoi dirmi che mi odi? Almeno non dovrei soffrire così tanto -

- Io non posso odiarti, fratellino – gli disse, poggiando lievi baci sulle sue ciocche scure – Sei talmente bello e pure da sembrare un angelo -

- Non dirmi stronzate! – mi ordinò, battendo un debole pugno sui miei pettorali che ebbe unicamente la forza di farmi sorridere, intenerito davanti alla sua immagine. Il suo dolce profumo mi avvolgeva i sensi e il calore del suo corpo stretto contro il mio m’irradiava nel petto una piacevole sensazione, proprio come l’abbraccio che mi aveva donato quella mattina e che mi aveva fatto sentire così…amato? Sì, finalmente avevo trovato la parola giusta!

Mi appogiai con le spalle al muro, facendoci successivamente scivolare fino a terra. Timidamente si mosse su di me, cercando di sistemarsi meglio in quella posizione

- Ero confuso – mi giustificai, accarezzandogli pensieroso la testa, ora incastrata nell’incavo tra la mia spalla e il collo – Spaventato del nuovo, di quello che non conoscevo e di quello che avevo dimenticato -

Il racconto della mia migliore amica mi ritornò alla mente, forte come una cannonata: ero stato un infame con lui e, anche se Mary continuava a giustificarmi, non potevo fare a meno di sentirmi colpevole per tutto quello.

Una colpa che volevo espiare soltanto con il suo perdono. Intanto lui pareva essersi calmato: i suoi singhiozzi erano morti in lenti e profondi sospiri, che parevano quelli di un addormentato. Nonostante fosse incredibilmente piacevole quell’attimo di pace cullato solo dal nostro respiro, mi costrinsi ad infrangerlo. Non potevo lasciare che tutto rimanesse così, senza alcuna conclusione…

- Michael - lo chiamai ansioso. Lui annuì appena, dandomi segno di poter continuare – Tu hai sentito quello che mi ha raccontato Mary-Jane? -

Annuì nuovamente con un pigro mugugnare, senza tuttavia abbandonare la posizione che aveva assunto

“Sempre di poche parole il ragazzo, eh?” commentai sarcasticamente nella mia testa

- Io, vedi…io non ricordo nulla di quel giorno. Ma ora, che almeno so cosa è effettivamente successo io vorrei chiederti per…- le mie scuse si spensero contro le sue dita affusolate

- Non importa. E’ una cosa vecchia ormai – il suo tocco delicato salì fino alla mia fronte – Il coma ti ha tolto tanti ricordi -

Già, il coma: la fonte della mia amnesia. Non erano passati neanche due anni da quel giorno di cui, tutt’ora dopo le varie sedute di riabilitazione, non riesco a vedere che pochi e miseri frammenti: la pioggia, una macchina che esce all’improvviso, uno scontro frontale a cui per miracolo sono sopravvissuto e poi i lunghi tre mesi passati attaccato ad una macchina tra la vita e la morte.

Dovevo aver assunto un’espressione turbata perché, quando tornai alla realtà, incrociai i suoi occhi che preoccupati vagavano sul mio volto. Sorrisi, posando due dita sotto il suo mento e costringendolo ad alzare quel viso celestiale per poterlo avvicinare più facilmente al mio. Le mie labbra sfiorarono le sue, prima di poggiarsi definitivamente in un casto bacio. Oddio, la castità non durò poi molto, e non c’era da dubitarne conoscendomi!

Continuai a guastarmi della sua bocca di pesca finché proprio lui non m’interruppe, allontanandomi gentilmente da se. Un verso di disappunto librò involontariamente dalla mia bocca, ma esso sparì immediatamente non appena incrociai i suoi occhi, che, ora timidi, cercavano di sfuggirmi.

- Che succede? – gli chiesi, non comprendendo quel suo repentino cambiamento.

- I-i-io..io volevo solo – iniziò a balbettare, arrossendo vistosamente – Volevo solo dirti che…ti amo…-

 

Ognuna di quelle ragazze mi aveva detto almeno una volta “Ti amo”. Piangendo, ridendo, arrossendo, in modi diversi ma quello era il concetto. Eppure nessuna di loro mi sentì mai rispondere a quell’affermazione: io non l’avevo mai detto.

 

Sorrisi – Ti amo anch’io, Michael – sussurrai stringendolo di nuovo a me, e tornando a baciarne la fronte.

In quei giorni di pioggia successero davvero molte cose: scoprì di avere un fratello, scoprì il mio passato, scoprì la mia anima gemella e scoprì…di amarla.

 

§ THE END §

 

Free Talk

Dunque dunque un aggiornamento dopo un solo giorno. Ho paura di me stessa, non è degno di me ^^’’

Bene siamo giunti alla fine della prima parte di questa trilogia ^^ Finale un po’ troppo romantico per i miei gusti, e vi prego di perdonare tutte le sdolcinatezze di quest’ultimo capitolo ^^

Presto aprirò le danze alla seconda parte di questa trilogia. Il titolo sarà Minutes & Seconds (titoli che non centrano mai un cavolo, complimenti -.- NdWhite – Fa un po’ di silenzio, tu >_< NdBlack). Spero vi possa appassionare come questa prima parte sembra aver fatto ^^

E passiamo ai soliti ringraziamenti: dunque, vedo che pucci2 si è infervorata per il comportamento di Steve. Beh, in effetti il suo è un comportamento infantile, ma non fateglielo notare se no non lo ferma più nessuno. Come vedi Mary-Jane ha salvato abilmente la situazione ^^

Un grazie anche a mimmyna: sono onorata davanti a tanti complimenti, che non credo comunque di meritare ^///^ Felice che la storia che ho creato sia di tuo gradimento, nonostante la situazione spinosa ^^

Alla prossima ^^

 

 

 

 

 

  
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