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Autore: Stray cat Eyes     12/04/2010    11 recensioni
Nella sua semplicità, sua moglie ha saputo lasciarlo in una tenue, modesta disperazione.
Genere: Triste, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Soun Tendo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Years ago, when I was younger'
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Dei personaggi, quando li amiamo, immaginiamo spesso il futuro. Ma il passato, quello chi ce lo racconta?
Così pensavo; così m’è venuta in mente l’assurdità più angst che abbia mai scritto.











Nella sua semplicità, sua moglie ha saputo lasciarlo in una tenue, modesta disperazione.




[Simple]

Oh simple thing, where have you gone?



Between how it is and how it should be. (*)




Nella quiete intima e casalinga della loro vita insieme, lei lo ha abbandonato con tenerezza, limitandosi a piantargli nel cuore non un nobile stiletto dall’elsa intarsiata, bensì un umile coltello da cucina.



Soun è sempre stato un ottimo artista marziale, ma al momento è così solo che nemmeno la concentrazione sa fargli compagnia. Le assi del dojo, le porte, l’insegna - tutto un tempo parlava, suonava melodie rustiche, intonava canti e inni alla tranquilla vita quotidiana, per lui che era l’eroe della routine, per lei che era la sua regina; oggi tacciono, intuendo forse che Soun è tornato ad essere un uomo come gli altri.
Ma c’è ancora qualcuno che piange.

Soun piange le frugali lacrime di un marito che ha perso la propria sposa ma ha tre figlie ancora da allevare, e cerca di farlo tenendosi stretto alle ultime forze e a quell’infinitesimale brandello di dignità tipica dell’uomo comune, che è rimasto con lui quando invece avrebbe potuto rimanere lei.
Ogni angolo della casa piange la solitudine che è piombata all’improvviso, senza pomposi annunci né curiose anteprime. La cucina, in particolare, pare si senta molto sola. Tradita - ferita, più che altro. Ma non trova neppure il coraggio di lamentarsi, malgrado tutto.
Quella stanza, come tutte le altre, resta identica a prima (quel prima di cui lui stenta ancora a capacitarsi), ma è come se lo spazio si fosse ristretto - come se in quel piccolo quadro non potesse più incastonarsi la figura principale.
Le sue bambine piangono. Ma nondimeno restano la sua unica salvezza.


Akane è la sua salvezza.
Lei sa che la mamma è partita e che per un po’ non potrà tornare, e nel tempo della sua assenza si impegna per comportarsi da brava bambina; è bella, decisa, allegra soprattutto ora che percepisce la tristezza della sua famiglia - vuole aiutarli, dimostrare loro che non c’è niente da temere.
Soun sa che fra qualche giorno Akane comincerà a chiedersi perché la mamma tardi tanto a ritornare; sa che, tempo una settimana, le lacrime si moltiplicheranno a dismisura perché la bambina intuirà - e forse lo ha già intuito - che lei non tornerà più; nel frattempo, lui si gode il suo sorriso, lasciandosi convincere che distendere le labbra con sincerità e ridere con il cuore siano ancora gesti possibili al mondo.
Ed è così che lei lo salva.


Nabiki è la sua salvezza.
Sul suo volto non ha visto una singola lacrima, ma Soun crede di poter affermare che, se nelle ultime notti la bambina si rifugia contro il cuscino della sorellina maggiore, è perché il suo è diventato scomodamente umido.
Quando al mattino la vede uscire dalla stanza della sua primogenita, Nabiki non gli offre alcuna spiegazione.
Solo oggi - solo perché lui gliel’ha chiesto - lei gli ha confessato che nella notte ha avuto freddo, che ha pensato che Kasumi potesse cederle un po’ di calore in cambio della sua compagnia.
Soun la guarda, in questo giorno come in tanti altri: il viso apatico di Nabiki gli fa capire che la sua vita avrà ancora uno scopo, che a certi danni si può ancora porre rimedio.
Ed è così che lei lo salva.


Kasumi è la sua salvezza.
È nulla più che una ragazzina, ma fin troppo donna nella sua consapevolezza. Soun comprende bene che sulle sue spalle - candide e fragili, per quanto nascoste dai volant di un grembiulino da cucina - si è depositato un peso tanto più gravoso di quanto lei possa sopportare, e non sa aiutarla.
Kasumi soffre in silenzio, piange in silenzio, si occupa di loro in silenzio e in silenzio ha già accettato di vestire panni che non le appartengono. Soun si sente tremendamente egoista nel lasciarla fare, ma è ancora presto per farci davvero caso.
Kasumi, comunque, non gli rimprovera niente. Anche questo accetta.
Ed è così che lo salva.



La cucina ancora piange, con tutta la discrezione di cui è capace.

Oggi non c’era scuola, così Nabiki è già seduta al tavolo, apparentemente persa in un manga che avrà già letto due volte; la più piccola è lì accanto, si esercita nella scrittura.
Il riflesso di sua moglie, invece, prepara il pranzo con una dolce tristezza.

Il dolore cuoce a fuoco lento, accompagnato dal riso che bolle in pentola.

Nabiki si strofina gli occhi arrossati, nascondendoli subito dopo dietro la frangia.

A cottura terminata, qualora la pietanza risultasse ancora mancante di sale, lasciar pur cadere una lacrima nell’acqua bollente.

Kasumi, come sempre, non esita a seguire le istruzioni del libro di ricette.

Tanto basterà a renderne il sapore molto più intenso.

Akane, posando la sua penna, gli corre incontro per mostrargli ciò che ha appena scarabocchiato con impegno.

Okaasan. (**)

“Ho scritto bene, papà?”

Loro...

“Sì, Akane.”

... loro sono la sua salvezza.









*


E qui sento già il pluff! del mio ennesimo buco nell’acqua. XD
No, sul serio: ho cercato di immedesimarmi in questo Soun, che chiaramente non è il Soun che ci presenta la Takahashi (né tanto meno l’anime), così come nelle sue figlie (e spero di aver azzeccato, più o meno, le età); e questo può farvi capire quanto io ami andare a ficcarmi in situazioni ultra-complicate, senza peraltro saperne uscire. XD
Il fatto è che Rumiko-sensei, e non so se l’abbia fatto di proposito o meno, ha lasciato in questo mare di demenzialità (quale è Ranma Nibunnoichi) una moltitudine di tracce angst. E allora uno (leggasi: io) non può fare a meno di metterci mano e fantasticarci su. Mi perdonate, adorati? *__* (l’animo della ruffiana non muore mai)
Ohibò, io ci spero. ^^ Anche perché non mi va di stare qui a spiegarvi tutti i perché e i percome come l’altra volta, ragion per cui avete due sole possibilità: o mi capite/compatite/pat-pattate, o mi perdonate e basta. XD

E ricordate: io e le critiche ci amiamo! E il signor Consiglio è mio marito.
Grazie per aver letto! ^^



(*) Da Dare you to move, Switchfoot (così come il titolo del capitolo).
(**) Mamma.
Sottotitolo da Somewhere only we know, Keane.




  
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