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Autore: Padme Undomiel    20/06/2010    9 recensioni
Gli provocava uno strano tuffo al cuore, vederla in quel modo. Vestita da sposa, così bianca, così dolce, così semplice ma così maledettamente bella che toglieva il fiato, i capelli castani, che aveva lasciato crescere più lunghi da qualche anno, stretti in un’elaborata acconciatura, il viso delicatamente truccato, Hikari era solo un incanto. Non gli sembrava nemmeno di averla mai vista, in tutti quegli anni, tanto sconvolgente era quella visione. E la cosa più assurda era associare quel vestito da sposa a sua sorella. Associare il cognome Takaishi a sua sorella. Takaishi Hikari.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hikari Yagami/Kari Kamiya, Taichi Yagami/Tai Kamiya
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ours Only

Ours only







Non aveva mai visto niente di più radioso, splendente, di quella sera di inizio estate.

Se prestava maggiore attenzione, poteva quasi sentire il tranquillo canto dei grilli, e il dolce stormire delle fronde degli alberi, lì apposta per fornire alla giovane coppia un perfetto nido d’amore.
E, guardando il cielo, poteva addirittura pensare che una pioggia di stelle avrebbe potuto cadere sulla pista da ballo, artificialmente illuminata da luci soffuse, naturalmente decorata da aiuole fiorite che sprigionavano tutto il loro profumo.
E si guardava intorno, il collo che quasi gli doleva per i continui spostamenti, solo per osservare i tanti visi sorridenti degli invitati, riflesso della gioia che aveva visto proprio quella mattina sull’altare.
Quante altre volte sua madre era sembrata così giovane, i capelli perfettamente agghindati, il sorriso così giovanile, l’abito così elegante mentre stringeva il braccio di suo padre, così innaturalmente formale e commosso?
E quel figurino che si dimenava in pista, per una volta dimentico dell’imbarazzo e della paura di cadere, non era forse Jyou, da sempre allergico al ballo?
Sembravano tutti trasfigurati, spensierati, gioiosi.
Yamato, nel suo smoking scuro, non aveva mai avuto quella luce d’orgoglio negli occhi, né quella serenità. Sembrava addirittura aver rinunciato alla sua solita aria di duro, mentre parlava serenamente con Koushiro di argomenti apparentemente leggeri.
E Mimi, splendida nel suo abito rosa pallido, rideva più che mai, cercando in tutti i modi di convincere un riluttante genio del computer a unirsi alle danze con qualunque argomento le riuscisse di escogitare.
C’era Daisuke, stranamente innaturale con quella cravatta troppo stretta, che sapeva rimanere sempre lo stesso anche in un’occasione così importante servendosi di ogni pietanza possibile mentre conversava con una delle loro cugine, una delle poche persone che lo trovava adorabile anche durante una delle sue scorpacciate del buffet.
Ken e Miyako, che ballavano appena, troppo presi dai loro discorsi sussurrati per concentrarsi sulla musica, eleganti e radiosi. Perfino Ken sembrava essersi trasfigurato, quel giorno, rinunciando al suo solito controllo di se stesso.
Iori, formale ma felice, assieme alla sua donna, con gli occhi verdi fissi su quella coppia precisa in pista, chiaramente notando quell’intesa, quella straripante felicità che emanavano tutt’intorno a loro.  
Seguì, ancora una volta, lo sguardo di Iori, soffermandosi per un istante su quella figura esile vestita di bianco, bella come non mai, così tanto irradiante luminosa gioia che era quasi doloroso guardarla.
Non sembrava nemmeno più lei. Come aveva fatto a cambiare tanto nel giro di una giornata soltanto?
“Taichi, mi hai di nuovo pestato un piede.”
Accidenti.
Taichi voltò di scatto la testa, così di fretta che il suo collo sembrò lamentarsene. “Ops”, rise, imbarazzato. “Non imparerò mai a ballare in maniera decente, vero?”
Anche Sora sembrava essere più bella che mai, quella sera. Le luci soffuse illuminavano dolcemente la sua carnagione chiara, messa in risalto da quel lungo abito blu scuro che sapeva solo valorizzarla. E aveva visto davvero poche volte un sorriso tanto largo sul suo volto.
Ora rideva, scuotendo il capo e continuando a stringerlo sulle note di quella dolce canzone. “Lo avevi quasi imparato”, gli concesse, ammiccando. “E’ solo oggi che sei particolarmente distratto, e non mi serve nemmeno sapere quale fosse la fonte della tua distrazione.”
E forse non era mai nemmeno stata tanto arguta.
Quella serata li aveva davvero trasformati tutti, decise lui, non sapendo se fosse un bene o un male.
Accennò un sorrisetto scherzoso, desiderando sviare il discorso –o forse solo osservare la reazione di lei. “Davvero? Allora non devo nemmeno giustificarmi se ero tutto preso da quell’amica di Hikari laggiù? Credo che si chiami Emiko. E’ molto bella, tu che dici?”
E poi rise a crepapelle, decisamente una risata poco appropriata alla sua eccessiva e innaturale eleganza, osservando l’espressione sconcertata e irritata insieme di quella che sarebbe diventata presto sua moglie.
“Yagami Taichi, io spero per te che tu stia scherzando”, ribatté Sora, la sua indignazione resa ancora più spaventosa dal tono apparentemente calmo che adottava sempre quando era particolarmente arrabbiata. “Credo che oggi tu serva intero a Hikari. Fossi in te, starei ben attento a dove guardi …”
“Ehi, scherzavo, scherzavo”, si difese subito lui, chinandosi in fretta a posarle un bacio sulle labbra di riconciliazione. Litigare con Sora poteva davvero essere pericoloso, alle volte: era meglio non stuzzicarla per troppo tempo, o sarebbe stato difficile farle capire che era tutto uno scherzo. “Non ci fosse una sposa tra noi, stasera, direi che sei la più bella in sala tra più di duecento persone.”
Per fortuna, Sora decise di lasciar correre, alzando solo gli occhi al cielo. “Su, smettila”, si schermì, ma sorrideva. “Non reggo davvero il paragone con Hikari-chan, comunque.”
Taichi annuì, più serio di quello che avrebbe voluto essere, e interruppe il ballo per voltarsi ancora una volta verso il centro della pista.
Gli provocava uno strano tuffo al cuore, vederla in quel modo.
Vestita da sposa, così bianca, così dolce, così semplice ma così maledettamente bella che toglieva il fiato, i capelli castani, che aveva lasciato crescere più lunghi da qualche anno, stretti in un’elaborata acconciatura, il viso delicatamente truccato, Hikari era solo un incanto.
Non gli sembrava nemmeno di averla mai vista, in tutti quegli anni, tanto sconvolgente era quella visione.
E la cosa più assurda era associare quel vestito da sposa a sua sorella.
Associare il cognome Takaishi a sua sorella.
Takaishi Hikari. Suonava così diverso, così strano …
Come se quella dolce figura radiosa, ammirata da ogni sguardo in sala, fosse stata il risultato di un’improvvisa crescita. Come se da Yagami Hikari, piccola sorellina col fischietto, fosse diventata all’istante la grande, bella e sposata Takaishi Hikari.
Era una strana sensazione, davvero. Anche più strana di quella che provava osservandosi allo specchio con quello smoking nero.
Era come se Taichi non riuscisse a comprendere cosa fosse successo esattamente quel giorno, o il motivo dell’abbraccio delicato e pieno di emozione di Takeru, lo sposo, solenne e straripante gioia dagli occhi, dal sorriso, dai gesti.
Sorrise, nonostante quella sensazione, alla vista degli occhi scuri di Hikari, che mai erano stati più brillanti.
“E’ bella come me, si vede che siamo fratelli”, commentò, guadagnandosi una botta scherzosa sul braccio da parte di Sora.
“Parlando di cose serie, hai già ballato con la sposa?”, chiese all’improvviso lei.
La sposa. La sposa.
Faceva così formale. Era sempre sua sorella, no?
Si accigliò. “Come avrei fatto? Avevo una splendida dama al mio fianco! Avrei potuto lasciarti indietro?”
Sora rise. “Taichi, fai la persona seria!”
“E se qualche invitato ti avesse rapita? Come avrei fatto senza di te?”
“Taichi?”
“La mia vita sarebbe finita, a soli trentun anni …”
“Dai, stammi a sentire, per favore!”
Lui sospirò, abbandonando l’espressione melodrammatica e guardando Sora negli occhi. Sapeva che non poteva più sfuggire all’occhiata fin troppo attenta di lei, e sapeva che avrebbe visto un’esitazione che persino lui trovava insopportabile.
“Devi ballare con lei”, insistette Sora, decisa. “E lo vuoi anche. Perché non ti decidi ancora?”
“Non saprei.” Borbottò, aggiustandosi ancora quella cravatta fuori posto. Era come a disagio. “Ma dai, mi ci vedi a pestare i piedi a una donna tanto bella ed elegante? Potrei spedirla all’ospedale!”
Sorrise nella maniera più angelica che poté, in risposta alle sopracciglia inarcate di Sora.
“Vuoi mandare la sposa e suo fratello all’ospedale proprio in un giorno come questo?” tentò ancora, non perdendo la sua faccia da schiaffi.
Sora sbuffò, e senza alcun preavviso cominciò a spingerlo verso il centro della pista, sempre più vicino alla coppia di neo-sposini.
“Ehi … Che fai? Sora …!”
“Niente storie. Se non balli con  tua sorella adesso, non ti parlerò mai più, è una promessa.”
“Io direi più una minaccia, veramente!”
Ma non valse a nulla: quando Sora si metteva in testa qualcosa, era difficile che cambiasse idea.
Non aveva molta scelta.
Volente o nolente, sembrava che quel ballo che tanto lo preoccupava non potesse essere posticipato ancora.
Sospirò, fermandosi di botto sul posto. Accanto a lui, coppie eleganti e aggraziate volteggiavano tranquillamente, incuranti di ciò che stava succedendo al fratello della sposa.
“Ci vado, hai vinto!”, esclamò, alzando le mani in segno di resa. “Ma lascia almeno che vada a fare il sentimentale di mia spontanea volontà, per favore. Ti giuro che non scapperò.”
Non stava mentendo, né cercando di fare il furbo, questa volta.
Aveva di nuovo osservato la figura immacolata di Hikari, questa volta più a lungo, più intensamente, e qualcosa era scattato in lui.
Rischiava di andar via senza un ultimo ballo con lui, un ultimo momento per essere soltanto loro due, prima che le responsabilità matrimoniali la rendessero del tutto indipendente, prima che fosse totalmente di Takeru salvo eccezioni.
Come poteva permettere che succedesse una cosa del genere?
Sora gli mise una mano sulla spalla destra, sorridendo incoraggiante. “Ci vediamo dopo.”
E poi andò via, lasciando un Taichi insolitamente impacciato sulla pista a prendere in mano la situazione.
A lottare contro questo stupido senso di imbarazzo.
Aveva paura di sua sorella? Proprio lui, il detentore della pietra del coraggio?
Scosse la testa, avviandosi a grandi passi verso Hikari, finalmente prendendo la decisione necessaria per avvicinarsi a lei.
Fu davanti a lei persino prima che la canzone terminasse, in uno scroscio di applausi per gli sposi, e prima di essere anche solo riuscito ad ideare un modo per iniziare a parlare alla sposa.
Ma non era da Taichi indugiare.
“No, non ci si comporta così.” Esordì tranquillamente, e Takeru e Hikari si voltarono, sorpresi, verso di lui.
Vide per un attimo gli occhi scuri di lei brillare di gioia nello scorgerlo, e il sorriso nacque spontaneo sulle sue labbra. Perché sua sorella lo aveva sempre guardato con quella dolcezza e quell’affetto.
Sentì che tutto era sistemato, in qualche modo.
“Ci si sposa e ci si dimentica dei fratelli maggiori, eh?”, continuò, con un falso tono di rimprovero. “Credo di avere diritto ad un ballo anche io, no?”
Takeru rise, e a Taichi tornò in mente quel bambino della prima avventura a Digiworld, spensierato e sempre allegro. Sembrava essere tornato a quel tempo, sembrava che avesse capito quale immenso dono aveva ricevuto sposando sua sorella. “Hai ragione, Taichi-san”, commentò, gli occhi azzurri brillanti. “Ci mancherebbe che io ti vieti di ballare con la sposa.”
Si allontanò con discrezione, comprendendo il bisogno che avevano reciprocamente i due Yagami di guardarsi ancora negli occhi e di affidarsi ancora una volta l’uno all’altra.
Taichi ammirò, ancora una volta, il carattere di Takeru, la sua comprensione e semplicità. Sapeva che non avrebbe affidato Hikari a nessun uomo con meno valore di quel giovane sognatore, sapeva che la meritava in pieno, che non l’avrebbe fatta soffrire.
Ma ora il momento era solamente loro.
Porse una mano a sua sorella, con aria galante. “Potrei avere l’onore di questo ballo, signorina?”
Hikari ridacchiò, le guance arrossate dalla gioia e dall’emozione. Gli prese la mano, scuotendo la testa graziosamente. “Certo che sì! Ti aspettavo già da tanto tempo, lo sai?”
Taichi la strinse a sé, con un occhiolino. “E non sai che io non sono mai puntuale? Non potevi aspettarti niente di più da me.”
La risata divertita di Hikari sembrò riempire la pista da ballo, e arrivare fino alle stelle.


“Uhm. Difficile, davvero difficile.”
La scrutava, gli occhi socchiusi, le sopracciglia aggrottate, appena accennando qualche grottesco passo di danza che Sora, con tanta perizia, gli aveva insegnato in vista del matrimonio. E si godeva l’espressione di sorpresa confusione di Hikari, ancora troppo divertito dal vantaggio che aveva su di lei per spiegarle cosa stesse succedendo.
“Ma cosa stai facendo?” gli chiese infine sua sorella, con un sorriso spiazzato. Aveva le mani strette sulla sua schiena, e in ogni caso –forse questo era dovuto a quella grazia femminile che, da diversi anni, si faceva sempre più visibile- era mille volte più brava a ballare di lui. Anche se si trattava di un informale, quasi inesistente ballo di matrimonio con suo fratello, in cui lo scopo primario era quello di stringersi, di augurare ogni felicità alla sposa.
Hikari sapeva sempre distinguersi, dopotutto, anche con il carattere riservato che si trovava.
Nascose un sorriso d’orgoglio solo per continuare la sua farsa, e per farla restare sulle spine ancora per un po’.
“Ti osservo, cara mia, ti osservo. Ma ancora non riesco a trovarla …” rispose, falsamente meditabondo, mentre i suoi occhi scuri la osservavano ancora attentamente, e ancora non volevano credere a quello che vedevano. Era davvero possibile che quel vestito le stesse così bene, che le calzasse così a pennello?
E gongolò mentalmente, quando vide un lampo di apprensione attraversare gli occhi scuri di lei -così simili ai suoi, ora che lo notava meglio. Gli parve la prima volta che lo notava, per qualche motivo. “Ti prego, non farmi stare in ansia. Cos’è che manca?”
Ottenuto il suo scopo, come poteva continuare a tormentarla?
Dannato istinto protettivo da fratello maggiore. Non sapeva essere fermo nella sua decisione, quando la vedeva così preoccupata. Era un dato che non era mai cambiato, in tutti quegli anni.
“Cercavo mia sorella Hikari tra tutti questi veli bianchi e sotto questo trucco elegante. L’hai mica vista?”, disse infine, cercando in tutti i modi di trattenere quel sogghigno che avrebbe palesato lo scherzo.
Se possibile, Hikari sembrava ancora più sorpresa dopo quest’ultima affermazione. Rise, incredula. “Oh, non prendermi in giro, Taichi!” lo pregò, e Taichi poté giurare di aver visto le sue guance arrossire di gioia e disagio. “Sono sempre io, lo sai.”
Si finse, ancora una volta, perplesso. “Dici? Eppure mia sorella era piccola, con un fischietto al collo, l’aria indifesa e un bisogno quasi spasmodico di starmi accanto, come se potessi essere l’unico a proteggerla. Mia sorella portava i capelli più corti, ordinati solo con semplici fermagli, e non certo elaborate acconciature da sposa che –ci posso giurare- saranno state realizzate da parrucchieri super-chic consigliati dalla nostra cara Mimi. Mia sorella, se poteva, preferiva non esporsi troppo, imbarazzata appena un paio di sguardi un po’ più attenti si posavano su di lei … tu invece sei al centro della pista, e tutto quello che puoi fare è essere un po’ lusingata delle attenzioni altrui. Infine”, concluse solenne, prendendole gentilmente la mano sinistra e sollevandola, in modo che la luce colorata sulla pista mettesse in risalto quella piccola, strana fede dorata sul suo anulare, “mia sorella non era sposata. E cosa c’è qui, invece?”
Forse era un effetto della luce, forse semplicemente che la giornata doveva essere stata sufficientemente stancante per lui, ma Taichi credette di vedere gli occhi di Hikari brillare di commozione, mentre concludeva:  “Non so, a me sembra una fede.”
La osservò mentre rimaneva un istante in silenzio, come se si stesse rendendo solo ora conto dell’immane cambiamento che si era verificato quel giorno. Con suo sollievo, comunque, non c’era alcun ripensamento nella sua espressione.
E in fondo, non era da lei ripensarci su una cosa tanto importante.
Gli lanciò, invece, uno dei sorrisi più caldi che lui le avesse mai visto sul viso. Era come se Hikari non fosse mai stata realmente felice, prima di quel giorno. Nemmeno il giorno del suo fidanzamento era stata così splendente, luminosa … adulta.
“Io credo che dovresti osservare meglio”, replicò serena. “L’acconciatura ti può sembrare elaborata, o eccessivamente vistosa, ma –e puoi non crederci- i … parrucchieri super-chic di Mimi me ne avevano consigliato una molto più appariscente. Ho detto loro che non mi sentivo a mio agio così, e alla fine è stata proprio Mimi a proporne una che mi piacesse di più.”
Questa volta, Taichi non dovette fingere di essere sorpreso. Strabuzzò gli occhi, semplicemente terrorizzato. “Vuoi dire che quella … cosa … è un’acconciatura moderata?”
Hikari scoppiò a ridere di nuovo, apparentemente senza la facoltà di poter smettere. Probabilmente trovava divertente il terrore del maggiore dei due Yagami. “Non è così tremenda!”
In tutta risposta, lui scosse la testa, con solenne sgomento. “Dimmi che non è contagioso, o al mio matrimonio Sora sarà così sofisticata che non avrò nemmeno il coraggio di guardarla in faccia. Sai che bello, lo sposo suggestionato dalla bellezza della sposa …”
“Conoscendoti, sarai naturalmente suggestionata dalla bellezza della sposa. Anche senza acconciatura troppo sofisticata”, scherzò Hikari, strizzandogli bonariamente un occhio.
Taichi detestava quando sua sorella era troppo perspicace. Lo metteva terribilmente a disagio, anche più di quando Yamato, con le sue solite frecciatine, lo definiva il solito pazzo innamorato perso.
“Bene, non stavamo parlando di te? Cosa c’entro io?”, si schermì, imbarazzato. “Su, l’esserti sposata non ti dà il diritto di prendere così tanto in giro tuo fratello.”
“D’accordo, scusami. Non lo dirò più.” Promise sua sorella, con aria così angelica da non poter essere fraintesa. Eppure, l’inganno c’era sempre.
“Ma lo penserai, suppongo.” Commentò esasperato, e in tutta risposta Hikari sorrise ancora. Ci avrei giurato, si disse. “Guarda un po’ come siamo spigliati, stasera. Non ti avevo forse detto che oggi non riesco più a trovare mia sorella? Sei diventata anche spiritosa e senza freni, adesso.”
Il sorriso di Hikari si fece incerto. Lo abbracciò più forte per un istante, come se stesse cercando la forza per dirgli quello che sentiva sul serio.
“E invece ti sbagli. Tutta questa gente è ancora capace di farmi sentire a disagio, lo sai?”
La sua voce aveva di nuovo tremato di imbarazzo: Taichi ne ascoltò l’esitazione con rinnovato stupore. Era come se fosse tornato indietro nel tempo, e stesse consolando una sorellina rosso peperone davanti a un numero spropositato di invitati per il suo settimo compleanno.
Quanti ricordi assurdi che stavano riaffiorando alla memoria.
“Te la sei cavata egregiamente oggi”, obiettò. Ma rafforzò la presa anche lui, accorgendosi a malapena che la musica doveva essere cambiata. Non ci fece caso, e ad ogni modo non gli importava.
Lei ridacchiò brevemente. “E’ perché il vestito è troppo ampio, e non mi si vedono tremare le gambe”, spiegò umilmente, quasi vergognandosene. “Tutti quegli invitati … e dovevo essere io ad occuparmi di loro, a fare in modo che andasse tutto bene. Fortuna che Takeru-kun mi è stato accanto, e che ha preso in mano la situazione. Mi ha dato la grinta giusta per riprendermi dal disagio.”
Impossibile non notare l’amore profondo che Hikari provava per suo marito semplicemente ascoltandola pronunciarne il nome. Taichi sorrise lievemente.
Quante volte l’aveva presa in giro, anni prima, per l’eccessiva vena romantica di quella coppia? Quante volte aveva sbirciato nel diario segreto di sua sorella solo per osservare gli sviluppi della loro relazione, con le relative bisticciate e le innumerevoli scuse da parte sua?
Eppure, lo aveva sempre saputo, che sarebbero arrivati fino a quel punto. Non lo aveva mai messo in discussione, non dopo tutti quegli anni di amore silenzioso e di legame profondo.
“E quando mai non ti è stato accanto, quel benedetto ragazzo? Siete legati da vincoli matrimoniali prima ancora di essere nati, signora Takaishi”, ghignò, e a quella vicinanza poté sentire il cuore di lei accelerare i battiti alla menzione di quel suo nuovo cognome.
“Signora Takaishi”, ripeté, una nota di sorriso nella voce. “Suona strano …”
“Già. E’ tutta la sera che ci penso, e ancora non mi capacito.”
Le parole gli erano sfuggite prima ancora che se ne rendesse conto, e all’improvviso si sentì in imbarazzo, come troppo esposto. Non voleva mettersi a fare il sentimentale come aveva fatto suo padre quel giorno, scoppiando in lacrime a fine cerimonia. Semplicemente non era nel suo stile.
Ma Hikari si staccò leggermente da lui, il necessario per guardarlo negli occhi. Una luce nuova, strana, brillava in fondo ad essi, e sembrava non stancarsi di fissarlo direttamente, come a cercare di capirlo. “Davvero?” gli chiese.
Lui alzò le spalle, tentando di apparire ancora noncurante. “Certo! Insomma, i fratelli maggiori hanno la precedenza, quando devono sposarsi! Come credi che possa tollerare di essere stato scavalcato?”
Lei sorrise, alzando gli occhi al cielo. “Taichi.” Lo riprese dolcemente, facendogli chiaramente intendere che aveva capito il suo goffo tentativo di tirarsi d’impaccio.
Lui sbuffò, trovandosi improvvisamente a corto di parole. Non sapeva come non suonare melodrammatico. Sembrava avesse paura di una di quelle sensazioni chiamate … sindrome da fratello maggiore, ecco.
Troppo protettivo, com’era sempre stato e come Sora gli aveva sempre bonariamente rimproverato.
Ma che poteva farci, se guardando lo splendore che era quella sera Hikari sentiva quasi che il suo compito era finito, che non aveva più bisogno di lui come prima?
Ma indugiare senza parlare era ancora più sciocco di rivelare i suoi pensieri. Quando mai si era fatto problemi di sorta?
“E cosa posso dirti, Hikari? E’ … strano, sì. Sembra ieri che eri ancora la piccola Hikari-chan in cerca della mia protezione, e lo so che può sembrare una frase da vecchio. Potrai benissimo dire: mio fratello è diventato decrepito prima del tempo, e non ti biasimerei, sinceramente. Lo penso anche io.
“Ma ora … Signora Takaishi! Significa che sei diventata tu il punto di riferimento di una famiglia. Che avrai figli –e spero mi somiglino-, che sarai indipendente, che ora … se avrai bisogno, ti rivolgerai a tuo marito, no?”
Si interruppe, passandosi una mano tra i capelli scompigliati in un vano tentativo di riordinare le idee. Hikari lo fissava, muta e immobile. Aveva persino smesso di ballare.
“Non è un male”, continuò poi, rendendosi conto che le sue parole potevano essere male interpretate. “Io sono fiero della tua nuova maturità, non sai quanto. Non voglio che tu dipenda da me. Credo di essere solo allergico ai cambiamenti, sai. Voglio dire, sposata e tutto, ma … non è che userai il matrimonio e Takeru come scusa per liberarti definitivamente di me?”
Alzò le spalle e sorrise imbarazzato, sotto lo sguardo di Hikari. Forse era davvero una cosa patetica da dire, ma doveva tirarla fuori, o avrebbe avvelenato la serata con silenzi inutili. “Credo di essere un po’ geloso, come lo è qualunque fratello che si rispetti. Niente di grave, suppongo che passi … no?”
“Dimentichi chi ho scelto come testimone di nozze.”
La risposta improvvisa di lei lo fece fermare durante l’ennesima, impacciata  scusa che stava per formulare.
E non era solo per il modo buffo con cui aveva pronunciato le ultime tre parole, che denotava quanto ancora il concetto di essersi sposata le apparisse impensabile.
Era per l’improvvisa serietà che aveva letto sul suo viso.
Spiazzato, la fissò. “Eh?”
Hikari annuì tranquillamente. “E’ così. Lo hai dimenticato, per caso?”
Taichi alzò gli occhi al cielo, scherzosamente esasperato una volta di più. “Dimenticato? Stai scherzando?”, esclamò, sospirando melodrammatico. “Mi hai costretto a passare tutta la cerimonia ad ascoltare i commenti entusiasti della nostra carissima Miyako, che tu, ovviamente, hai scelto come secondo testimone. Brava persona e tutto quello che vuoi, ma ci credi che parla persino più di me? A pensarci, persino più di Mimi. Chissà come fa Ken ad ascoltarla ogni volta senza avere mal di testa …”
“Povera Miyako! Non sei per nulla carino con lei”, lo rimproverò Hikari, ma sorrise mentre lo diceva. Era ben chiaro che non faceva sul serio. “E’ solo contenta per me. Comunque sia, lo hai già detto tu: non era lei l’unica testimone.”
Lo guardò con aria allusiva, ma la sua espressione fu così piena di orgoglio e affetto che Taichi, inspiegabilmente, sentì un gran peso al petto che non sapeva di avere alleggerirsi improvvisamente.
C’era qualcosa che sicuramente gli sfuggiva in tutto quel discorso.
“Credo di averlo notato, sì”, replicò. “Ma questo cosa c’entra?”
Hikari scosse il capo, con la stessa espressione materna di chi vuol far capire un concetto ovvio a qualcuno troppo ottuso per cogliere ogni significato nascosto. “Avanti, Taichi, perché ti avrei scelto come testimone di nozze insieme a Miyako?”
Questa volta, Taichi non ebbe alcuna esitazione nel rispondere. “Perché sono tuo fratello e mi vuoi bene, nonostante tutto quello che ti ho fatto passare negli anni”, rispose a testa alta, orgoglioso.
Ma, con sua grande sorpresa, Hikari scosse il capo.
“Non solo. Tra gli invitati, ognuno dei Digiprescelti avrebbe avuto il pieno diritto di fare da testimone alle mie nozze …”
“Ehi, mi stai paragonando a Yamato, per caso? Non valiamo mica allo stesso modo!”, protestò il maggiore, a metà tra l’offeso e l’incuriosito. Sua sorella sembrava sempre saperne una in più di lui, qualunque cosa facesse. Questo, come alcune altre cose, non era mai cambiato.
 “E piantala!”, rise Hikari. “Perché ti diverti a fare il bambino, ogni tanto?”
“Non lo so. Forse perché mi piace esserlo?”
Un’occhiata eloquente di sua sorella cancellò il sorriso birichino dalle sue labbra. Sospirò, assumendo un impeccabile aspetto composto.
“Mi cucirò la bocca, d’accordo? Ti ascolto.”
Hikari annuì, e poi lo guardò ancora. E i suoi occhi sembravano pregarlo di comprendere i suoi sentimenti interamente, come erano sempre stati abituati a fare fin da piccoli.
Cercava quella complicità che era sempre appartenuta loro.
Complicità che Taichi non le aveva mai negato. Mai.
“Voglio bene ad ognuno dei miei amici, ad ognuno dei miei parenti, ad ognuno dei miei invitati. E allora come potevo decidere tra loro chi sarebbe stato a testimoniare la mia unione con Takeru-kun? Io cercavo … cercavo le persone che mi avrebbero accompagnato fino in fondo sull’altare, a prendere la decisione più importante della mia vita. Le persone che mi conoscono in tutto e per tutto, che mi hanno vista crescere, maturare, sorridere, piangere. Dire affetto è troppo poco, per me e te. Tra noi c’è un legame persino più stretto di quello di un semplice affetto, e non è solo quello di sangue.  Siamo vissuti insieme, abbiamo condiviso ogni cosa, ogni esperienza. Il nostro è un legame … che deve rafforzarsi ogni volta che si compie un ulteriore passo avanti, che deve essere sempre più indispensabile man mano che si procede con le tappe della vita.
“Ho voluto che tu mi vedessi crescere ancora, e che mi fossi accanto fino in fondo. E’ per questo che ti ho scelto subito come testimone.”
Turbato, Taichi la guardava, immobile, e una strana sensazione di commozione cresceva nel suo petto.
Perché ora l’aveva riconosciuta.
Quella bambina indifesa, docile, nella culla, i primi giorni che l’aveva osservata con curiosità infantile.
Quella bambina dalla salute cagionevole, che a causa della sua stupidità aveva rischiato di morire, tanto tempo prima.
Quella bambina forte e pura che aveva salvato due mondi per ben due volte.
Sua sorella.
Sua sorella bella e adulta, forte e stabile, pronta a urlargli il bene che gli aveva sempre voluto anche di fronte alla sua goffaggine.
Sua sorella, una delle persone più importanti per lui.
“Come puoi pensare che possa non avere più bisogno di te? Hai idea di quanto significhi la tua vicinanza per me? Takeru-kun non è mio fratello, non lo sostituirà mai, e lo sai. Anche adesso che sono sposata, e ho responsabilità verso mio marito, non dimentico quelle che ho verso di te.
“E sarò sempre Hikari per te, se lo vorrai, onii-chan.”
E ora le lacrime di commozione rigavano il suo bel viso, scorrevano rapide, luccicavano nella luce della pista.
Taichi la abbracciò di slancio, stringendola forte come a non volerla più lasciare. Forse le stava anche stropicciando il vestito da sposa, ma non gli importava.
Un matrimonio non annulla i legami fraterni, né scioglie gli abbracci.
Può solo saldarli ancora più strettamente.
“Ti vorrò sempre bene, sorellina. E lo sai”, le disse a bassa voce. Come le stesse confidando un segreto. “E non importa quanto saremo lontani: non permetterò che questo cambi mai.”
Hikari annuì soltanto, asciugandosi le lacrime. “Ne sono sicura.”
E quando il groppo in gola divenne insopportabile, Taichi si decise a sciogliere l’abbraccio, riacquistando una normale espressione serena. Le sorrise. “Su, adesso smettila di piangere, però”, le disse deciso, strizzandole l’occhio. “Sai che bella figura ci farei! Yagami Taichi, testimone e fratello della sposa, fa piangere la nuova signora Takaishi nel bel mezzo della giornata più felice della sua vita! Non è affatto dignitoso.”
Hikari rise tra le lacrime, e si impose il controllo ancora più fermamente. “Scusami. Prometto che mi riprenderò subito. Credo che sia emozione da matrimonio.”
“O forse ti manca lo sposo”, commentò Taichi, e non provò delusione o amarezza alcuna nel decidere di lasciare il campo a Takeru. Aveva avuto il suo tempo, dopotutto. Si separò dall’abbraccio, grintoso più che mai dopo il discorso appena conclusosi. “Vado a chiamarlo …”
“No! Aspetta …”
Prima che potesse farci nulla, Hikari lo aveva stretto di nuovo, nascondendo il viso sul suo petto come quando era più piccola.
Forse, molte cose erano le stesse, dopotutto.
“Ancora un altro ballo. Vorrei che il momento fosse ancora tutto nostro, se per te va bene. Come ai vecchi tempi.”
Il cuore di Taichi si strinse, così come le sue mani attorno alla vita di sua sorella.
Il momento era davvero il loro. Solo loro.
Senza nessun altro, se era quello che Hikari desiderava.
Lui ci sarebbe sempre stato per lei.
Sorrise. “Rettifico: è davvero emozione da matrimonio. Preferisci farti pestare i piedi ancora un po’, immagino!”
“Già”, fu la risposta sorprendentemente serena di Hikari. “E’ il mio matrimonio. Voglio avere i piedi doloranti per tutte le volte che me li avrai pestati ballando, onii-chan.”


“E finalmente si è deciso.” Commentò un divertito Ishida Yamato dall’altra parte del tavolo, ancora sorseggiando un drink e osservando la coppia di fratelli, in pista da ormai quattro canzoni.
Sora, accanto a lui, sorrise largamente, osservando la tenerezza sui loro due visi. “Sai com’è fatto Taichi”, gli rispose. “Aveva paura a parlare con sua sorella oggi. Come se lei potesse essersi stancata di lui!” Scosse la testa. “ E’ un ottimo capo davvero, e una persona eccezionale, ma quando si tratta di questioni sentimentali che lo riguardano tende ad essere estremamente ottuso.”
“Già. Se non ricordo male passarono anni prima che capisse di essere ricambiato da te, vero?”, commentò ancora il ragazzo biondo, alzando un sopracciglio falsamente esasperato.
Sora rise, in tutta risposta. “Quattro anni, precisamente.”
Yamato alzò le spalle, sorridendo rassegnato. “Beh, se non ci fosse, suppongo ci mancherebbe.”



Era da tantissimo tempo che sognavo di trattare anche questo legame fraterno straordinario... E questa è davvero la prima volta che ho modo di farlo.
Dedico questa one-shot a mia sorella, forse l'unica che può davvero comprendere appieno ciò che ho voluto trasmettere qui, mia beta critica e sempre affidabile e mia fonte di ispirazione per il discorso di Hikari. 
Grazie a chi avrà letto, e a chi commenterà :)
Padme Undomiel

   
 
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