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Autore: Elkade    05/07/2010    7 recensioni
Una one-shot su "Anima Templi" di Robyn Young, che ha come protagonisti Adela e Garin. Ho provato ad immaginare il loro primo incontro dal punto di vista di lei, di come deve essere apparso impacciato e paranoico quel monachello alle prime armi. Buona lettura!
Genere: Erotico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lemon, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Sempre la stessa musica, sempre lo stesso violino che suona al piano di sotto, con le corde che chiedono pietà. Tanto qui, ubriaco uno, sbronzo l’altro, di certo non lo ascolterà nessuno. E chi, magari, non pensa al vino ha ben altro da fare. I boccali si svuotano, le lingue si sciolgono, ma i cordoni delle borse faticano ad allentarsi, dannazione. Come diavolo faccio a mandare avanti questa catapecchia fatiscente, così? Con quel che guadagniamo, tra clienti nostri e qualche intruglio venduto al mercato, a malapena ci campiamo. Come posso sperare di rimetterla a posto? Qui piove dentro, maledizione. Ovvio che nessuno è disposto a prestarmi soldi, e chiaro che più di una moneta a botta non la scuciono. Se vedesse mio padre, come ho ridotto questo posto... ma lui se n’è andato, mia madre anche. Ci sono solo io, con qualche altra ragazza e Fabien, per nostra fortuna. Non ce la passiamo bene. La più giovane di noi avrà quattordici anni, se ce li ha. Io ne ho diciannove, e gestisco la baracca, per quel che posso. Alternative non ne ho, nessuno darebbe di che vivere ad una come me né, tantomeno, la sposerebbe. Se potessi andarmene da questo inferno, sposerei il primo che passa. Ma questi finti moralisti le vogliono vergini, le mogli. E dopo il matrimonio certo non gliene frega niente di quanti clienti ho avuto. Gli basta che io sappia fare il mio lavoro, e lo sappia fare bene: che quel soldo bucato che mi lascia in carità sia ben speso, e che ci abbia guadagnato. Lui, non io. Non una delle altre ragazze. Ci ho provato, a mettere in piedi un locale decente, ma di risultati neanche l’ombra. Nessuno che fosse mai entrato in questo posto, quando ancora era un’onesta locanda. Non mi è rimasta alternativa al trasformarla in qualcosa di sudicio. «Adela, c’è uno nuovo» La voce di Fabien mi riscuote dai miei pensieri. Uno nuovo? Speriamo bene... Chi diavolo sarebbe, questo nuovo? «Bah, viene dalla precettoria, non è neanche abbastanza furbo da cambiarsi d’abito...» Sbuffa Fabien. Marie sogghigna: «Sveglio! Mi sa che questo non riesce nemmeno a trovarselo nei pantaloni!». Mi sa tanto che ha ragione. Vediamolo un po’, questo tonto. No, decisamente non ha l’aria sveglia. Me lo lavoro io, il moccioso. Ma... quanti anni avrà questo qui, la mia età? Povero disgraziato, questo l’hanno infilato a forza nel Tempio. Dubito ci sia entrato volontariamente, o non sarebbe qui ora. Anche se sembra già pentito. Male. Fuori la grana. Mi avvicino. Mi apro la scollatura. Se non mi guarda, è meglio che se ne torni tra i suoi confratelli. Mi fissa negli occhi, questo. Lo so, sono particolari, ma di solito gli uomini guardano altro. Apro ancora un po’, e lui guarda più in su... No, ti prego. Fabien,giuro che te lo faccio sbattere fuori a calci. «Io...» Ah, ce l’ha la lingua... «A chi dovrei...?». A me, non ti sembra ovvio? Ma sarà francese? Ha un accento un po’ strano, sembra quasi inglese. Se poi non parla... «Quanto, insomma... io...». Vieni, dai... Lo porto di sopra, ancheggiando vistosamente. Do un’occhiata indietro, sperando che non cerchi ancora i miei occhi. Non li cerca. Sorrido. Ammicco, ancheggio ed entro nella mia stanza.

Lui mi segue, ma esita. Mi siedo sul letto, a gambe accavallate. Pare quasi più attratto dai vasi di erbe che da me. Non ci credo. È assurdo... Quel biondino non ne ha un’idea. Si leva il mantello nero, sotto ha i vestiti da templare. Che diavolo, s’è portato dietro pure la cotta di maglia? Ragazzo, vuoi darmi proprio da fare... Se provassi a fregarlo? Posso sempre chiedergli il doppio. Si avvicina, si schiarisce la voce, si toglie il mantello. Eh, ma qui ci mettiamo tutto il giorno. Ho altri clienti, io. Mi alzo, gli slaccio la cinta e la lascio cadere a terra, incurante. Oh, forse non tanto incurante. Che bel suono che fa la sua borsa. Altro che “povero cavaliere di Cristo”! D’accordo, trattamento speciale. Se solo la smettesse di guardarmi negli occhi... Gli tolgo la sorcotta, sorrido maliziosa. Dì un po’, hai intenzione di farlo con quella addosso? Lui è in imbarazzo, rovescia la cotta di maglia e l’infula sul pavimento, chiaramente impacciato. Al resto ci penso io, altrimenti facciamo notte. Su la camicia... Oh, ecco il bello dei soldati. Fisico muscoloso, ma è rigido da morire. Bah, monachello. Meglio scogliere un po’ la tensione, o addio paga. Dì un po’, bello, com’è che ti chiami?. «Io non so se...» Balbetta inesorabilmente, parla a monosillabi. Tranquillo, non lo dico a nessuno che sei stato qui. «Garin... Garin de Lyons». Finalmente una risposta. Ah, sei francese, allora. «Sì signora... signorina...». Chiamami Adela. Visto che non agisce, ci penso io per lui. Finisco di svestirmi, rimango nuda davanti a lui. Mi aspetto quasi si metta a tremare. Il suo sguardo indaga più in basso. Ora ci siamo. Lo faccio sedere sul letto, mi metto a cavalcioni su di lui. Prima volta? «Sì...». Almeno lo ammette. Un piccolo bacio sulle labbra, lui ricambia e ci riprova. Sembra si stia sciogliendo. Gli slaccio la cinta, lui si sdraia, mi lascia fare. È mio... Lo accarezzo, lo bacio ancora, le mani scendono. Gli sfugge un gemito. Io sorrido vedendolo arrossire come fosse una verginella. «Tu...». Sì? «... hai gli occhi viola...?». No. NO. Non ci credo. Non è possibile. Nessuno dei miei clienti aveva mai notato che ho gli occhi viola. E non è certo un buon segno se lui li ha notati. Ssssh, lascia stare i miei occhi. «Scusa». Si scusa? Oddio... Lo bacio ancora, scendo sul collo, gli mordo un orecchio mentre mi struscio leggermente più in basso. Trattiene il respiro, stringe i denti. È combattuto tra il desiderio e il senso di colpa. Lasciati andare...  «Come?». Che diavolo vuol dire “come”? Rilassati, respira. Si accorge improvvisamente di non stare respirando. Rido e scendo ancora con i baci, mentre le mie carezze si fanno più audaci. Lui arrossisce, non solo di imbarazzo. Bene. Bacio il suo torace e lo sento contrarsi e distendersi rapidamente, ha il fiato corto. Gli tremano le labbra. Risalgo di nuovo lungo la gola, lecco il mento. Ha i brividi di eccitazione. Le nostre lingue si incontrano di nuovo, si lasciano e si riprendono in un gioco malizioso. Lui geme. Io sorrido quando sento crescere il suo piacere sotto le mie mani. È il mio giocattolo, non può resistere. Freme, mi vuole. Gli prendo una mano, la appoggio al mio seno. La sento spostarsi sulla schiena e scendere, scendere ancora. Prende l’iniziativa, grazie al cielo. È ancora uomo. Il suo respiro è pesante, le sue labbra cercano il mio collo. Mi sta imitando? Probabile, ma non è male come imitatore. È ancora un po’ incerto, ma è un principiante, si può anche accettare. Con l’altra mano riprende a toccarmi il seno con dolcezza. Non sembra quasi essere un mio cliente, non mi tratta da puttana. Mi bacia, mi accarezza, io continuo con i miei tocchi licenziosi. Lo sento scosso da un leggero tremito, geme in un sospiro mentre la sua eccitazione arriva al culmine e le sue mani mi stringono quasi fossi un oggetto prezioso. Questo mi può tornare utile, vediamo di dargli un buon motivo per tornare. Sorrido. «Io dovrei...». Andare? Non se ne parla. Abbiamo appena iniziato. «Ma se sto via per molto...». Rido. Se dura quanto è durato prima, non si renderanno nemmeno conto che è andato via! Avanti, resta ancora un po’. Cos’è, non ti piace? «No!- Si affretta a rispondere- Ci mancherebbe». Per fortuna. Allora, resta. Ancora un bacio, mi stringe a sé, affonda il suo viso sul mio collo. Si blocca. «Hai un buon profumo». Un’altra cosa che non nota nessuno. Mi sorprende che ci abbia fatto caso. Ho messo erbe profumate tra i capelli, lo faccio sempre. Perché si ferma? Mi annusa, mi accarezza dolcemente. Ti piace? Non risponde, continua. Ora è sciolto, mi sa che la risposta è sì. Interessante... Lui sussulta. Campane. «Il vespro!». No, miseriaccia, proprio ora! Lui mi sposta con noncuranza, si riveste in fretta, si morde il labbro. Mi alzo, raccolgo il suo mantello mentre lui allaccia le cinghie del gambeson. Si schiarisce la voce: «Quanto ti devo?». È diventato improvvisamente freddo, distaccato. Sembra quasi che abbia paura. Raccoglie la cotta di maglia, gli tremano le mani. Ti aiuto? «Ci penso io» Sbotta lui, nervoso. Rivolta la cotta, le anelle scivolano lungo il suo corpo. Non so cosa rispondergli. Qualche soldo in più farebbe comodo, ma se non volesse più tornare? Si infila la sorcotta, allaccia la cintura. Lo vedo aprire la scarsella. Dio, quanti soldi. Deglutisco. «Ti bastano?» Butta tre monete sul tavolo. Sto sognando. Allungo la mano verso le monete, mi blocco. Ne prendo una sola. Questa basterà. Riprende le monete di fretta biascicando qualcosa tra i denti, si caccia il pollice in bocca e si strappa violentemente l’unghia, facendosi sanguinare. Mi chino a raccogliere la sua infula e gliela porgo assieme al mantello. Lui copre i suoi bei capelli biondi, le sue spalle. La scarsella si chiude, lui si avvicina alla porta. Mi lancia un’ultima occhiata amareggiata prima di calare il cappuccio sugli occhi. «Addio». Cosa vuol dire “addio”? Apre la porta, fa per uscire ma torna indietro. Mi mette una moneta in mano e mi bacia, poi scompare giù per le scale. Mi affaccio, lo guardo andare via. Prima di uscire lancia un’occhiata verso la mia stanza. Gli sorrido. Tornerà, so che lo farà. Tornerai, Garin de Lyons.

   
 
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