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Autore: miseichan    19/07/2010    16 recensioni
"Per quanto forte, potente e indistruttibile tu sia, devi sapere che i ricordi avranno sempre la meglio!” Il che non sempre è un male, ci sono volte in cui anzi è piacevole, gratificante. Purtroppo in altre occasioni ricordare è doloroso: ad esempio quando l'oggetto dei ricordi è qualcosa, o più precisamente qualcuno, che non è più al tuo fianco. Un qualcuno di cui semmai eri anche follemente innamorato, un qualcuno per cui avresti dato tutto te stesso. Sempre lo stesso qualcuno che ora vorresti solo vedere morto... o quantomeno riuscire a dimenticare. STORIA SOSPESA PER VACANZE ( brevi )… scusate!!
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Midnight Lovers'
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30 bacio

Bacio di mezzanotte 

 

Ilaria

 

 

“ Come solo il cuore di un uccellino in gabbia può fare ”

 

Il tre o l’asso ?

Cosa mi conveniva scartare? Se buttavo il tre, c’era la possibilità tanto di fare una scala quanto di riuscire a fare un tris; allo stesso tempo però, tenendo in mano quel tre di picche, c’erano maggiori probabilità di non ritrovarmi alla fine incartata. Mi sarei rovinata con le mie mani a quel punto!

Continuai a fissare le carte che le mie dita stringevano pigramente: quasi senza accorgermene mi stavo succhiando l’interno guancia. Ero concentrata, c’era poco da fare: tutti i neuroni applicati in quella decisione.

Sospirai, pensando giustamente che non era con la scelta di Sofia che avevo a che fare.

Era solo una partita di scala quaranta, per la miseria!

Feci per sollevare l’indice della mano destra, ricordando solo dopo un attimo lì ingessatura: allora con gli incisivi, delicatamente, afferrai il tre e lo gettai fra le carte di scarto. Sorrisi, sollevando lo sguardo: soddisfatta del gesto appena compiuto e per niente scalfita dall’espressione del mio avversario.

- Ho perso tre anni di vita -

Inarcai le sopracciglia e Mattia, storcendo la bocca, continuò imperterrito:

- Nell’attesa. Ho perso tre anni di vita mentre ti decidevi, Ila. E che ne fai la scelta di Sofia ? -

- Uff, non infierire. Ti serve o no il tre ? – domandai scocciata, osservando il sorriso divertito che cercava inutilmente di nascondere dietro smorfie di disappunto.

- No, no che non mi serve. Mi dici secondo te a chi mai potrebbe servire un tre ? –

Feci spallucce, scuotendo il ventaglio di carte verso il viso per farmi aria: iniziavo a sudare e non andava affatto bene. Non ero pronta a sudare. Non si può sudare con un gesso.

E invece il sole picchiava, incurante del fatto che se avesse preso a gocciolarmi il polso, con prurito annesso, non avrei potuto fare niente e sarebbe stata solo una tragica tortura. Lanciai uno sguardo tutt’attorno, osservando curiosa e incantata.

Il traghetto ci aveva scaricati ormai da più di tre quarti d’ora: eravamo scesi a riva, silenziosi come non mai, e ci eravamo sistemati temporaneamente sulla banchina. O almeno credevamo temporaneamente, lo speravamo.

A momenti, così ci avevano detto gli altri, sarebbero arrivati in macchina.

Sempre a momenti, saremmo arrivati all’agriturismo.

A momenti, a momenti.

Tre quarti d’ora si potevano ancora includere nei momenti ?

Non avrei saputo dirlo. Avevamo avuto il tempo di rinfrescarci, di contemplare il mare, la spiaggia, la strada.

Anche il bar avevamo contemplato. Poi mi ero stancata di contemplare: con gesti nervosi avevo cercato le carte francesi nello zainetto e trascinato Mattia per il cappuccio gli avevo amorevolmente proposto di giocare.

Poveretto: una volta ritrovatosi seduto a bordo strada, con tredici carte in mano e nessuna via di fuga, probabilmente si era sentito come in dovere di giocare. Ero ancora fermamente orgogliosa tuttavia, di non averlo forzato in alcun modo.

- Che ti prende, Ila ? -

Sobbalzai, presa in contropiede, e tornai ad incrociare lo sguardo di Mattia: era curioso e preoccupato allo stesso tempo. Non riusciva a capire il perché del mio turbamento, ma come potevo aiutarlo?

Non potevo e basta.

Fino ad un certo punto potevo sfruttare quel ragazzino, ma parlargli di quello, sarebbe stato sicuramente sconfinare oltre il limite. Lo sapevo e non avrei mai smesso di ripetermelo.

Scossi la testa, come per scacciare una mosca: ma niente, davvero, cosa vai a pensare!

Continuava però a scrutarmi per niente convinto o intimorito: voleva sapere.

Mi sentii spogliata da quello sguardo, privata improvvisamente delle difese che con tanta fatica stavo tentando di sollevarmi tutto attorno. Non puoi farmi questo, Mattia…

Deviai lo sguardo, non reggendo più quegli occhi grigi così profondi, e cercai altri aiuti: come al Milionario che so, non potevo chiedere l’aiuto del pubblico? No, naturalmente. Semplicemente perché non c’era.

Nessun pubblico.

Sembrava deserta l’isola: nessuno a destra, nessuno a sinistra, nessuno di fronte. E lo stesso valeva per il lato mare. Non c’era anima viva.

- Ma Fil ? E Davide ? Che fine hanno fatto, Matt ? - lo avevo chiesto come ultima spiaggia, accorgendomi solo in quel momento del  silenzio, della loro assenza.

Fino a meno di dieci minuti prima erano lì entrambi: vagabondi irrequieti che non riuscivano a darsi pace.

Non avevano fatto altro che imprecare: conto Maurizio, Veronica, Ray, Andrea e chiunque altro gli capitasse sotto tiro. Era loro la colpa. Era a causa loro che ci ritrovavamo confinati lì, senza nessuno, senza alcun modo di andare via né di tornare indietro.

E ora, improvvisamente il silenzio.

Mi sorpresi di non essermene resa conto prima: mi ero talmente abituata a quel mormorio continuo…

Eppure ne ero certa: ora si erano improvvisamente volatilizzati. Tutti e due.

Mattia fece spallucce, segno che non aveva idea:

- Si saranno uccisi a vicenda, chi se ne importa. Davano solo fastidio. Si può sapere che hai, allora ? -

Si stava innervosendo anche lui, lo capii dalla voce.

Erano tutti nervosi ultimamente, notai con una punta di risentimento.

E a quanto pareva la causa di tanto nervosismo ero sempre io.

Mea culpa.

Mia, solamente e totalmente mia.

Merito mio se Davide era sceso dalla nave con un diavolo per capello, se Filippo non riusciva a stare zitto un attimo e se ora Mattia si fosse messo ad urlare. Non era giusto, però. Nemmeno un po’.

Avrei voluto urlare io a quel punto: perché non era logico.

Ripensai per prima cosa al racconto di Mattia: a quel poco che avevo afferrato fra un rantolo e un altro. A stento riusciva a trattenersi il ragazzino: si manteneva la pancia, soffocato e sconvolto dalle risa. E anche io avevo riso, non si poteva fare altro: quando quell’immagine ti si profilava nella mente, eri costretto a sorridere.

Com’è che aveva raccontato, Mattia ?

 

Ilaria! Ila, non ci crederai mai!

Non ci puoi credere, ti giuro! E’ incredibile! Sconvolgente, ti giuro!

Io ero… ero entrato in camera tua: era socchiusa la porta e così mi sono detto: perché no?

Credevo fossi ancora sveglia, che non riuscissi a prendere sonno nemmeno tu, e mi sono convinto ad aprire la porta. Ti ho chiamata ma non sentivo niente. Visto che non rispondevi, mi sono insospettito… e ho acceso la luce. Dio, non lo avessi mai fatto!

Ho realizzato poco alla volta, ti assicuro. Era come se si muovesse tutto al rallentatore.

Come se ogni immagine si dividesse in fotogrammi, apparendo e mostrandosi piano ai miei occhi.

Prima ho visto Filippo nel tuo letto, quel biondino, ti rendi conto ?

Ma lo sapevi che era nel tuo letto ?

Comunque, lui dormiva: occhi chiusi, avvolto nel lenzuolo… e poi,  poi ho visto l’altro!

Davide!!

Sì, e c’era anche lui nel tuo letto! Ma non solo!

Come se non bastasse…

Allora aspetta, prima ho pensato a male: vedendo prima uno e poi l’altro ho detto: da Ila questa non me l’aspettavo, che fa si diverte con entrambi? Cioè, che razza di giochini ci fa con tutti e due?

Ho pensato a male, lo so.

Poi però ho notato il braccio di Davide: era stretto attorno a Filippo!

Si stavano abbracciando!

Incredibile…

Ho detto: ed eccoli, che fanno, come quelli di Brockback Mountain ?

Cioè, ho pensato male di nuovo.

Mi sono detto: ed eccoli! Ma cos’è contagioso? Ora fanno come quegli altri due?

Come Andrea e Mirko?

Che vogliono fare poi, un’uscita a quattro?

E invece no! Il meglio doveva ancora venire! Sì, perché non appena ho acceso la luce… avresti dovuto esserci.

Non puoi immaginare le facce! Le espressioni, santo Dio! Incredibili!

Sono saltati tutti e due come molle! Neanche una scarica elettrica avrebbe potuto tanto!

Prima Davide e poi Filippo!

“Ma che cazzo ci fai nel letto, perché mi abbracci” e simili… stavo per morire ti giuro.

Poi ho capito.

Non erano lì con te né senza di te.

L’unica cosa in dubbio a quel punto era dove fossi tu…

 

Sorrisi, riuscendo a mala pena a crederci.

E quello, forse, era il perché del nervosismo di Filippo.

Ma Davide?

Quello era più complesso. Quello veniva dopo, subito dopo il racconto di Mattia.

Era una nuova scena, con personaggi diversi e uno sfondo diverso: c’eravamo solo Davide ed io… sul ponte.

Impallidii, ripiegando le carte che avevo in mano e lasciando perdere il ventaglio.

Ripensai per prima cosa ai messaggi che avevo trovato in segreteria: quelli a cui stentavo a credere.

Perché semplicemente, lo trovavo assurdi, o meglio ancora, perché non volevo crederci.

Mi erano inconcepibili.

Uno di Veronica, uno di Ray… cos’è che dicevano? Oh, in generale niente di che. Erano stati bravissimi nel distrarmi: ci erano riusciti a tal punto che quasi non avevo sentito l’informazione più importante: quella che davvero volevano darmi e che avevano tentato di addolcire.

I miei genitori.

Di quello avevano parlato, accennando al fatto che ci sarebbero stati anche loro. E io non ci avevo visto più.

Una rabbia, sorda ed incolore, era risalita dentro di me. Diventando quasi soffocante.

Un groppo amaro in gola, ecco con cosa mi ero ritrovata.

Perché ?

Non saprei… ripensavo all’ironia della vita, a quanto fosse ingiusta, a quanto fossero ingiusti.

Loro. Loro lo erano.

Loro che non c’erano mai stati e ora, di punto in bianco, decidevano di farsi vivi. Perché?

Perché ai cinquant’anni di matrimonio della zia?

Perché per la zia trovavano il tempo e per me no? Non riuscivo a capire.

Non potevano esserci per me, mai.

Né quando avevo compiuto i diciotto anni né quando avevo superato l’esame di maturità. Non c’erano quando dovevo pendere la patente, non c’erano quando avevo incontrato Davide. Non c’erano quando volevo farglielo conoscere, quando avevo bisogno di un consiglio, quando mi serviva un appoggio morale, finanziario, mai.

Mai, mai, mai.

Nemmeno quando ero stata bocciata due volte allo stesso esame, quando era caduto dalle scale Mirko, quando avevo scoperto il tradimento di Davide e mi ero sentita crollare il mondo addosso.

Mai, mai.

Che piangessi, che mi disperassi, che li chiamassi, li implorassi. Che andasse tutto male o a meraviglia. Loro non c’erano in nessun momento. Via telefono, no. Via mail, lettera, no.

Mai.

E ora, per la zia, improvvisamente c’erano.

Anni di amarezza stavano risalendo a galla. Incomprensioni, delusioni, tutto riemergeva.

E non potevo farci niente.

Mi sembrava quasi che a stento ricordassi le loro facce.

E cosa avrei dovuto fare io, poi? Abbracciarli, salutarli, baciarli, come se niente fosse?

Mentre pensavo a quelle cose era arrivato lui.

Lui con il suo abbraccio, con il suo respiro, con la sua presenza.

E il groppo se ne era andato, lasciando pian piano spazio a nuove idee, nuovi pensieri: ricordai quanto avevo desiderato far conoscere il mio ragazzo ai miei genitori. Era un passo decisivo.

Quante volte ci avevo fantasticato, ricordando scene viste in film, lette in libri, in racconti.

Tante, troppe. E non era mai successo.

Ancora lo desideravo, però: più ardentemente di prima.

Ora equivaleva ad una vendetta, quasi. Era come un regolamento di conti.

Un qualcosa che non avevo avuto modo di fare e mi bruciava dentro.

E capii così, di volerlo.

Di volerlo nel modo sbagliato forse: doveva essere perfetto. Dovevo far capire loro quanto avevano sbagliato.

Cosa si erano persi.

Si erano persi me, Mirko e tantissimo altro. E volevo se ne pentissero.

Perciò doveva essere perfetto.

Fra Davide e me.

O almeno, di quello mi ero convinta.

Forse ne avevo solo bisogno. Bisogno per non crollare.

Ad ogni modo, sentirlo così vicino mi aveva destabilizzato e quando sentii quello che diceva…

Ancora non me ne capacito: lo avevo fatto.

Lo avevo arpionato, stringendolo a me. Lo avevo baciato. Io. Di mia volontà.

E gli avevo messo il braccio dietro al collo, per sentirlo di più.

Per sentirlo mio.

Avevo rischiato di svenirgli tra le braccia, su quel ponte. Per colpa di quelle labbra.

Quelle labbra che avevo dimenticato, quel sapore che avrei sempre ricordato.

Lui, soltanto lui.

Un bacio con lui.

E il mio cuore era impazzito, aveva preso a battere frenetico non appena avevo sfiorato il suo viso con il mio.

Impazzito, totalmente impazzito.

Come il cuore di un uccellino in gabbia.

Come il cuore di un uccellino che vede l’alba sul mare, che sente la brezza su di sé e vuole volare via, verso l’orizzonte, seguendo un istinto di cui ha imparato a non fidarsi, ma non può. No, che non può.

Perché c’è una gabbia, trasparente e dorata. Inviolabile. Che non può ignorare.

Una gabbia che si è creato da solo…

- Ila! -

Sussultai più della prima volta, sentendo la voce di Mattia così alterata.

Mi resi conto solo in quel momento che mi stava chiamando già da un po’, e finsi un sorriso tirato.

- Sono scappata via – sussurrai, parlando più che altro a me stessa.

- Cosa? Da che sei scappata? Quando? –

Domande, solo domande.

Come potevo rispondere?

Da Davide. Meno di tre ore fa.

Da Davide. Dopo averlo baciato.

Da Davide, correndo nella cucina del traghetto, lasciandolo lì così, dopo aver fatto un casino coi fiocchi.

E sì, mi ero comportata da stronza.

Lo sapevo benissimo, solo non volevo ammetterlo. Non volevo dirlo a Mattia.

Perché a quel punto, se anche lui giustamente mi avrebbe biasimato, prendendo le parti di Davide ad esempio… a me chi sarebbe rimasto? Nessuno.

E io, senza nessuno, non ce la potevo fare.

Stavo per rispondergli, inventando una scusa qualunque, quando sentii un clacson.

Lo sentì anche Mattia che si voltò, sorpreso quanto me: fissammo il furgoncino che si avvicinava, arancione, privo di tetto e lunghissimo. Ci potevano entrare che so, a occhio e croce, una dozzina di persone.

Sorrisi, riconoscendo la guida a rotta di collo di Andrea e ringraziai.

Li ringraziai, per avermi salvato in calcio d’angolo… da Mattia, dai miei pensieri.

Da tutto.

Con una sbandata e una sonora sgommata il mezzo si fermò, impennandosi quasi, davanti a noi.

Come in un gioco di prestigio, improvvisamente ed apparentemente dal nulla, riapparvero anche loro: Davide e Filippo, che generosi di battute salaci, avvicinarono i miei salvatori.

Sempre sorridendo avanzai verso il furgoncino.

Sorridendo, pronta ad affrontare quel breve periodo di vacanza.

Sorridendo, come un condannato a morte.

 

*

 

 

 

 

Salve ! ^^

Tanto per cominciare, buon luglio a tutti! E con questo è inteso anche buone vacanza, buon bagno, buon sole e tutti gli annessi e connessi!

Mi sembra, sempre che non sbaglio (colpa del sole) di avervi già parlato del mio confinamento in un paesino sperduto…

Ora come ora, sono ancora lì!

Non andate in ansia per me =D è oltremodo divertente ritrovarsi a socializzare con quelli del luogo, stando qui però c’è un lato oscuro della medaglia…

Niente Internet.

Niente connessione sta a significare niente efp e quindi niente aggiornamenti.

E’ orrendo quello che vi sto facendo lo so, proprio per questo avendo a disposizione solo pochi minuti mi sono premurata di aggiornarvi almeno di un capitolo tutte le storie.

Per chi ne segue più di una, spero di aver fatto bene, di non aver deluso nessuno.

E per chi ne segue solo una in particolare, bè non so che dire: io di più non posso fare in questo momento… perché non fate un azzardo allora e finito il capitolo non ne provate qualcun'altra di storia? C’è la ben remota possibilità che vi vada a genio ^^

Lasciandovi, posso solo assicurarvi che appena ho un minuto libero lo passo scrivendo.

Un bacione a tutti!

 

   
 
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