Bacio di mezzanotte
Ilaria
“
Come solo il cuore di un uccellino in gabbia può fare ”
Il tre o
l’asso ?
Cosa mi conveniva
scartare? Se buttavo il tre, c’era la possibilità tanto di fare una scala
quanto di riuscire a fare un tris; allo stesso tempo però, tenendo in mano quel
tre di picche, c’erano maggiori probabilità di non ritrovarmi alla fine
incartata. Mi sarei rovinata con le mie mani a quel punto!
Continuai a
fissare le carte che le mie dita stringevano pigramente: quasi senza
accorgermene mi stavo succhiando l’interno guancia. Ero concentrata,
c’era poco da fare: tutti i neuroni applicati in quella decisione.
Sospirai, pensando
giustamente che non era con la scelta di Sofia che avevo a che fare.
Era solo una
partita di scala quaranta, per la miseria!
Feci per sollevare
l’indice della mano destra, ricordando solo dopo un attimo lì
ingessatura: allora con gli incisivi, delicatamente, afferrai il tre e lo
gettai fra le carte di scarto. Sorrisi, sollevando lo sguardo: soddisfatta del
gesto appena compiuto e per niente scalfita dall’espressione del mio
avversario.
- Ho perso tre
anni di vita -
Inarcai le
sopracciglia e Mattia, storcendo la bocca, continuò imperterrito:
-
Nell’attesa. Ho perso tre anni di vita mentre ti decidevi, Ila. E che ne
fai la scelta di Sofia ? -
- Uff, non
infierire. Ti serve o no il tre ? – domandai scocciata, osservando il
sorriso divertito che cercava inutilmente di nascondere dietro smorfie di
disappunto.
- No, no che non mi
serve. Mi dici secondo te a chi mai potrebbe servire un tre ? –
Feci spallucce,
scuotendo il ventaglio di carte verso il viso per farmi aria: iniziavo a sudare
e non andava affatto bene. Non ero pronta a sudare. Non si può sudare con un
gesso.
E invece il sole
picchiava, incurante del fatto che se avesse preso a gocciolarmi il polso, con
prurito annesso, non avrei potuto fare niente e sarebbe stata solo una tragica
tortura. Lanciai uno sguardo tutt’attorno, osservando curiosa e
incantata.
Il traghetto ci
aveva scaricati ormai da più di tre quarti d’ora: eravamo scesi a riva,
silenziosi come non mai, e ci eravamo sistemati temporaneamente sulla banchina.
O almeno credevamo temporaneamente, lo speravamo.
A momenti, così ci
avevano detto gli altri, sarebbero arrivati in macchina.
Sempre a momenti,
saremmo arrivati all’agriturismo.
A momenti, a
momenti.
Tre quarti
d’ora si potevano ancora includere nei momenti ?
Non avrei saputo
dirlo. Avevamo avuto il tempo di rinfrescarci, di contemplare il mare, la
spiaggia, la strada.
Anche il bar
avevamo contemplato. Poi mi ero stancata di contemplare: con gesti nervosi
avevo cercato le carte francesi nello zainetto e trascinato Mattia per il
cappuccio gli avevo amorevolmente proposto di giocare.
Poveretto: una
volta ritrovatosi seduto a bordo strada, con tredici carte in mano e nessuna
via di fuga, probabilmente si era sentito come in dovere di giocare. Ero ancora
fermamente orgogliosa tuttavia, di non averlo forzato in alcun modo.
- Che ti prende,
Ila ? -
Sobbalzai, presa
in contropiede, e tornai ad incrociare lo sguardo di Mattia: era curioso e
preoccupato allo stesso tempo. Non riusciva a capire il perché del mio
turbamento, ma come potevo aiutarlo?
Non potevo e
basta.
Fino ad un certo
punto potevo sfruttare quel ragazzino, ma parlargli di quello, sarebbe
stato sicuramente sconfinare oltre il limite. Lo sapevo e non avrei mai smesso
di ripetermelo.
Scossi la testa,
come per scacciare una mosca: ma niente, davvero, cosa vai a pensare!
Continuava però a
scrutarmi per niente convinto o intimorito: voleva sapere.
Mi sentii
spogliata da quello sguardo, privata improvvisamente delle difese che con tanta
fatica stavo tentando di sollevarmi tutto attorno. Non puoi farmi questo,
Mattia…
Deviai lo sguardo,
non reggendo più quegli occhi grigi così profondi, e cercai altri aiuti: come
al Milionario che so, non potevo chiedere l’aiuto del pubblico? No,
naturalmente. Semplicemente perché non c’era.
Nessun pubblico.
Sembrava deserta
l’isola: nessuno a destra, nessuno a sinistra, nessuno di fronte. E lo
stesso valeva per il lato mare. Non c’era anima viva.
- Ma Fil ? E
Davide ? Che fine hanno fatto, Matt ? - lo avevo chiesto come ultima spiaggia,
accorgendomi solo in quel momento del silenzio, della loro assenza.
Fino a meno di
dieci minuti prima erano lì entrambi: vagabondi irrequieti che non riuscivano a
darsi pace.
Non avevano fatto
altro che imprecare: conto Maurizio, Veronica, Ray, Andrea e chiunque altro gli
capitasse sotto tiro. Era loro la colpa. Era a causa loro che ci ritrovavamo
confinati lì, senza nessuno, senza alcun modo di andare via né di tornare
indietro.
E ora,
improvvisamente il silenzio.
Mi sorpresi di non
essermene resa conto prima: mi ero talmente abituata a quel mormorio
continuo…
Eppure ne ero
certa: ora si erano improvvisamente volatilizzati. Tutti e due.
Mattia fece
spallucce, segno che non aveva idea:
- Si saranno
uccisi a vicenda, chi se ne importa. Davano solo fastidio. Si può sapere che
hai, allora ? -
Si stava
innervosendo anche lui, lo capii dalla voce.
Erano tutti
nervosi ultimamente, notai con una punta di risentimento.
E a quanto pareva
la causa di tanto nervosismo ero sempre io.
Mea culpa.
Mia, solamente e
totalmente mia.
Merito mio se
Davide era sceso dalla nave con un diavolo per capello, se Filippo non riusciva
a stare zitto un attimo e se ora Mattia si fosse messo ad urlare. Non era
giusto, però. Nemmeno un po’.
Avrei voluto
urlare io a quel punto: perché non era logico.
Ripensai per prima
cosa al racconto di Mattia: a quel poco che avevo afferrato fra un rantolo e un
altro. A stento riusciva a trattenersi il ragazzino: si manteneva la pancia,
soffocato e sconvolto dalle risa. E anche io avevo riso, non si poteva fare
altro: quando quell’immagine ti si profilava nella mente, eri costretto a
sorridere.
Com’è che
aveva raccontato, Mattia ?
Ilaria! Ila,
non ci crederai mai!
Non ci puoi
credere, ti giuro! E’ incredibile! Sconvolgente, ti giuro!
Io ero…
ero entrato in camera tua: era socchiusa la porta e così mi sono detto: perché
no?
Credevo fossi
ancora sveglia, che non riuscissi a prendere sonno nemmeno tu, e mi sono
convinto ad aprire la porta. Ti ho chiamata ma non sentivo niente. Visto che
non rispondevi, mi sono insospettito… e ho acceso la luce. Dio, non lo
avessi mai fatto!
Ho realizzato
poco alla volta, ti assicuro. Era come se si muovesse tutto al rallentatore.
Come se ogni
immagine si dividesse in fotogrammi, apparendo e mostrandosi piano ai miei
occhi.
Prima ho visto
Filippo nel tuo letto, quel biondino, ti rendi conto ?
Ma lo sapevi
che era nel tuo letto ?
Comunque, lui
dormiva: occhi chiusi, avvolto nel lenzuolo… e poi, poi ho visto
l’altro!
Davide!!
Sì, e
c’era anche lui nel tuo letto! Ma non solo!
Come se non
bastasse…
Allora aspetta,
prima ho pensato a male: vedendo prima uno e poi l’altro ho detto: da Ila
questa non me l’aspettavo, che fa si diverte con entrambi? Cioè, che
razza di giochini ci fa con tutti e due?
Ho pensato a
male, lo so.
Poi però ho
notato il braccio di Davide: era stretto attorno a Filippo!
Si stavano
abbracciando!
Incredibile…
Ho detto: ed
eccoli, che fanno, come quelli di Brockback Mountain ?
Cioè, ho
pensato male di nuovo.
Mi sono detto:
ed eccoli! Ma cos’è contagioso? Ora fanno come quegli altri due?
Come Andrea e
Mirko?
Che vogliono
fare poi, un’uscita a quattro?
E invece no! Il
meglio doveva ancora venire! Sì, perché non appena ho acceso la luce…
avresti dovuto esserci.
Non puoi
immaginare le facce! Le espressioni, santo Dio! Incredibili!
Sono saltati
tutti e due come molle! Neanche una scarica elettrica avrebbe potuto tanto!
Prima Davide e
poi Filippo!
“Ma che
cazzo ci fai nel letto, perché mi abbracci” e simili… stavo per
morire ti giuro.
Poi ho capito.
Non erano lì
con te né senza di te.
L’unica
cosa in dubbio a quel punto era dove fossi tu…
Sorrisi, riuscendo
a mala pena a crederci.
E quello, forse,
era il perché del nervosismo di Filippo.
Ma Davide?
Quello era più
complesso. Quello veniva dopo, subito dopo il racconto di Mattia.
Era una nuova
scena, con personaggi diversi e uno sfondo diverso: c’eravamo solo Davide
ed io… sul ponte.
Impallidii,
ripiegando le carte che avevo in mano e lasciando perdere il ventaglio.
Ripensai per prima
cosa ai messaggi che avevo trovato in segreteria: quelli a cui stentavo a
credere.
Perché
semplicemente, lo trovavo assurdi, o meglio ancora, perché non volevo crederci.
Mi erano
inconcepibili.
Uno di Veronica,
uno di Ray… cos’è che dicevano? Oh, in generale niente di che.
Erano stati bravissimi nel distrarmi: ci erano riusciti a tal punto che quasi
non avevo sentito l’informazione più importante: quella che davvero
volevano darmi e che avevano tentato di addolcire.
I miei genitori.
Di quello avevano
parlato, accennando al fatto che ci sarebbero stati anche loro. E io non ci
avevo visto più.
Una rabbia, sorda
ed incolore, era risalita dentro di me. Diventando quasi soffocante.
Un groppo amaro in
gola, ecco con cosa mi ero ritrovata.
Perché ?
Non saprei…
ripensavo all’ironia della vita, a quanto fosse ingiusta, a quanto
fossero ingiusti.
Loro. Loro lo
erano.
Loro che non
c’erano mai stati e ora, di punto in bianco, decidevano di farsi vivi.
Perché?
Perché ai
cinquant’anni di matrimonio della zia?
Perché per la zia
trovavano il tempo e per me no? Non riuscivo a capire.
Non potevano
esserci per me, mai.
Né quando avevo
compiuto i diciotto anni né quando avevo superato l’esame di maturità.
Non c’erano quando dovevo pendere la patente, non c’erano quando
avevo incontrato Davide. Non c’erano quando volevo farglielo conoscere,
quando avevo bisogno di un consiglio, quando mi serviva un appoggio morale,
finanziario, mai.
Mai, mai, mai.
Nemmeno quando ero
stata bocciata due volte allo stesso esame, quando era caduto dalle scale
Mirko, quando avevo scoperto il tradimento di Davide e mi ero sentita crollare
il mondo addosso.
Mai, mai.
Che piangessi, che
mi disperassi, che li chiamassi, li implorassi. Che andasse tutto male o a
meraviglia. Loro non c’erano in nessun momento. Via telefono, no. Via
mail, lettera, no.
Mai.
E ora, per la zia,
improvvisamente c’erano.
Anni di amarezza
stavano risalendo a galla. Incomprensioni, delusioni, tutto riemergeva.
E non potevo farci
niente.
Mi sembrava quasi
che a stento ricordassi le loro facce.
E cosa avrei
dovuto fare io, poi? Abbracciarli, salutarli, baciarli, come se niente fosse?
Mentre pensavo a
quelle cose era arrivato lui.
Lui con il suo
abbraccio, con il suo respiro, con la sua presenza.
E il groppo se ne
era andato, lasciando pian piano spazio a nuove idee, nuovi pensieri: ricordai
quanto avevo desiderato far conoscere il mio ragazzo ai miei genitori. Era un
passo decisivo.
Quante volte ci
avevo fantasticato, ricordando scene viste in film, lette in libri, in
racconti.
Tante, troppe. E
non era mai successo.
Ancora lo
desideravo, però: più ardentemente di prima.
Ora equivaleva ad una
vendetta, quasi. Era come un regolamento di conti.
Un qualcosa che
non avevo avuto modo di fare e mi bruciava dentro.
E capii così, di
volerlo.
Di volerlo nel
modo sbagliato forse: doveva essere perfetto. Dovevo far capire loro quanto
avevano sbagliato.
Cosa si erano
persi.
Si erano persi me,
Mirko e tantissimo altro. E volevo se ne pentissero.
Perciò doveva
essere perfetto.
Fra Davide e me.
O almeno, di
quello mi ero convinta.
Forse ne avevo
solo bisogno. Bisogno per non crollare.
Ad ogni modo, sentirlo
così vicino mi aveva destabilizzato e quando sentii quello che diceva…
Ancora non me ne
capacito: lo avevo fatto.
Lo avevo
arpionato, stringendolo a me. Lo avevo baciato. Io. Di mia volontà.
E gli avevo messo
il braccio dietro al collo, per sentirlo di più.
Per sentirlo mio.
Avevo rischiato di
svenirgli tra le braccia, su quel ponte. Per colpa di quelle labbra.
Quelle labbra che
avevo dimenticato, quel sapore che avrei sempre ricordato.
Lui, soltanto lui.
Un bacio con lui.
E il mio cuore era
impazzito, aveva preso a battere frenetico non appena avevo sfiorato il suo
viso con il mio.
Impazzito,
totalmente impazzito.
Come il cuore di
un uccellino in gabbia.
Come il cuore di
un uccellino che vede l’alba sul mare, che sente la brezza su di sé e
vuole volare via, verso l’orizzonte, seguendo un istinto di cui ha
imparato a non fidarsi, ma non può. No, che non può.
Perché c’è
una gabbia, trasparente e dorata. Inviolabile. Che non può ignorare.
Una gabbia che si
è creato da solo…
- Ila! -
Sussultai più
della prima volta, sentendo la voce di Mattia così alterata.
Mi resi conto solo
in quel momento che mi stava chiamando già da un po’, e finsi un sorriso
tirato.
- Sono scappata
via – sussurrai, parlando più che altro a me stessa.
- Cosa? Da che sei
scappata? Quando? –
Domande, solo
domande.
Come potevo
rispondere?
Da Davide. Meno di
tre ore fa.
Da Davide. Dopo
averlo baciato.
Da Davide,
correndo nella cucina del traghetto, lasciandolo lì così, dopo aver fatto un
casino coi fiocchi.
E sì, mi ero
comportata da stronza.
Lo sapevo
benissimo, solo non volevo ammetterlo. Non volevo dirlo a Mattia.
Perché a quel
punto, se anche lui giustamente mi avrebbe biasimato, prendendo le parti di
Davide ad esempio… a me chi sarebbe rimasto? Nessuno.
E io, senza
nessuno, non ce la potevo fare.
Stavo per
rispondergli, inventando una scusa qualunque, quando sentii un clacson.
Lo sentì anche
Mattia che si voltò, sorpreso quanto me: fissammo il furgoncino che si
avvicinava, arancione, privo di tetto e lunghissimo. Ci potevano entrare che
so, a occhio e croce, una dozzina di persone.
Sorrisi,
riconoscendo la guida a rotta di collo di Andrea e ringraziai.
Li ringraziai, per
avermi salvato in calcio d’angolo… da Mattia, dai miei pensieri.
Da tutto.
Con una sbandata e
una sonora sgommata il mezzo si fermò, impennandosi quasi, davanti a noi.
Come in un gioco
di prestigio, improvvisamente ed apparentemente dal nulla, riapparvero anche
loro: Davide e Filippo, che generosi di battute salaci, avvicinarono i miei
salvatori.
Sempre sorridendo
avanzai verso il furgoncino.
Sorridendo, pronta
ad affrontare quel breve periodo di vacanza.
Sorridendo, come
un condannato a morte.
*
Salve ! ^^
Tanto per cominciare, buon luglio a tutti! E
con questo è inteso anche buone vacanza, buon bagno, buon sole e tutti gli
annessi e connessi!
Mi sembra, sempre che non sbaglio (colpa del
sole) di avervi già parlato del mio confinamento in un paesino sperduto…
Ora come ora, sono ancora lì!
Non andate in ansia per me =D è oltremodo
divertente ritrovarsi a socializzare con quelli del luogo, stando qui però
c’è un lato oscuro della medaglia…
Niente Internet.
Niente connessione sta a significare niente
efp e quindi niente aggiornamenti.
E’ orrendo quello che vi sto facendo
lo so, proprio per questo avendo a disposizione solo pochi minuti mi sono
premurata di aggiornarvi almeno di un capitolo tutte le storie.
Per chi ne segue più di una, spero di aver
fatto bene, di non aver deluso nessuno.
E per chi ne segue solo una in particolare,
bè non so che dire: io di più non posso fare in questo momento… perché
non fate un azzardo allora e finito il capitolo non ne provate qualcun'altra di
storia? C’è la ben remota possibilità che vi vada a genio ^^
Lasciandovi, posso solo assicurarvi che
appena ho un minuto libero lo passo scrivendo.
Un bacione a tutti!