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Autore: reb    02/08/2010    3 recensioni
"Evans, questa situazione potrebbe essere sicuramente interessante e andrebbe sicuramente approfondita, ma sono sicuro che non mi hai rinchiuso in un ripostiglio per approfittarti bassamente di me. Cosa ho fatto, stavolta?" ecco, bravo James, concentrati su altro. "Preferivi la Sala Grande all’ora di pranzo?"
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: James Potter, Lily Evans
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Lily Evans. Prefetto al quinto anno. Caposcuola al settimo. Brillante in incantesimi, ancora di più in pozioni. Condotta responsabile e ligia al dovere, qualcuno avrebbe potuto definire il suo modo di vivere noioso e poco interessante. Ma a lei andava bene così.

Aveva lavorato tanto per ottenere i riconoscimenti che sempre, sempre, accompagnavano il suo nome, ma non dimenticava mai che c’erano anche altre cose fuori dalle aule e dalla polverosa, ma molto rassicurante, biblioteca.

A diciassette anni, chiunque, poteva dire di lei quanto fosse matura e responsabile. Forse troppo rigida per la sua età, ma lei non si lamentava. Non voleva essere la migliore, non voleva riscattare con i meriti scolastici la macchia del suo sangue babbano, non le interessava mostrare a quegli spocchiosi purosangue quanto potesse. No, i voti alti, i privilegi e i doveri, la stima dei professori e i pochi, ma buoni amici che la circondavano erano certezze e Lily Evans, suo malgrado, viveva di certezze.

Eppure sapeva, fin da bambina, che il bel castello di carte costruito con tanta cura poteva cadere al minimo alito di vento o scossa del terreno. Le era capitato già tante volte nonostante la giovane età, eppure ogni volta si arroccava sempre più nella sua torre d’avorio, aspettando la prossima scossa, di cadere di nuovo e rimettere al meglio insieme i cocci del suo cuore. Questo non le piaceva, affatto, ma non riusciva a farne a meno. A ogni caduta il suolo era sempre più lontano, il dolore per l’impatto sempre più grande.

La prima caduta era stata a cinque anni, quando sua nonna Martha, la nonna preferita con cui fare biscotti e imparare le storie di fate e streghe, era morta improvvisamente.

Poi la lettera per Hogwarts, a undici anni il suo piccolo mondo era crollato di nuovo. Quella lettera portatrice di una verità sconcertante quanto problematica, che però aveva messo fine agli sguardi preoccupati dei genitori quando intorno a lei succedevano cose strane come quando Toppi, il suo coniglio di pezza, improvvisamente aveva deciso di voler bere il the con lei. Ricordava di aver appena comprato la nuova divisa per scuola, la stessa della sorella con la gonna verde che le invidiava da anni e che faceva sembrare i suoi capelli speciali, ma che non aveva mai messo.

Ma Hogwarts che aveva regalato così tanto, spiegazioni, magia e amici, si era portata via qualcosa di così importante che il castello era caduto di nuovo. Per la terza volta.

Se i suoi genitori, orgogliosi, non facevano che ripetere "Abbiamo una strega in famiglia!", Tunia, sua sorella quasi non le parlava nemmeno. Eppure lo aveva promesso, il giorno della sua prima partenza per il Castello Magico, che sarebbe sempre rimasta sua sorella. Non doveva preoccuparsi, era solo una piccola sciocchina. Ma poteva ancora sperare che la gonna della sua divisa fosse verde come la sua.

La gonna era risultata dorata e la promessa della sorella, allora solo tredicenne, labile come una scia di fumo. E ora a diciassette anni, si ritrovava a pensare che Tunia, no ora doveva chiamarla Petunia, fingesse di non avere una sorella.

Ma aveva ancora Severus, no? Lui le aveva raccontato della magia, per primo le aveva detto quanto fosse speciale. Lui capiva quanto aspettasse il treno che l’avrebbe portata via, ancora e ancora, lontana dal clima irrespirabile in cui viveva durante le vacanze, perché per lui era lo stesso.

Invece ancora, piccola stupida sciocca, si era sbagliata. Tutti i suoi amici si chiedevano perché, lei il brillante Prefetto di Grifondoro, perdesse il suo tempo con un ragazzino smilzo e malvestito, Serpeverde per di più, perché lo difendesse da tutti, ma non aveva mai ceduto. Aveva visto il mondo in cui Severus viveva, fatto di alcol e botte, elargiti con così tanta premura dal padre.

Ma poi quella parola, Mezzosangue, il più grande insulto per la razza dei maghi era stato pronunciato proprio da colui per cui si era esposta così tanto. Per lui che occupava un posto speciale. Mezzosangue, una volta, Mezzosangue, due volte,Mezzosangue, tre volte, Mezzosangue, cento, mille volte.

Stavolta lei se n’era andata, il cuore di nuovo a pezzi e la rabbia verso se stessa a farle da unica compagna nelle notti solitarie passate a piangere alla Torre Ovest.

Lily però pensava, sapeva, di avere ancora una certezza, piccola e infantile forse, ma che le permetteva di sentire la quotidianità nelle sue giornate. E, stranamente, non erano gli amici che mai l’avevano abbandonata, ma Potter.

Che ogni due giorni le chiedeva di uscire con quel sorriso da schiaffi in viso, perché ogni due giorni le chiedeva di uscire anche se lei ogni volta rispondeva di no. Che da quando sapeva di non farle torto prendeva ancora più in giro Severus, perché non lo faceva mai in sua presenza per non metterla in difficoltà o farla sentire in colpa. Che la irritava a morte quando organizzava con quei debosciati dei suoi amici scherzi ai danni di tutti, perché non mancava mai di avvertirla, evitandole così una doccia gelata a colazione o puzza linfa nei capelli. Che faceva perdere punti ogni volta che si faceva beccare oltre il coprifuoco, perché le uniche volte che veniva beccato era lei di ronda e sempre lei a trovarlo. Che si passava le mani nei capelli per scompigliarli ancora di più, perché era il miglior cercatore, ma aveva smesso di sgraffignare boccini per darsi ancora più arie. Che era sempre così pieno di se da rischiare di scoppiare, ma che aveva imparato a farla ridere proprio con quell’atteggiamento.

Eppure ora era lì, in uno sgabuzzino delle scope, con lui, proprio perché era con lui, a ringraziare per una volta la caduta di quella splendida torre d’avorio.

Senza il suo scudo a proteggerla dal mondo e dal dolore si sarebbe dovuta sentire persa, ma ora era lì, in uno sgabuzzino delle scope con lui, e l’unica cosa cui riusciva a pensare era la felicità che stava toccando con mano, proprio perché era con lui, nel sentire le sue braccia stringerla. Nel sentire la sua bocca finalmente sulla sua.

Per la prima volta fu Lily a distruggere il suo bel castello di certezze, quando minuti, ore o anni prima, aveva preso in mano la sua vita, mandando al diavolo quelle stesse granitiche convinzioni dietro cui per anni si era nascosta, sperando di non dover più conoscere il dolore della perdita.

 

 

La lezione di Trasfigurazione era appena terminata e da che la Evans aveva messo piede a Hogwarts non era mai successo che dopo un incantesimo che non era riuscita a padroneggiare nel giro delle due ore previste la Caposcuola non fosse uscita dall’aula irritata e intrattabile per almeno le due successive.

Ma quel giorno Lily Evans sembrava altrove con la testa, forse anche a causa dell’espressione assente o dei capelli che stranamente sfuggivano al severo chignon cui li costringeva ogni mattina. James Potter non aveva potuto fare a meno di non notarli, erano anni che sognava di poter immergere le mani e il viso in quei capelli rosso fiamma e dal profumo di arancia. Un profumo che le si addiceva così tanto.

Quella mattina per lui era ancora più bella, ma anche più inavvicinabile.

Lui aveva avuto successo nell’eseguire la trasfigurazione di un pappagallo in un frak canterino al secondo tentativo. Normalmente questo avrebbe portato a occhiate omicide nei suoi confronti da parte della rossa, ma invece niente. Lei sembrava in un altro mondo. Così lontana che per James quel successo aveva improvvisamente perso valore, perché non c’era lei con cui condividerlo.

Ormai la classe era quasi arrivata in Sala Grande, tutti pieni di aspettativa nei confronti del sicuro banchetto preparato degli elfi, ma Lily sembrava ancora distante. Ogni tanto James le vedeva sul viso un espressione sconcertata e incredula insieme, poi come richiamata dal suo continuo fissarla, ogni volta, il suo sguardo, di quel verde così unico che l’aveva incantato da subito, si incontrava con il suo. Per un attimo prima di fuggire di nuovo via. Che le fosse successo qualcosa a casa? Magari aveva litigato con i suoi per poter rimanere per Natale e scuola, perché lui sapeva che quell’anno sarebbe rimasta nonostante la tradizione delle feste in famiglia. Era il motivo per cui anche lui sarebbe rimasto, costringendo Sirius a rinunciare allo speciale pranzo natalizio di mamma Potter.

Oppure quell’inutile Serpeverde di Mocciosus l’aveva nuovamente insultata, in quel caso quel piccolo bastardo l’avrebbe pagata cara, avrebbe potuto convincere Remus a una retata tra le Serpi, Sirius ne sarebbe stato entusiasta.

James stava ancora macchinando, ignorando Remus e Sirius che stavano litigando come sempre riguardo lo svolgimento dei compiti, o meglio Sirius cercava per la terza volta quella settimana di convincere Remus a lasciargli copiare il compito di Pozioni, che non si accorse della nuova espressione apparsa sul viso della Evans, non notò nemmeno l’improvviso silenzio dei suoi due amici, né il sorriso soddisfatto di Alice Prewett.

Calore. Chi avrebbe detto che la mano di Lily Evans, sempre così controllata tanto da risultare glaciale solo volendo, fosse così calda?

Che le sua presa fosse così salda nonostante il corpo minuto della ragazza cui apparteneva? Ma soprattutto chi, presente in quel momento nei pressi della Saga Grande, non si sfregò gli occhi dubitando della loro attendibilità per poi pensare a un’allucinazione collettiva, nel vedere James Potter, quel James Potter,non solo trascinato letteralmente per i corridoi del piano terra da una ragazza che gli arrivava poco sopra la spalla, ma che rispondeva al nome di Lily Evans, quella Lily Evans?

Eppure James sapeva che non era un’allucinazione, né tanto meno uno di quei sogni che la vedevano immancabilmente come protagonista e che lo facevano svegliare nel cuore della notte insoddisfatto e sudato? No, sentiva troppo distintamente il calore di quella piccola mano che stringeva la sua, il profumo dei suoi capelli, così particolare e unico, era troppo forte per appartenere solo a un ricordo.

Non sapeva dove stanano andando, nonostante conoscesse la scuola come mai nessuno prima, e nemmeno che cosa la spingesse a farlo. La stava seguendo per quella mano per la prima volta così vicina, per quel corpo che mai aveva ricercato volontariamente il suo, semplicemente perché era lei e non poteva fare altrimenti.

Erano arrivati al primo piano, nell’Ala Ovest, e nemmeno se n’era accorto. Troppo preso da lei, così unica e amata. Si risvegliò solo quando la ragazza, aperta una porta a caso ve lo spinse dentro entrando a sua volta e chiudendola alle loro spalle.

Ok, ora l’ipotesi di un sogno, un certo tipo di sogno, sarebbe stata sicuramente più realistica. Ma non vera. Cavolo non stava sognando!

"Evans, ma cosa?" provò a chiedere, cercando di dimenticare il luogo angusto che le costringeva a stare così vicina.

"Sto impazzendo Potter, semplice" breve, concisa Lily. Ma ancora un po’ titubante.

"Sapevo che prima o poi avresti ammesso di volermi, Evans…" Un sogghigno e un passo nella sua direzione, i loro corpi che quasi si toccavano.

"Sapevo che era una pessima idea, Potter, ecco cosa." ora acida forse per la vicinanza, forse per le spalle al muro, o più probabilmente per il suo tono.

Come era bella quel giorno, accidenti. Accidenti doveva smetterla di guardarle la labbra come un disperato.

"Evans, questa situazione potrebbe essere sicuramente interessante e andrebbe sicuramente approfondita, ma sono sicuro che non mi hai rinchiuso in un ripostiglio per approfittarti bassamente di me. Cosa ho fatto, stavolta?" ecco, bravo James, concentrati su altro.

"Preferivi la Sala Grande all’ora di pranzo?"

"Cosa?"

- Di sicuro hai frainteso James, calma o potresti saltarle addosso e morire. Certo sarebbe una morte felice, ma… -

"Te l’ho detto, probabilmente sto impazzendo, ma…cavolo devo farlo ok? Devo esserne sicura per andare poi a gettarmi dalla Torre di Astronomia. Ma un'altra battuta idiota e tu salterai prima di me, Potter."

Ecco, era questa la Evans che ogni giorno James era abituato a vedere, quella con cui sapeva, più o meno, relazionarsi. Quella che riusciva a far ridere senza sbeffeggiare nessuno.

"Vuoi spiegarmi, allora?"

"Baciami"

Silenzio. Dieci secondi, trenta, un minuto. Ancora silenzio. Lily non sapeva bene come comportarsi, va bene averlo preso a schiaffi al quarto anno per aver tentato di baciarla, va bene averlo schiantato per averle alzato la gonna al quinto, va bene anche averlo offeso continuamente in sette anni, ma se la ragazza avesse saputo di poter mettere fine al suo tormento personale solo con un parola lo avrebbe fatto già prima.

O forse no. Lui era riuscito a diventare importante proprio così, non gli avrebbe mai permesso di entrare nella sua vita altrimenti.

Ma Potter continuava a tacere, i pensieri così incasinati da non valere niente. Come se nemmeno esistessero. Cavoli aveva aspettato quel momento per anni, per sette lunghissimi anni, e ora non riusciva nemmeno a pensare decentemente, figurarsi a muoversi. Che bella figura del cavolo.

Dopo averla tormentata per un appuntamento, dopo aver sognato un suo bacio e molto di più ogni notte, ora non riusciva a fare altro che non fissarla allucinato. Se gli avesse detto di essere un uomo avrebbe sicuramente reagito meglio. Poi la luce, seguita immediatamente dalla delusione.

"Va bene, Sirius era come me, a chi a fatto bene della Polisucco? Che scherzo del cavolo."

Voleva solo andarsene, per un attimo ci aveva realmente creduto, era andato addirittura nel panico e invece niente. La Evans non avrebbe mai fatto una cosa del genere.

"Scherzo?" irritazione e qualcos’altro che il ragazzo non riusciva a decifrare, ma non gli importava. Doveva solo spostarla e andarsene.

Le mise un mano sul braccio pronto alla fuga, idea così estranea a un Grifondoro ma mai così necessaria, quando il mondo si fermò.

"Potter sei un idiota. Non so come faccio ancora a pensare il contrario."

Lei si era avvicinata, aiutata dal suo movimento, e aveva poggiato una mano sulla sua spalla. Aveva poi fatto forza e si era alzata in punta di piedi, arrivando alla sua stessa altezza. Poi…poi le labbra.

Nessuno gli aveva mai dato dell’idiota a parte lei e Sirius. Inoltre quel profumo, no non poteva sbagliarsi. Allora davvero non era uno scherzo. Nessuna pozione poteva fare una cosa del genere.

Fu come l’aveva sempre immaginato, lei così vicina, il suo profumo ovunque, le sue piccole e calde mani sulla spalla e sul fianco per sostenersi e tenerlo vicino, gli occhi fissi nei suoi per un immobile e perfetto istante prima di chiudersi.

E fu molto di più, lei a prendere l’iniziativa, lei a stringerglisi addosso, lei a chiedere l’accesso alle sue labbra, lei a scegliere il ritmo, lei ovunque.

Lo stupore, o forse la gioia, durò poco, subito rimpiazzata da qualcosa di così forte da non poter essere fermato. James immerse finalmente una mano tra quei capelli rosso fiamma disfacendo completamente lo chignon e con l’altro braccio la avvicinò ancora di più a lui come a non volerla lasciare andare. Un passo incerto e Lily si ritrovò circondata, stretta tra lui e il muro.

Quando si staccarono fu solo perché entrambi avevano bisogno di ossigeno.

James con la felicità dipinta in volto, Lily ancora incredula che fosse proprio lui il ragazzo che le aveva preso il cuore.

"Sapevo che valeva la pena aspettarti, Evans."

 

Una settimana dopo Lily Evans decise che si, Potter era effettivamente un idiota e che la battuta fatta una volta usciti da quel ripostiglio "Sapevo, Evans, che ti saresti buttata tra le mie braccia" era infelice, ma poteva anche ricominciare a parlargli. Dopotutto idioti si nasce e lui era già migliorato molto nel corso degli anni. Inoltra le mancava, ma di certo non sarebbe andata a dirlo a lui. prendendo atto della decisione della ragazza la mattina a colazione, quando lei gli si sedette accanto volontariamente e salutandolo, James non poté evitare di esultare. Complice la vicinanza, l’impossibilità di una fuga o fattura che si voglia, la sorpresa e tanto altro, riuscì a baciarla. Così, dopo una settimana di silenzi e voglia di lei, davanti a tutta la scuola professori compresi.

Quell’uscita gli sarebbe sicuramente valsa un’altra settimana di punizione, ma per la prima volta, almeno per Lily, Sirius Black si rivelò utile all’umanità.

"Finalmente, Evans! Per quanto io non ti sopporti, odio ancora di più Ramoso depresso e questa settimana è stato veramente noioso. Nemmeno lanciare incantesimi su Mocciosus è servito a sollevarmi il morale…"

Così la ragazza sorrise, consapevole di avere gli occhi di tutti addosso, consapevole che molte, troppe, ragazze l’avrebbero odiata, consapevole anche di essere una testarda che aveva buttato anni a scappare da James.

"Mi sei mancato, James."

Le era mancato. L’aveva chiamato James, e lei non lo chiamava mai James.

"Ho fatto bene ad aspettarti eh, Evans?" sfacciato e borioso.

"Ho fatto bene a prendere in mano la situazione eh, Potter? Avrei sempre potuto cambiare idea…" acida e ironica.

"Bugiarda…" sicuro e sereno.

Lo sapevano entrambi che stava mentendo, sapevano entrambi che se si era esposta era perché convinta. Sapevano entrambi che era la cosa giusta.

Ma soprattutto Sirius, dopo quell’assurdo dirscorso, seppe che non avrebbe preso Ramoso. A dispetto di tutto lei sembrava volerlo anche per i suoi difetti, come James amava lei.

Questo era decisamente un lieto fine.

   
 
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