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Autore: beat    23/08/2010    5 recensioni
Urlare contro il cielo non serve a nulla.
Gli dei non ascoltano: sono sordi alle suppliche degli uomini.
Quello che l'uomo può fare è piegare le ginocchia, poggiare i palmi contro il terreno e pregare il solo dio che può portare l'unico sollievo possibile all'umanità.
[Personaggi: Aiacos, Pandora, Rhadamantys]
{Prima classificata al "Contest Cinque Stagioni – Tema Estivo" indetto dal forum di Gold Insanity}
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sorpresa
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: i personaggi non mi appartengono e questa storia non è stata scritta a scopo di lucro.

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Titolo: Urlando contro il cielo
Autore: Beat
Presentazione: [cit.] Urlare contro il cielo non serve a nulla.
Gli dei non ascoltano: sono sordi alle suppliche degli uomini.
Quello che l'uomo può fare è piegare le ginocchia, poggiare i palmi contro il terreno e pregare il solo dio che può portare l'unico sollievo possibile all'umanità. [/cit.]
Personaggio principale: Aiacos
Altri personaggi
Pandora, Rhadamanthys
Genere: Drammatico
Rating: Giallo
Note: Qui le note potrebbero essere millemila, specie per quanto riguarda l'ambientazione, ma non voglio tediarvi. Se avete dei dubbi/curiosità (o anche correzioni visto che i riferimenti sono tutti verificati, ma comunque presi dalla rete), chiedete pure.
In ogni caso, la storia è ambientata in Nepal, con Aiacos più o meno quattordicenne.


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Urlando contro il cielo


La pioggia cade, senza tregua.
Nemmeno le infinite litanie provenienti dal tempio riescono ad innalzarsi sopra il cupo rombo dell'acqua scrosciante.
Dakshinkali, come tutti i sabati, è invasa dalle processioni: lunghe file di fedeli che si accalcano nelle strade per raggiungere il tempio della dea Kali.
I sacrifici sono appena iniziati, ma con quella incessante pioggia ormai il sangue ha lavato non solo il tempio ma anche tutto il villaggio.
I piedi della gente colpiscono il terreno fangoso, e innumerevoli schizzi di acqua, terra e sangue imbrattano i mendicanti stipati ai lati delle strade.
Gente supplicante, senza nulla, nemmeno un futuro. La processione avanza, indifferente alla pioggia monsonica così come alla disperazione dei relitti umani cui sfila davanti.
Sotto una tettoia, in un angolo buio e umido – come se si potesse in qualche modo scampare all'acqua che ti penetra fin dentro le ossa – un ragazzo osserva ancora una volta quello spettacolo desolante. Da qualche parte in lontananza sente una donna gridare, le sue urla disperate che per un attimo riescono a superare anche il fragore della pioggia. Grida tutta la sua angoscia, il suo dolore, la sua disperazione per il figlioletto sparito tra i flutti del fiume in piena. Vane grida di dolore, che nessuno si preoccupa di raccogliere.
I pellegrini non si fermano, non sentono quelle strazianti grida di dolore.
I mendicanti non si alzano, non sono toccati da quella tragedia ormai così comune.
Il ragazzo non si volta nemmeno, non sapendo che aiuto potrebbe dare ad una disperata come lui.
E in mezzo a tutta questa indifferenza, anche il cielo non smette di far cadere la pioggia e gli dei non ci pensano minimamente a muovere anche solo un dito per alleviare la sofferenza dell'uomo. Neanche per un solo attimo.
Nemmeno urlando a squarciagola contro il cielo l'uomo può attirare l'attenzione delle divinità.
A nulla serve disperarsi, a nulla servono i sacrifici di sangue.
Agli dei non interessa l'uomo, a meno di avere delle divinità sadiche cui piace trastullarsi osservando le infinite sventure della razza umana.
Il ragazzo si siede a terra, addossato ad una parete. Lo stomaco ormai non brontola più, si limita a contorcersi con crampi dolorosi. Ma anche a questo egli non sa come porre rimedio. Non c'è cibo in quella stagione di magra, nemmeno tra la spazzatura in giro per le strade. L'unica soluzione sarebbe andare a rubare la carne arrostita che stanno preparando al tempio, ma in quel momento la gente è troppa. Occorre aspettare la sera, il buio, il momento in cui anche gli altri poveracci cercano di elemosinare qualche cosa dagli inservienti del tempio. Nessuno allora farebbe caso ad un ragazzino pelle e ossa.

E la pioggia continua a cadere, incessantemente.
Le litanie, i canti e le preghiere diminuiscono mano a mano che scende la sera.
E allora ricominciano a farsi udire i gemiti di chi non ha nulla e di chi nulla può fare, nemmeno per se stesso.
Lamenti infiniti, disperati, strazianti. O il più delle volte semplicemente rassegnati.
Il mondo che il ragazzo conosce è pieno di sventurati che non attendono altro che la morte. La morte che infine porterà via tutto il dolore e tutta l'angoscia di una vita trascorsa nella sofferenza totale.
Tutti loro in realtà non fanno altro che attendere il momento in cui finalmente il corpo si potrà ricongiungere alla terra.
È alla terra infatti che il ragazzo rivolge le sue mute preghiere.
Non al cielo, non agli dei che non vogliono stare a sentire.
Nessun inutile grido rivolto al cielo.
Con i palmi premuti contro il fango, il ragazzo prega perché la fine sopraggiunga, e la morte passi a portarsi via tutta la sofferenza della vita.
Mute parole di supplica, visto che nemmeno le urla riescono a squarciare il fragore del cielo che piange.

“Aiacos.”

Una voce, poco più che un sussurro.
Eppure così straordinariamente intenso da superare anche il rumore della pioggia.
Alza il viso, il ragazzino pelle e ossa.
Istintivamente alza la testa a quel nome mai udito.
Quel nome così familiare.
Due figure si stagliano di fronte a lui. Avvolte in neri mantelli, due figure così spettrali da sembrare un miraggio. Anche la pioggia sembra quasi non toccarli.
Li fissa con gli occhi stranamente accesi, quei due ragazzi stranieri che non hanno avuto paura ad avventurarsi in quel luogo sventurato.

“Aiacos.”

Una bambina, dal viso opalescente e dai lunghi capelli neri come la notte, è una bambina quella figura minuta che senza timore si avvicina a lui porgendogli la mano.
Il ragazzo la fissa, per la prima volta da molto tempo interessato a qualche cosa.

“Il re dei Morti ti sta aspettando.”

E in quel momento, dietro la pesante coltre di nubi che opprime il cielo, una stella sopita riprende a brillare con straordinario vigore. La stella del cielo degli eroi.
Sfiora appena quella manina delicata, prima di mettersi in ginocchio e piegare il capo rispettoso.
“Aiacos della Garuda, al vostro servizio.”
Sorride Pandora, sorriso serio e adulto su quel viso da bambina.
“Sire Hades ne sarà molto lieto. Andiamo.”
Tenta di alzarsi Aiacos, ma il corpo stremato dalla fame non lo regge. Fortunatamente l'altro ragazzo è abbastanza veloce da afferrarlo prima di una rovinosa caduta.
“Ti sembra questo il modo di ridurti?” chiede guardandolo fisso, l'unico sopracciglio corrugato sugli occhi dorati.
“Simpatico come sempre!” ribatte Aiacos, per poi passargli un braccio attorno il collo per sostenersi.
E i tre si avviano nella notte nera, svanendo alla vista dei mortali.


Urlare contro il cielo non serve a nulla.
Gli dei non ascoltano: sono sordi alle suppliche degli uomini.
Quello che l'uomo può fare è piegare le ginocchia, poggiare i palmi contro il terreno e pregare il solo dio che può portare l'unico sollievo possibile all'umanità.




Cercare di librarsi verso l'alto non serve a nulla.
Rende solo più dura e disastrosa l'inevitabile caduta.

“Garuda Flap!”






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Angolo dell'Autrice:

Salve gente!
Sono orgogliosa di presentarvi questa fic, che si è classificata prima al 
Contest Cinque Stagioni – Tema Estivo indetto dal forum di Gold Insanity! *C* Yay!
Ammirate il bannerino, ammiratelo! *O*



Sono tremendamente felice per questo risultato.
Le altre fic in gara erano tutte stupende, quindi sono davvero contenta che la mia storia sia piaciuta così tanto.
E poi era un bel po' che progettavo di scrivere una storia su Aiacos prima che diventasse uno dei tre Generali. *spuccia Garudino*
Un immenso grazie dunque ai cari Gold e, ovviamente, ad Hadessama! <3



Fatemi sapere i vostri commenti, pareri o critiche.

Grazie a chi vorrà recensire e a quanti leggeranno e basta!

Beat


   
 
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