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Autore: Rucci    30/08/2010    7 recensioni
Ed ora veglio
sono Tuo e Mio
la notte mi annunziasti come vita
mi hai fatto uomo.

Ci sono centootto stelle che in verità sono demoni.
Centootto diversi demoni. "Inno alla notte" è per uno di loro.
{spectre-centric, original character}
Genere: Dark, Sovrannaturale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Nuovo Personaggio, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I

VI.

 

Voglio precipitare

in gocce di rugiada

e mescolarmi con la cenere.

 

 

La notte era più nera che mai, sui Carpazi, quella sera che persino le nuvole coprivano la luna. Se ci fossero stati spettatori svegli a quell’ora, a quell’altitudine, avrebbero rabbrividito all’immagine di un uomo e di una donna che marciavano l’uno accanto all’altro con occhi di gatto, sulle sterpi picchiettate di neve. I loro vestiti vecchi e scuri non erano adatti ad una notte così fredda, eppure procedevano senza fermarsi, in una processione solitaria.

“Ormai è vicino” disse la donna che non era una donna, la fronte liscia, gli occhi di vetro. “Lo senti, Gheorghe? Che cos’è?”

“È il battito del Sangue” sussurrò lui, porgendole la mano. Attese che venisse afferrata, e una volta che lei si fu sollevata le gonne, rivelando pesanti scarponi, la guidò più in alto. “Sei sicura che non sia un altro Immortale?”

Un passo ancora, e si stagliò tra i monti, polveroso come un eroe ottocentesco uscito da un vecchio libro in soffitta. Subito con lui, il guizzo più rapido e potente della donna. Ed ella chiuse gli occhi, lasciando che il vento le battesse forte addosso, e portasse l’odore del Sangue: “Ti sembra un altro Immortale?”

“No. Non del tutto. Ma allora cosa?”

“Un altro di noi? Più debole degli altri?”

“Ci siamo posti troppo a lungo queste domande, Iulia. Andiamo a vedere.”

“Siamo quasi arrivati. Dì agli altri di rimanere.” Lo disse naturalmente, senza esitare, e senza nemmeno distogliere lo sguardo dalla valle. “Andremo solo io e te. Tanto…”

Si leccò le labbra, un sorriso serpentino, eccitato e velenoso.

“Avranno paura. Non vorranno attraversare il Danubio.”

Gheorghe annuì. Si sporse indietro, animalesco, scoprì le fauci e mandò un sibilo senza voce, che pure rimbombò tra le montagne, come un alito di vento. Restò in ascolto, per un po’. E infine tornò a girarsi verso di lei, con innaturale garbo: “Andiamo, mia cara.”

 

Attraversarono il Danubio, varcando il confine quella stessa notte.

Penetrarono in città, camminando veloci e nascosti fra le ombre delle case, sgusciando tra le luci artificiali. Iulia precedeva il compagno di un passo appena, ma era come se procedessero affiancati.

“Di qua” si faceva visibilmente più frenetica, mano a mano che si avvicinavano. “Senti. Senti!”

“Lo sento” mormorò lui, poco rassicurato. “Sii cauta.”

“Credi che possa farci del male? È questo che credi? Io sento che mi chiama.”

Veloce, afferrò la mano di lui, quando sentì la fonte delle pulsazioni al di là di un muro. Traballò quasi, e non perché fosse così potente, ma per l’eccitazione di averla trovata. Si espandeva ora forte, ora debole. Regolare, come il battito del sangue.

“Di là” Gheorghe la prese delicatamente alla vita, protettivo. “Siamo vicini.”

Iulia si paralizzò sul marciapiede, di fronte ad un edificio uguale a tanti altri. La notte era troppo fonda perché vi fosse un gran numero di passanti, ma per i pochi nottambuli o ubriachi s’immobilizzò per minuti interi, e nessuno la vide, né lei né il suo compagno. Il primo movimento che fece, stretta a lui, fu di sollevare lentamente lo sguardo, in cerca di una finestra. Tese il collo e il corpo la seguì, girando l’angolo, lenta e felina.

Gheorghe intravide il riflesso opaco del vetro, al secondo piano, quando il richiamo si era fatto ormai ingestibile: al riparo da sguardi indiscreti, appoggiò una mano sul muro. L’altra più in alto. E di nuovo la prima, più in alto ancora, e con gli occhi che ridevano si stava già arrampicando sul muro, senza nemmeno accorgersene. Da sotto di lui, sottovoce, un mugolio entusiasta, sorpreso e rapito.

Salì e sedette sul davanzale. Un Peter Pan oscuro venuto a rubarti l’ombra.

Stevan dormiva, anche se male. Dormiva e si muoveva, contratto; e ai suoi movimenti Iulia fremeva e spasimava, e sciolta e scattante si arrampicò su per la parete, per raggiungere il compagno. Voleva vedere, voleva assolutamente vedere. Gheorghe la prese, un dito sulle labbra, in un gesto molto umano.

“È un mortale.”

“È un mortale…” In un tono strano, esagerato, contenuto a stento, reclinò il viso. Cantilenò, come una madre intenta a dondolare la culla: “Oooh…”

Gheorghe allungò la mano, proiettando l’ombra sulla parete, e quell’ombra accarezzò il capo di Stevan, che si svegliò di soprassalto. Iulia sorrise con amore e con superbia: era un mortale. Non solo non avrebbe potuto fare loro del male. Potevano prenderselo.

Lei lo pensò e lui lo fece. Aprì la finestra e lo prese tra le braccia senz’alcun bisogno di immobilizzarlo.

Lo guardò negli occhi. E basta. Stevan ricadde con le mani inerti, la bocca semichiusa.

Capelli neri, quasi grigi, incorniciavano in onde il viso spettrale che lo fissava.

E il suo sguardo di vampiro.

 

Avrebbe imparato a riconoscere quello sguardo. Lo sguardo dolce che induce a pensare che non esista niente al di fuori di esso, che il mondo non è che un pallido riflesso delle meraviglie che si possono trovare in quegli occhi immortali.

 

Sentì una mano fredda come la morte carezzargli il viso e girargli il capo, distogliendolo da quegli occhi. Vide un volto di donna bellissimo, che lo guardava intensamente, rivolgendolo verso di sé. La sentì sussurrare estasiata, ma non a lui.

“Oh, sì.”

Era improvvisamente debole e malleabile. Era sveglio e addormentato.

Era una marionetta di legno pesante. Non riusciva a parlare.

E non aveva nemmeno paura.

“Andiamo.”
“Andiamo, mia cara.” 

 

 

 

 

Angolo pro Immortali: avete appena visto due vampiri. Creature della notte, predatori nell’ombra. Sono affascinanti e sensuali, ma altresì potenti e letali, crudeli, e soprattutto dispensatori di morte. Non vanno a scuola, come avete visto. E se continuerete a leggere, e vi affiderete a me, io solennemente qui vi prometto una cosa: non ci andranno mai. In Rucci you can trust. Un ringraziamento speciale e sottobanco a LeFleurDuMal, alla quale dobbiamo la polverosa presenza di Gheorghe. Prima che lei mi ispirasse, non era altrettanto grigio e affascinante. <3

 

Ho sforato dai limiti imposti dalla flashfic: le cinquecento parole sono state ampiamente sorpassate. Ma non potevo permettermi di tagliare su questo momento, che i versi da cui sono partita mi hanno messo tantissimo in mood (come avrete capito, sono anche quelli che hanno ispirato il bannerino dello spazio commenti, infatti).

 

 

Beat: Sei troppo carina. Ti ritiro le guanciotte indietro. *C* Non avere timore di tirarle anche a Stevan: è stato severamente educato negli anni a venire, non si azzarderebbe mai a mordere. Aiacos li vuole tutti addestrati, ben tenuti e col pelo lucido. (???)

Kiki May: Credo che sia importantissimo tornare alle origini, e penso che anche tu ne intuisci le ragioni, con tutta questa marea di reazioni entusiaste (che mi apre il cuore, per inciso çOç): il vampiro rappresenta una parte troppo ctonia e sotterranea di noi per non farlo affondare nelle origini. Più andiamo avanti, più evolviamo, il vampiro si adatta a vivere nel mondo (alcuni più di altri, che restano primitivi), e questi adattamenti sono interessantissimi (Anne Rice è maestra in questo, neanche a dirlo) ma non cambia. Non può cambiare, nasce dai nostri istinti e i nostri istinti sono quelli di quando siamo stati creati. Perciò trovo veramente sciocco farsi abbagliare da scenari moderni e esotici e trascurare questi pozzi d’ispirazione come l’Europa dell’Est, proprio lì, a un passo dai Balcani, dalla culla della civiltà! Da dove credono sia arrivato tutto questo ambaradan? FHOLLIH! *C* …E infine, puoi baciarmi in bocca, quando mi avrai a portata. è_é *si vende*

 

  
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