Questa shot, per molti versi, è speciale.♥
Perchè è un regalo di compleanno per una persona per me
davvero unica e insostituibile, perchè sono riuscita
a finirla in due giorni - come facevo una volta
- e non in due mesi, perchè
scriverla mi ha permesso di rivivere i
quattro meravigliosi giorni che ho passato
proprio a Londra e proprio per vedere Nicholas nei suoi "Miserabili". Emozione pura, insomma.:3
Forse è proprio per questo
che scriverla mi ha dvertita tanto e il risultato - per una volta - mi soddisfa.♥
Posso solo sperare che a voi piaccia
altrettanto.:D Commenti sempre graditissimi, è ovvio.*w*
A Chiara, a Nicholas, a Londra
e ad uno dei viaggi più belli che abbia mai
fatto.♥
~ Another foggy night in London town, all the dreamers are asleep.
No one understands what I have found...
No, not even me.
Londra.
Londra, nella mia personalissima esperienza e
visione dei fatti, significava per lo più pioggia. E una rumorosa folla sempre
in movimento, fuori del taxi che mi portava dall'albergo al teatro e viceversa.
Per quasi un mese intero, avevo vissuto nel mio mondo ovattato, fatto
semplicemente dell'odore di pelle bagnata che permeava l'abitacolo, la luce
gialla dei riflettori e l'enorme, rassicurante ombra di Big Rob,
sempre un passo davanti a me.
{{ Perche cazzo non arriva?
Non quella sera: il tre di ottobre si era già
fatto buio da un pezzo ed io me ne stavo in piedi, davanti all'ingresso del Queen's, pregando
che i neon dell'insegna si riflettessero solo nelle pozzanghere. Affondai le
mani in tasca ed il naso nella sciarpa di cachemire che mamma mi aveva obbligato
a mettere in valigia. Ringraziai mentalmente la sua iperprotettività.
- Ragazzo, il teatro sta per chiudere. Non
puoi rimanere qui. - Alzai lo sguardo su una cespugliosa barba bianca e due
occhi di petrolio. Odiavo l'accento dei londinesi, così ostinatamente perbene. Eppure a quell'uomo calzava
perfettamente.
- Aspetto una persona...! - Borbottai.
Una berlina bruciò il semaforo, era rosso
pieno oltre il muro d'acqua che mi riversò addosso. Mi lasciai sfuggire
un'imprecazione a mezza voce ed osservai scoraggiato il mio burberry ormai fradicio e
chiazzato. Mi sentivo come un bambino piccolo: completamente perso,
incosciente. Abbandonato a me stesso in una città di cui conoscevo si e no due
strade. Osservai il custode spegnere tutto e sprangare le porte... Con grande
amarezza, calcolai che a quell'ora avrei già dovuto essere in hotel da un
pezzo. Al caldo. All'asciutto. Con
una fetta di pizza al salame piccante e film d'azione di serie b. Quelli con
tante sparatorie e pochi dialoghi: ideali per scollegare il cervello.
- Ehi, tu. - Mi voltai, piuttosto seccato. Mi
sembrava di essermi già spiegato a sufficienza. - Ti verrà un accidente, se te
ne stai lì impalato per tutta la notte. Dammi retta, prendi l'autobus e
tornatene a casa...! -
- Io... - Io non ci sapevo tornare, a casa:
era ciò che avrei dovuto, voluto dire.
- Dall'altra parte della strada. - Indicò uno
sparuto gruppo di persone. - Quella linea gira tutto il centro, l'ultima corsa
è fra mezz'ora. -
- D'accordo. Grazie. - Senza sapere bene come
o perchè, strinsi la mano ruvida di quel tizio e
attraversai.
Mi calcai bene in testa il cappello di lana -
Mar diceva sempre che mi faceva sembrare un puffo
- e mi infilai vicino ad un uomo largo due volte me ed il ragazzo allampanato
con una serie infinita di spille da balia appuntate all'orecchio. Non capivo nemmeno
del tutto perchè stavo lì - schiacciato fra un
probabile ubriacone ed un mezzo punk - ad aspettare un bus al posto della mia
fedele guardia del corpo. Non che - con attorno soggetti simili - corressi il
rischio di venire riconosciuto: avevo più probabilità di finire rapinato che
altro. E comunque avevo in tasca solo il cellulare e una manciata di spiccioli,
avanzati dall'ultima visita a Starbucks. Mi sarebbero bastati a malapena per pagarmi la
corsa.
{{ Cosa sto facendo?
L'autobus era rosso, a due piani. Un classico. Salii e mi accucciai sui
sedili in testa all'abitacolo, il vetro spruzzato di pioggia offriva una buona
visibilità sulla strada: fu allora che, per la prima volta, vidi la nebbia di Londra. Opaca, morbida... e
calda, per via delle luci arancioni di cui era punteggiata. Nessun'altro - a
parte me ed il giovane punk - si spinse di sopra: in quell'istante, mentre
ripartivamo e l'asfalto umido iniziava a slittare qualche metro sotto di me, su
quel pullman freddo e semideserto, un unico pensiero - di cui non sarei mai riuscito a fare a meno - mi colpì
con forza.
Chiara.
~ Foolishly, I fall to the obvious
pattern of it all.
Carelessly, I stall thinking change was just a friend that never called.
Tragedy's alright when it means we count the blessing in our life.
Mi
mancava. Come essere
irrimediabilmente spaccato a metà e non poter fare nulla per rimarginare la
ferita. Mi mancava il respiro: era la stessa sensazione di impotenza nei
confronti del dolore. Passai una mano sul finestrino impregnato di condensa,
all'improvviso il Tamigi marciava fianco a fianco col bus. Portava avanti le
acque fangose con un ritmo lento e incessante.
‹‹Next stop:
Westminster Station. Underground. RAILHEAD.››
Saltai
in piedi, non appena la metallica voce femminile ebbe finito di gracchiare
nell'altoparlante. Ero finito: sarei stato scaricato oltre il fiume, davanti
l'abbazia, senza uno straccio di sterlina per comprare un'altro biglietto o la
minima idea di dove andare. Avrei potuto chiamare Rob,
forse. Una parte di me suggeriva che
camminare da solo per le strade di Londra sarebbe stato meno pericoloso. Passammo
davanti al London Eye
e l'autobus accelerò quasi prima che potessi vederlo muoversi e portare qualche
altro turista su, nel buio... Accostò poco dopo, con una sterzata che rischiò
di farmi fare la scaletta a rotoloni, letteralmente.
-
Arrivederci e buonanotte. - L'autista si rubò la mia ricevuta e con essa
qualsiasi punto di riferimento.
Mi
affrettai in direzione del fiume, immaginando che seguire la massa mi sarebbe
stato più d'aiuto che non infilarsi a caso in qualche vicolo sconosciuto.
Piovigginava appena, gli adolescenti di Londra nemmeno sembravano accorgersene:
sfilavano in gruppo sotto le insegne fluorescenti dei locali ancora aperti,
attirati dai bassi ronzanti e per lo più fuori ritmo. Una ragazza attraversò
frettolosamente la strada, mi passò accanto e urtò il mio gomito. Non se ne
accorse. Prese a braccetto la su amica bionda, ridendo, mentre il mio cuore mancava
diversi battiti. Le somigliava in maniera incredibile.
I capelli scuri, le labbra laccate di rosso... Il modo di muoversi e di parlare
in fretta.
{{
Non è
lei. Quanto sei coglione, Nicholas.
Non
poteva esserlo. C'erano un oceano e tante - troppe - ore di fuso orario ad
impedirlo. Mi imposi di tornare a respirare regolarmente e ripresi a camminare
sull'orlo del marciapiede. Dopo qualche metro l'aria si fece più fredda: ero
tornato al punto in cui George Street
incrociava Victoria Embarkment,
Westminster Bridge si tuffava sul
fiume, gremito di gente. Mi fermai al parapetto di pietra, dietro un baracchino
che impregnava la notte con l'odore dolce e appiccicoso dei pancake. Respirai a
pieni polmoni, il vento che si sollevava dal basso e mi sferzava le guancie,
poi tornai con gli occhi alla ruota panoramica.
- L'ameresti. - Involontariamente, presi a
mordermi il labbro.
Incrociai
le braccia sul granito ruvido e mi ci nascosi, soffocando una lacrima fra le
pieghe della sciarpa e la stoffa dell'impermeabile. Ogni passo che muovevo mi
ricordava che lei non era lì, al mio fianco, come desideravo disperatamente che
fosse. Vaffanculo.
Avevo accettato quella proposta, pensandola con me. Sempre. Immaginandoci insieme. Ma, come aveva detto Kevin, era
giunto il momento fi guardare le cose con un minimo
in più di... prospettiva.
‹‹Quando
parlo di me, parlo di noi. Non riesco a concepirmi, senza Chiara.››
‹‹Cresci, fratellino. Non hai più l'età per
fare i capricci.››
~ Could it be that I now stand corrected,
could it be that I now stand affected by this blinding light.
Dovevo
dargli ragione. Ma ciò non toglieva che per me quello fosse un lento
stillicidio. Singhiozzai.
Chiara, Chiara, Chiara. Chiara.
Non riuscivo a pensare ad altro, in un momento
così. Di solito ero impegnato quanto bastava a permettermi di non abbassare
troppo la guardia... Quella notte le mie difese erano irrimediabilmente
crollate, fino all'ultima. Strinsi i pugni, mentre la pioggia riprendeva a
scrosciare. Improvvisamente divenne tutto molto più chiassoso: le voci della
gente che mi passava alle spalle erano più concitate, il rumore di passi
strideva sulle pozzanghere, le auto grattavano coi battistrada. Poi una frenata
repentina, una vecchia signora sciorinò una sfilza di improperi che avrebbero
fatto impallidire chiunque: non la vedevo bene, due automobili erano ferme al
passaggio pedonale. I fari fendevano violentemente il buio circostante, era
come fossi cieco.
- Nicholas...!
-
~ Big Ben breathing down my neck, again.
I feel my time just running out...
All this baggage that I'm carrying,
It's time to lay it down.
La campana del Big Ben suonò esattamente dodici rintocchi. Uno per ogni scatto dei suoi tacchi sulla strada. Rimasi immobile, certo di avere avuto un'allucinazione. Finii contro il lampione alle mie spalle e solo allora ebbi la certezza fisica che fosse reale. La sensazione di freddo contro la schiena, esattamente come il suo inconfondibile profumo.
- Sheep...!
- La sentii chiamarmi, ancora, ma ero troppo
preso, per rispondere.
Tuffai il viso fra i suoi
capelli, le accarezzai la schiena. le braccia, le spalle. Come a cercare
ulteriori prove ed annientare ogni dubbio. La sentii tremare appena e
realizzai: le automobili erano ripartite, le voci disperse... La pioggia
continuava a cadere incessante. Posai un bacio all'angolo delle sue labbra e
sentii il sapore del suo rossetto mischiarsi all'umidità dell'acqua.
-
Che cosa ti prende? - Mi ritrovai occhi negli occhi con lei. Teneva i palmi tesi
sulle mie guancie e cercava di sondare il mio sguardo stranito. C'era una vena
di panico in quel suo misurare le parole.
- Chiara. - Sussurrai.
-
Sì, sono io. Dannato imbecille...! - La sua voce ebbe un impercettibile
cedimento. Strizzò gli occhi scuri. - Guardati: sei fradicio, sconvolto, hai pianto...! Dio, Nicholas! Perchè te ne sei venuto qui, invece di aspettare Big Rob? -
Posai le mani sulle sue, incapace di articolare anche una sola frase di senso compiuto. Fissavo le gocce disegnare il suo profilo, incastrarsi fra le ciglia scure... Scattai in avanti e azzerai completamente la
distanza. Sentii il suo scatto leggermente sorpreso, ma non smisi di baciarla:
avevo la profonda, irreprimibile esigenza di assaporarla e riconoscere
millimetro per millimetro la forma, il calore di quella bocca. Era come una dose dopo trenta lunghi, estenuanti
giorni di astinenza.
-
Come sei arrivata fin qui? - Ritrovai improvvisamente il fiato, ma non mi
allontanai.
-
In aereo. Come se no? Poi la metropolitana. Mar mi ha dato l'indirizzo
dell'albergo.... E avrei preso quel taxi, se non avesse rischiato di investire
tre persone. - Le sue sopracciglia si inarcarono leggermente.
- Sei a Londra. - Appena formulai
quella frase, capii di essermi liberato di qualcosa. L'angoscia spasmodica di
poco prima era scomparsa completamente, per incanto. Poi vidi il trolley nero,
ribaltato ai suoi piedi.
-
Sì. - Mormorò. - E grazie al Cielo sono passata di qui. Ti ho riconosciuto. -
-
Chiara. - Ripetei. E poi la stavo baciando di nuovo, ancora e ancora. In un
anfratto della mia mente si dibatteva l'idea ansiosa che potessero esserci dei
paparazzi... Mi rifiutai di pensare che fossero in giro a quell'ora e con
quella pioggia.
-
Nick. - Mi abbracciò, premendosi il più possibile contro di
me. - Non fare follie, per favore. Torniamo in albergo. -
-
Non ho un centesimo. Quali follie vuoi che possa fare? - Ridacchiai. Col senno
di poi, no. Non ero fatto per agire
di istinto, senza finire male. - Chiamiamo qualcuno e facciamoci venire a
recuperare. -
{{
Vedi di riprenderti.
Le
vecchie cabine telefoniche come quella, ormai, si potevano contare poco più che
sulle dita di una mano: l'amministrazione cittadina aveva votato per
rimpiazzarle con moderne, anonime strutture di plastica trasparente. Chiusi la
pesante porta rossa alle nostre spalle e mi appoggiai alla parete... Guardai
Chiara mentre si passava le dita fra i capelli e li scrollava piano, cercando
di non bagnarsi più di quanto già non fosse accaduto. La sua valigia era
incastrata nel vano sotto l'apparecchio telefonico, io e lei avevamo lo spazio
minimo per muovere le braccia, respirare. Però eravamo all'asciutto, un po' più
al caldo, il resto del mondo era semplicemente làffuori. Sollevò gli occhi,
incuriosita e trovò i miei ancora incatenati ai suoi movimenti: seguii la sciarpa
che scivolava e liberava il suo collo leggermente teso, poi i bottoni che le
aprivano il cappotto anni cinquanta.
-
Telefona. - Mormorò, mordendosi il labbro.
Annuii,
ma - invece di estrarre lo smartphone - la imitai. Rimasi col burberry
completamente slacciato ed un groviglio di lana zuppa in mano: avvertivo il
ticchettio ritmico sul pavimento mezzo allagato. Mi fissava, sotto il nero
dell'eye-liner che risaltava
dannatamente il colore delle iridi... L'attirai in avanti e posai un bacio contro
la sua fronte fredda, nel tentativo di ritrovare un brandello di lucidità.
Tuffai la mano in tasca e, veloce, spedii un sms a Big Rob
con la nostra precisa posizione: non passò un minuto, che ottenni risposta. E
una velata minaccia di morte. Sorrisi: in quel momento non mi importava
affatto.
-
Tra mezz'ora sarà qui. -
Le
mie labbra furono subito sulle sue. Di nuovo. Lasciai scivolare le dita oltre
il bavero del trench e lo scostai quel tanto che bastava a divorarle la pelle
tiepida. Sentii il suo respiro accelerare, divenire irregolare per quanto
cercasse di evitarlo... Quei suoi piccoli mugolii soffocati erano come una
scossa ad intermittenza.
-
Nicholas. - Mi accarezzò i capelli e diede una leggera spinta all'indietro. -
Mi ucciderai, così. -
- Hai
una vaga idea di quanto io abbia bisogno
di te, ora...? - Sussurrai.
- Sheep... Anche io ho incredibilmente bisogno di te. Ma,
prima di ogni altra cosa, voglio lasciarti prendere fiato... E tornare in te
stesso. - Sfiorò le mie labbra, prima di ritirare timidamente la mano.
-
E' che... sei qui, capisci? E vorrei
portarti ovunque, farti vedere almeno un milione di posti diversi... - Non
riuscivo a non sorridere, a non guardarla o tenere le mani sulle sue. - Ci
vieni con me sul London Eye? -
-
Certo che ci vengo. Dove vuoi. Fino in capo al mondo, con te. - Avrei potuto
perdermi, in quei suoi abbracci. Noi due ci completavamo anche fisicamente. -
Non ho attraversato l'oceano per un week-end. Sono a Londra per restare. -
-
Restare. - Sillabai. - Restare. -
Ti amo.
~ A cup of tea, out on my own tonight.
Now I'm changing by this blinding light.
Staccai
la teiera dal suo supporto, prima che il borbottio dell'acqua in ebollizione la
svegliasse. Se c'era una caratteristica lodevole negli inglesi, era
quell'insana passione per il tè caldo. Potevo scegliere fra almeno dodici
miscele diverse. Sorrisi: mi sentivo tanto leggero da potermi beare di
qualsiasi piccola cosa positiva della mia vita. Chiara si rigirò fra le
lenzuola del mio letto, affondando leggermente nel materasso. Dormiva
profondamente.
-
Non svegliarti, angelo. - Mormorai.
Aprii
la finestra e sedetti sul davanzale ancora umido. Il MayFair Hotel era appostato in una stretta stradina laterale, protetto dal
caotico traffico cittadino... La mia suite - però - era arrampicata talmente in
alto, da permettermi di spaziare con lo sguardo oltre il palazzo di fronte,
fino agli alberi di Hyde Park. Ci saremmo andati l'indomani
mattina, prima delle prove: in mezz'ora dentro quella cabina, io e la mia Chiara avevamo formulato tanti
progetti da poter riempire dieci anni e non il solo mese che ci aspettava,
prima del rientro a NY. Per noi. Bevvi
un lungo sorso del mio earl grey bollente
ed osservai lo spicchio di luna crescente brillare in lontananza. L'indomani
sarebbe stata una bella giornata.
Londra, nella mia personalissima esperienza e
visione dei fatti, significava per lo più amore.
Londra.
~ Foolishly, I fall.
{ London Foolishly - Nick Jonas }