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Autore: Rohchan    20/10/2010    4 recensioni
Dalla double drabble, COLORE:
Un giorno, tanti anni prima, quando ancora tutto era luminoso e perfetto.
Aspettavano Kakashi, e l’idea era stata di Sakura.
Sasuke aveva deciso, dopo essere stato costretto a giocare, che sarebbe stata lei la strega; la ragazzina non aveva obiettato; tutto, pur di giocare insieme.
Piccola sfida tra Rohchan ed un mito come Elos. Sono impazzita, sì.
Genere: Generale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Lo so, lo so.
Non ci posso credere nemmeno io. Meglio che non guardo quanti mesi sono passati, vah, che sennò mi vergogno ancora di più. Ugh.
Ringrazio sentitamentissimamente RYANFOREVER, ELOS E SLICE, la prima e la terza per il commento che mi ha aperto il cuore, quella di mezzo perchè oltre ad aver commentato ha avuto anche la pazianza di aspettarmi, santa donna.
Propongo di canonizzarla insieme ad Itachi, ecco. Io l'ho detto.

Per tutti gli altri, mi scuso davvero tantissimo per questo vergognoso ritardo...mi spiace tantissimissimo. Cospargo il capo di cenere e mi inginocchio sui gusci di noce implorando perdono. Spero vorrete leggere ancora le puntate seguenti di questa sfida, che sarà aggiornata da parte mia un po' alla svelta perchè non voglio far aspettare troppo Elos, fino a raggiungerla.

Grazie mille
Debby




GIOCO (flash fic, Shikamaru centric)

Shikamaru aveva sempre amato passare i pomeriggi a giocare a shoji con suo padre; quelli troppo freddi dell’inverno erano l’ideale per stare in casa, le gambe rannicchiate sotto al pesante kotatsu imbottito e con la tazza di the che lasciava scivolare fumo tiepido e profumato sulle pedine di legno d’eucalipto.
Anche quelli primaverili andavano bene, quando pioveva troppo per uscire ad esercitarsi con i suoi compagni di team, Ino e Choji, e anzi a volte capitava che l’amico si sedesse al tavolo con loro, una tazza di the anche per lui, a guardarli giocare mentre mangiava patatine.
D’estate poi era l’ideale, con la brezza gentile che scivolava sulle assi di legno dell’engawa. Era bello lasciarsi scivolare nella concentrazione del gioco cullati dal canto degli uccellini e dallo stormire lieve delle foglie in giardino, mentre il battere secco e ritmico del bambù che sgocciolava l’acqua della grondaia teneva il tempo del giorno che si fondeva nella sera.
Ma secondo lui, il fascino dello shoji cresceva a dismisura in autunno, quando c’era la nebbia ed i pomeriggi, se non i giorni interi, sembravano non passare mai; allora riflettere gli sembrava più semplice, e riusciva a vincere più spesso contro suo padre.

Col passare delle stagioni, Shikamaru s’era fatto un giocatore sempre migliore: i piccoli trucchi e strategie che gli erano stati insegnati perché potesse iniziare a giocare gli si erano cristallizzati nella mente, solidificandosi ed indurendosi come le fondamenta in pietra di un castello, ed attorno e sopra di esse il ragazzo aveva costruito strategie nuove, leggere come colonnati o possenti come segrete col soffitto a volta, ingarbugliate come la successione dei tratti di un complesso kanji o invece semplici ma letali come il volo di uno shuriken. E aveva lentamente imparato la sottile connessione tra il gioco e la vita, tra la scacchiera e la missione, tra le pedine ed i suoi compagni ed avversari: tanto più evolveva nelle mosse del gioco, tanto meglio riusciva a pianificare un’azione, proteggendo sé stesso ed i suoi e catturando od uccidendo i nemici.

Non solo; un giorno –non ha ancora deciso se bello o brutto: sa solo che era un giorno di sole tiepido e aria profumata- aveva anche scoperto che avere a che fare con una donna era come giocare a shoji. Una lunga, estenuante, difficilissima partita a shoji.
La partita in questione era, appunto, iniziata in un giorno di sole tiepido e aria profumata, e ancora non si era conclusa; la sua avversaria, insospettabile stratega col cervello fine come quello d’un generale, lo costringeva a studiare mosse sempre nuove per chiudere almeno la giornata con un punto di vantaggio.
Ma Ino lo lasciava sempre in pareggio, con la fastidiosa sensazione che in realtà non fosse poi il grande genio che tutti raccontavano; inclinava di un nulla la testa, socchiudeva leggermente gli occhi e lo guardava, le labbra schiuse in un’espressione di studiata innocenza, e mandava all’aria qualsiasi piano lui stesse covando.
Ma aveva stabilito che –forse- andava bene così.
Avrebbero giocato ancora.

HANAMI (double drabble, Naruto p.o.v. AUGURI- in ritardo- SCHEGGIA DI SOLE!!ndA )

La festa dei ciliegi in fiore.
Tutti erano a passeggio nel grande parco della Foglia: coppiette, famiglie, gruppi di ragazze coi cestini del pranzo ed il kimono della festa sedute sotto le cupole fiorite come belle bambole in un negozio e ragazzi alla ricerca – senza farsi notare!- della ragazza perfetta tra i rami carichi di fiori rosa, i cui petali volavano leggeri nella brezza primaverile.
Naruto era riuscito a trascinare lì Sasuke con l’inganno di una missione fasulla, e ora il compagno lo guardava truce con le braccia incrociate al petto, la divisa da ANBU terribilmente in contrasto con tutto quel rosa; nemmeno Sakura sembrava aver gradito, dopo aver scoperto che l’invito di Sasuke era nient’altro che una copia abilmente creata dallo scrivano dell’Hokage su richiesta di Naruto.
Il kimono tinta ciclamino con le lunghe maniche coperte di ricami di farfalle e piccoli fiori stava pagando al posto suo l’ira della ragazza; il nuovo Hokage sapeva che sarebbe stato salutare, per lui, non presentarsi alla vista della ninja per almeno tre giorni, se non voleva ritrovarsi le ossa rotte.
Ma Naruto era felice. Contemplava i suoi fiori più belli –suoi, suoi, suoi- nella cornice migliore che il villaggio sapesse offrirgli.

IRONIA (drabble, team Serpe, Sasuke centric)

Aveva giurato che avrebbe fatto da solo.
Avrebbe ucciso chi gli aveva portato via tutto, spazzato via il suo passato con la sola forza del suo odio.
Niente compagni, legami, nessun aiuto. Nessuno cui dover rendere conto, nessuna seccatura da trascinarsi dietro. Un solo passo, un solo ritmo.
Ma quando gli incubi lo tormentavano, quando il peso della vendetta lo accartocciava serrandogli la testa come una morsa, e ricordava che la sola medicina che conosceva era a decine di miglia di distanza e l’avrebbe rivista solo per ucciderla, scopriva che sentire altri respiri accanto al suo, nella notte, lo aiutava.

  
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