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Autore: Elos    24/10/2010    3 recensioni
La Terra del Ventitreesimo Secolo, pensa Yeshrael il Viaggiatore, Yeshrael il Drago, non è un posto in cui valga la pena di vivere: ma c'è qualcuno, forse, che meriterebbe d'essere salvato. Giunto con il compito di Osservatore a premergli sulle spalle, si troverà a fare i conti con il peso del dovere.
Non tutti i futuri sono già stati scritti.
Terza Classificata e vincitrice del premio Eylis consiglia al concorso La Stazione... e il Drago, indetto da Eylis.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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.primo giorno



Era cominciato tutto con un trillo d'orologio.

Quando l'orologio suonava significava che era ora di tornare a lavorare: emanava un breve trillo basso, musicale, e il quadrante di vetro scintillava riempiendosi di quelle che sembravano minuscole lucciole.
- Credevo avessimo detto... - Bofonchiò il ragazzo, sollevando l'orologio con due dita e reggendolo per la catena per poterlo osservare con un misto di fastidio e sospetto: - … che avrei avuto pausa per un paio di giorni. -
Il Capostazione, seduto accanto a lui sulla lunga panchina di legno di fronte ai binari, sorrise divertito:
- Non c'è pace per i giusti. -
- Dove vado? -
Il Capostazione alzò gli occhi verso la tabella degli orari. Era appena comparsa una stringa d'oro che luccicava sulla targa scura d'ebanite appesa ad una delle travi, scrivendosi una lettera alla volta per tutta la sua lunghezza.
- Vediamo, vediamo... Oh, Killarney. Un posto adorabile, Yeshrael, sei fortunato. -
Il ragazzo, Yeshrael, non ne parve convinto:
- C'è un mondo che si chiama Killarney? -
- C'è una città che si chiama Killarney. Su quel piccolo mondo siglato come Terra, te lo ricordi? -
- Uh. - Gemette il ragazzo, buttando indietro la testa e chiudendo gli occhi in una smorfia d'acceso disappunto. - Odio quel posto. Odio tutti i posti dormienti, ma quello più degli altri. -
Il Capostazione rise. Si mise in piedi lentamente, appoggiando le mani alle reni per stiracchiarsi con discrezione:
- Avanti, giovanotto, poche storie. Sei pronto? -
Lui mugugnò:
- Quanto tempo devo starci, stavolta? -
- Il tempo che serve. - Sentenziò il Capostazione, serenamente. - Non troppo a lungo, spero: se la memoria non m'inganna, tu ed io abbiamo ancora da concludere una certa partita a scacchi. -
Yeshrael soffiò tra le labbra socchiuse, alzandosi in piedi e cacciandosi le mani nelle tasche. Mentre seguiva il vecchio lungo la banchina - il treno rosso disteso sui binari come un enorme serpente di metallo - gli domandò seccato:
- Cos'è, ti diverte umiliarmi? -
Il Capostazione rise ancora, una mano già posata sulla maniglia della carrozza: spalancò la portiera e si fece da parte per permettere al ragazzo di passare.
- Ora... - Gli disse. - ... tieni bene a mente che lì non vedono nulla come te da oltre quattromila anni. L'orologio ti guiderà dalla persona che devi Osservare. Stalle dietro, ascoltala. Non raccontarle nulla di qui. -
Yeshrael sorrise mite, cominciando a salire la scaletta:
- Me lo dici tutte le volte. Ormai le regole le conosco. -
Il Capostazione assentì soddisfatto.
- Bravo ragazzo. - Allungò una mano per battergli una pacca leggera sulla spalla, gentilmente: - Sta' lontano dai guai. Da tutti i guai. -
Yeshrael sorrise:
- Sissignore. -
Cominciò a risalire la carrozza vuota mentre il vecchio chiudeva la portiera; si scelse il posto che preferiva, quello in fondo al treno, dove poteva appoggiare la fronte al vetro dei finestrini e, guardando fuori, vedere uno scorcio in movimento della locomotiva rossa.
Non erano trascorsi più che pochi minuti quando lo scrollone lieve del primo movimento arrivò fino al sedile di Yeshrael: sentì il cigolio familiarissimo delle ruote d'acciaio - secoli e secoli trascorsi ad ascoltarlo - e subito dopo il fischio della locomotiva in partenza. Alzò una mano a salutare il Capostazione, fermo sulla banchina, e questi ricambiò il gesto. Il treno scivolò rapido attraverso la Stazione, prendendo velocità, e in un attimo furono fuori: nel cielo azzurro e chiaro e ovunque che era oltre. Non c'era terra, non c'era mare, solo cielo dappertutto e nuvole chiarissime d'oro e rosa e un sole sempre basso, sempre al tramonto, che dava a tutte le cose gentili riflessi e sfumature pastello. Persa in mezzo a quei colori da pesca la Stazione era quasi una nube come le altre: solo, rossa e bruna.
Il treno fischiò dolcemente fendendo le nuvole. Puntava dritto verso il cielo, e Yeshrael vide le stelle splendere appena al di sopra della luce del sole, oltre lo strato più alto dei cumuli. La schiena gli pulsava per il desiderio di lasciarle uscire fuori e sfuggire alla carrozza, al treno, volando più veloce ancora alla ricerca d'una luna, ma poi fu tutto luce bianca e scintille chiare intorno a lui, dall'altra parte del finestrino, dentro la carrozza, e anche le ali smisero di dolergli.
Avevano raggiunto la Porta.



.primo giorno (solo un po' più tardi)



Da un certo punto di vista il lavoro di Yeshrael era vergognosamente semplice.
Era un lavoro dannatamente stancante, questo sì, e dannatamente complicato per tutte quelle regole che bisognava ricordarsi, tutte cose che non si dovevano fare, non si dovevano dire, non si dovevano dimenticare, ma dopotutto non c'erano poi molte decisioni da prendere: il Capostazione gli diceva dove andare, il treno lo portava a destinazione, l'orologio lo guidava. Era tutto banalmente semplice, davvero, non aveva mai bisogno di pensare troppo a cosa fare e come farlo.
Doveva solo sedersi e Osservare.
Dopo che il treno l'aveva scaricato oltre la Porta, a piedi aveva seguito le lucciole che dalla cassa dell'orologio erano schizzate fuori per indicargli la strada: tallonandole si era ritrovato in una specie di pub scuro dal bancone unto, con i tavoli troppo stretti e poca gente ad occuparli. Tutta la città era così, unta e stretta e scura e vuota. Non era per nulla graziosa, Killarney, anche se forse una volta lo era stata. Il cielo era verde. La terra nera. Mancava l'odore del vento - sapeva tutto di qualcosa di forte, lievemente alcoolico, che stordiva. Pece, petrolio, pensò Yeshrael.
Aveva ordinato un caffè. Gliene avevano portato uno allungato, chiaro, macchiato di panna. Il caffè era una delle poche cose che rendesse quel mondo tollerabile: lo beveva lentamente - era servito in un alto bicchiere panciuto di vetro - e ad ogni sorso ne approfittava per tener d'occhio la sua cosa da Osservare.
Era piccola ed era insignificante. Era femmina. Aveva i capelli in due bande lisce sul viso, la testa china ed enormi occhiali rotondi. Vestiva come sperasse di poter diventare trasparente - e, a giudicare dal modo in cui tutti la ignoravano, ci stava riuscendo benissimo.
Era piccola e non era insignificante, pensò Yeshrael. Bastava tenerla d'occhio per accorgersene ma, uh, strano, nessuno lo faceva! Guardavano tutti da un'altra parte: lei non era abbastanza bionda, né abbastanza alta o abbastanza bella o abbastanza strana per attirare l'attenzione, però la zuccheriera che aveva davanti alla tazza si spostava zigzagando sul suo tavolino, lentamente, senza che nessuno la toccasse.
La ragazza sembrò accorgersene tutto ad un tratto, perché allungò una mano di scatto e inchiodò il recipiente sul piano di legno. Si guardò intorno, con un'espressione di vago panico che si affievolì solo un po' quando dovette pensare che nessuno a parte lei l'avesse visto accadere.
Yeshrael la Osservò per tutto il pomeriggio.

La sua tazza tintinnava nel piattino ogni volta che lei si distraeva. I cucchiaini sembravano attratti dalla sua mano. La sua mano sinistra. Si incollavano alle dita ogni volta che li raccoglieva per aggiungere la panna o lo zucchero, e doveva far forza per staccarli. A giudicare dall'espressione, la cosa non la rendeva particolarmente felice.
In un mondo tutto fatto di umani, pensò Yeshrael, quella cosina minuta e trasparente era del tutto fuori luogo. Nessuno stupore che gliela avessero data da Osservare.

La seguì quando uscì dal pub. Forse era il tramonto - il suo orologio suggeriva fossero le sette di sera, ora locale - ma il cielo non era cambiato per niente: era sempre verde, di quel verde malsano che ci si aspetterebbe veder marcire in una palude e nelle pozze di muffa e di fango, non levato a dipingere il cielo.
La seguì lungo la via principale, poi in una strada laterale, poi in una viuzza, in un vicolo, una strettoia: e solo lì, lontano da tutto e da tutti, lei si girò a guardarlo. Si teneva la borsa stretta contro il petto e lo guardava cauta e sospettosa:
- Che cosa vuoi? -
Sembrava un topolino. Anche la sua voce era insignificante. Yeshrael le sorrise, alzando le mani per mostrarle d'averle vuote:
- Mi chiamo Joss. -
Joss, da quelle parti, era meglio che Yeshrael. Yeshrael era uh, e come si scrive? Da dov'è che vieni, tu, che cosa ci fai qui?, mentre Joss era semplicemente ah, be'.
La ragazza aggrottò la fronte e scosse la testa. Intimorita, fece un altro passo indietro e si strinse la borsa ancora più vicina per farsene scudo.
- Che cosa vuoi da me? - Insistette. Un topolino spaventato, pensò lui, ed aveva appena iniziato a mettere insieme una scusa, un po' di conforto, qualcosa che la tranquillizzasse, quando lei tirò su la faccia e, per la prima volta, incontrò apertamente il suo sguardo.
E i suoi occhi – stellacaduta pietradicielo apritiapriticielo - i suoi occhi non erano insignificanti.






Note: Un grazie di cuore a Killuale94, che ha commentato lo scorso capitolo, per i meravigliosi complimenti.
Ho aggiornato questa settimana perché domenica prossima sarò a Lucca (*_*), e il capitolo precedente era in ogni caso molto, molto breve. Da qui in avanti si aggiornerà ogni due settimane, probabilmente, sempre di domenica. Deciderò in corso d'opera se aggiornare più spesso o diluire gli aggiornamenti, tutto dipende da una serie di fattori! xD
Al prossimo capitolo!
  
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