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Autore: Mikayla    03/11/2010    5 recensioni
La notte, Sasuke sentiva il rumore delle catene. E lo seguiva.
Lo inseguiva come se per lui non ci fosse un domani.
E, forse, per lui davvero non ci sarebbe stata un'altra alba.
[Sasuke x Naruto] [Itachi x Naruto, implicit]
[Per fw.it. Prompt: rumore di catene]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri, Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha | Coppie: Naruto/Sasuke
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Bacio di Sangue.





La porta si aprì e un uomo in camice ne uscì pensieroso «Cerchi di dormire, signorino Sasuke» raccomandò nuovamente prima di chiudere la porta alle proprie spalle.
Lanciò un’occhiata confusa alla porta, scosse il capo e scrollò le spalle impotente prima di avviarsi lungo il corridoio. Esitò un paio di volte lungo la strada, ma arrivò comunque presto allo studio del padrone di casa.
Si sistemò gli occhiali sul naso e bussò alla porta. Entrò senza permesso e aspettò che l’altro si accorgesse della sua presenza.
«Cos’ha mio fratello, dottor Kabuto?»
Una domanda asettica, priva della minima traccia di timore per la salute dell'altro. Non proprio quello che ci si aspetta da un fratello maggiore premuroso e pieno di attenzioni per il fratellino.
Kabuto si strinse appena nelle spalle «Il signorino non ha nulla che non va» dovette ammettere. «La febbre era dovuta ad una semplice influenza… in quanto al resto non ha nulla che non vada, clinicamente parlando.»
La penna si fermò a metà di una parola e lo sguardo nero del padrone di casa si posò pesante sul dottore, quasi a volerlo trapassare da parte a parte. «Cosa vuole dire? Clinicamente parlando?»
Non era ammissibile che un membro dell’antico casato Uchiha potesse avere tare genetiche o problemi di qualunque genere. Nella sua famiglia, per ovviare a quei problemi, non si erano risparmiati reati di infanticidio mai scontati a causa della loro influenza.
Kabuto al momento si trovava nella delicata posizione di sfatare tale mito; il che avrebbe messo fine alla sua carriera di medico quasi con certezza assoluta. Eppure provava una soddisfazione non idifferente per poter indicare con fermezza una macchia su quel potente clan.
«L’assistere al massacro della propria famiglia ha turbato psicologicamente il signorino: tutto ciò che gli accade è solo nella sua mente, frutto dei suoi più reconditi timori––»
«Gli Uchiha non temono nulla» lo interruppe Itachi posando la penna e incrociando pensieroso le mani sotto il mento. Non poteva permettere che il genocidio del proprio clan a parte di uno dei suoi membri, mentalmente squilibrato, arrecasse più danni di quanto avesse già fatto. Insabbiare il tutto gli aveva portato via il sonno per più di un mese, e le grida notture di Sasuke non lo avevano di certo aiutato.
Kabuto fece un cenno d’assenso, benché per nulla concorde «Se lei mi lasciasse fare alcuni interventi, forse potrei ottenere dei risultati per quanto riguarda...» tentò per l’ennesima volta di convincerlo. Nei quattro anni che aveva avuto Sasuke in cura, Itachi non gli aveva mai accordato il permesso di fare test o prelevare del sangue per esaminarlo. Era ormai ossessionato da quel ragazzo magrolino ed emaciato, così prezioso per l’insensibile Itachi.
«Non userà mio fratello come cavia da laboratorio» chiarì immediatamente il padrone di casa, perdendo interesse nella presenza del dottore e tornando al proprio lavoro.
«Allora fareste meglio a rinchiuderlo in un istituto di igiene mentale» sbottò infastidito, con un sorrisetto sadico sul volto «Mentre delirava per la febbre ha detto di sentire un rumore di catene per la casa» lo istigò di proposito.
Avrebbe avuto Sasuke, era una delle poche certezze che aveva. E avrebbe potuto fare di lui tutto ciò che avrebbe voluto.
Itachi scrollò le spalle per nulla sorpreso «È una vecchia casa: è piena di rumori e scricchiolii. Se il vento arriva da est, nell’ala ovest sembra di sentire il pianto di una donna» sdrammatizzò.
Il rumore della penna sul foglio si frappose tra i due, e Kabuto cedette per primo.
Abbassò il capo in una finta riverenza e si voltò per uscire «Se dovesse peggiorare chiamatemi» consigliò come d’abitudine, certo che non lo avrebbero fatto se non in caso di vera emergenza «Domani manderò uno psicoterapeuta per parlare con Sasuke. Sempre che non temiate che lo scambiare due parole con un’altra persona possa nuocergli...»
Kabuto non ottenne soddisfazione da Itachi, impassibile a quel suggerimento per nulla innocente, e se ne uscì dalla stanza astioso. 
Poco dopo la penna smise di muoversi e Itachi voltò le spalle alla scrivania per guardare dalla finestra dello studio. «Rumore di catene?» si domandò sottovoce, rabbrividendo inconsciamente «Possibile che sia lui


 

«Signorino, le ho portato il pranzo» annunciò il maggiordomo entrando nella stanza di Sasuke. Si fece strada nel buio, ringraziando che il padroncino fosse ordinato e così lui non dovesse rischiare l’osso del collo solo per salvare il vassoio colmo di pietanze.
Perché il cuoco insistesse a mandare quei manicaretti a Sasuke, lui non se lo spiegava ancora: da quando era stato assunto, aveva visto sparire dal vassoio solo poche pietanze, tutte contenenti dei pomodori, e a volte neppure quelle.
Trattenne uno sbuffo e poggiò il tutto sul tavolino.
Sasuke avrebbe potuto passare per un bello addormentato, se Iruka si fosse dimenticato d’aver aperto personalmente le tende quella mattina alle otto, e aver vestito il signorino prima di costringerlo a fare colazione.
«Oggi avete ospiti, signorino. Vostro fratello ha preso accordi con il maestro di musica per spostare la lezione in altri momenti: per cinque ore a settimana dovrete dedicarvi al signor Hatake» comunicò in velocità mentre si accostava alle tende per aprirle nuovamente e lasciare che la luce del sole rendesse meno tetra quella stanza spoglia.
In un eccesso di zelo spalancò le finestre per far cambiare l’aria viziata, ottenendo un ordine secco e quasi feroce da parte di Sasuke, che dimostrò d'essere sveglio e vigile «Chiudila immediatamente.»
Iruka eseguì in fretta, annotandosi di dover arieggiare la camera senza che il signorino potesse venirne a conoscenza. L'odore per nulla salubre della recente malattia sembrava impregnare irrimediabilmente la stanza.
Il diciottenne Sasuke Uchiha restò immobile in piedi, rivolto alla finestra. Il suo sguardo era perso oltre Iruka, ma non fuori dalle vetrate: erano i pesanti tendaggi ad attirare morbosamente la sua attenzione.
«Vi si rovinerà la vista se continuerete a leggere al buio» si premurò di fargli presente Iruka, con tono gentile. Nonostante tutto non riusciva a prendere in antipatia quel ragazzino troppo cresciuto per la sua età; sentiva in sé di avere il dovere di proteggerlo, e non solo perché era al suo servizio.
Per quanto apparisse altero e forte, Sasuke era sull’orlo di spezzarsi in piccoli frammenti, mai più ricomponibili. La prima crepa si era formata all’età di sei anni, la notte in cui perse ogni suo caro, ma era stata presa alla leggera e non si era mai rimarginata.
«Sono destinato ugualmente a divenire cieco» sbottò irritato Sasuke, prendendo posto al tavolo  per semplice abitudine. «Chi è il signor Hatake?»
Iruka espose le pietanze e colmò il calice con del vino rosso, poi snocciolò le informazioni che Uchiha desiderava «Hatake Kakashi è uno psicoterapeuta. Il dottor Kabuto crede che gioverà alla vostra salute. Il signorino Itachi ha controllato personalmente le sue credenziali prima di lasciarlo avvicinare alla villa e a lei.»
Sasuke mescolò un paio di volte il cibo che si trovò di fronte e poi abbandonò il cucchiaio al suo destino. Bevve un sorso di vino e si alzò dal tavolo «Quando arriva portatelo nella sala da musica: passerò il pomeriggio a esercitarmi» annunciò prima di congedarsi.
Il maggiordomo guardò sconsolato il piatto ancora intatto e si lasciò scappare un sospiro affranto «Spero che questo Hatake possa fargli almeno tornare l’appetito: se continuerà così diventerà trasparente...»
Spalancò le finestre facendo entrare l’aria frizzante. Raccolse i libri abbandonati tra le coltri del letto a baldacchino posandoli sopra al comodino; sprimacciò i cuscini e ravvivò le coperte.
Fu con noncuranza che raccolse da terra il fagotto che era caduto a terra con un tonfo. L’odore di sangue era nauseabondo, ma Iruka non se ne curò: ripose il coltello accanto ai libri e portò via i panni insanguinati con il pranzo intonso.


 

«Non ho mai sentito questo pezzo, chi è l’autore?»
La voce di Hatake interruppe la melodia del pianoforte. Le dita di Sasuke fremettero sui tasti bianco e neri, ma abbandonò ugualmente lo strumento.
«Hatake, suppongo» evitò la domanda voltandosi nella sua direzione quel tanto che gli permettesse di squadrarlo in velocità. E quello che vide non gli piacque.
«Siete strano per essere uno strizza-cervelli: la maschera vi serve per non essere contagiato dalla pazzia dei pazienti?» scattò offeso da quell’insolenza: possibile che suo fratello avesse accettato di far venire alla villa un tale strano tipo?
Kakashi si sedette sul divano e sorrise sotto alla maschera «Credo che le presentazioni non siano necessarie, Sasuke. Quel pezzo lo hai composto tu?»
Uchiha storse il naso a tanta informalità, ma non lo diede a vedere «Non chiamatemi per nome, Kakashi» rimbeccò spiccio «Non ho mai composto nulla, perché vi interessa?»
Lo psicoterapeuta scrollò le spalle noncurante «Itachi ha fatto tante storie perché tu non saltassi le lezioni di piano, pensavo fossi destinato a diventare un grande pianista» buttò là senza tanto pensarci.
Le dita di Sasuke affondarono in un accordo di do, interrotto immediatamente «Un pianista non deve necessariamente anche comporre» corresse per puro istinto di contraddizione.
Quel Kakashi non gli piaceva per nulla, e men che meno l’idea di dover trascorrere cinque ore a settimana con lui.
La risposta congelò la stanza come il soggetto di un dipinto a olio. Entrambi restavano immobili in attesa della mossa dell’altro. Ma Kakashi era in vantaggio, e questo Sasuke lo sapeva fin troppo bene.
Spostò la propria attenzione sulla tastiera e riprese a suonare esattamente dall’ultima nota che aveva lasciato, facendo così proseguire la melodia come se non fosse mai stata interrotta dall’arrivo dell’esperto.
Non toccava a lui mantenere viva la conversazione, non aveva alcun obbligo nei confronti di quello sfacciato e insopportabile psicoterapeuta: era Kakashi a doverlo fare parlare, il suo lavoro stava solo in questo. E Sasuke non lo avrebbe aiutato a farlo.
Se fosse riuscito a liberarsi di lui come aveva fatto con tutti coloro che avevano provato ad avvicinargli in quegli anni sarebbe potuto tornare a dedicarsi completamente alla musica.
Kakashi non ne sembrò minimamente dispiaciuto, e si godette l’esibizione perfetta ad occhi chiusi. Quando Sasuke sollevò l’ultima nota ebbe perfino il coraggio di applaudirgli, facendolo infuriare ancora di più.
Odiava avere pubblico, e uno strizzacervelli non rientrava in quei pochi esseri che a suo parere avevano diritto ad ascoltarlo.
«La maschera mi serve per mantenermi anonimo: le persone si sentono più libere di parlare se non vedono l’espressione che fa colui che hanno davanti» disse all’improvviso Kakashi, rispondendo alla prima domanda di Sasuke.
Il signorino si era perfino dimenticato di avergliela posta, e ci impiegò qualche secondo in più per capire di cosa diavolo stesse parlando e perché a suo parere ciò gli sarebbe dovuto interessare.
Non rispose a quell’affermazione, e spostò lo spartito per prenderne un altro. Ma Hatake lo bloccò nell’atto «Sono sicuro che sei anche capace di comporre, vero Sasuke?» gli domandò con un sorriso palesemente finto nella voce.
Uchiha si prese qualche istante prima di rispondergli, e lo fece solo in virtù del fatto che era stato Itachi a permettergli di entrare lì.
«Sono stato obbligato a fare delle lezioni di composizione, sì. Perché è così importante?» Non gli piaceva per nulla tutto quell’interesse che mostrava per la sua musica. Ma in effetti non c’era nulla di Kakashi che gli piacesse fin da quando era entrato in quella stanza.
Lo psicoterapeuta annuì lievemente con il capo «Potresti suonarmi tuo fratello Itachi?»
Sasuke alzò lo sguardo sull’uomo, e lì per lì decise che la sua richiesta era lecita. Ad ogni modo si trovava di certo più a suo agio con la bocca chiusa e concentrato sul pianoforte, piuttosto che essere forzato a rispondere a qualche assurda domanda piena di doppi, o perfino tripli sensi.
Un sol, un do e un la si susseguirono lentamente. Re, si, fa e mi. Lo ripeté tre volte, senza mai aggiungere gli accordi della mano sinistra, alzandolo di un ottava la prima volta, abbassandolo di una le altre due.
Kakashi non conosceva il maggiore degli Uchiha, e quindi non avrebbe mai potuto dire se quella melodia leggermente stonata, completamente priva di mezzi toni, lo rappresentava davvero. Quello di cui era certo, però, era ciò che traspariva dal signorino mentre la suonava.
Affetto cristallino incrinato da sospetto, invidia e gelosia. Tutte cose che non sarebbe mai riuscito a cavargli di bocca neppure dopo mille anni di domande e risposte evasive.
Trattenne l’istintiva curiosità di domandargli di suonare sé stesso o lui, e passò alla questione che preoccupava sia Kabuto che Itachi. «Suonami la notte.»
Sasuke gli lanciò un’occhiata impercettibile e un leggero ghigno gli increspò le labbra. La piccola serenata notturna di Mozart riempì l’aria, frizzante.
Kakashi sorrise in risposta a quella provocazione, e capì perfettamente che lo stava mettendo alla prova, sfidandolo. Non lo avrebbe rispettato se non gli avesse dimostrato d’essere alla sua altezza. E difficilmente qualcuno sarebbe mai potuto essere degno, secondo il parametro di valutazione degli Uchiha.
«Molto piacevole, il notturno di Mozart. Ma io chiedevo il tuo, di notturno» richiese con una calma che avrebbe dato ai nervi a chiunque «C’è chi la notte sente il silenzio, chi il cicalare dei grilli, chi il gufo e chi l’usignolo. Altri invece si soffermano sugli scricchiolii delle vecchie case… o il rumore di catene» lo provocò.
E la provocazione andò a buon fine. In quello strazio di note c’era dolore, e il bisogno di sfogarlo; era la necessità di espiare a una colpa annidata in fondo all’anima, marchiata a fuoco nel suo essere.
Kakashi represse l’istinto di portarsi le mani alle orecchie per non sentire e non venir coinvolto in tutta quella disperazione. Fu contento d’avere la maschera sul volto, perché se Sasuke si fosse voltato in quel momento avrebbe visto lo sconcerto dipinto sul suo volto.
Ma una volta finito di suonare e sfogarsi, Sasuke chiuse il piano e lasciò il proprio posto, dirigendosi verso la porta della stanza. Solo una volta che fu fuori da lì si voltò verso il proprio ospite «Concludiamo qui» si congedò, palesando il desiderio di non fare altre sedute «Non è stato un piacere conoscerla.»
«Il piacere è mio, temo» riuscì a dire Kakashi prima che se ne andasse definitivamente. «Il piacere è davvero solo mio» ripeté a se stesso. Uchiha Sasuke si sarebbe rivelato un caso particolarmente interessante da seguire, per una volta avrebbe concordato con Kabuto. Sarebbe stata una sfida aiutarlo, ma era certo che ci sarebbe riuscito.


 

Nella propria stanza Sasuke alzò lo sguardo dal libro che stava leggendo e controllò l’orologio. La mezzanotte era passata da quasi una mezz’ora, e forse finalmente Iruka si era addormentato mentre faceva la guardia alla sua stanza.
Itachi aveva il pessimo difetto di voler controllare ogni cosa, e da quando lui aveva smesso di dormire la notte il fratello maggiore aveva fatto in modo che ci fosse almeno un servitore appostato alla propria porta.
Ripose il libro sul comodino e afferrò il coltello che Iruka si era premurato di ripulire ma non far sparire. Talvolta Sasuke aveva l’impressione che il maggiordomo sapesse cosa stava succedendo, e non gli mettesse i bastoni tra le ruote di proposito.
A riprova di ciò, quando uscì dalla propria stanza, Umino stava fingendo di dormire, appollaiato sullo scomodo trespolo che gli era stato fornito per fare la guardia.
Nel silenzio della casa buia, Sasuke avanzò per i corridoi guidato solo dal proprio istinto. Evitò ogni ostacolo senza neppure accorgersi della sua esistenza sul suo cammino.
Quando imboccò le scale per la soffitta il rumore di catene si fece udire. «Naruto» chiamò lui sottovoce, avanzando nell’oscurità. Ora era quel suono a guidarlo, perché Naruto non si trovava mai nello stesso posto, e la soffitta era troppo vasta perché lui potesse trovarlo senza aiuto.
La prima volta che lo aveva incontrato era stato due anni prima. Nel cuore della notte si era svegliato con la sensazione di cadere, e una volta con gli occhi aperti si rese conto che si trovava in bilico sul davanzale della finestra in una delle vecchie sale per gli ospiti.
Con il cuore in gola era tornato con i piedi sul pavimento, e un attacco di iperventilazione lo colpì, facendolo annaspare alla ricerca d’aria.
Allora sentì per la prima volta il rumore di catene.
Per un istante pensò di morire, ma poi il respiro si regolarizzò e Sasuke si trovò a seguire quel suono senza alcun timore. Non sapeva perché, ne era irrimediabilmente attratto.
Raggiunse la soffitta senza alcuna difficoltà, e lì trovò Naruto; avvolto in un kimono di seta arancione, con una kitsune a nove code ricamata in fili d’oro, sedeva con il volto nascosto nelle ginocchia, braccia e gambe incatenate al pavimento.
«Sas’ke!»
Il ragazzo si trovò davanti Naruto proprio come la prima volta, e lo raggiunse prima che potesse pronunciare nuovamente quel richiamo melanconico, che stonava completamente con l’allegro sorriso che aveva marchiato sul volto.
Per quanto soffrisse, Sasuke non aveva mai visto quel sorriso svanire. Doveva essere morto piangendo, però, perché erano più che visibili le scie di lacrime sulle sue guance, segnate da piccoli graffi che deturpavano il viso fanciullesco.
La storia di Naruto era triste.
Sasuke aveva controllato gli annali delle biblioteche, per sapere cosa gli era successo: Naruto non aveva mai parlato della cosa, e probabilmente non lo ricordava neppure più.
Trecento anni prima, decade più, decade meno, la famiglia Uzumaki abitava in quella villa e Naruto era l’unico figlio ed erede universale dei beni delle due più importanti famiglie della regione. Uzumaki e Namikaze possedevano i quattro sesti dell’intero territorio, e l’unione delle due famiglie era stata vista come una manovra politica.
A pagarne lo scotto fu Naruto: i genitori vennero assassinati, e il bambino di soli quattro anni fu accusato d’essere l’ospite di un demone e fu preso in custodia da un certo Danzou. A questo punto le notizie su Naruto erano state insabbiate, ma Sasuke non aveva avuto difficoltà nel ricostruire i successivi dodici anni della sua vita: era stato incatenato lassù, in soffitta, privato di qualunque cosa finché dopo la morte di Danzou si erano semplicemente dimenticati di lui.
«Ti ho sentito suonare il piano, Sas’ke, perché non mi avevi mai fatto sentire nulla?» gli domandò colloquiale. Il senso di quella domanda però non aveva nulla a che fare con il pianoforte, e Sasuke lo sapeva.
Si avvicinò a dov’era incatenato e gli sfiorò la guancia con l’indice, facendo il solito, vano tentativo di cancellare le tracce delle lacrime. «Non mi piace suonare il piano. Lo faccio solo perché è ciò che ci si aspetta da me» gli confessò la verità con una facilità che non gli apparteneva.
Solo Naruto era in grado di strappagli direttamente dal cuore la verità. Persino suo fratello non riusciva scorgere al di là della maschera da Uchiha che gli avevano messo addosso come un cappio al collo. Lui invece quella barriera l’aveva attraversata con la facilità che si ha nell’attraversare l’aria.
«Non suonare, Sas’ke. Non mi piace quando suoni» gli disse con voce supplice e infantile. I suoi occhi azzurri si velarono di rosso e la pupilla si allungò «Non voglio che cambi, Sas’ke; devi restare come me, con me» continuò artigliandogli il braccio con uno scatto che fece tintinnare le catene ai suoi polsi.
Il cambiamento repentino di Naruto non spaventò Sasuke, fin troppo abituato a quegli sbalzi. Era come se Naruto avesse davvero un demone al proprio interno, che prendeva il sopravvento quando qualcosa lo preoccupava: l’autosuggestione l’aveva portato a sviluppare due personalità ben distinte, e ora Sasuke doveva affrontare il demone che aveva ribattezzato Kyuubi.
E l’unico modo che aveva trovato per riportarlo alla normalità richiedeva un sacrificio.
«Succederà come con Itachi, non è così?»
Occhi sempre più rossi, voce più bassa e un ringhio nella voce. E il rumore delle catene mentre le sue unghie si conficcavano nell’avambraccio del ragazzo.
«Un giorno mi lascerai qui, e non verrai quando ti chiamerò.»
Il turchese era solo un vago ricordo delle belle giornate di sole; ora il cielo si era preparato per un tramonto di tempesta. E il tuono rombò, assieme al suono della pioggia che cade.
«Guarda me, Naruto, non lui» gli disse con voce bassa Sasuke, prendendogli il viso tra le mani, passando l’indice sui canini più affilati.
Aveva una fiera davanti, ora. E reclamava molto più di semplici parole; voleva una prova tangibile.
Naruto gli azzannò la mano, osservandolo dritto negli occhi per poter ammirare la reazione impaurita. Ma Sasuke non indietreggiò. Al contrario si sporse in avanti con il viso, baciandogli la scia di lacrime salate. Eppure per quanto vi passasse sopra la lingua esse non sarebbero mai sparite da lì.
Il morso si allentò, e Sasuke sostituì la propria bocca alla mano, dando vita a uno scontro che assomigliava più a una lotta che a un bacio. Le loro lingue si scacciavano, e Naruto continuava a morderlo fino a sentire il sangue dell’altro sulle proprie papille gustative.
Un bacio di sangue.
Un patto.
Un bagliore d’azzurro balenò in tutto quel rosso, e per un istante i due si guardarono «Non sono un vampiro, Sas’ke. Provare con il sangue che resterai qui con me per sempre è inutile» gli disse Naruto in un attimo di lucidità.
Lui si rendeva conto dell’assurdità della cosa, ma l’altra metà di sé era lieta di poter legare così Sasuke a sé. Gli apparteneva, perché era il suo sangue che gli scorreva dentro.
«È un patto siglato dal sangue, non un’offerta» rispose per le rime. «Perché l’ho giurato anni fa: non ti lascerò solo.»
Benché le parole fossero inutili, così non era stato il sangue versato: il cremisi delle iridi di Naruto fu assorbito dal rivolo di sangue che gli scendeva dal labbro e l’azzurro tornò a farsi vedere, limpido.
Con gli occhi liquidi di senso di colpa accettò tra le proprie braccia Sasuke, crollato su sé stesso per l’eccessiva perdita di sangue.
Naruto lo tenne stretto a sé, passandogli le dita affusolate tra i capelli corvini. Si chinò su di lui, posandogli piccoli baci sulle labbra cianotiche, mormorando parole insensate in un’incessante litania.
«Scusami» ripeté a più riprese, tra un singhiozzo e un bacio, tremando in quell’abbraccio a senso unico «Scusa se ti amo.»


 

Quando Itachi si fu abituato alla poca luce che dalla finestra filtrava in soffitta non fu difficile distinguere la figura di Sasuke in piedi, davanti al nulla.
Lo osservò estrarre il coltello da una tasca e prima di riuscire a muovere un passo vide la punta affilata affondare nell’avambraccio, scendendo fino al polso. Poteva vedere anche da lì che non era sufficientemente profondo per ucciderlo, ma il farlo ogni sera l’avrebbe privato di troppo sangue.
Infatti non dovette aspettare troppo per vederlo collassare su se stesso, e rannicchiarsi in posizione fetale, come in attesa di una carezza da parte di qualcuno.
Mentre avanzava verso il fratello per soccorrerlo, le dita di Itachi si spostarono sotto le maniche della camicia, sul polso. Serpeggiarono lungo la cicatrice in rilievo che saliva dal polso per un paio di centimetri.
Quella volta, lui aveva avuto paura. Si era fermato prima che potesse essere troppo tardi.
Non era stato testardo come Sasuke: lui aveva tradito Naruto, e dal giorno stesso che aveva ignorato quel rumore di catene non lo aveva più visto.
Itachi si era ritirato, davanti a quella semplice, e terribile, richiesta d’amore.







Note:
Mi rendo perfettamente conto che questa storia sembra non avere né capo né coda ma... così è venuta. Per quanto io abbia provato a farla andare diversamente nessuno mi ha ascoltata.
Spero comunque che non vi dispiaccia troppo.

   
 
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