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Autore: Astrid 5E    10/11/2010    0 recensioni
Premessa: questo primo capitolo non centra molto con il capitolo seguente, ma introduce un'altra parte che si aggiungerà in seguito. Per il momento immergiamoci, nel vero senso della parola nell'avventura di questo ragazzino che si trova in mezzo al mare, inerme. Buona lettura! Spero piaccia a tutti!
Genere: Comico, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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 L’acqua è fredda. Gelida, per l’appunto.
Ma questo penso non interessi molto a nessuno. Il punto più importante è che sto annegando.
Di solito, o forse pare solito soltanto a me, quando una persona annega, qualcuno la viene a salvare. È quello che succede sempre in tutti i film del mondo! Cavolo!
Ma io sono qua. In fondo al mar. E a questo punto tutto andrebbe a finire per il meglio  se adesso comparisse la Sirenetta.
Ma la Sirenetta, Ariel, non esiste. Forse. Mah, io non l’ho mai incontrata, seriamente.
…  Ma non è questo il punto! Sto annegando! An.ne.gan.do! possibile che nessuno se ne sia accorto? Eppure dovrebbe essere così.
Perché a “Greek “o “ salvate il delfino Flipper (lo so che il titolo non è così, ma cosa pretendete da uno che sta annegando e ha ossigeno sufficiente a rimanere cosciente?)”, ogni volta che annegava qualcuno, i soccorsi piombavano la e lo salvavano?! Perché con me non succede lo stesso? Dovevo firmare un contratto migliore?  Sì, magari che aveva anche una assicurazione sulla vita. Eh, a pensarci prima! Ormai il danno è fatto, non si può tornare indietro (ma quale contratto?).
E tu, pesce dalla forma incerta, spostati, occupi la mia aria! …
… Ma … sto … delirando? Mi sa tanto di sì.
Bah. Ormai che importa? Sto annegando, che importa di quello che farò da grande? La mia vita sta finendo …
E proprio quando inizio a deprimermi cercando di pensare a tutte le cose più tristi della mia vita (come se la situazione in cui mi ritrovo non sia già particolarmente deprimente), la vedo.
Vedo quella mano immergersi in acqua e aprirsi a fatica, contrastando la pressione.  La corrente le rende difficile raggiungermi. Corrente? Ma in che razza di posto sono annegato? Lago? fiume? Mare? Oceano? (qua la mia voce, o almeno quello che ne rimane nella mia testa, emette un grido soffocato).
La mano continua ad avvicinarsi, forse ce la fa. E allora perché arrendersi? Ho la possibilità di continuare a vivere, perché rinunciare? Allungo, con le mie ultime forze, la mano, nella direzione dell’altra che ormai, si sta talmente allungando per prendere me, da far entrare in acqua anche il poderoso braccio muscoloso e peloso.
Insieme ci spingiamo, uno verso l’altro (io quasi inerme), come una scena di quei vecchi film basati sui soliti temi triti e ritriti dell’ “amore”, del “come ci vogliamo bene” e della “solidarietà fra perfetti sconosciuti (che non si conoscono nemmeno e si aiutano a vicenda entrando ognuno nelle faccende personali dell’altro)”.
E finalmente, tra allunga e allunga, riusciamo a raggiungerci a vicenda. Il tocco con un’altra forma di vita mi dà vigore e mi aggrappo, con tutta la forza rimasta, alla mano. Il mio peso non sembra metterle difficoltà. Pian piano, mi sento trascinare su e ricomincio a sentire i suoni esterni: c’è un gabbiano, dei rumori giù al faro, un forte rumore di un qualcosa che non ho ancora capito bene cosa sia e una risata. Una grossa grassa risata. Una risata familiare,oh se familiare.
Non aprire gli occhi, non aprirli. Rimani con il mistero, non aprirli o rischieresti di distruggere ogni tua buona aspettativa.
Ma ingannare i sensi è difficile e non ci si riesce facilmente.
Rimettendo la testa fuori dall’acqua e inspirato l’ossigeno sufficiente, i miei neuroni hanno ricominciato a funzionare e ho ripreso coscienza di tutto quanto. Perciò adesso, non aprirli …
Spalanco gli occhi. E chi mi ritrovo davanti? Il faccione enorme e sorridente di mio padre! Quell’omone alto due metri, largo come due armadi messi uno vicino all’altro che se la ride vedendomi aggrappato con le braccia stretto al suo manone (all’inizio l’avevo giudicata più piccola, quella mano; forse per il poco ossigeno in zucca?).
<< Papà! >> azzardai, un po’ infastidito dalla risata tuonante di mio padre, agghindato come un marinaio provetto, con tanto di berretto (che sembra stia scoppiando tra le sue grosse corna) e maglioncino a righe bianche e blu (anche quello non fa una gran bella figura e sono certo che prima o poi si romperà ) di qualche taglia – diciamo qualche per non aggravare la situazione del maglioncino (non esistono taglie adatte al petto esageratamente muscoloso di mio padre)- più piccola.
Lui, dal canto suo, che fino ad un attimo fa se la rideva allegramente, ora, mi squadra con occhi impetuosamente malefici e mi butta giù, sul ponte della nave.
<< Che cosa hai detto, microbo? >> mi dice con tono tetro e spettrale, abbassando il faccione verso il mio, facendolo sembrare così, molto più grosso di prima.
<< Ehm, … padre >> risposi, confuso, con la faccia ancora rossa. Papà mi fissa ancora, mi guarda bene negli occhi, come per entrarci dentro. Rimane così per un po’. Poi alza la testa verso il cielo, in espirando e poi uscendo sene con un’altra gaiosa risata.
<< Bravo, bravo. Così ci si comporta >>  sorride, mentre mi dà dei colpetti  sulla testa e che dovrebbero essere carezze se non fossero date con quella mano enorme.
<< Abel, cosa sta succedendo? >>. Mia madre sta venendo  verso di noi volando.                                                << Le solite cose, Marylin, le solite cose >>  risponde mio padre e alla fine viene fuori che stavo annegando  nei pressi del motore della nave, perché ero inciampato su una saponetta ed ero caduto dal ponte (ho provato più volte a dire che non c’era nessuna saponetta, ma mamma non è riuscita a sentirmi perché papà mi  ha dato più volte degli scappellotti dietro la nuca; non sono sicuro che mamma li abbia notati, ma non sono sicuro nemmeno che abbia fatto finta di niente).
<< Congratulazioni, figliolo! >> se ne esce comunque, mio padre.                                                                                    << Congratulazioni per cosa? >> faccio io. Ma papà non risponde; continua a ridere, con quella rumorosissima risata alla quale non si oppone nessuno, solo per  la conformazione fisica del demone a cui appartiene. Anche la mamma si mette a ridere con lui. La sua risata è più soave, come è giusto che sia. Le fate non sono famose per le risate sguaiate.
Sembrano tanto un lieto fine di una storiella, nella quale tutti si mettono a ridere, mentre l’immagine si allontana in vista del tramonto e cose varie. Uff.
Mi appoggio alla transenna del ponte e fisso il vuoto, senza guardare per forza un punto preciso.
Pian piano, l’enorme traghetto si allontana e si fa sempre più piccolo, sempre più piccolo …
“ Ehi, tu! Sì, dico a te! Dove vai con quella ripresa! Ho detto niente finale come quello delle storielle! Ma ci senti quando la gente ti parla?”
<< AH-AH-AH-AHAHA!!! >> . la risata di mio padre si continuò a sentire a lungo mentre la nave si allontanava.
Ecco. Quella fu una delle tante vacanze con i miei. Imbarazzante.
  
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