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Autore: mangagirlfan    10/11/2010    8 recensioni
[...]Il destino ha voluto darmi una mano, dopotutto.[...]
La vita non è certamente facile per nessuno e questo è certo. Non vi è nessun controllo su un destino che sembra prendersi gioco di te fino all'ultimo, facendoti girare come una trottola ad ogni suo sottile capriccio. Non vi è il controllo sulla vita stessa, che può scivolarti via in qualunque momento.Non vi è il controllo sui propri sentimenti, che sembrano travolgerti in ogni istante, mutando, senza che tu possa dire o fare qualcosa.Ma soprattutto non si ha il controllo sulla vita di chi sembra conoscerti meglio di quanto tu stesso avessi mai potuto immaginare...
[GrimmjowxIchigo][Kon][Nuovo personaggio]
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri, Jaggerjack Grimmjow, Kurosaki Ichigo, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie '†No Control † Tales'
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Allora le premesse le metto qui ma alla fine verranno messe alcune spiegazioni che qui non posso inserire se no vi spoilererei troppo. Vi dico solo che tutto quello che accade qui non è un caso. Se volete saperne di più vi consiglio di andare a leggere qui e poi  di leggere appunto i chiarimenti.
Ringrazio tutti per la lettura e tutte le persone che hanno recensito fino ad ora. Grazie mille^^
Buona lettura^^





Capitolo n ° 4
 
Ω She was like the sun Ω → † Ed anch’io ti narrerò delle lacrime che piansi...†
 
Se c’è una cosa che tutti noi dobbiamo imparare
È quella di andare sempre avanti
E di sapersi reggere da soli, sulle nostre gambe.
E per quanto sia difficile
E la strada possa sembrare ripida,
Non possiamo smettere di lottare.
È questo che ci hai insegnato, vero nonna?
A me ed a loro,
tanto tempo fa.
 
(Theme: “When you’re Gone” – Avril Lavigne)
 

Era passato davvero parecchio tempo da quando lei e Kon si erano fatti quella specie di promessa, aiutare i rispettivi fratelli a mettersi assieme una volta per tutte. Tutti, in classe, si chiedevano come mai quei due andassero così stranamente d’accordo ultimamente, mentre i battibecchi erano diminuiti e le lesioni alle parti basse di Kon anche. Il primo a non spiegarsi tale comportamento era proprio Ichigo. Fino a qualche tempo prima si sarebbero volentieri cavati gli occhi a vicenda ed ora sembravano quasi due spie russe che confabulavano su chissà quali progetti governativi. Solo quando Kon si avvicinava comunque troppo alla povera Orihime la giovane Jaggerjack partiva alla carica, incominciando ad inseguirlo per tutta la classe, gridandogli contro che era un brutto maiale. E lui, cosa diceva? Che quelli non erano i patti o cose del genere. Solo una cosa era certa per Ichigo, quei due erano veramente incomprensibili, alle volte.
Sbuffò mentre un alito di vento portò con sé parecchie nuvole vagabonde, cariche di pioggia e di mal tempo. Le osservò muoversi nel cielo in maniera scomposta e in quell’esatto istante percepì una stretta allo stomaco. Lo sapeva, Giugno era il mese dei tifoni per eccellenza però non poteva fare a meno di detestare la pioggia, con tutto se stesso. Lo faceva sentire impotente perché non poteva fermarla e riportava a galla troppi ricordi dolorosi. In quegli istanti era come se anche dentro la sua anima piovesse, a catinelle, inzuppandolo fino al midollo, rendendolo più nervoso e scorbutico del solito. Ma taceva e sopportava, senza dire alcunché, come se quella fosse solamente pioggia ed a lui non importasse nulla di ciò che si agitava dentro al suo povero cuore martoriato. Perché doveva essere forte, per proteggere la sua famiglia da un dolore che ormai da tanti anni graffiava loro il petto e l’anima, trascinandoli giù, in un abisso che pareva senza fine, almeno una volta all’anno.
Anche Kon si accorse della pioggia imminente e dello stato d’animo del fratello, ma solo quando, oramai tra le grinfie di un’Haine decisamente furiosa, alzò la testa per chiedere pietà ed aiuto al gemello che, chissà come mai, sembrava più indifferente del solito al fatto che la sua salute fisica fosse in serio pericolo. Allora si irrigidì di botto, ma non come sempre, quando la ragazza lo placcava come un giocatore di football professionista. Era come se il cuore si fosse gelato per un istante ed il suo corpo avesse fatto altrettanto, serrato in una morsa che nessuno, nemmeno Haine, avrebbe mai percepito, ne era certo.
La ragazza capì che c’era qualcosa che non andava e mollò la presa, osservando i due gemelli perplessa, senza capire. A parte lei, solo un’altra manciata di persone sembrò cogliere lo stato d’animo di entrambi, consapevoli del motivo per cui si comportassero così. Haine avrebbe voluto chiedere cosa stesse succedendo, preoccupata, ma sentiva che forse non era il caso. Lo capiva guardando gli occhi di Ichigo ma soprattutto quelli di Kon, spentisi in un solo istante.
Qualche minuto dopo il professore entrò in classe così da far tornare ai propri posti tutti gli alunni, intimando la completa attenzione verso di lui e la lezione.
“Ehi Kon...” mormorò Ichigo, cercando di farsi sentire solo dal gemello.
“Dimmi...”
“Che giorno è oggi?”
“... È il quindici. Il quindici di Giugno...”
Restarono in silenzio per qualche minuto, uno osservando fuori dalla finestra, l’altro il quaderno posato sul proprio banco. Haine che aveva sentito a malapena quello che si erano detti, percepì una strana atmosfera nell’aria, densa di un qualcosa che non sapeva definire ma che, stranamente, sentiva di conoscere abbastanza bene.
“Allora è già dopodomani...”
I due gemelli non dissero più nient’altro fino alla fine della lezione, lasciando Haine stranamente in ansia e desiderosa di vederci chiaro in tutta quella faccenda.
 
 
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Haine quello stesso giorno aveva deciso di andare al cantiere per portare il pranzo al fratello – erano usciti prima a causa dell’assenza di un’insegnante – approfittando del fatto per conversare un po’ con la signorina Shiba, e domandare come stessero procedendo i lavori. Aveva salutato tutti, chiedendo in giro dove fosse il capo per poterla ringraziare di tutto quello che faceva per quel testardo di Grimmjow. Non era molto lontana da lei, semplicemente era nascosta da una gru spenta ed in quel momento era quasi impossibile vederla, l’aveva informata uno dei carpentieri più anziani della ditta, indicandole il punto quasi esatto.
La donna quando la vide sorrise e le scompigliò i capelli con l’unico braccio sano che le era rimasto. Ormai Haine era abituata a fissare il vuoto dove ci sarebbe dovuto essere un qualcosa però il non vedere niente la faceva stare comunque male, turbandola nel profondo. Kukaku Shiba aveva perso l’arto durante un lavoro in un altro cantiere circa sei anni prima, quando ancora non aveva un’azienda tutta sua ed il suo ex-capo risultava essere quel tipo di persone che non badava alla sicurezza dei propri operai. Ed a causa dell’avidità di quell’uomo lei aveva perso il braccio ma lui, oh lui aveva perso molto di più. La ditta e tutti i suoi soldi. La Shiba era una donna che non portava rancore, questo era risaputo, però il suo povero braccio era pur sempre una parte di lei che niente e nessuno avrebbe potuto sostituire. Ma, nonostante tutto, vedere finire sul lastrico quell’uomo che più di una volta aveva rischiato la vita di molte altre persone aveva funzionato come un efficacissimo palliativo. Per lei e tanti altri.
Kukaku-sama osservò gli occhi di Haine perennemente puntati sul suo viso, per non mancarle di rispetto se per caso fossero finiti su quello che restava del suo braccio destro. Non disse niente, si limitò a sorridere con tenerezza a quella ragazzina che le portava una grande stima, quasi fosse una zia o una cosa di simile. Oh, se avesse avuto una sorella come lei invece di quell’incosciente e fannullone di Ganju!
“Se sei venuta per tuo fratello adesso si trova in quell’edificio prefabbricato. Per trasportare una trave di troppo e far prima si è stirato un muscolo, l’incosciente!” sbuffò lei portando la lunga pipa alla bocca e rimettendosi a fumare.
Osservò la faccia di Haine contrarsi in una strana smorfia e non capì subito. Poi, d’un tratto, si rammentò di quando l’aveva ammonita sul fatto che non si doveva fumare e, se proprio ci teneva,  che non lo facesse in sua presenza. Quello era lo stesso discorso che faceva al fratello tutti i giorni ma con lui, lo sapeva benissimo, era una causa decisamente persa.
“Ho capito, ho capito, adesso smetto...” mormorò la donna, ridacchiando.
I suoi operai si chiedevano come facesse quella ragazzina a farsi ubbidire da una donna del genere. Ma loro non conoscevano tante cose come la Shiba. Non erano certamente amici di Chidori e la loro vita, la sua e dei due figli, non potevano neanche immaginarsela.
“La ringrazio ancora Kukaku-sama!” disse infine Haine dirigendosi verso il prefabbricato che fungeva da ufficio nel cantiere edile, salutandola cordialmente.
Quando Grimmjow se la trovò davanti rimase stupito, quasi sconvolto. Ma la cosa che più lo fece trasalire fu il pugno che la sorella gli diede sulla testa con tutta la forza di cui era capace. Ci mancò poco che cadde a terra, col viso spiaccicato sul pavimento. Cercò di acciuffarla ma questa sgattaiolò via, sfruttando il fatto che si fosse fatto male alla spalla.
“Quello era per la tua idiozia! Il capo mi ha detto che hai fatto, coglione!”
Ecco, quando si incazzava così era meglio lasciarla sfogare per un po’ perché, in fondo, sapeva di avere torto marcio. Si sentiva come un bambino piccolo rimproverato dalla sorella più grande. E la cosa noiosa era che sembrava non finire mai quella sottospecie di ramanzina, porca miseria! Brontolò un qualcosa e lei gli diede un altro sganassone, ‘sta volta sulla spalla sana, per metterlo in riga.
“Se ti succedesse qualcosa di grave sai dirmi cosa diavolo dovrei fare, eh? Avanti, dimmelo visto che sai tutto, imbecille che non sei altro!” strillò lei, furibonda. Lavorare in un cantiere edile non era una passeggiata ma non era neanche una cosa da prendere sottogamba. E lui doveva smetterla di fare il deficiente solo per potersi distrarre da pensieri che non voleva rivelarle. Eppure sarebbe bastato poco, anche solo mezza parola e tutto si sarebbe sistemato ed entrambi si sarebbero sentiti meglio. Ma lui era troppo orgoglioso, non avrebbe ammesso mai di avere un problema, neanche sotto tortura. Così doveva sopportare quelle strigliate senza fiatare perché, come è già stato detto, se le meritava tutte, ogni volta. Era uno scotto da pagare se si continuava a seguire un idea così stupida come la sua, dettata dalla testardaggine vera e propria. Solo dopo cinque minuti Haine decise che forse era il momento di lasciar perdere, limitandosi a fissarlo in malo modo, per farlo sentire in colpa ancora qualche secondo. Alla fine sbuffò, porgendogli il bento che aveva preparato per lui, visto che, come sempre, si dimenticava di passare al supermercato a comprarsi almeno un panino durante l’ora di pranzo.
“Non te lo meriteresti.”
“Ammettilo che ti diverte sgridarmi solamente per fare pace, baka.”
“Ha parlato io-non-ho-bisogno-di-mangiare-tanto-vivo-d’aria. Ora taci e mangia.” Soffiò lei, fissandolo di sottecchi.
Alle fine Haine si mise a ridere, resasi conto che forse aveva esagerato un pochino, mentre il fratello si era limitato a sorriderle strafottente come solo lui sapeva fare. La brunetta gli disse di stare attento la prossima volta perché non poteva permettersi di farsi male. E soprattutto di far prendere un colpo a quella povera disgraziata di Chidori, proprio no.
“Grimmjow...” saltò su mentre l’altro si gustava la frittata preparata da lei, osservandola di sbieco “Dopodomani sai che giorno è?”
“Il diciassette” deglutì un pezzo di frittata, voltandosi alla fine verso di lei, stupito “Perché me lo chiedi?”
La vide mentre si tartassava le mani, la sua migliore espressione ansiosa e preoccupata stampata in volto. Non sapeva se chiederlo o meno però era certa di una cosa. Lui, suo fratello, sapeva perché i due gemelli Kurosaki erano diventati così... diversi semplicemente ricordando quella data. Da quando conosceva Ichigo non gli aveva mai chiesto niente del suo passato e neanche lui le aveva rivelato qualcosa di sé se non solamente delle piccole cose. Sapeva che la sua famiglia era composta da cinque persone e nulla più. A parte lui in casa c’erano le sue due sorelle, Kon e suo padre, che faceva il medico. Per il resto beh, non si era mai preoccupata di domandargli qualcosa. Ogni fatto riguardante la sua vita era venuto a galla perché era stato Ichigo a volerglielo raccontare e non perché lei avesse insistito o altro. Era stato naturale per lui confidargli quelle cose che poi non erano così personali. Il ragazzo però sapeva che, se ne avesse avuto bisogno, avrebbe potuto parlare con lei di ogni cosa ma in quello assomigliava dannatamente a quel testardo di Grimmjow. Doveva tirargli fuori le parole con le pinze se voleva sapere qualche dettaglio della sua vita privata. Eppure lui era l’unico – a parte Orihime – che conosceva tutta la verità sulla sua storia. Su ciò che in realtà le era successo più di un anno fa. Ma nonostante questo non le aveva ancora detto niente, mettendola in ansia.
Sentì Grimmjow darle una spallata per svegliarla da quello stato catatonico, facendole prendere un bel respiro profondo. Doveva chiederlo. Ora o mani più, pensò.
“Perché il diciassette Giugno è una data così terribile per Ichigo e Kon?”
A quella domanda il più grande rimase decisamente perplesso. Non era sicuro se fosse giusto raccontarle tutto o meno. Però sapeva che avrebbe continuato ad insistere con lui fino a quando non sarebbe arrivata a capo di tutta quella faccenda. Era fatta così, testarda come pochi. Doveva ammetterlo era un brutto vizio di famiglia.
“Il diciassette di Giugno è l’anniversario della morte della loro madre, Haine.”
L’espressione che si dipinse sul viso della ragazza fu più esplicativa di mille altre inutili parole.
 
 
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Il giorno dopo, quando tornò a scuola, la scena che le si presentò davanti la lasciò decisamente spiazzata. Sembrava che i due fratelli si fossero scambiati di ruolo, stravolgendo tutte le sue certezze. Si chiedeva come mai l’anno scorso non se ne fosse accorta. Eppure era sempre assieme a loro, in un modo o nell’altro. Poi capì che forse il suo non conoscerli ancora abbastanza le aveva impedito di comprendere appieno i loro stati d’animo. Mentre ora, nel vedere Ichigo sorridere per nascondere i suoi pensieri e Kon appoggiato al banco senza alcuna voglia di reagire, la faceva stare male perché non aveva idea di cosa fare. Se non fossero arrivate Tatsuki ed Orihime a scuoterla un po’ probabilmente si sarebbe sentita persa. Si fece raccontare come fosse morta la madre dei gemelli dalla mora ma nient’altro. A Grimmjow non aveva avuto il coraggio di chiederlo ventiquattrore prima. Sapere che era morta a causa di un incidente le gelò il cuore all’istante. Strinse forte i pugni, cercando di scacciare certi pensieri che avevano cominciato a ronzarle in testa per poi riprendersi quando Hime l’aveva afferrata per un polso, sorridendole. La karateka non capì ma decise che forse era meglio non indagare troppo, che era giusto non scavare in cose che non la riguardavano affatto.
Le ore passarono lente per la ragazza mentre osservava i due fratelli racchiusi ognuno nel proprio dolore. Tatsuki le aveva detto che il giorno dopo non ci sarebbero stati in classe e che se voleva domandar loro qualcosa per saperne di più quello era il momento giusto per farlo. Ma Haine non disse niente, limitandosi ad annuire a ciò che le diceva l’altra.
Solo alla fine delle lezioni, fuori da scuola, quando tutti se ne erano andati la giovane di casa Jaggerjack chiese a Tatsuki dove fosse il cimitero in cui era stata sepolta la madre dei ragazzi. Solo quando ottenne la tanto agognata risposta si congedò, salutando lei ed Orihime in tutta fretta e ringraziandole per averle dato una mano.
“Cosa vorrà fare?” chiese la mora, fissando l’amica sorridere cordialmente.
“Forse ciò che né io né te abbiamo mai avuto il coraggio di mettere in pratica...” bisbigliò Orihime, conscia del segreto che l’amica si portava dentro e che forse avrebbe potuto aiutare ad alleggerire un po’ il peso che i gemelli di casa Kurosaki si portavano dentro da tanto, troppo tempo.
 
 
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Grimmjow non sapeva come fosse riuscito a farsi convincere dalla sorella ad andare in quel maledetto cimitero per ficcare il naso in faccende che non li riguardavano affatto. Ed a convincere il capo a dargli un giorno di ferie, poi! Aveva detto che gli era stata concessa una settimana di ferie arretrate e che andavano sfruttate, la furbacchiona, così da permettere alla sorella di trascinarselo dietro in tutta quella fastidiosa storia!
Si erano alzati presto, quel giorno, così presto da fargli rimpiangere il suo faticosissimo lavoro. Voleva dormire, dannazione, non alzarsi alle sei meno un  quarto del mattino, porca miseria!
Si grattò la testa e stropicciò la faccia, assonnato, mentre Haine sembrava più pimpante che mai, presa da chissà quali pensieri che le ronzavano in testa. In realtà sapeva a cosa stava pensando, sapeva il perché di un tale attaccamento alla faccenda ma lui non era certo il tipo che andava a psicoanalizzare chi gli stava attorno. Si limitava a fissare lo scorrere degli eventi, lasciandosi trascinare da quella furia umana che era sua sorella...
La aspettò vicino ad un tempietto, mentre lei andava  recuperare il custode per domandargli dove si trovasse la tomba di Masaki, la madre dei compagni di scuola. La vide tornare dopo una decina di minuti, avvicinandosi a lui con una strana pesantezza che le faceva trascinare i piedi sul terreno. Haine odiava i cimiteri, li odiava con tutta se stessa. Per lei non erano luoghi per andare a ricordare i propri cari ma solo un cumulo di rocce che rammentavano alle persone solamente il dolore della perdita, un dolore così forte da schiacciarla al suolo impedendole di camminare come al solito ed alle volte persino di respirare normalmente.
“Andiamo, non è tanto distante...”
Camminarono in silenzio entrambi, l’unico rumore che faceva loro compagnia era quello dei loro passi e del vento che si insinuava tra le foglie, richiamando a sé le nuvole cariche di pioggia.
Quando arrivarono davanti alla tomba – la ragazza desiderava salutare colei che le aveva permesso di incontrare uno dei suoi migliori amici – Haine s’inginocchiò e cominciò a pregare, silenziosamente.
“Sa signora, avrei tanto voluto conoscerla. Deve essere stata una persona meravigliosa se i suoi figli l’hanno amata così tanto. Spero che da lassù non mi mandi qualche improperio quando prendo a calci il suo unico figlio uscito su male ma lo faccio solamente per fargli capire come vanno le cose. E soprattutto per salvare quella povera ragazza che continua perseguitare ogni salto giorno!... Sa, spero che il mio desiderio di veder felice suo figlio sia arrivato fino a lei e che mi aiuti a far andare le cose per il verso giusto. Voglio molto bene ad Ichigo, mi ha aiutato tanto, in quest’ultimo anno, è come un fratello, per me. Ed ora che lo conosco meglio, e che conosco anche quell’allupato dell’altro suo erede, capisco perché mi ci sia trovata subito in sintonia. Vorrei che mi facesse un favore, se può. Se incontra un paio di persone lassù dica loro che sto bene e che tutte le promesse che ho fatto le sto mantenendo, una ad una. Le auguro di stare bene, nel luogo dove si trova adesso.”
Tutte quelle parole erano nate spontanee nella sua mente, trascinate da un cuore che batteva all’impazzata mentre tanti ricordi e tanti desideri si facevano strada spintonandosi gli uni con gli altri. Sperò che tutte quelle parole raggiungessero qualcuno lassù e che la sua volontà permettesse di farle arrivare dritte all’anima di chi ormai non c’era più.
Si alzò, Haine, si alzò pulendosi i vestiti e posando un fiore bianco in prossimità dell’enorme lapide grigia. Fece un ultimo saluto per poi allontanarsi assieme a Grimmjow, quel tanto per permettere ad Ichigo ed alla sua famiglia di pregare in pace almeno per un po’. Si sedettero entrambi sulle scalinate lì vicino, rimanendo ancora in assoluto silenzio, quasi temessero che una sola parola potesse spezzare quella sacralità in cui si erano immersi.
“Sai” saltò su la sedicenne, all’improvviso “Faccio il tifo per te, nii-san” soffiò, lasciando basito l’altro che la osserva, senza capire.
“Chidori mi ha raccontato i tuoi gusti in fatto di uomini e credo che Ichigo sia perfetto per una testa dura come te, vi assomigliate troppo.”
Se avesse potuto, il ragazzo dai capelli azzurri si sarebbe strozzato con la sua stessa saliva, spalancando gli occhi in una maniera assurda. La sorella lo osserva, tentando di non ridere ma soprattutto di non disturbare la quiete di quel cimitero. Lo aveva detto soprattutto per sciogliere la tensione ma anche perché non era brava a mantenere certi segreti. Preferiva giocare a carte scoperte, era decisamente meglio.
“Non fare quella faccia! Ho visto come ti comporti con Ichigo, sei decisamente troppo manesco per i miei gusti e cerchi un po’ troppo spesso il contatto fisico. Non mi ci è voluto molto per fare due più due.”
Se fosse stato il tipo, Grimmjow sarebbe arrossito dalla punta dei capelli fino a quella del naso, ma forse quello si addiceva di più ad uno come Kurosaki, non certamente a lui. Si limitò a ridacchiare, sfoggiando quella sua perfetta fila di denti bianchi che parevano affilati come rasoi, incredulo del fatto che la sorellina fosse così arguta.
“Comunque sappi che se farete qualcosa di sbagliato prenderò a calci tutti e due, intesi?”
A quell’ammonimento il ragazzo non disse altro, tirando fuori una sigaretta e fumando, come se nulla fosse successo. E da una parte per Haine era meglio così. Entrambi non erano tipi che tiravano troppo per le lunghe un discorso che era già stato ampiamente chiarito, così si limitarono ad aspettare che la famiglia Kurosaki facesse il suo ingresso in quell’area del cimitero. La loro presenza si sentì subito, anche grazie al vociare del patriarca di casa Kurosaki, il signor Ishinn, intento a  tirare su di morale la figlia più piccola mentre l’altra avrebbe solamente voluto prenderlo a calci da lì fino a casa. Gli unici due che non facevano casino erano proprio Ichigo e Kon. Solo in quel frangente i due ragazzi si assomigliavano come due gocce d’acqua. Il loro sguardo, pieno di amore e mal celata tristezza sembrava rispecchiarsi negli occhi di entrambi in quel preciso istante. Kon sì inginocchiò e pregò per la madre, dicendole che tutto andava bene, nonostante una certa compagna di classe attentasse alla sua vita ogni due per tre. Ichigo invece si limitava ad osservare quella pietra grigia, continuando a chiedere perdono per un qualcosa di cui non aveva la benché minima colpa.
Aspettò altri dieci minuti, Haine, aspettò quel tanto che permettesse a tutti di pregare ancora un po’, prima di alzarsi ed attirare l’attenzione inizialmente di Yuzu e Karin ed a seguire di Ishinn, mentre i due ragazzi continuavano a pregare senza accorgersi di nulla. Dietro di lei stava Grimmjow, immobile come una statua senza dire la benché minima parola , fumando la sua sigaretta e cercando di non guardare direttamente negli occhi nessuno dei presenti.
Il vento scompigliò i lunghi capelli blu scuro di Haine, mentre muoveva fastidiosamente la lunga maglia bianca che indossava sopra i jeans scuri. Fece un profondo inchino, osservando le persone che le stavano davanti, aspettando che anche gli altri due si accorgessero di lei. E quando lo fecero rimasero decisamente basiti. Perché fosse lì era un mistero. Però, per Ichigo, la sua presenza non rappresentava un fastidio. Era quasi come togliersi un peso di dosso dopo tanto tempo. Kon, invece, semplicemente non capiva.
“Chiedo scusa se sono capitata qui all’improvviso. Ma quando ho saputo che giorno è oggi ho pensato che fosse doveroso venire a salutare ed a pregare per la signora Kurosaki. Spero di non essere di disturbo.” Mormorò, fissando il terreno, imbarazzata.
Fu la mano di Ishinn posata sulla sua spalla che le fece alzare il viso, mentre il suo sguardo incrociava poi il suo sorriso cordiale.
“Sapere che i miei figli hanno un’amica che ci tiene così tanto a loro mi fa solo piacere. Come mi fa piacere rivederti, Grimmjow. Dimmi, come sta tua madre?”
“Domani mattina ha un altro ricovero in ospedale, ma si tratta solamente di un day hospital, questa volta. Mi ha detto di salutarla se l’avessi vista. E di rinnovarle le sue condoglianze.”
“Vi ringrazio entrambi.” Mormorò lui, per poi girarsi verso le figlie e tornare nuovamente pimpante, come suo solito.
“Forza belle di papà, andiamo al tempio per pregare affinché tutto possa andare bene!” esclamò poi lui, trascinando via le due ragazze con foga. Aveva capito che era il caso di lasciar soli i suoi figli con i loro amici e quando finalmente lo capirono anche loro lo seguirono senza fare troppe storie.
Haine non riusciva a fissare Ichigo direttamente negli occhi, non ne aveva la benché minima forza. Era come se avesse violato qualcosa, lo sentiva, però non credeva di essere nel torto. Il viso nuovamente puntato verso il basso non le permise di vedere che il compagno di classe si avvicinava a lei con un sorriso amaro stampato in faccia, per poi posarle la destra sulla testa, con estrema delicatezza.
“Ti ringrazio, Haine. So quanto sia difficile per te...” mormorò in modo che solo lei potesse sentire, per poi posare gli occhi nocciola sulla figura silenziosa del fratello della compagna di classe.
Attorno ai quattro si era creata una strana atmosfera, quasi l’aria si fosse condensata all’improvviso, immobilizzando ogni loro gesto. La giovane Jaggerjack osservò con la coda dell’occhio Grimmjow ed Ichigo e pensò che forse era il caso di lasciarli stare da soli, aspettando ancora un po’. Quando lanciò un’occhiata a Kon, il ragazzo capì senza dire nulla. Salutò ancora una volta sua madre, chiedendo alla ragazza se potesse accompagnarlo fino al tempio. Haine si limitò ad annuire, fissando per un ultimo istante sia il fratello che l’amico mentre si posizionavano davanti alla tomba di Masaki e restavano lì, senza emettere un solo e misero fiato.
 
 
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Erano esattamente a tre passi di distanza l’una dall’altro. Li aveva contanti, la giovane prima di incamminarsi a sua volta verso il tempio, per poi accorgersi solo a metà strada di non essere diretti propriamente lì. Lei non disse comunque nulla, continuando a fissare le grandi spalle del ragazzo che proseguiva la sua camminata, le mani nella tasca della felpa esageratamente larga e lo sguardo puntato verso il basso.
Le faceva uno strano effetto osservare quegli atteggiamenti che non si addicevano per niente all’immagine che si era fatta di Kon. Lui era un maniaco, sempre pronto a seguire ogni gonnella che passava, tentando di portare al lato oscuro anche il suo povero fratello facendolo diventare isterico come pochi, se voleva. Eppure, ora, osservava come in realtà fosse, sotto quella scorza da ragazzo allegro e farfallone. Lo capiva, lo capiva fin troppo bene. Comprendeva quello stato d’animo, quel desiderio di poter cambiare le cose e l’impotenza di fronte a tale impossibilità. Avrebbe voluto camminare al suo fianco e cominciare a parlargli, per tirarlo almeno un po’ su di morale ma non trovava la forza di farlo. In quel momento era circondato dal suo dolore e così concentrato su di esso da impedirle di avvicinarsi di quei tre passi che li distanziavano l’uno dall’altra.
Lo seguì quando cambiò nuovamente rotta, all’improvviso, trovandosi davanti ad un terrazzamento che dava sulla città, ingrigita dalle nuvole che la sovrastavano. Lo vide mentre se ne restava lì, dritto come un fuso, ad osservare il cielo, in cerca di un sole che ormai era quasi del tutto sparito. Un sole che almeno per quel giorno, non sarebbe riuscito a scaldare il suo cuore nemmeno per un momento...
Alla fine si sedette, le gambe a ciondolare giù per la scarpata, sotto di sé altre tombe, tutte grigie, tutte uguali. Sentì Haine ancora ferma ed in piedi dietro la sua schiena così le fece segno di mettersi comoda a sua volta. Non aveva parlato, non gli aveva detto niente. Era rimasta zitta, aspettando che fosse lui a sciogliere quel groppo in gola che gli impediva di respirare normalmente e di parlare assieme a lei. La osservò per un secondo con la coda dell’occhio mentre si metteva di fianco a lui, facendo dondolare le gambe nel vuoto, osservando quel cielo farsi sempre più grigio e cupo. Il vento continuava a soffiare, costringendola a mettersi i lunghi capelli dietro alle orecchie per evitare di ritrovarseli in faccia. Fece uno strano sorriso, Kon, tornando a fissare il sole che a tratti ricompariva tra i nuvoloni carichi di pioggia.
“Anche lei lo faceva spesso.” Mormorò, piatto “Almeno, per quel che ricordo.”
La Jaggerjack lo fissò per alcuni secondi senza comprendere a cosa si riferisse. Vide Kon continuare a sorridere, gli occhi lucidi, nel tentativo di non stare troppo male al solo ricordo di un semplice e stupido gesto...
“Mi riferivo al fatto che mia madre si mettesse i capelli dietro le orecchie appena il vento tirava, come hai fatto tu pochi secondi prima, nonostante li tenesse sempre legati... Era una sua abitudine.”
Quelle parole, dette con un tono di voce così dolce e calmo, arrivarono dritte al cuore della ragazza che si sentì sempre più triste. Lo osservava impotente di fronte a quel dolore che ogni gesto ed ogni sillaba esprimevano, quel giorno.
Si portò le ginocchia al petto, stringendosele contro per poi cominciare a fissare il vuoto, il vento che la infastidiva, ma lei non voleva darci assolutamente peso.
“Cosa è successo?” chiese in un soffio, mentre l’altro faticava a capire a cosa si riferisse “Dico, a tua madre.”
Aveva buttato lì quella domanda senza pensarci troppo, continuando a fissare davanti a sé senza soffermarsi su un particolare preciso di ciò che la circondava. Aspettò, paziente, mentre Kon la osservava un po’ incredulo. Pensava che lo avrebbe chiesto ad Ichigo, non certamente a lui. Eppure glielo aveva domandato con una tale naturalezza ed una nota di tristezza nella voce che, non seppe dirne il motivo, aveva un non so ché di consolatorio. Aprì e chiuse la bocca una manciata di volte, senza sapere cosa dire, eppure lei aspettava, senza la minima fretta. Avevano tutto il tempo del mondo, dopotutto.
“Quel giorno pioveva forte, me lo ricordo bene. Così forte da impedirti di vedere oltre il tuo naso, se camminavi per la strada senza ombrello. Io tenevo stretta la mano di mia madre mentre Ichigo le camminava affianco. Stavamo tornando a casa dal dojo che frequentavamo da un po’ di tempo, dopo una serie di allenamenti.
– Voglio proteggerti dall’acqua, mammina, io ho l’impermeabile, non preoccuparti per me – le aveva detto Ichigo nonostante si fosse inzuppato d’acqua fino all’osso. Io ridevo, prendendolo in giro, come facevamo sempre da piccoli, più che altro per far sorridere mia madre. Nonostante la pioggia, nonostante facesse freddo, noi due continuavamo a giocare tra di noi, la mamma che ci sorrideva come solo lei sapeva fare.
Non so dirti come successe, forse sia lei che Ichigo erano troppo distratti, forse il rumore della pioggia era troppo forte. Fatto sta che non si accorsero della macchina che si stava avvicinando a noi ad una velocità assurda. Era troppo, troppo vicina. Me ne accorsi subito, afferrando Ichigo per l’impermeabile e tirarlo verso di me ed evitare che si facesse male. Sentii il rumore della macchina che sbandava ed il grido di nostra madre che ci chiamava da così vicino, quasi provenisse direttamente dall’interno delle mie orecchie. Quando riaprii gli occhi vidi la mamma stesa sopra di noi, che ci abbracciava stretti stretti, completamente ricoperta di sangue...”
Lo osservò, Haine, mentre si passava la mano sul viso, cercando di ricacciare indietro le lacrime che sembravano voler uscire fuori a forza, per straziargli il cuore e riaprire una vecchia ferita che non si sarebbe mai rimarginata del tutto. La ragazza strinse forte la stoffa dei jeans tra le dite, le nocche fattesi bianchi per lo sforzo mentre la prendeva un fastidiosissimo nodo alla gola. Si morse il labbro inferiore per cercare di non emettere alcun suono. Non ne aveva diritto. Non aveva diritto di irrompere nel suo dolore in quel modo.
“Alla macchina che ci aveva investiti, sfondando il guardrail, si erano rotti i freni. Il conducente dell’auto aveva fatto di tutto per evitare di andare a sbattere da qualche parte, ma la pioggia era tanta e così... Così...” le parole gli morirono in gola mentre una lacrima sfuggì al suo controllo.
“Se avessi detto a mia madre della macchina che si stava avvicinando troppo forse non sarebbe successo niente a nessuno. La mamma sarebbe ancora viva. È colpa mia se non c’è più. Sarei dovuto morire io, quel giorno...!”
Haine sentì un moto di rabbia sfondarle il petto a quelle parole. Una rabbia tale che se fosse fuoriuscita avrebbe distrutto qualunque cosa. Cercava di non dire ciò che pensava ma lui continuava a ripeterlo, che era colpa sua, che lei doveva essere viva mentre lui no. Forse fu proprio a causa di quell’assurda insistenza che esplose, di botto.
“Piantala di dire stronzate! Non è stata colpa di nessuno!” aveva quasi gridato lei, alzandosi di scatto, le braccia irrigidite tenute lungo i fianchi, i pungi stretti così forte fino a piantarsi le unghie nella carne.
Kon la osservava, stupito dalla forza e dall’impeto con cui aveva pronunciato quelle parole, la voce tremante mentre il suo sguardo si era fatto improvvisamente duro.
“Lo sai che dicendo così sminuirai il sacrificio fatto da tua madre? L’amore che provava nei vostri confronti? Una madre non dovrebbe mai sopravvivere ai figli, mai!” continuò, la voce che si faceva sempre più alta ed il fiato sempre più corto. Avrebbe voluto picchiarlo, per fargli entrare in testa un po’ di buon senso perché, a quanto pareva, lo aveva perso tutto! Tremava, dalla rabbia e dal dolore, furibonda.
Anche il ragazzo si alzò di scatto osservandola dall’alto del paio di centimetri che li divideva.
“Ma tu cosa ne sai, eh? Cosa ne sai di cosa vuol dire perdere la propria madre?!”
Avrebbe tanto voluto tirargli uno schiaffo, un calcio, un pugno, qualunque cosa sarebbe andata bene. Ma le lacrime le impedivano di vedere bene ed il cuore le faceva male mentre il groppo che aveva in gola era sempre più fastidioso ed insopportabile.
“Ne so qualcosa perché io ho perso entrambi i genitori quando avevo solo quattro anni..!”
A quelle parole mormorate sottovoce Kon non seppe più cosa replicare mentre continuava a fissare lo sguardo risoluto di Haine testardamente piantato nel suo.
 
 
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Grimmjow non seppe per quanto rimasero in silenzio davanti alla tomba di Masaki, in quel momento un minuto poteva sembrare un ora ed un ora invece poteva essere paragonabile ed un minuto. Il non dire o fare niente lo metteva fortemente a disagio, l’immobilità non era una cosa adatta al suo carattere, poco ma sicuro.
Buttò l’ennesima cicca a terra, sbuffando tutto il fumo che aveva aspirato fino a quel momento. Forse era il caso di dargli una scrollata, senz’ombra di dubbio.
“Dovresti smetterla di piangerti addosso, Kurosaki.”
A quelle parole Ichigo trasalì, fissandolo come se fosse un pazzo uscito dal manicomio. Avrebbe voluto prenderlo a pugni, dirgli di stare zitto perché lui non centrava niente in quella storia e che se era venuto solamente per sputare sentenze forse era il caso che se ne tornasse di filato a casa sua. Alla fine, comunque, non disse niente, limitandosi a trattenere il fiato per non urlare ed a fissarlo furibondo mentre lui, Grimmjow, rimaneva del tutto indifferente a quella scena a suo parere da due soldi.
“Non guardarmi così. Cosa direbbe Haine se ti vedesse?”
A quelle parole il ragazzo padrone di quella testa assurdamente arancione sembrò tornare parzialmente lucido, memore del discorso che lui e la sua compagna di classe avevano fatto durante il giorno dei morti, l’agosto scorso. La più piccola di casa Jaggerjack gli aveva raccontato tutto, dei suoi genitori, della nonna ed anche di Chidori e Grimmjow. Di come fosse grata al destino che, nonostante molte volte avesse cercato di piegarla al suo volere causandole grandi dolori, le aveva permesso di rialzarsi, ogni volta sempre più forte. E lui ora, cosa faceva? Si dimostrava debole come mai lo era stato. Eppure, nonostante le sue buone intenzioni non riusciva a guardare avanti come se niente fosse successo.
“Credi che sia così facile, Grimmjow?” aveva sussurrato, cominciando a guardarsi la punta dei piedi mentre il tempo si faceva sempre più brutto e la pioggia cominciava a cadere.
“Credi che sia facile per me, tornare a sorridere?”
Non sapeva perché ma in quel preciso istante si sentiva strano, come se tutto d’un tratto avvertisse il desiderio di lanciare un urlo così forte da fracassare i suoi stessi timpani e di liberarsi di quel dannato peso posato sulla bocca dello stomaco. Quella profonda tristezza, accumulatasi durante l’arco degli anni sembrava essere sul punto di fuoriuscire tutta in un colpo solo, travolgendo la sua mente ma soprattutto il suo povero cuore.
“Se mi dessero la colpa, tutti quanti, dicendomi che non mi sarei dovuto distrarre mentre mia madre tentava di asciugarmi da tutta quella dannata pioggia e mio fratello mi prendeva in giro forse mi sentirei meglio.” Mormorò, la stretta dei pugni che andava a rilassarsi un poco, la voce rotta e roca, nel tentativo di non lasciarsi andare troppo.
“Io, che avevo promesso di difendere mia madre e mio fratello da qualunque cosa, mi sono ritrovato protetto da Kon e poi da lei! Io... avrei dovuto fare qualcosa!”
“Smettila di fare il cavaliere dall’armatura scintillante, Ichigo!”
A quelle parole alzò la testa di scatto, i capelli che cominciavano ad essere zuppi a causa di tutta l’acqua che scendeva dal cielo, come se quest’ultimo volesse versare le proprie lacrime al posto del giovane, trattenute da troppo, troppo tempo.
“Avevi solo nove anni Ichigo, per la miseria, nove anni. Il fatto che lei sia morta per proteggere sia te che Kon non significa certamente che foste deboli entrambi. Vuol dire solo che vostra madre era pronta a sacrificare la vita per proteggere i suoi figli. Tutto qui.”
Tirò fuori l’ennesima cicca quel giorno, forse la quinta, e cominciò a fumare. Pensò che fosse il caso di diminuirle quelle fottute sigarette. Sarebbe finita che avrebbe speso tutti i soldi pur di comprarle, quelle maledette! Eppure quel giorno era dannatamente nervoso, se non le avesse avute a portata di mano sarebbe impazzito, poco ma sicuro. Inspirò una lunga, lunghissima boccata di fumo nonostante l’acqua avesse bagnato il filtro e tutto il resto, rilassandosi un poco, posando il suo sguardo azzurrissimo su di lui, sicuro.
“Guarda avanti e pensa all’adesso, emerita testa di cazzo. Solo i vecchi rimpiangono tutti gli errori del passato.”
Rimasero così, a fissarsi l’un l’altro per un periodo interminabile, indifferenti al fatto che avrebbero rischiato una polmonite se non si fossero sbrigati ad andare in un posto asciutto, per cambiarsi i vestiti ormai zuppi. Ichigo non capì cosa spingesse l’altro a dargli una mano, a scuoterlo un poco per farlo tornare com’era. Solo una cosa era certa per lui. Gli era grato, almeno in parte. E così si avvicinò, posando semplicemente la fronte sulla sua spalla, con estrema naturalezza. Come se fosse l’unico appiglio che poteva trovare, in mezzo a quel temporale.
“Ti ringrazio, Grimmjow.”
A quelle parole il ventenne buttò via quella che sarebbe stata l’ultima sigaretta della giornata ormai quasi del tutto inutilizzabile, lasciando l’altro appoggiato a lui per ancora una manciata di minuti.
“... Andiamo al tempio, Kurosaki. Se la facciamo preoccupare troppo quella matta di mia sorella è capace di prendere a calci tutti e due da qui fino ad Osaka.”
Ichigo annuì, pensando che, appena l’avrebbe vista, avrebbe dovuto ringraziare Haine per tutto ciò che aveva fatto per lui. Perché sapeva che la sola presenza delle persone giuste l’avrebbe fatto rinsavire da quello strano stato catatonico in cui si rinchiudeva sempre fin da quando era bambino.
 
 
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Kon era decisamente frastornato. Non sapeva se credere o meno a quelle parole. Se Haine lo stesse semplicemente prendendo in giro o altro. Ma lei, lo sapeva, non era il tipo da fare scherzi del genere o di prendersi gioco del dolore altrui così facilmente. Ed in questo, beh, assomigliava un po’ a suo fratello.
La vide mentre si lasciava cadere malamente a terra, tornando a  fissare quelle dannate nuvole che vorticavano nel cielo, facendole venire solamente il mal di testa. Era così arrabbiata, così... offesa per quello che aveva detto da fargli capire che forse aveva esagerato. Così si sedette accanto a lei, silenzioso, guardando a sua volta il cielo sperando ardentemente di poterle chiedere almeno scusa. L’aria era così pesante e soffocante in quel momento da stringergli il cuore ed impedirgli di stare dritto. Si sentiva come un giunco piegato dalla furia della tempesta, insicuro sul da farsi.
“Scusa, ho esagerato.” Mormorò dopo cinque minuti buoni, guardando dall’altra parte e cercando di non mangiarsi le parole.
“Non preoccuparti Kon. Lo capisco.”
Il tempo continuava a passare e loro rimanevano in silenzio, insicuri sul da farsi. Haine non aveva molta confidenza con Kon, non era come con Ichigo. Lui era sempre distratto, certo, ma si preoccupava per i suoi amici e se ce n’era bisogno si faceva in quattro per loro. Con il gemello riuscito male era decisamente diverso. Eppure la frittata era fatta, non poteva tirare indietro la mano ora che l’aveva allungata, doveva prendersi la responsabilità di quello che aveva detto, anche se preferiva non parlarne. Prese un respiro profondo e poi sospirò, socchiudendo gli occhi prima di iniziare.
“Anche i miei genitori sono morti in un incidente stradale. Io non ero in macchina con loro, quel giorno. Ero dalla nonna a causa di un febbrone da cavallo che mi aveva costretta a letto.”
Quel discorso era cominciato così, senza la pretesa di essere ascoltato o di essere compatito. Voleva solamente raccontare la sua storia, come lui aveva fatto poco prima. Poteva ritenerlo uno scambio di esperienze, dopotutto...
“Sai, io... non mi ricordo molto di loro. Riconosco i visi nelle foto ma i dettagli più importanti, come il suono della voce, il profumo o i sorrisi che mi rivolgevano... non me li ricordo più. Ero troppo piccola.”
La voce non sembrava essere guidata da un’emozione particolare come la tristezza. Forse... era nostalgia quella che sentiva? Ed un senso di vuoto, di una mancanza che non si sarebbe mai potuta colmare. Un po’ come un pezzo mancante di un puzzle. E questo, Kon, lo sentiva fin nel profondo mentre la ragazza pronunciava quelle parole in una maniera così flebile da risultare quasi prive di suono.
“La mia famiglia è originaria di Osaka ed ho vissuto lì per ben dodici anni... almeno, fino ad un anno fa...”
Non capì perché la voce le si ruppe, Kurosaki. Non capì ma non disse nulla. Un po’ come Haine poco prima non voleva entrare nel suo cuore e nel suo dolore se non prima di aver ricevuto un qualche permesso. Intanto, mentre i minuti passavano ed il cielo si faceva sempre più cupo e brontolante. I tuoni ed i lampi in lontananza parevano annunciare una tempesta che sarebbe durata per molto tempo. La ragazza guardò il cielo e sospirò, fissando la corsa delle nuvole che andavano a scontrarsi.
“Mia nonna mi adottò. Mi tenne con sé e mi insegnò tutti quei valori che mia madre avrebbe dovuto trasmettermi ma il destino non le ha permesso di farlo...
Era forte mia nonna, sai? Era un tipo tosto, fumava la pipa e praticava karate, da giovane si era fatta addestrare dal nonno, che non ho mai conosciuto. Mi insegnò ad essere forte, a guardare al futuro senza voltarsi mai indietro, se non per ricordare tutte le cose belle che ci sono capitate. Ad avere fiducia negli altri e nel mondo ed a difendere tutto ciò in cui si crede. Mi ha amata molto, come fossi sua figlia.”
“Come mai parli al passato?” quella domanda gli era uscita fuori senza il minimo riflettere. E poi, dopo essersi accorto di aver domandato troppo, si tappò la bocca, ma era tardi, ormai.
La vide sorridere amaramente, mentre si stringeva sempre più le gambe contro, i ricordi che si affollavano nella mente e nel cuore dolcemente, nonostante una nota di dolore.
Sorrise, Haine, per poi dire finalmente ciò che le frullava per la testa.
“Perché è morta un anno fa. Aveva settantasei anni.”
Si diede dell’emerito imbecille. No, era peggio, un Imbecille Patentato con la “i” e la “p” maiuscole! Avrebbe voluto sprofondare e terminare lì quella dannata discussione, ma lei sembrava intenzionata a continuare, perché andava fatto, ora che i frammenti di memoria erano stati tirati fuori dal loro cassetto in quell’angolino della sua anima sentiva di non potersi tirare più indietro. Perché parlare le faceva bene e forse, in quel modo, si sarebbero compresi meglio entrambi.
Haine si alzò, le mani tenute dietro la schiena, il naso ancora puntato all’insù, nel vano tentativo di scorgere anche solo un piccolo raggio di sole.
“Così sono venuta qui, a Karakura. Adottata dall’ultimo componente rimasto della famiglia Jaggerjack. La sorella gemella di mia madre.”
Haine si rese conto di come ogni volta si sentisse più leggera mentre raccontava la sua storia. Era come gettare via un pezzo del fardello che si era trascinata per tanto tempo, facendola uscire da quello stato di apnea che l’obbligava a tenersi tutto dentro.
“Alle volte mi domando quanto possa sentirsi sola la zia Chidori adesso che la mamma non c’è più. Ora che una parte del suo cuore se ne è andata per sempre. Per voi gemelli deve essere una cosa terribile, credo.”
Haine, che non aveva fratelli di sangue lo disse senza pensarci molto perché sapeva che, se fosse successo qualcosa a Grimmjow, sarebbe morta dal dolore. Non avrebbe retto ad un altro lutto ma soprattutto non si sarebbe data pace e tutti gli insegnamenti che cercava di portare avanti sarebbero svaniti nel nulla, come la cenere che componeva parte del suo nome.
Era anche per quello che si era arrabbiata poco prima. Perché aveva potuto osservare con i propri occhi quanto potesse essere logorante una perdita del genere. Perché due gemelli erano due parti divise della stessa anima e se una spariva l’altra non sarebbe più stata completa. Mai più.
Si voltò poi verso il suo compagno di classe, che la fissava in una maniera decisamente fastidiosa.
“Smettila di guardarmi così, Kon. Non voglio la tua pietà. Come tu non vuoi la mia. Sono diventata forte ed ho imparato ad accettare le cose. E poi... ho promesso alla nonna che non avrei pianto mai per lei, che avrei continuato a vivere perché me lo meritavo. Da quando è morta ho fatto molte promesse ed anche se alle volte non ce la faccio, in una maniera o nell’altra ci provo a mantenerle tutte. Perché non voglio deluderla. So che da qualche parte mi guarda e spera che possa essere finalmente felice.”
Sembrava un’altra persona rispetto alla ragazza manesca e rompiscatole che aveva conosciuto mentre gli raccontava di sua nonna. Era serena, come se portasse dentro di sé un pezzetto dell’anima della donna anima, tenendolo stretto, vicino al cuore, per paura di perderlo. Per paura di dimenticare tutto ciò che era stato.
L’osservava mentre il vento muoveva i suoi lunghi capelli blu in un assurdo moto irregolare che li spingeva a volare da ogni parte. L’osservavano mentre i suoi occhi luccicavano pieni di nostalgia ed amore per chi ormai non era più accanto a lei. Quando poi si risedette accanto a lui e lo osservò non seppe cosa avrebbe tirato poi fuori, in quel momento.
“Sai, mia nonna mi diceva spesso una cosa. Che alle volte fa bene piangere, quando si è davvero tristi.”
Quando finalmente quelle parole raggiunsero le orecchie di Kon cominciò a piovere forte, sempre più forte, quasi il cielo stesso volesse dargli una mano. I capelli si appiccicarono alla fronte, i vestiti alla pelle, mentre l’unico rumore era quello delle gocce che finivano contro la terra o le foglie tutt’attorno. Quella pioggia, quella maledettissima pioggia, gli fece tornare alla mente quel giorno e le tombe che erano al di sotto della scarpata gli ricordavano un presente troppo doloroso per essere affrontato da soli. Ed Haine, con quel suo sguardo così simile al suo ed a quello di Ichigo era pronta a tendergli una mano, semplicemente per fargli capire che non era solo.
Fu allora che si dimenticò di ogni cosa. Della storia di Haine, di dove fossero o perché si trovassero lì. C’era solo il suo dolore, quel dolore lancinante che l’aveva accompagnato per tanti anni e che si faceva sentire prepotente sempre lo stesso giorno, ogni anno che passava. Poco importava se piangere non era da uomini. Poco importava se quella accanto a lui era la sua acerrima nemica che alla prima distrazione gliele suonava di santa ragione. C’era la pioggia a nascondere le lacrime e la comprensione al posto degli insulti. Fu così che il ragazzo si sfogò come mai in vita sua, mentre una mano calda stringeva la propria ed un paio d’occhi neri tentavano di fissare il cielo per non vedere il dolore che si celava nel cuore di chi, lentamente, stava diventando il suo secondo più grande amico.
 
 
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Se ne erano tornati tutti al tempio proprio nel momento esatto in cui la tempesta si era trasformata in uno spaventoso tifone. Haine aveva cominciato a starnutire a più non posso, fradicia come pochi e stranamente pensierosa. Il padre di Ichigo le aveva prestato la sua giacca, intimandole di togliersi quella maglia che ormai era diventata come una seconda pelle, appiccicandosi addosso e con l’unico scopo di farla raffreddare ancora di più.
Kon tremava come una foglia, mormorando cose riguardo ad un bel corpo morbido e caldo che l’avrebbe fatto stare sicuramente meglio, ricevendo un manrovescio degno di questo nome da Karin, finendo disteso lungo il pavimento. Haine rise, tra uno starnuto e l’altro. La famiglia Kurosaki era decisamente fuori dal comune, non che la sua fosse poi tanto normale, anzi. Sorrise, facendosi su nella giacca di Ishin-san, pensando a suo padre ed a sua madre. Sospirò, posando i suoi grandi occhi neri sulla figura poco distante del fratello più grande, appoggiato ad una parete, tentando di non pensare a tutto il freddo che gli entrava nelle ossa. Per un istante, uno soltanto, la ragazza aveva desiderato di poter provare quello che troppo presto le era stato negato, ciò che, nonostante il dolore, la famiglia Kurosaki possedeva. Si era data poi della stupida, perché lei, nonostante tutto, lo aveva già quel gran calore che sembrava espandersi da quelle cinque persone che formavano una famiglia unita.
Tornò ad osservare il cielo solo quando la tempesta si era decisamente placata ed il sole aveva cominciato a brillare, scaldandoli dolcemente. Si era poi avvicinata ad Ichigo ed a Kon, i primi a fiondarsi fuori per gustarsi quei raggi così necessari per potersi riprendere. Aveva poi preso un bel respiro profondo, stiracchiandosi, le braccia distese verso il cielo, le dita intrecciate le une nelle altre per poi staccarsi quando poi si era stretta nuovamente la giacca nera addosso.
“Ichigo.” L’aveva chiamato, fissando quel cielo farsi sempre più azzurro “Anche se non mi ricordo molto di mia madre c’è una cosa che di lei mi è rimasta impressa come se fosse marchiata a fuoco nella mia memoria. Me la disse qualche settimana prima di morire.” Esclamò, continuando a sorridere nonostante la voglia di risentire quell’abbraccio materno le stringesse il cuore in una morsa carica di malinconica nostalgia.
“Dopo la pioggia torna sempre il sereno, Ichigo.”
E mentre Kon fissava i due senza capire, il ragazzo non poté fare a meno di comprendere il significato insito dentro quelle parole.
E quando finalmente i fratelli Jaggerjack si congedarono, Haine si voltò verso di loro un’ultima volta sperando che entrambi i ragazzi riuscissero a capire quella frase sussurrata a bassa voce e che neanche il fratello della giovane fu in grado di sentire.
“Siate forti, ragazzi.”
Dette quelle ultime parole, Haine dovette cominciare a correre, imprecando contro un fratello che, a suo parere, se la stava svignando troppo velocemente, senz’ombra di dubbio.
 
 
 
…Continua…
 


I ringraziamenti:

HaruiChan : Vedrai cara, il quinto capitolo arriverà presto XD Tempo universitario permettendo XD immagino quanti lacrimoni avrai versato qui ç_ç scusssssaaaamiii ç_ç
usagixmisaki: Sono contenta che questo capitolo ti sia piaciuto^^ (alias il 3 XD) Vedrai, nei prossimi capitoli ne succederanno di tutti i colori XD e di capitoli deprimenti come questo qui sopra non ce ne saranno. Se non un paio. Ancora grazie^^
BlastVampire: Ehhh.. Haine non è una stupida. è una vera furbetta. Nel prossimo capitolo infatti si vedrà. Oh se si vedrà *risata diabolica*
ginevrasux: vedrai il patto servirà di sicuro XD ed andrà a segno XD e forse qualcosa accrdà già nel prossimo capitolo...
Shaman Morgan: Ah mon amour, sapevo che ti sarebbe piaciuto XD vedrai, vedrai che accadrà XD Ed ok, faò picchiare meno Kon, contenta Mizu?? XD
  Aki_Black_Fire_ : Allora se vuoi vedere Ulquiorra fin da subito ti consiglio di andare a leggere una piccola serie di Spinn off che ho scritto per un concorso, legate sempre a queste fiction^^ le trovi sempre nel mio account XD Comunque vedrai che avrà anche la sua parte, fidati XD

Spiegazioni:
Forse ora capirete perchè Haine vuole così bene ad Ichigo come se fosse un secondo fratello. Perchè, in un certo senso, nel fatto di aver perso i genitori, si assomigliano molto. E per questo lei vuole vederlo felice.
Parlando della nonna, beh, era davvero un bel tipo. Ha avuto un attacco di cuore poco prima che Haine rientrasse dopo un uscita con gli amici e la ragazza l'ha trovata stesa sul pavimente. Da lì c'è stata la trafila in ospedale e la nonna le ha fatto fare molte promesse affinchè potesse essere sicura che fosse felice. Per il resto non ha avuto bisogno di preoccuparsi, sapeva che era in buone mani.
Kukaku, beh, era un amica dei tempi del liceo della mamma di Grimmjow e della mamma di Haine. Si sono conoscute ad Osaka un giorno che la ragazza era andata lì a fare una visita alla città.
Detto questo mi congendo, alcune cose verranno comunque rispiegate, qui ho voluto dare dei dettagli per farvi capire un po' meglio.
   
 
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