Anime & Manga > Suzumiya Haruhi no yūutsu
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Autore: Kuri    20/11/2010    8 recensioni
Erano già trascorsi tre anni. Il mondo era ancora intatto, le attività di monitoraggio di Asahina-san, Nagato e Koizumi proseguivano senza troppi scossoni e Haruhi non si era ancora risvegliata dal proprio sonno di dio folle. E, malgrado tutte le cose straordinarie accadute, i giorni erano trascorsi placidamente, mentre ci avviavamo alla fine del nostro periodo come studenti delle superiori.
Avevamo fatto i corsi serali per preparare gli esami di fine anno e quelli di ammissione all'università. Avevamo compilato centinaia di questionari su cosa saremmo voluti essere da grandi. Fatto i colloqui attitudinali. Reso il giorno del festival culturale un evento memorabile. Infine, gli esami erano andati bene, e nel giro di pochi giorni erano pronti a farci uscire dalla North High per gettarci in pasto al mondo.
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fic scritta per il contest Colors, Photos and Chooses, indetto da Shippy, ed arrivata prima. Lo scopo era basare la propria storia su un colore (io ho scelto il violetto, di cui sotto, nelle note alla storia, vi metterò la descrizione) e su un'immagine iniziale che ci è stata assegnata proprio in virtù della scelta del colore.
Storia decisamente moooolto sdolcinata, ma forse va bene anche così! Enjoy! *w*






La paura di Haruhi Suzumiya





La città era avvolta da un velo umido che ne scioglieva dolcemente i contorni, lasciando che i palazzi e il placido scorrere del fiume emergessero dalla nebbiolina violetta come un sogno. Tutto perdeva di consistenza nella luce dorata del sole morente.
Aveva piovuto da poco, un acquazzone che si era abbattuto con violenza sul cemento, sull’acqua e contro i mattoni, e a terra rimanevano pozzanghere che riflettevano il cielo.
Lungo la strada che costeggiava il fiume stava camminando una ragazza. Aveva le mani infilate a fondo nelle tasche della giacca e proseguiva a testa bassa, incurante di quello che la circondava. Solo di tanto sembrava sussultare al passaggio di qualche auto veloce, ma non perché fosse preoccupata per gli schizzi che queste sollevavano verso di lei.
Camminava in fretta, come se stesse scappando da qualcosa di terribile, eppure i suoi piedi sembravano frenarla, in quella fuga. Forse quello che si trovava alle sue spalle non era poi tanto terribile.
Il sole sbucò da una nube sfilacciata e inondò il fiume e la strada di un delicato color pesca, dietro lo schermo di un’insegna pubblicitaria.
La ragazza si fermò ad osservare il sole e il tramonto sopra di lei. Sulle ciglia le comparvero delle lacrime tremolanti. Faceva fatica a guardare tutta quella luce.
Poi una voce chiamò il suo nome. Lei si pietrificò, sul suo viso si dipinse un’ombra di disperazione e di vana speranza.
Si voltò su sé stessa, mentre il vento le scompigliava i corti capelli castani.
Un ragazzo correva verso di lei, tendendo la mano nella sua direzione come se avesse potuto afferrarla tra le dita.
Lei indietreggiò di un passo, scuotendo la testa, incredula e trepidante con le lacrime che, come perle, le brillavano agli angoli degli occhi, senza però avere la forza di scendere.
Il ragazzo si fermò a pochi passi da lei e allargò le braccia sconsolato, in un tentativo di giustificazione.
«Ti prego, non andartene... io ti amo da sempre!»


«Che idiozia.»
Così. Lapidaria. Senza curarsi delle emozioni altrui.
«Una ragazza deve essere veramente idiota per rinunciare a tutto per qualcosa di idiota come l’amore. Tra l’altro per un idiota che ci ha messo due ore per dirle che la ama.»
E quattro. Avevate mai notato quante volte e con quanta perizia Haruhi riusciva a dire idiota – e tutte le sue varie declinazioni – in qualche manciata di secondi?
Considerando inoltre che, con il trascorrere degli anni, questa sua abilità aveva dimostrato di sapere crescere in modo esponenziale, ero sicuro che prima o poi avrei sentito una frase di senso compiuto composta solo da idiota – e tutte le sue varie declinazioni, ovvio –.
Haruhi scivolò fuori dal kotatsu tiepido e si avvicinò a tentoni al mobile della tivvù, facendo calare il suo indice implacabile sul pulsante debolmente illuminato nell’angolo in basso dello schermo. L’apparecchio si spense con quello che parve un sospiro di sollievo e il salotto di casa mia sprofondò nel silenzio.
Ovviamente, non mi aveva chiesto se ero interessato a vedere come finiva il film.
Ritornò poi lentamente verso il kotatsu e infilò le gambe sotto la trapunta imbottita. Le punte dei suoi piedi sfiorarono i miei, sotto la protezione calda del tavolino, ma lei sembrò non accorgersene. Abbandonò la schiena contro il divano che si trovava alle sue spalle e se ne rimase lì, silenziosa ed imbronciata, con un braccio ripiegato contro lo stomaco e la mano libera che tirava leggermente una ciocca dei suoi lunghi capelli scuri.
Già. Perché in quel periodo i capelli di Haruhi erano lunghi, e quando faceva la coda alta era semplicemente uno schianto. Peccato che non se ne stesse abbastanza in silenzio per far sì che l’illusione durasse più a lungo di cinque secondi.
Già. I capelli di Haruhi erano lunghi anche perché di lì due giorni ci sarebbe stata la nostra cerimonia di consegna dei diplomi, e lei non li aveva più tagliati da quel giorno del primo anno in cui aveva deciso di sconvolgermi l’esistenza.
Sospirando mi appoggiai anch’io al divano e lasciai che le gambe si allungassero pigramente, fino a che i piedi non sbucarono dall’altro lato del tavolino.
Erano già trascorsi tre anni. Il mondo era ancora intatto, le attività di monitoraggio di Asahina-san, Nagato e Koizumi proseguivano senza troppi scossoni e Haruhi non si era ancora risvegliata dal proprio sonno di dio folle. E, malgrado tutte le cose straordinarie accadute, i giorni erano trascorsi placidamente, mentre ci avviavamo alla fine del nostro periodo come studenti delle superiori.
Avevamo fatto i corsi serali per preparare gli esami di fine anno e quelli di ammissione all'università. Avevamo compilato centinaia di questionari su cosa saremmo voluti essere da grandi. Fatto i colloqui attitudinali. Reso il giorno del festival culturale un evento memorabile. Infine, gli esami erano andati bene, e nel giro di pochi giorni erano pronti a farci uscire dalla North High per gettarci in pasto al mondo.
Credo che sia inutile specificarvi cosa mi aveva fatto passare Haruhi nel frattempo. Ritenevo un vero miracolo il solo fatto di essere ancora vivo.
«Sei già andata a visitare l’università che frequenterai?» le chiesi posando lo sguardo su di lei. Si limitò ad una scrollata di spalle e a borbottare qualcosa.
Era da quando avevano esposto i voti di fine anno che si comportava così. Sebbene il suo nome fosse stato, senza alcuna sorpresa, in cima alla lista della nostra classe, lei era rimasta a fissarlo a lungo senza dire una parola, ignorando completamente le congratulazioni di tutti, limitandosi a fissare il foglio sulla bacheca come se avesse potuto bucarlo con lo sguardo.
Io ero rimasto a guardarla per tutto il tempo, sperando che si riscuotesse. Sapevo benissimo a cosa stava pensando, ma non avevo nessuna frase ad effetto pronta per bloccare il flusso di idee e desideri che le passavano nella testolina.
Vorrei non finisse mai.
L’aveva già pensato, in passato, e gli effetti di quella volontà li avevamo vissuti sulla nostra pelle nel caldo torrido di un’estate senza fine.
Io, Nagato e Koizumi eravamo sempre stati consapevoli del fatto che l'approssimarsi del giorno del diploma avrebbe probabilmente dato il via ad eventi inimmaginabili, ma poi l’avvicendarsi delle scadenze ci aveva trascinati via con sé, distraendoci con i mille impegni che attanagliavano ogni normale adolescente giapponese.
E infine, quel giorno stava arrivando.
E prima o poi Haruhi mi avrebbe messo di fronte al suo ennesimo capriccioso desiderio, e io avrei dovuto fare di tutto per preservare la realtà che conoscevo.
Lasciai cadere la testa indietro sul divano e rimasi a fissare il soffitto. I momenti di malumore di Haruhi erano qualcosa di troppo ciclopico da affrontare, e comunque i nefasti effetti sarebbero ricaduti quella notte su Koizumi e i suoi compagni esper, perciò avrei potuto benissimo ignorarla e proseguire con la mia banalissima vita.
Tuttavia, sapevo cosa dovevo fare qualcosa per scongiurare la fine del mondo, e non potevo far finta di nulla.
Lo sapevo perché in un certo senso era quello che ci aveva permesso ogni volta di sfuggire al disastro, e perché era una realtà diventata fin troppo evidente negli ultimi tre anni.
Dovevo dirle che, malgrado mi sembrasse impossibile, non potevo fare a meno di lei.
Non era un semplice bisogno di preservare il mondo e l’umanità.
Il trascorrere del tempo mi aveva permesso di immergermi nella sua vita, una realtà piena di colori sgargianti e totalmente assurdi, ma che riuscivano a creare un’armonia a suo modo bella e attraente. A me era stato permesso di vedere al di là di quello che avevano potuto scorgere Koizumi e Nagato, nonostante i loro poteri strabilianti.
Avevo visto i suoi silenzi profondi, il modo in cui una ciocca di capelli le sfiorava la guancia mentre osservava fuori dalla finestra, il sorriso abbagliante che le riempiva il viso, i suoi momenti di incertezza come quelli di vivacità. Perché per quanto fosse esagerata e sfrontata, arrogante e menefreghista, i sentimenti che provava erano umani, quanto i miei.
Non voglio crescere.
Il mio campo visivo venne invaso dal viso di Haruhi, che nel frattempo era scivolata fuori dal kotatsu e mi osservava dall’alto.
Avevo sentito benissimo. Ma non perché nel frattempo lei avesse deciso di farmi diventare un telepate. La conoscevo semplicemente troppo bene.
«Ho voglia di un mocaccino.»
Assottigliai lo sguardo.
«E io cosa ci posso fare?»
Lei sbuffò irritata e mi scavalcò con un salto, dirigendosi verso l’entrata.
«Accompagnami.»
Mentre mi stavo alzando, il soffitto sembrò tremolare per un istante. Corrugai la fronte, poi mi voltai verso Haruhi che si stava infilando la giacca. Cosa stava combinando?
Continuai per qualche secondo ad osservare, ma non accadde più nulla.
«Allora, vieni?»
La raggiunsi, sebbene mi sentissi riluttante ad uscire.
Mentre aspettavo che arrivasse il giorno del diploma, avevo vissuto pigramente le mie giornate, nell’attesa che accadesse qualcosa. Nell’attesa di prendere il coraggio a due mani, afferrare Haruhi per le spalle, costringerla a guardami e dirle tutto quello che pensavo.
Hai deliberatamente sconvolto la mia vita, sei probabilmente il creatore del mondo che conosciamo, tu non lo sai ma mi hai quasi fatto ammazzare da un Mikuru-beam di Asahina-san, ma mi piaci. Un sacco. Probabilmente da sempre.
Il discorso mi sembrava adeguatamente convincente, eppure ogni volta che ero sul punto di farlo, rimanevo completamente pietrificato dal terrore.
Fuori l’aria era stranamente fredda.
Non voglio pensare che tra pochi giorni tu non farai più parte della mia quotidianità. Non posso sopportarlo.
La voce fuoricampo di Haruhi aveva un tono malinconico.
Camminammo in silenzio finché non raggiungemmo i distributori automatici che si trovavano in fondo alla strada.
«Haruhi…»
La lattina rotolò dal supporto, e lei si chinò a raccoglierla.
«Che c’è?»
Improvvisamente la parete a cui era appoggiato il distributore tremolò, sembrò squarciarsi come se non fosse stata altro che un semplice foglio di carta e al suo posto vidi il parapetto di un ponte e la lingua scintillante di un fiume colpito dalla luce violetta del tramonto.
Appena Haruhi si sollevò la visione scomparve, e io mi ritrovai a fissare inebetito un muro spoglio.
«Certo che sei proprio scemo…»
Sbattei le palpebre, ma non per lo stupore. Non avevo mai avuto così chiaro quello che stava accadendo, e questa volta non ci sarebbe stato bisogno delle astruse spiegazioni di Nagato o Koizumi.
Haruhi ci stava facendo finire dentro il film che aveva considerato tanto idiota.
«Haruhi.» strinsi le mani attorno alle sue spalle, e la costrinsi a guardarmi. Lei mi fissò, trattenendo appena un po’ il respiro e spalancando lievemente gli occhi scuri.
Era bella da togliere il fiato. Sebbene mi sentissi come un ragazzino la mattina di Natale ogni volta che vedevo l’Asahina-san del futuro, non era paragonabile a quello che Haruhi mi aveva inconsapevolmente insegnato a sentire con il trascorrere del tempo.
Tu mi fai sempre sentire… giusta. Non importa cosa dica o faccia. Semplicemente mi fai sentire che ho il diritto di esistere, qui, in questo momento, e che il mio posto non potrà mai essere preso da nessun altro.
«Stai pensando di fare qualcosa di assurdo per il giorno del diploma?»
Maledetta ritrosia giapponese! Perché non ero in grado di parlarle? E non solo perché rischiavamo di finire nostro malgrado sul set di un film. Era giusto che lei sapesse tutto prima della fine della scuola.
«Cosa ti fa pensare che abbia qualcosa in mente? Io non sto progettando proprio nulla.» rispose con un’alzata di spalle. Tuttavia tenne il suo sguardo puntato su di me.
«Perché ti conosco.»
Scivolò fuori dalla mia stretta e prese ad incamminarsi.
Mi voltai solo un istante verso il distributore alle mie spalle. Il muro era nuovamente scomparso e il fiume scorreva placido. Riuscivo anche a sentire lo sciabordio della corrente contro i piloni del ponte, mentre il lontananza giungeva il ronzio delle automobili.
Forse aveva ragione Haruhi. L’amore era proprio una cosa da idioti.
Insomma, era una condizione che ci calzava a pennello.



***



Nagato continuava a fissarmi insistentemente. Per certo nel suo complesso sistema di pensiero non esisteva una regola tipo “Mettere a disagio con atteggiamenti evidentemente strani le altre persone non è buona educazione”, ma avevo confidato che il passare del tempo avrebbe smussato questi aspetti del suo essere.
Posai la scatola dell’Othello che avevo preso in mano e mi volai a guardarla.
«Che c’è?»
«Ieri sera ho rilevato una variazione di dati ambientali.»
Non mi dire.
Ripresi il gioco e lo misi in una scatola di cartone. Stavamo, pezzo per pezzo, smantellando la Brigata SOS.
Haruhi non aveva voluto trovare un degno erede per tutta la folle baraonda che aveva creato negli ultimi tre anni, anche se varie presenze, più o meno paranormali, avevano di tanto in tanto rinfoltito il nostro gruppo. Perciò, arrivata la fine della scuola, si era reso necessario restituire quel piccolo angolo di mondo all’istituto. Haruhi non aveva mai partecipato a quell’attività.
«Suzumiya deve essere fermata prima che possa completare la sovrapposizione della realtà alternativa a quella attualmente esistente.»
Lo sapevo. Erano passati tre anni da quando avevo conosciuto Haruhi, sapevo come funzionavano le cose.
«Non può essere così grave.»
«Le variazioni ambientali apportate da Suzumiya non devono essere sottovalutate. Dai dati degli screening, nei settori C-4, M-7 e K-14 la modificazione risulta già irreversibile.»
Improvvisamente, la luce forte del pomeriggio che colpiva il viso di Nagato, seduta sulla sua solita sedia, virò verso il violetto, gettando la stanza del club nella penombra.
Mi avvicinai alla finestra e osservai il cielo percorso da delicate nuvole colpite dalla luce del tramonto. In lontananza, oltre la bava scintillante del fiume, riuscivo a vedere un'enorme insegna pubblicitaria posta sul tetto di un palazzo.
Strinsi i pugni lungo i fianchi, mentre le mani tremavano per lo sforzo.
Mi voltai indietro e corsi attraverso la stanza. Quando arrivai alla porta questa si aprì, e la mia spalla andò a sbattere contro quella di Koizumi che entrava.
«Kyon…»
Non volevo stare a sentire quello che aveva da dire.
Mi precipitai nel corridoio e continuai a correre a perdifiato. Scesi al piano terra e recuperai le mie cose. Non mi fermai finché non fui fuori dal cancello della scuola, lontano da tutte le persone che si aspettavano che dicessi qualcosa, quella cosa che avrebbe concesso a tutto il mondo di vivere in pace, ma che non ne voleva sapere di uscire dalla mia bocca.
Il cielo era tornato azzurro e il sole splendeva del tepore primaverile.
La strada era deserta, così come il cortile della scuola alle mie spalle. Quasi tutte le attività dei club erano terminate, e pochi studenti si fermavano dopo la fine delle lezioni.
Misi la borsa a tracolla e gettai una lunga occhiata lungo la strada che avevo percorso per tanto tempo. L’asfalto curvava verso il basso, scomparendo oltre la curva che seguiva il muro, e si perdeva in lontananza, fino alla base della collina. Dal punto in cui guardavo riuscivo a vedere la stazione del treno.
Voltai le spalle e proseguii lungo la strada, oltrepassando la scuola.
Domani sarebbe cambiata ogni cosa? Avrei potuto rilassarmi durante le vacanze, prima di iniziare l'università? Sarebbero ancora esistite le vacanze?
Io e Haruhi ci eravamo iscritti alla stessa università, ma a due corsi diversi. Non era stata una cosa premeditata, almeno non da parte mia. Semplicemente era accaduto, senza che ci capissi molto e senza che intervenisse lo zampino sovrannaturale di Haruhi.
Di lì a tre settimane, non avrei più vissuto con la perenne frustrazione che Haruhi potesse combinare qualcosa di catastrofico.
Mi fermai. Lasciai che il mio sguardo vagasse oltre il parapetto della strada, perso nella vista della città che si spandeva ai piedi della collina su cui si trovava la nostra scuola.
Mi ero già sentito in quello stesso modo, e non avevo potuto fare a meno di lottare finché la mia sconfortante realtà non mi era stata restituita.[1]
«Che viso pensieroso.»
Ritornai a guardare la strada. Poco più avanti, su una panchina tra gli alberi del viale, era seduta Asahina-san, che mi osservava sorridendo con comprensione. Non era la distratta universitaria che non sapeva farsi rispettare da Haruhi per il proprio rango di senpai, ma la giovane donna che veniva a trovarmi dal futuro, dalla voce ancora dolce ma sicura, e che avevo iniziato a considerare il mio personale angelo custode, pronto a viaggiare nel tempo per tirarmi fuori dai guai ovunque mi trovassi.
«Il pensiero della vita universitaria mi uccide.» le risposi andandomi a sedere accanto a lei, lasciando che le braccia mi ricadessero tra le gambe stancamente.
«Non sei mai stato un bravo bugiardo, Kyon.» disse voltandosi verso di me. Una ciocca di capelli chiari le ricadde sulla pelle candida del collo.
Sospirai. Effettivamente era inutile mentire a qualcuno di loro. Farlo poi con Asahina, era anche un’azione immorale.
«Domani finirà il mondo?»
Lei rise appena, coprendosi la bocca truccata con la mano.
«Informazione riservata.»
Adoravo quando diceva così.
Lasciai che la testa mi ricadesse a ciondoloni tra le spalle. Dei piccoli fili d’erba sbucavano tra le sottili crepe dell’asfalto.
«Però, se posso permettermi di dire la mia opinione, domani potrebbe essere data la possibilità a qualcosa di nuovo di nascere.»
Non risposi, e non sollevai lo sguardo verso di lei.
«Vedi, Kyon… per tre anni tu, Nagato, Koizumi, e la me stessa presente avete fatto l’impossibile per scongiurare la nascita di qualsiasi sentimento negativo in Suzumiya che potesse portare alla fine di questo mondo. Il risultato è stato impeccabile, eppure… né io, né Nagato o Koizumi abbiamo fatto più di questo, non siamo andati oltre il compito che ci era stato assegnato.»
La vidi allungare una mano che posò sopra il mio braccio, e alzai lo sguardo verso di lei. Era fin troppo facile intuire dove voleva andare a parare una persona innocente e dolce come Asahina-san, anche se era nella sua versione più adulta.
«Ma tu hai saputo mettere nel suo cuore…»
Scossi la testa.
«Il problema non è questo.» le dissi raccogliendo la sua mano sotto la stretta della mia. Come avevo immaginato era tiepida e morbida.
Il viso di Asahina fu colorato improvvisamente dalla luce violetta del tramonto del film. Lei si voltò ad osservare quello che adesso ci circondava, socchiudendo appena le labbra in un moto di sorpresa. La panchina su cui eravamo seduti si trovava lungo le rive del fiume e alle nostre spalle le auto percorrevano velocemente la strada. Il marciapiede sembrava ancora umido per un recente acquazzone.
Tuttavia, a dispetto delle altre volte, il paesaggio non mutò subito. Il cielo, come percorso da piccole interferenze, tremolò sopra di noi, inondandoci della sua luce calda.
«Per la prima volta, da quando l’ho conosciuta, sono d’accordo con lei.» sospirai stringendo più forte la mano di Asahina. Lei continuò a sorridermi facendo finta di nulla «Quando domani si concluderà tutto, io cosa farò? Ho paura di sentirmi… solo. Perciò credo che in qualsiasi modo lei decidesse di far finire questa cosa, a me andrebbe bene.» il fluire lento del fiume sembrava una carezza ipnotica. Mi piaceva sentire il leggero gorgoglio dell’acqua «È per questo motivo che non riesco a dirglielo, perché so che potrebbe cambiare tutto. Egoisticamente, non voglio che lei smetta di avere paura di crescere.»
Ritornai a guardare Asahina, che non aveva smesso di sorridere per un istante. Mi sentivo un verme ad aver espresso un sentimento tanto bieco di fronte ad un’anima così candida.
«Sono una persona orrenda, lo so.»
Lei scosse la testa velocemente.
«No, non devi assolutamente pensarlo. Io non l’ho mai pensato, né adesso, né tanto meno in passato.»
Lasciai andare la sua mano e mi alzai, allungando le braccia verso il cielo. Il paesaggio che si trovava davanti a noi tremò, mentre lunghe interferenze, come un pulviscolo grigiastro, lo percorrevano fin dove poteva arrivare il mio sguardo. Infine, con uno scossone, tornò la collina e la salita che si arrampicava su di essa, con la scuola alle nostre spalle.
Sentii Asahina che si alzava dietro di me.
«Ti ricordi, cosa successe tre anni fa? La me stessa di allora ti portò indietro nel tempo, fino ad una notte di Tanabata che ha cambiato molte cose.» mi disse con voce vellutata. Rimasi con gli occhi fissi davanti a me, non riuscivo a voltarmi per guardarla «Quella notte, c'era una ragazzina che, malgrado avesse la possibilità di iscriversi alle scuole più prestigiose del paese, aveva deciso di venire in un normale liceo di provincia, nella speranza di incontrare un ragazzo che non era neppure riuscita a vedere in faccia. Lo ha fatto perché il suo cuore le aveva suggerito che valeva la pena di tentare il tutto per tutto, per ritrovare quella persona.»
Ero pietrificato dalle sue parole. Il profumo delicato di Asahina mi avvertiva che era ancora alle mie spalle.
«Mi stupisce che quel ragazzo non desideri vedere quella ragazzina diventare grande. Potrebbe valerne davvero la pena, no?»
Quando mi voltai, Asahina era già sparita, probabilmente risucchiata da qualche passaggio spazio-temporale. Uscita ad effetto, non c'era che dire.
Lasciai che il mio sguardo scivolasse lungo il muro della scuola, oltre la rete metallica, fino al massiccio corpo centrale che si stagliava tra i rami degli alberi.
Era un vero peccato che a marzo non ci fossero stelle a cui alzare la propria preghiera.



***



Quando mi alzai dalla panchina, i muscoli delle mie gambe bruciarono furiosamente di protesta, visto che ero rimasto per tutto il pomeriggio ad aspettarla di fronte alla scuola.
Sapevo che sarebbe arrivata, non ne avevo il minimo dubbio.
Haruhi era la classica persona che aveva bisogno di gridare “Io sono qui” dalla cima del mondo, e quello era il luogo più alto che conoscevamo.
«Yo.» la salutai semplicemente sollevando la mano. La luce del tramonto le colorava le guance di porpora e ritagliava in grosse bande scure i suoi capelli. Che alle sue spalle fosse tornato a snodarsi il fiume scintillante del film, non aveva importanza.
È incredibile come un monosillabo tanto idiota abbia il potere di rendermi felice. Quanto sei scemo, Kyon.
E lei non sarebbe mai potuta cambiare.
«Sei venuta a dire addio?»
Haruhi serrò le labbra, imbronciata. Non avrebbe mai ammesso una cosa simile, neppure sotto tortura, neppure se si fosse trovata da sola in una stanza blindata.
«Stavo facendo una passeggiata. Stavo pensando al discorso per domani mattina. Anche se comunque continuo a non capire perché non lo faccia la presidentessa del comitato studentesco.» rispose incrociando le braccia sul petto.
«Forse perché sei la studentessa più meritevole?» le dissi avvicinandomi a lei. Le mie gambe mi maledirono sentitamente.
Haruhi sollevò le spalle con un mugugno indispettito.
«Non credere comunque che i professori non siano preoccupati per quello che dirai. La voce più accreditata dice che domani ti presenterai con il tuo costume da coniglietta. E io sono ovviamente molto preoccupato.»
Solamente la scuola era rimasta immune dalla lenta trasformazione del paesaggio, eppure Haruhi sembrava non essersi accorta di nulla. I suoi occhi erano tutti per quel semplice fabbricato, apparentemente non molto diverso da tanti altri che si trovavano lungo quella strada.
«Ti ho detto che puoi stare tranquillo. Non farò niente.» disse sollevando le spalle «Anche se l'idea del costume non era male.»
Malgrado tutto, sono solo una delle tante, brave, noiose ragazze che non vogliono altro che vivere un momento speciale con la persona che amano, anche se quel singolo istante implica quanto di più doloroso in questo momento sia in grado di pensare.
«Credo che non sarà così terribile andare all’università, sai?» le dissi continuando a guardarla. Il suo profilo era immobile.
«Spero solo che non sia noioso come lo sono stati gli ultimi tre anni, non potrei sopportarlo. Anche se, considerata l’insulsaggine di alcuni dei test che abbiamo fatto, non ho molte speranze per il futuro.»
Sbuffai, mentre le mie labbra si piegavano in un sorriso.
«Ancora con questa storia degli eventi paranormali? Perché non prendi in considerazione l’idea di non esserti accorta di nulla? Potrebbe anche essere che tu non sia intelligente come credi…» mi abbassai leggermente e quando lei si voltò indispettita a guardarmi le picchiettai con l’indice sulla fronte.
«Senti chi parla. Sei la persona assolutamente più ottusa che conosca!»
Dovevo convenire che era uno scambio di battute davvero molto shōjo. Stavo iniziando ad adattarmi a questa situazione cinematografica.
Restammo a guardarci negli occhi per un istante lunghissimo. Se il mondo avesse continuato ad esistere, o fosse scomparso, in quel momento era solo una questione di dettagli.
Lasciai cadere la borsa a terra. Sollevai le mani e le appoggiai alle sue spalle. Haruhi non si mosse e continuò a tenere il suo sguardo nel mio. Questa volta non c’era nessun gigantesco uomo blu che rischiava di schiacciarci, perciò potevo prendermela con calma. Lasciai che le mie mani scivolassero lungo la sua schiena e la strinsi a me, affondando il viso tra i suoi capelli. Uno dei fiocchi della sua fascia mi solleticava la guancia.
Tra le mie braccia sembrava piccolissima.
Sentii le sue dita affondare nelle maniche della mia giacca, stringendo la stoffa con forza.
«Certo che sei una bella egoista, Haruhi. In tutto questo tempo non ti sei mai preoccupata di come potessi sentirmi io, in questa situazione.» le sussurrai all’orecchio. Lei mi strinse ancora più forte «E anche se frequenteremo la stessa università, non ci sarà più niente come prima e, per quanto mi secchi ammetterlo, in questi tre anni mi sono davvero divertito.»
Davvero?
«Però ci saranno tantissime altre cose. Ci saranno ancora le Golden Week, e le vacanze estive. Potremmo pranzare ancora insieme, e potremmo scoprire i dieci misteri dell’università della prefettura di K.» Haruhi strofinò il viso contro la mia giacca, ma ero sicuro che non stava piangendo «Anch’io ho una paura maledetta, ma una volta una persona mi ha detto che il futuro merita di essere conosciuto. Perciò penso che raccoglierò questa sfida, e farò del mio meglio.»
Non ti lascerò essere migliore di me, non in questa cosa, almeno.
Sorrisi. Mi scostai da lei e rimasi a guardarla. Era proprio così che doveva essere, in una storia d’amore scolastica giapponese. Ci doveva essere la scuola, il tramonto, e una studentessa onnipotente che poteva creare mondi nuovi solo desiderandolo. Non potevo chiedere di meglio per concludere degnamente il liceo.
Haruhi sorrise. L’avevo sempre detto che quando voleva poteva essere terribilmente carina.
«Grazie, Hi…» [2]
Le posai l’indice sulle labbra.
«No. Se tu decidessi finalmente di non chiamarmi più con quel ridicolo nomignolo dopo tre anni che te lo chiedo, credo che mi si spezzerebbe il cuore dalla commozione. Piuttosto, chiamami John Smith.»
I suoi occhi si spalancarono appena, in un moto di stupore.
Cosa? Non può essere possibile, è totalmente illogico.
Le scostai una ciocca di capelli dalla fronte, poi annuii con calma. Sicuramente sul mio viso si era dipinto un sorrisetto divertito.
E me lo dici ADESSO? Dopo quasi quattro anni? Sei un idiota, io ti odio!
Haruhi raccolse il mio viso tra le sue mani e mi costrinse ad abbassarmi, finché le nostre bocche non si incontrarono.
Dietro le palpebre chiuse vidi la luce che iniziava a pulsare forte, mentre la realtà attorno a noi tremava con potenti scossoni.
Vi siete mai trovati nella situazione per cui non vi importa nulla se il mondo scompare o continua ad esistere? In cui ogni cosa, ogni singola particella di universo potrebbe esplodere in una pioggia di quark e per voi non farebbe alcuna differenza?
In quel bagno di luce, con le mani di Haruhi intrecciate dietro alla mia nuca, non mi importava poi molto se il giorno dopo non ci sarebbe stata nessuna consegna dei diplomi, nessuna vacanza di primavera e nessun primo giorno di università.
Mi sarei posto il problema una volta aperti gli occhi.














[1] Come dimenticare La scomparsa di Haruhi Suzumiya?
[2] Quale sarà il vero nome di Kyon? ^^ Ero indecisa sulla prima sillaba, credo che “Hi” dia il maggior ventaglio di possibilità, almeno in base alla mia scarsa conoscenza dell’onomastica giapponese. Gli altri possibili candidati erano “Ta” e “Ry”, ma alla fine, sarà perché considero “Hiroshi” un nome molto bello, ho optato appunto per “Hi”.

[Violetto] Il violetto è un insieme di rosso e di blu, e benché sia un colore a sé stante, mantiene alcune proprietà degli altri due, in quanto composto da essi, anche se ne perde la nettezza di significato. Il violetto tenta di unificare la conquista impulsiva del rosso e la dolce sottomissione del blu, e rappresenta dunque l'identificazione. Questa identificazione è una sorta di unione mistica, una profonda intimità di sentimenti che punta ad una fusione totale tra il soggetto e l’oggetto, che fa sì che tutto quel che il soggetto pensa e desidera possa divenire una realtà. In un certo senso è l'incantesimo, il sogno realizzato, uno stato magico nel quale i desideri sono soddisfatti. La persona che preferisce il violetto vuole avere dei rapporti magici. Vuole affascinare se stessa e gli altri in quanto, benché l'identificazione sia magica, la distinzione tra soggetto ed oggetto esiste ancora. Il violetto può essere l'identificazione in quanto fusione intima, erotica o può condurre ad una comprensione intuitiva e sensibile. Ma il suo carattere irreale e fantasioso può anche portare all'incapacità di distinguere, e di qui all'esitazione, all'incertezza, fino all'irresponsabilità. Un adulto preferisce normalmente uno dei quattro colori primari (rosso, verde, blu, giallo) al violetto. La scelta di questo colore da parte dei giovanissimi dimostra che per loro il mondo è ancora un luogo magico, in cui possono ottenere tutto ciò che desiderano: stato d'animo che ha certo un suo fascino, ma che non è bene si prolunghi nell'età adulta. la scelta del violetto in quest'ultimo caso indica invece una tensione prolungata, le conseguenze di uno choc, o di situazioni difficili vissute in tutta la prima infanzia. Si tratta di soggetti che necessitano di una comprensione particolare, di un trattamento pieno di riguardo e di molto affetto. E che hanno l'esigenza di un partner nel quale identificarsi. Ma può anche trattarsi di i soggetti che vogliono essere stimati per il proprio fascino, per le proprie maniere, che vogliono farsi notare. Sensibili e con buon gusto, non vogliono che le proprie relazioni li trascinino in responsabilità troppo grandi da affrontare.
Mia interpretazione: Il violetto mi ha subito ispirato perchè lo ritengo perfetto per descrivere il rapporto tra Haruhi e Kyon. Innanzitutto Haruhi è il rosso e Kyon è il blu, e la loro unione alla fine è il vero motore della storia (infatti ho scelto di far comparire poco gli altri personaggi appunto per concentrarmi soprattutto su loro due). L'intimità che porta alla fusione è rappresentata dal fatto che Kyon riesce a sentire i pensieri di Haruhi (per una volta si scambiano i ruoli ^^) e anche dal fatto che si conoscono reciprocamente come le loro tasche. Il violetto è rappresentato anche dal fatto che entrambi non vogliono crescere, che sentono la tensione verso la vita adulta come uno strappo troppo forte e che non si sentono in grado di affrontare. Inoltre, solo l'uno nell'altra riescono a trovare la comprensione, l'identificazione di cui hanno bisogno per non sentirsi soli, ma un'unica entità che così ha il coraggio di affrontare ogni sfida.

   
 
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