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Autore: Yvaine0    02/12/2010    16 recensioni
Ero in treno da un'ora verso il nulla più totale.
Perchè? Probabilmente tutto era iniziato quando mio fratello aveva iniziato a parlare. Fin da subito aveva capito la sua vocazione: sparare stronz-...sciocchezze. E così, litigio dopo litigio, nostra madre era impazzita e aveva deciso di spedirci tutti e due a vivere da qualche parte lontani da loro.

Pan Fletcher, diciottenne, ragazza di città, si ritrova catapultata in un mondo a lei estraneo, caratterizzato da laboriosità, aria pura, e sentimenti sinceri. Armata di mp3, di un bizzarro interesse per le mucche e di un rassicurante manuale di sopravvivenza create da lei stessa, affronta questa avventura che la vita le regala senza ben sapere cosa pensare di tutto ciò che le sta per accadere.
"Che diavolo ci fai qui?"
"Che diavolo ci fai TU qui! Questa è casa di mio nonno!"
"Io qui ci vivo!"
Fissai il ragazzo in cagnesco per qualche istante. "Bè, anche io!"
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cows and jeans'
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Al nonno, che ci guarda e ci guida da lassù.
Sei stato forte fino alla fine, non hai mai smesso di esserlo.
Noi siamo forti per te, quaggiù. Tu sii forte per noi, lassù.

-E alle mie bionde, che mi ispirano e incoraggiano.-



 

Cows and jeans
1

 


Viaggiavo in treno da poco più di un' ora e i miei buoni propositi stavano già svanendo. Volevo già tornare a casa. Tutti quegli alberi, i campi, il treno che a ogni fermata si riempiva di gente dall'aria sempre più frizzante e curiosa. 
Lo sapevo, avrei dovuto portare pazienza. Mi sarei dovuta abituare a quelle persone, proprio come loro avrebbero dovuto abituarsi a me.
Ma quei dannati sguardi curiosi proprio non li reggevo. Non ero poi una persona così strana!
Jeans lunghi, felpa nera, scarpe da ginnastica bianche. La valigia blu sotto il sedile, uno zaino nero nel porta oggetti e una tracolla di jeans sulle gambe.
Troppi bagagli? Dovevo trasferirmi, non ero in gita.
Capelli appariscenti? Erano marroni, cavolo, più non-colorati di così non si poteva!
Occhi? Eh be'. Wow. Marroni pure quelli.
Naso? Normale.
Corpo? Minuto e decisamente poco interessante. Da dodicenne.
Oh. Ora capivo. Probabilmente quei campagnoli impiccioni vedevano una bambina piena di valige scappare di casa, e non una diciottenne cacciata dai genitori.

"Sei maggiorenne? Vattene dal nonno! Non può che farti bene".
Dunque... ciuuuffciuuuff! Ero in treno da un'ora verso il nulla più totale.
Perchè, vi chiedete? Probabilmente tutto era iniziato quando mio fratello aveva iniziato a parlare. Fin da subito aveva capito la sua vocazione: sparare stronz-... sciocchezze. Così, insulto dopo insulto, dispetto dopo dispetto, litigio dopo litigio, discussioni dopo discussioni coi genitori, nostra madre era impazzita e aveva deciso di spedirci tutti e due a vivere da qualche parte lontani da loro.
Poi ovviamente era intervenuto George, il nuovo compagno di nostra madre, proponendo un collegio chiamato non-so-come nella terra di non-so-dove, del quale conosceva il preside, che avrebbe potuto provvedere ad uno sconto della retta annuale in modo da permetterci di autofinanziarci... ma questo aveva scatenato l'ira di nostro padre. Ovviamente. Si era messo a sbraitare che quell'uomo non aveva alcun diritto di decidere cosa mamma avrebbe dovuto fare di noi; così aveva preso in mano la situazione, decidendo di spedire Joshua dalla prozia Krimilde in Germania finchè non avrebbe compiuto diciotto anni e di lasciare me, povera e dolce ragazzina indifesa, in casa sua finchè non avessi trovato un lavoro. Lo zuccone, tuttavia, proprio non voleva andarci, in Germania, e io mi ero offerta volontaria per fare a cambio con lui - non mi sarebbe capitata di nuovo l'occasione di andarmene in Europa e vivere gratuitamente nell'enorme villa di quella zitella ricchissima con una biblioteca più grande e sicuramente meglio fornita di quella della mia città.
Questo mio interesse era bastato a far sì che Joshua ci ripensasse, motivo per cui avevamo iniziato a litigare di nuovo, davanti a papà, alla mamma e a George.
Papà aveva battuto un pugno sul tavolo, forte, richiamandoci al silenzio. "Joshua. Tu, da Krimilde" aveva deciso, "e tu dal nonno!"
A quel punto non avevo potuto ribattere. George e mamma -non aveva un grande istinto materno, anzi non ne aveva per niente- preferivano largamente la presenza del simpatico bruffone -Joshua- alla mia. Inutile dire che io ero invece la cocca di papà; come lui ero stata sempre denigrata da tutti per la mia semplicità e noncuranza per certi dettagli come la vita sociale e il successo, cosa che invece contraddistingueva praticamente tutta la mia famiglia e, come loro, tutti gli abitanti della città in cui vivevo.
Papà non mi aveva mai punita e non sapevo esattamente perchè avesse iniziato quel giorno; forse io e Joshua avevamo veramente toccato il fondo.
Ad ogni mondo, non avevo potuto replicare: se ero riuscita a fare arrabbiare quel santo uomo forse era veramente giunto il momento di cambiare aria. Non mi ero mai trovata bene in quella città, ma nonostante avessi raggiunto da qualche mese la maggiore età non mi aveva nemmeno mai sfiorata l'idea di andarmene e farmi una vita da qualche altra parte.
Ora invece l'idea non solo era affiorata, ma mi aveva investita in pieno con la potenza di un treno.
Se solo fosse stata mamma -maledetta psicologia inversa!- a propormi un viaggio permanente a Sperdutolandia l'avrei mandata a quel paese senza troppi giri di parole e mi sarei trasferita a casa della mia migliore -e unica- amica Emily. Trattandosi però di papà -dannata la mia mente contorta!- avevo pensato che forse non sarebbe stata un'idea così cattiva.
Ora però quei dannati sguardi mi irritavano come l'ortica a contatto con la pelle.
E, dannazione, stavo già iniziando a parlare come uno di quei vecchi cow-boy che avevo tante volte visto negli scadenti film western di George.
Fissavo il territorio cambiare gradualmente fuori dal finestrino. I grattacieli avevano lasciato il posto ai normali condomini, poi alle casette a più piani, alle villette e schiera, alle industrie fumanti, infine alle autostrade. Tante autostrade, le città ormai visibili solo all'orizzonte.
Gran parte dei passeggeri erano scesi dal treno e ora iniziava a salire, uno ogni tre o quattro fermate, qualche pendolare.
E poi, piano, piano, iniziai a vedere le grandi proprietà, enormi giardini, qualche casa abbandonata, discariche e poi ancora: campi, tanti campi; sempre più campi e alberi. Ormai erano quaranta minuti che non vedendo che campi. Verdi e chiaro, verde scuro, dorati, color paglia, marroni, terra arata di fresco, campi di girasoli e grano. Poi, quando vidi questi, quasi mi venne un colpo: pascoli. Pecore, cavalli, buoi.
Ancora pecore.
Pecore, pecore, altre pecore.
Oh, e anche ...pecore.
Poi un cartello, il nome di un paesino. Il mio paesino.
Sospirai, terrorizzata all'idea di quello che mi aspettava una volta scesa e mentre il treno rallentava presi le mie cose.
Scesi dal treno e presi un ultimo respiro profondo.
Mi sentii estremamente smarrita vedendo che quel posto non aveva nemmeno una stazione, ma semplicemente una fermata - una fermata in mezzo ai campi, in mezzo al nulla.
Io ero in mezzo al nulla.
Un uomo passava su un trattore. Lo guardai. Lui alzò il cappello di paglia che portava in testa in segno di saluto. Un paio di donne più vicine mi sorrisero.
Come in ogni piccolo paese sperduto nel nulla, tutti sapevano che sarei arrivata: cosa mi aspettavo? Sospirai. 
"Scusatemi" mi feci coraggio e mi avvicinai a loro. "sono la nipote di Abraham Fletcher, sapete come posso raggiungere la sua" ...tana?, mi chiesi, stupidamente. "...abitazione?"
"Certo, cara." rispose una delle due, una signora robusta dai lineamenti gentili; "prendi quel sentiero attraverso il campo del signor Towell, ti porterà alla strada principale. Poi prosegui verso il ponte e vai sempre dritto, lì troverai la fattoria del vecchio Stewart. Poi..."
Mi ero già persa. Da che parte dovevo andare?
Aspettai che la donna finisse di darmi le indicazioni, sconsolata, poi sorrisi e la ringraziai.
Per un attimo indugiai, forse sarebbe stato meglio chiedere di nuovo di spiegarmi la strada, ma pensai che sarei passata per stupida così facendo. Quindi raccolsi tutte le mie cose, prendendo tempo, poi mi incamminai lungo il sentiero che mi aveva indicato di nuovo la donna, intuendo di essere molto più stupida di quando sembrassi.
Attraversai con quel sentiero il campo dell'uomo sul trattore e poi gettai tutte le mie borse a terra, esasperata. Estrassi il cellulare dalla tasca della felpa, pregando che non mi fosse caduto lungo la strada. Fortunatamente era ancora lì. Cercai quindi un numero in rubrica e premetti il tasto verde, ma non accadde sulla.
Riprovai: niente.
Irritata, tentai una terza volta, ma quel dannato cellulare riagganciava da solo prima ancora di prendere la linea.
"Che diavolo ti prende?!" sbottai.
Non c'era campo.
Mi guardai intorno, stupita: nemmeno un'antenna telefonica in lontananza. Non avrei dovuto sorprendermi, in teoria, in fondo ero in mezzo ai campi e ... alle pecore.
Avevo un caldo bestiale. 
Solo una cretina come me poteva partire per quel viaggio con una felpa pesante indosso. Tutta colpa di mia madre e della psicologia inversa. "Mettiti qualcosa di leggero, farà caldo." Dannata me! Eppure ero uscita dall'adolescenza, avrebbe dovuto essere finito il tempo di quelle cretinate infantili!
Diedi un calcio alla valigia e mi gettai a sedere a terra, sperando che in quel posto almeno non ci fossero insetti strani tipo le formiche carnivore o millepiedi giganti.
Mi tolsi la felpa e rimasi in canottiera. Sì, avevo anche quella. Persino i calzini lunghi, perché pur di dar contro a mia mamma mi sarei messa pure guanti, sciarpa e paraorecchie. Mi sentivo infinitamente stupida.
Appoggiai la schiena alla mia valigia e chiusi gli occhi; respirai a fondo e li riaprii.
Non avevo ancora realizzato la situazione, altrimenti mi sarei fatta prendere dal panico. Avevo diciotto anni; ero stupida come pochi; ero stata cacciata di casa. Quando ero stata spedita nella terra di nessuno, da sola, mio nonno non era venuto a prendermi alla fermata del treno. Mi ero dunque persa in mezzo ai campi e non avevo diea di dove andare. Non c'era campo, non telefonicamente parlando, e stavo scoppiando di caldo. Mi era appena passata di fianco una biscia...
Una... BISCIA?!
Mi alzai in piedi, gridando. Con un balzo saltai sulla valigia che si ribaltò facendomi cadere lunga e stesa nell'erba. Impiegai mezzo secondo a rialzarmi e posizionarmi sopra di essa, giusto in tempo per vedere la coda dell'animale sparire nell'erba dall'altra parte della strada, con mio estremo orrore.
"Santo Cielo!" pigolai, raggomitolandomi sopra il mio bagaglio. Probabilmente non sarei più scesa di lì. Sentivo un improvviso gelo in tutto il corpo e avevo la pelle d'oca. Mi sarei rimessa la felpa, se solo non fosse stata per terra. Il terrore che quell'essere tornasse indietro era esorbitante, e anche stupido. Per quale motivo un rettile strisciante sarebbe dovuta tornare a cercarmi? Non era mica Lord Voldemort!
Certo, in teoria era così, ma... al solo ripensare a quell' essere nero che serpeggiava sullo sterrato a pochi centimetri da me mi fece venire i brividi.
"RAZZA DI IRRESPONSABILE!" gridai al nulla, irritata.
Quel vecchio rincitrullito di mio nonno non capiva la gravità della situazione, forse? Ero stata cacciata di casa! Ero stata spedita a vivere in un luogo sperduto tra campi e pecore e non mi era nemmeno venuto a prendere alla stazione! Che poi non c'era nemmeno, una stazione!
Avevo una gran voglia di piangere, tutto d'un tratto.
Strinsi le ginocchia al petto e vi posai sopra la testa. Respirai a fondo e chiusi gli occhi.
Manuale di sopravvivenza made in Pan Fletcher, regola numero uno: mai piangere. Davanti ad altre persone, ma soprattutto in situazioni allarmanti: non fa altro che farti agitare di più e dimostrare la tua fragilità agli altri e -peggio ancora- a te stessa.
In quel momento il fatto di essermi appena imposta delle regole da sola mi sembrò estremamente ridicolo. Ma se non avessi dato ascolto a me stessa quando ero da sola, come...
Diedi un calcio allo zaino lì accanto prima di poter finire il pensiero. Rischiavo di impazzire.
Regola numero due, respirare a fondo e tranquillizzarsi.
Presi un respiro profondo e alzai gli occhi al cielo, osservando l'azzurro interrotto da qualche nuvoletta bianca.
Regola numero tre, trovare almeno tre aspetti positivi nella situazione.
Bene, ehm... l'aria non era poi così inquinata, il paesaggio era decisamente bello e rilassante e... e poi?
E poi non ero ancora stata investita da un trattore, cosa che però faceva ancora in tempo ad accadere.
Regola numero quattro, riflettere e fare qualcosa per uscire dalla situazione scomoda.
Be', questo era facile, no? Arrivare a casa di mio nonno nonostante non sapessi dove fosse e non avessi intenzione di mettere piede a terra.
Sbuffai e presi il mio fidato mp3 dalla tasca dei jeans. Auricolari nelle orecchie più accensione uguale musica. Musica uguale estraniamento dal mondo reale. Estraniamento dal mondo reale uguale poco panico. Meno panico uguale più pensieri lucidi. E magari come risultato all' equazione avrei trovato qualche buona idea per andarmene da lì, o magari la paura sarebbe svanita e me ne sarei andata coi miei piedi.



In der Ecke - Nell'Angolo:
E dopo tanto tempo e una storia lasciata a metà -causa: litigio mentale con uno dei miei personaggi preferiti-, ora ritorno con un qualcosa che non so dove mi porterà. Io so ciò che succederà esattamente come la povera Pan, che poco capisce di tutta quella situazione, al di fuori della presenza di un sacco di pecore.
Ovviamente i luoghi sono inventati e se posso vorrei evitare di localizzarli, per non incastrarmi in qualche strano meccanismo della mia mente che si rifiuta di scrivere fesserie -per quanto poco ci riesca, poi.
Ok, so, che tutto questo commento è esattamente inutile e penso anche un poco sconclusionato, ma dovete capirmi, sono le dieci e quaranta e di solito a quest'ora già dormo come un ghiro.
Il secondo capitolo è già pronto e giungerà a breve.
Poi non so tuttavia quando nè come potrò continuare la storia, quindi, abbiate pazienza.
Colgo l'occasione per informarvi della creazione di un blog in cui io e un mio amico abbiamo iniziato a pubblicare alcuni dei nostri scritti: http://emporiodellascrittura.blogspot.com/ . Date un'occhiata se vi va, altrimenti non sarò di certo io ad obbligarvi! ^^
Nella speranza che queste note dell'autore non vi abbiamo spaventato facendovi decidere di abbandonare Pan, vi auguro una buona notte. :)


Yvaine0


 
  
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