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Autore: bluemary    16/12/2010    2 recensioni
La donna sollevò lo sguardo senza rispondere, rivelando gli occhi che fino a quel momento si erano rivolti altrove. Incapace di muoversi, la guardia la fissò sconvolto. L’iride nerissima era frammentata da piccoli lampi di grigio, come delle ferite che ne deturpavano l’armonia, donando al suo sguardo una sfumatura intensa quanto inquietante; ma era stato il centro stesso dell’occhio ad aver attratto da subito l’attenzione dell’uomo, che adesso la fissava quasi con terrore, le mani strette convulsamente alla lancia ed il respiro affannoso: al posto del nero della pupilla, si stagliava il bianco tipico degli Oscuri.
Cinque sovrani dai poteri straordinari, una ragazza alla ricerca della salvezza per una razza intera, un umano con la magia che sembra stare dalla parte sbagliata. Benvenuti su Sylune, una terra dove la speranza è bandita e dove gli ultimi uomini liberi lottano per non soccombere.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Sylune' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Grazie a Lulabi per i commenti, a chi ha messo questa storia tra le preferite o le seguite e anche a chi legge soltanto. Spero che questo capitolo sia di vostro gradimento^^


-Capitolo 2: Ricordi-

Viridian stava morendo.
Lo sapeva, ad ogni secondo sentiva la sua vita scivolare via dallo squarcio sul fianco assieme al dolore ed alle responsabilità a cui non aveva saputo far fronte.
Cercò di respirare, aprendo gli occhi in quel buio che la circondava opprimente e silenzioso, di non abbandonarsi ad una morte tanto facile, ma il pensiero che con essa sarebbe cessata anche la sofferenza era un’idea troppo allettante per non minare la sua determinazione.
Fu proprio quando stava per arrendersi che le vide.
Sua madre, il corpo sinuoso racchiuso dalla stretta tunica di cuoio tipica degli arcieri ed i capelli neri con intere ciocche contornate d'azzurro legati dietro la schiena. E, un passo dietro di lei, sua sorella maggiore Kirsta, con gli occhi viola tesi per la concentrazione di mantenere il contatto con la sua mente.
Solo in quel momento Viridian si rese conto di essere svenuta e che le due donne avevano approfittato di quella situazione per parlarle, proiettando le loro immagini nella sua coscienza con il potere tipico degli Eterei.
Le squadrò lentamente, con il cuore che le batteva più veloce per la felicità di rivederle dopo innumerevoli giorni di inesorabile solitudine.
La donna fece un passo in avanti, tendendo la mano in un inutile gesto di consolazione.
- Che è successo, figlia mia?
Una smorfia di sofferenza si disegnò sul volto di Viridian, mentre i suoi occhi viola, unico particolare fisico con cui gli Eterei si distinguevano dagli uomini, si riempivano di lacrime.
- Mi hanno trovato. - mormorò con voce spezzata.
Lentamente lasciò che i suoi pensieri prendessero forma, mostrando alle due donne la sua fuga da Huan e lo sterminio del villaggio, senza riuscire a trattenere una lacrima a quei dolorosi ricordi, che, tuttavia, sembravano meno crudeli ora che li poteva condividere con qualcuno.
- Madre, non riesco più a mantenere la concentrazione. - mormorò Kirsta, tremando per la fatica.
Viridian corse verso di lei con la mano tesa, come per afferrare quella figura sempre più sfocata e distante.
- Ti voglio bene sorellina. - riuscì a dire la ragazza più grande prima di scomparire, recidendo all’improvviso il legame che le univa.
La donna dai capelli corvini e azzurri fece un passo in avanti, catturando l’attenzione della figlia minore con l’urgenza presente nella sua voce.
- Non ho più molto tempo. Devi sconfiggere gli Oscuri e trovare il modo di riportarci su Sylune.
Viridian strinse i pugni. Solo lei e pochi altri sapevano cos’era realmente successo agli Eterei: non erano fuggiti dagli uomini come la maggior parte della gente aveva ipotizzato, erano stati gli Oscuri, una volta comparsi sulla terra, a bandirli in un’altra dimensione con un potente e proibito rituale. In questo modo si erano guadagnati la supremazia assoluta su Sylune, in quanto ultimi detentori della magia, e avevano cominciato il loro regno di conquista e morte.
Solamente Viridian e pochi altri Eterei erano riusciti a superare la barriera che li confinava in quel limbo senza tempo né forma e tornare nel mondo normale, con la speranza di poter liberare la propria gente; tuttavia il prezzo per averlo fatto era stato molto elevato e nessuno fino a quel momento era stato in grado anche solo di raggiungere gli Oscuri.
La ragazza lasciò che lo sconforto trasparisse dal suo volto, dopo quegli anni trascorsi a fuggire e nascondersi, temendo per la propria vita, si sentiva incapace anche solo di pensare all’eventualità di avvicinarsi indenne ai Cinque Re; in quanto al riuscire a sconfiggerli, quella era una mera utopia.
I suoi occhi viola si posarono su quelli di uguale colore della donna di fronte a lei.
- Non sono in grado di farlo.
- Resisti, Viridian, noi crediamo in te.
Una ruga di sofferenza attraversò per un attimo la fronte dell’Eterea, mentre la sua immagine cominciava a sbiadire.
- Madre. - mormorò la ragazza, vedendo la donna allontanarsi sempre più, proprio com’era successo alla sorella - Non mi abbandonare.
- Sei tu che non ci devi abbandonare, Viridian. Sei la nostra speranza.
L’ultima parola scomparve assieme all’Eterea, Viridian si ritrovò da sola in quella strana dimensione che era solo apparentemente simile al sonno degli umani.
Gli esseri della sua razza non avevano bisogno di dormire nel vero senso del termine, semplicemente entravano in una sorta di trance con cui riuscivano a collegarsi mentalmente tra loro, proiettando una propria immagine nei pensieri altrui. Era in questo modo che sua madre e sua sorella l’avevano contattata approfittando del suo stato incosciente, tuttavia per farlo avevano dovuto sprecare molte energie, visto che Viridian non si trovava nella loro stessa dimensione.
Si sedette su un terreno che non vedeva, senza nemmeno la forza di crearsi uno sfondo in cui trascorrere il tempo finché il suo corpo non fosse guarito abbastanza da permetterle di riprendere coscienza.
Odiava quello stato di trance, perché, da quando gli Oscuri avevano confinato tutti gli altri Eterei in una dimensione senza tempo, non poteva contattare nessuno in quelle ore di riposo e così si ritrovava sola in quel limbo sconfinato che, per quanto potesse assumere qualunque forma e colore a seconda del suo volere, rimaneva pur sempre un luogo deserto e silenzioso; per questo aveva imparato a dormire come gli uomini, chiudendo la mente e abbandonandosi senza remore a sogni che non avrebbero dovuto appartenerle, senza stupirsi della facilità di come ci fosse riuscita in così breve tempo, perché, in fondo, lei non era più solo un’Eterea.
Si morse le labbra, sentendo come non mai l’amarezza per la sua situazione.
C’era stato un attimo, quando aveva visto sua madre e Kirsta, in cui la speranza era tornata nuovamente nel suo cuore e, con loro così vicine, la missione non era sembrata così impossibile.
E, adesso che le due donne se n’erano andate, lei si sentiva inesorabilmente sola.
In quel buio e nel silenzio le immagini di ciò che era successo tornarono a tormentarla, più vivide che mai; strinse i pugni, cercando invano di cancellare dalla sua mente quei ricordi che si susseguivano tanto nitidi da farle venire le lacrime agli occhi.
Era rimasta a guardare il primo dei suoi difensori che cadeva a terra con il torace squarciato e la bocca aperta in un urlo muto che era stata lei stessa ad esternare, in preda all’orrore di ciò che stava guardando.
Poi Vard l’aveva presa per mano, trascinandola via a forza dallo scontro, mentre altro sangue ed altre morti deturpavano la serenità di quel villaggio.
I soldati non ci avevano messo molto a superare la strenua difesa di quella povera gente, massacrando la maggior parte di loro, ed in pochi minuti una decina di uomini li aveva raggiunti, pronti a spargere altro sangue in una terra già troppo rossa.
Tuttavia, prima che un nuovo scontro cominciasse, una figura un po’ curva si era frapposta tra i due ragazzi e quei crudeli guerrieri. Il noioso, irritante Obiko, il vecchio maestro di scherma che l’aveva sempre trattata con disprezzo, ripetendo più volte di non voler ospitare nel villaggio una ragazza con la magia, si era diretto solo contro i soldati, armato di una vecchia spada arrugginita e della sua solita, insopportabile aria di superiorità.
Le sue prime lacrime Viridian le aveva versate per lui.
La corsa era continuata, un’agonia di paura, sensi di colpa e respiri sempre più affannosi, mentre il dolore ai muscoli si aggiungeva alla lacerante sofferenza per tutte quelle morti di cui lei si sentiva responsabile.
All’improvviso una ragazza si era affiancata a loro, con sollievo Viridian aveva riconosciuto Sky, la giovane spadaccina che in quel villaggio era diventata la sua più grande amica, sempre capace di regalarle un sorriso anche nei periodi più bui.
Per un attimo aveva davvero creduto che sarebbero riusciti a scappare.
Poi, alla loro sinistra, erano comparsi due soldati, le spade sguainate pronte a colpire e porre fine a quell’effimera speranza di salvezza.
Sky si era gettata contro di loro senza esitazioni, nemmeno Vard era riuscito a fermarla, così aveva continuato a correre, trascinandosi dietro la ragazza la cui salvezza, per lui e per gli abitanti del villaggio, era più importante della loro stessa vita. Con la coda dell’occhio Viridian aveva visto l’amica fronteggiare i due inseguitori senza alcun problema e abbatterli prima che i loro compagni, troppi perché lei potesse avere una qualche possibilità contro di loro, la raggiungessero.
Pochi secondi dopo, nella scarna vegetazione che copriva il villaggio, si era levato l’ultimo grido della spadaccina.
Alla fine il dolore e la stanchezza li avevano sopraffatti, i rimanenti soldati li avevano raggiunti e, ancora una volta, la morte era comparsa a sbarrarle la strada.
Senza più magia, Viridian era stata costretta a difendersi con la sua corta spada simile ad un pugnale, cercando invano di ferire uno degli uomini che la deridevano.
Poi Vard era stato trafitto in pieno petto, come al rallentatore la ragazza aveva visto la prima goccia di sangue scivolare sulla lama del guerriero che l’aveva ferito e cadere a terra con un suono troppo doloroso per la sua mente.
La magia era esplosa in lei all’improvviso, tanto forte da bruciarle il palmo delle mani, mentre, senza nemmeno rendersene conto, si era avventata contro i soldati in un turbinio di fuoco e rabbia; a nulla erano valse le grida spaventate degli uomini, né il terribile odore del sangue sui suoi vestiti.
Sentiva solo la propria voce urlare, le lacrime che venivano spazzate via dal calore rovente emanato dal suo stesso corpo ed un incredibile potere attraversarla come una bruciante ondata di sofferenza.
Quando era tornata in sé non c’era più un soldato vivo.
Quasi incredula si era soffermata sui corpi carbonizzarti ed irriconoscibili che la circondavano, senza riuscire a capacitarsi delle sue azioni, poi il suo sguardo si era posato sull’unica figura che non era stata toccata dalle fiamme e adesso giaceva sulla schiena, con il capo reclinato all’indietro ed il volto contratto dalla sofferenza.
In un attimo era comparsa al suo fianco, gli occhi dai riflessi viola dolorosamente fissi su quella chiazza di sangue che, dal petto dell’amico, aveva cominciato ad allargarsi fino a raggiungere il terreno.
- Avresti dovuto lasciarmi morire. - gli aveva mormorato in un soffio, incredula del costo che aveva dovuto pagare per quei brevi mesi in cui era riuscita a sfuggire alla solitudine.
- Non…si lasciano morire…le persone importanti…Viridian. - aveva replicato lui, gli occhi verdi, velati dal dolore, che pure erano stati attraversati da un guizzo di tenerezza, e le labbra leggermente curvate per accennare un sorriso.
Per lei era stata una stilettata al petto.
- Non sono io la speranza che cercate, vi siete sacrificati per niente. - aveva urlato, mescolando alla rabbia il senso di colpa e le lacrime che le bruciavano il cuore.
- Non volevo…proteggere una speranza…ma la donna…che amo.
Si era interrotto, incapace di parlare per le laceranti fitte con cui la ferita al petto lo stava sprofondando in un’oscurità fredda e silenziosa.
Viridian aveva cullato la sua testa sulle ginocchia fino alla fine, scoppiando in un pianto disperato quando il giovane aveva smesso di respirare. Lo aveva accarezzato un’ultima volta, cancellando con tocco leggero le sue stesse lacrime che, come lucenti gocce d’argento, dai suoi occhi erano scese fino alle labbra dell’amico.
Non lo aveva mai amato, eppure immergersi nel suo abbraccio, regalargli qualche bacio a fior di labbra e con essi un po’ di felicità era stato quanto di più bello avesse mai sperimentato dopo la sua fuga dalla prigionia.
Lentamente si era sollevata in piedi, attingendo alla sua ultima riserva di magia per bruciare il corpo, senza riuscire ad accettare l’idea di lasciarlo insepolto, in balia degli animali selvatici, e si era messa in cammino verso Lorimar.
Solo in quel momento, appoggiando la mano sul fianco, si era resa conto che non era solo il suo cuore a sanguinare.

Una volta al castello, il generale dagli occhi di ghiaccio si diresse verso l’edificio centrale, una torre alta e affusolata, leggermente isolata dal resto del palazzo.
Aveva già dato ordine ai suoi servi di portare la ragazza ferita nei suoi appartamenti e, per quanto una leggera curiosità nei suoi confronti gli stuzzicasse la mente, il suo primo compito era quello di fare rapporto al suo capo sull’esito della missione.
Senza esitare salì le scale che lo avrebbero condotto nelle camere dell’Oscuro, un luogo accessibile solamente a pochi eletti, di cui lui era il primo della lista.
Daygon lo attendeva con un freddo sorriso sul volto senza età.
I suoi capelli argentati gli donavano un’aura di saggezza, tuttavia il corpo ancora muscoloso e scattante smentiva la prima impressione di anzianità che il loro colore avrebbe potuto generare in chi lo vedeva per la prima volta. I suoi occhi di un blu tanto scuro da sembrare neri si fissarono sul biondo comandante, mentre le piccole schegge di rosso, così vivide ed intense da sembrare tante piccole ferite, luccicavano di potere; come gli altri Oscuri, anche il primo dei Re aveva le pupille completamente bianche.
- Ci sono stati problemi? - chiese, mentre il guerriero si esibiva in un inchino appena accennato, dopo essersi tolto l’elmo in segno di rispetto.
- Lorimar è nostra.
Daygon approvò con un cenno del capo quella conferma di cui, in fondo, era già a conoscenza.
- Hai fatto prigionieri. - non era una domanda, ma un’affermazione pronunciata con il tono di leggera sorpresa.
Mizar annuì.
- Una donna. Per me. - aggiunse come spiegazione a questo comportamento che solitamente non gli apparteneva.
Una leggera increspatura attraversò per un attimo le labbra del mago, come se, con quell’abbozzo di sorriso, avesse preso nota di quell’umanità che non accennava a scomparire dal suo comandante e invece aveva abbandonato lui già da tempo.
- Quanti morti?
- Pochi.
- Se ti servono nuovi uomini, sai dove trovarli. - gli concesse, riferendosi alle città appena conquistate.
Il giovane guerriero fece un cenno d’assenso, conteggiando rapidamente quanti nuovi soldati avrebbe dovuto reclutare per sopperire alle perdite subite nell’ultima battaglia.
- Hai altri ordini per me? - chiese poi, sollevando lo sguardo per posarlo sulle pupille bianche dell’Oscuro.
Il mago sorrise; Mizar era uno dei pochi che osavano fissarlo direttamente negli occhi, perfino gli altri Re spesso abbassavano la testa in sua presenza, ma il coraggio dimostrato dal suo comandante gli regalava un senso di fierezza e soddisfazione, forse perché era stato lui stesso a rendere questo gelido soldato la sua perfetta macchina di morte personale.
- No, puoi andare.
Mizar gli rivolse un altro leggero inchino, Daygon lo guardò uscire senza che alcuna emozione trasparisse dal suo volto impassibile; solo quando fu sicuro di essere l’unica persona nella torre permise ai suoi occhi di assumere uno sguardo pensieroso.
Per un attimo gli era sembrato di avvertire uno strano turbamento nella barriera di magia che sigillava gli Eterei…
Si concentrò senza nemmeno chiudere gli occhi, ormai esercitare il suo potere non gli richiedeva alcuno sforzo, quasi la magia fosse parte integrante della sua natura. Subito sentì che il suo corpo veniva sollevato da terra, mentre le pareti della stanza in cui si trovava scomparivano, per poi diventare gli spessi muri di un sotterraneo.
Sorrise, soddisfatto.
Ancora una volta era riuscito a teletrasportarsi esattamente nel punto previsto. Purtroppo non aveva abbastanza potere per percorrere distanze molto lunghe, ma confidava che, con il tempo, sarebbe riuscito ad ampliare questa sua capacità fino ad eliminare ogni limite di spazio.
Si guardò intorno, lasciando che il suo sguardo abbracciasse la fredde pareti che lo circondavano.
Quella camera scolpita nella roccia si trovava al di sotto del castello, lui e gli altri Re erano gli unici a conoscerne l’esistenza.
Lì c’era la Fiamma Nera, una lingua di fuoco oscuro che ardeva senza sosta, proteggendo un piccolo cristallo multicolore.
Il cuore della magia che aveva sigillato gli Eterei.
Le iridi blu intarsiate di rosso dell’Oscuro si posarono su di essa, cercando una minima imperfezione che potesse giustificare il turbamento percepito poco prima, ma nessuna crepa alterava l’armonia di quel piccolo cristallo.
Era tutto in ordine.
Con un’espressione rassicurata, Daygon abbandonò il sotterraneo.

La ragazza aprì gli occhi lentamente, quasi sorpresa di sentire una tiepida brezza solleticarle il viso; le terribili fitte alle ferite si erano attenuate in un sordo ma sopportabile pulsare al fianco ed il corpo ancora un po’ dolorante era gentilmente accarezzato da una soffice coperta immacolata.
Ancora con la testa annebbiata mise a fuoco un soffitto sconosciuto, poi una stanza tanto vasta da farla sentire spaesata ed una finestra aperta che lasciava intravedere uno spicchio di cielo azzurro.
Cercò di muoversi, con uno strano senso di disagio che neppure le morbide lenzuola su cui era distesa riuscivano a fugare. Un tintinnio, unito all’improvvisa consapevolezza di freddo metallo attorno ai polsi, le mozzò il respiro, cancellando in un baleno gli ultimi strascichi di incoscienza.
Era incatenata al letto.
Con sollievo si rese conto che i suoi piedi erano liberi e le mani, seppur legate, godevano di diversi centimetri di libertà; cercò di mettersi seduta, soffocando l’ondata di panico che la stava attraversando. Una fitta al corpo la scosse senza preavviso, segno inconfondibile che la sua ferita al fianco, nonostante l’apparente benessere provato al risveglio, sarebbe dovuta ancora guarire del tutto. Strinse i denti per non emettere neanche un gemito, rassegnata a rimanere distesa almeno fino a quando il dolore non fosse cessato, mentre la sua testa lavorava senza sosta per capire appieno in che situazione si trovasse.
Chi l’aveva salvata dal deserto certo non era suo amico, viste le catene. A fatica, con alcune contorsioni, riuscì a sollevare di qualche centimetro la maglia e si guardò il fianco ora scoperto, spaventata di cosa avrebbe potuto trovare; al posto della ferita c’era una sottile striscia di pelle, più pallida e fragile del normale, eppure già perfettamente formata.
Il suo misterioso salvatore, dunque, sapeva usare la magia.
Un senso di disperazione la colse, tanto intenso da farle spuntare una lacrima dagli occhi azzurri.
L’avevano catturata di nuovo.
   
 
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