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Autore: bluemary    26/12/2010    4 recensioni
La donna sollevò lo sguardo senza rispondere, rivelando gli occhi che fino a quel momento si erano rivolti altrove. Incapace di muoversi, la guardia la fissò sconvolto. L’iride nerissima era frammentata da piccoli lampi di grigio, come delle ferite che ne deturpavano l’armonia, donando al suo sguardo una sfumatura intensa quanto inquietante; ma era stato il centro stesso dell’occhio ad aver attratto da subito l’attenzione dell’uomo, che adesso la fissava quasi con terrore, le mani strette convulsamente alla lancia ed il respiro affannoso: al posto del nero della pupilla, si stagliava il bianco tipico degli Oscuri.
Cinque sovrani dai poteri straordinari, una ragazza alla ricerca della salvezza per una razza intera, un umano con la magia che sembra stare dalla parte sbagliata. Benvenuti su Sylune, una terra dove la speranza è bandita e dove gli ultimi uomini liberi lottano per non soccombere.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Sylune' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Ieri non sono riuscita ad aggiornare, causa parenti e cibo, ma vi faccio lo stesso tanti auguri di buon Natale!




-Capitolo 5: L’ultimo degli Eterei-

La porta della camera in cui era rinchiusa si aprì all’improvviso, generando un fremito nel cuore di Kysa. Fu quasi con sollievo che la ragazza vide un uomo sui trent’anni entrare nella stanza con il rumoroso incedere di un guerriero che si sente addosso l’armatura anche quando essa è stata sostituita da normalissimi vestiti. Diversamente dal suo generale, questo soldato portava una corta barba castana striata di rosso, leggermente più chiara dei capelli raccolti in una coda disordinata.
Quando si avvicinò al letto al quale era incatenata, Kysa vide che era perfino più alto di Devil e almeno due volte più muscoloso; tuttavia, gli occhi con cui lui la stava studiando non contenevano lo stesso riflesso spietato presente nel gelido sguardo del comandante.
Senza parlare, l’uomo la liberò dalle catene. Subito la ragazza si appiattì contro il lato più lontano del letto, senza nemmeno massaggiarsi i polsi per riattivare la circolazione, pronta a scattare verso l’uscita.
- La porta è chiusa a chiave. - la avvertì laconico il gigante, cogliendo i propositi della sua prigioniera.
- Chi sei e che cosa vuoi da me?
- Hai dei modi un po’ troppo arroganti per una nelle tue condizioni. - sul suo volto abbronzato comparve un leggero sorriso, ma senza alcun accenno di scherno o minaccia - Comunque mi chiamo Beck, sono il primo ufficiale di Devil.
- Perché sei qui?
- Non dovresti quanto meno presentarti, prima di farmi un interrogatorio? - la redarguì con una punta d’irritazione.
La ragazza gli lanciò un’occhiata spaventata, prima di alzarsi in piedi lentamente; per un attimo le balenò l’idea di attaccare il soldato e provare a scappare, ma, nonostante lui non sembrasse armato, sapeva che nemmeno se fosse stata nelle sue condizioni migliori avrebbe avuto speranza in un corpo a corpo con quel gigante.
- Mi chiamo Kysa.
- Così va meglio.
Beck fece un passo verso di lei, fermandosi subito non appena la vide irrigidirsi contro la parete, negli occhi azzurri un’espressione di intensa paura che gli fece apparire una smorfia.
- Stai tranquilla, non ho cattive intenzioni, sono solo venuto per controllare come stavi.
La ragazza lo fissò a lungo negli occhi castani, scoprendovi uno scintillio di umanità che raramente le era capitato di trovare nei soldati al servizio degli Oscuri, quindi si rilassò impercettibilmente, in parte rassicurata dalle sue parole. Nonostante sapesse di non doversi soffermare sulle apparenze, dentro di lei sentiva d’istinto che quell’uomo non le avrebbe fatto del male.
Un leggero bussare alla porta interruppe il silenzio con cui i due si stavano studiando. Subito Beck si voltò ad aprire, lasciando entrare una giovane donna molto graziosa, vestita con una lunga gonna, che si inchinò rispettosamente davanti a lui.
- Il bagno è pronto, mio signore. - mormorò, senza alzare la testa.
L’uomo annuì.
- Accompagnala. - ordinò, indicando Kysa, per poi rivolgersi alla stessa prigioniera che lo stava fissando con uno sguardo assieme interrogativo e timoroso - Devil ha ordinato di prepararti un bagno, non penso che la cosa ti sarà sgradita. Va’ con lei.
Obbedendo al soldato, la ragazza uscì dalla stanza e si ritrovò in un grande salotto addobbato con i tappeti ed i mobili più lussuosi che avesse mai visto. Rimase suo malgrado a fissarli, stupita di ritrovarsi in un ambiente tanto ricco e colorato, un contrasto ben strano con il gelido e tenebroso soldato che l’aveva catturata.
- Così è qui che vive Devil? - chiese alla donna che l’aveva accompagnata.
- Oh no, il mio signore possiede un’intera ala di questo castello. Queste stanze rappresentano solo uno dei suoi appartamenti.
Kysa la guardò attentamente. La donna aveva parlato con voce impersonale, eppure dalle sue parole era stato possibile percepire un suono nascosto di paura e rancore; probabilmente anche lei era una prigioniera, costretta suo malgrado a servire padroni che odiava. Non sembrava molto più vecchia di lei e sicuramente non era armata, per un attimo la ragazza si chiese se non avrebbe potuto sfruttare quell’occasione per scappare.
Sentendosi osservata si voltò all’improvviso, incontrando gli occhi castani di Beck che la studiavano con un’espressione sardonica, quasi il soldato avesse intuito i suoi propositi. La tensione che l’aveva attraversata al pensiero della fuga imminente l’abbandonò di colpo, mentre, con lo sguardo basso, si girava nuovamente verso la giovane serva e la seguiva, oltrepassando una stretta porta dorata.
Nonostante le sue speranze il bagno aveva solo una piccola finestrella vicino al soffitto, ben più in alto della sua portata e comunque troppo stretta per poterci passare qualora fosse riuscita a raggiungerla. Al centro della stanza faceva bella mostra di sé un’enorme vasca di marmo già colma d’acqua calda e sapone, a cui la ragazza lanciò uno sguardo di desiderio.
Si spogliò lentamente, rifiutando l’aiuto della giovane serva che l’aveva seguita e chiedendole di lasciarla sola; non era abituata a farsi vedere nuda da altre persone e, da quando la sua pelle era stata segnata da quei giorni passati nelle celle degli Oscuri, aveva assunto un atteggiamento ancora più riservato del solito.
Si passò piano le dita sulle leggere cicatrici che le attraversavano la schiena, come un marchio di sofferenze e dolore appartenenti ad un passato non ancora superato, quindi, reprimendo quei ricordi spiacevoli in un angolo della sua mente, entrò nella grande vasca di fronte a lei.
Immersa nella schiuma, nonostante la paura di quello che avrebbe potuto succederle in futuro, venne presto invasa da un dolce senso di benessere. Chiuse gli occhi, abbandonandosi per un attimo in quell’acqua calda e ristoratrice che la avvolse rassicurante e protettiva come una coperta.
Beck attese pazientemente che si lavasse, seduto sul letto nell’altra stanza.
Devil gli aveva ordinato di occuparsi di lei, ma era per puro interesse personale che aveva deciso di fermarsi più del necessario, incuriosito da quella prigioniera a cui fin troppe persone sembravano tenere in modo particolare.
Pochi minuti dopo la vide tornare con addosso dei vestiti puliti ed i capelli castani ancora umidi.
Con un gesto congedò la serva, che, dopo un leggero inchino, si ritirò in silenzio, chiudendo la porta dietro di sé.
Kysa fece qualche passo titubante verso il centro della stanza, poi cominciò ad avvertire un giramento di testa e dovette appoggiarsi alla parete per rimanere in piedi; la breve camminata ed il bagno erano stati degli sforzi troppo intensi per il suo corpo indebolito dalla grave perdita di sangue.
A fatica raggiunse un angolo del letto e si sedette, premendosi una mano sulla fronte.
- Dovresti mangiare qualcosa. - le consigliò Beck.
- Non ho fame.
Ignorando la sua risposta, il soldato le porse un vassoio con un piatto pieno di stufato di carne ed una morbida pagnotta, probabilmente portato poco tempo prima da un’altra serva.
Kysa guardò il cibo fumante con un misto di nausea e desiderio; il suo primo impulso fu quello di rifiutare, ma la fame ed il pensiero che avrebbe dovuto mantenersi in forze per riuscire a scappare la convinsero a prendere in mano la forchetta ed assaggiare un boccone.
Beck la fissò mentre mangiava in silenzio, chiedendosi come mai il suo biondo comandante si fosse interessato a lei; dopo il bagno Kysa si era rivelata una ragazza indubbiamente graziosa, eppure il generale avrebbe potuto scegliere numerose donne più attraenti di lei e di gran lunga più contente di figurare come sue amanti.
Scosse la testa impercettibilmente.
Conosceva il piacere con cui Devil esercitava il proprio potere nei confronti delle persone più deboli di lui, qualcosa di diverso dal semplice sadismo, che tuttavia non esulava da una vena di crudeltà. Nonostante non lo avesse mai visto torturare fisicamente un prigioniero, in quanto delegava i suoi sottoposti a questo compito qualora Daygon gliel’avesse ordinato, sapeva tuttavia che il biondo soldato si divertiva ad incutere timore e soggezione tanto ai suoi uomini, quanto alle svariate amanti che erano passate nel suo letto.
Forse era stato l’aspetto indifeso di Kysa ad averlo attratto al punto di utilizzare la magia per salvarla, pratica solitamente adibita alla distruzione e allo sterminio, quasi avesse riconosciuto in lei l’esemplificazione della sua vittima perfetta.
Le lanciò uno sguardo incuriosito, ritrovando nella sua immagine una ragazza come tante, sufficientemente coraggiosa per non scoppiare in singhiozzi ma non abbastanza per tentare una fuga disperata.
Eppure, a quanto pareva, Devil non era l’unico ad interessarsi a quella giovane donna dagli occhi azzurri.
Kysa poggiò su un tavolino il vassoio, che venne subito portato via dalla solita serva; nonostante la sua iniziale diffidenza, la fame aveva avuto il sopravvento, come testimoniava il piatto completamente vuoto. Rinfrancata dal bagno caldo e dal cibo, per un attimo la nera disperazione che l’aveva avvolta al suo risveglio in quel castello sconosciuto sembrò diradarsi in favore di un po’ di tranquillità.
Beck parve intuire i suoi pensieri, perché le fece un sorriso incoraggiante.
- Va’ meglio?
La ragazza annuì.
Nonostante la debolezza persistesse a torturarle il corpo, la testa aveva smesso di girarle e riusciva a pensare con più lucidità rispetto a quando si era svegliata.
Si voltò verso il suo carceriere, ancora una volta sorpresa dal suo comportamento che lo rendeva più simile ad un guerriero burbero eppure protettivo, piuttosto che ad un nemico. Beck era molto diverso dai soldati con i quali aveva avuto a che fare fino a quel momento, le pareva quasi impossibile pensare che fosse agli ordini degli Oscuri.
- Perché li servite? - chiese all’improvviso.
L’uomo non ebbe nemmeno il bisogno di domandare di chi stesse parlando.
- Aver salva la vita non è forse una ragione sufficiente?
- Se nessuno fosse dalla loro parte adesso non avrebbero conquistato tutto. - replicò la ragazza con rabbia, mentre il soldato si accomodava meglio sul letto, in modo da fissarla negli occhi.
- Non è così semplice. - le rispose con amarezza - Gli Oscuri hanno saputo scegliere bene i loro servitori tra mercenari alla ricerca di ricchezze e uomini che inseguono disperatamente il potere, come Devil. Purtroppo i loro eserciti non sono formati solo da persone che li odiano o che sono state costrette a farne parte.
Kysa non replicò, così rimasero in silenzio, avvolti da una muta comprensione e, nonostante uno dei due avesse i panni del carceriere e l’altra quelli della prigioniera, entrambi vittime di quel castello.
Beck si alzò lentamente, conscio di aver trascorso più tempo del dovuto in quella stanza, trascurando i suoi doveri di soldato.
- Se hai bisogno di qualcosa qui fuori ci sono un paio di ragazze ai tuoi ordini. - la avvertì, assumendo poi un’espressione più seria - Ma non farti illusioni: quest’appartamento è chiuso a chiave e accanto alla porta ci sono dei soldati di guardia.
Kysa annuì senza alcun entusiasmo.
- Devil dov’è?
- Daygon l’ha inviato a sedare una rivolta al nord, probabilmente tornerà tra un paio di giorni.
La ragazza ricordò con un brivido il suo incontro con il soldato biondo e le parole minacciose con cui l’aveva lasciata.
- Spero che non torni affatto. - mormorò d’impulso.
- Ti ha salvato la vita. Non provi un minimo di gratitudine per lui?
Kysa chinò il capo.
- Sarebbe stato meglio se mi avesse lasciato morire.
Beck rimase a fissarla senza sapere cosa replicare, era la prima volta che una simile frase già sentita in passato veniva pronunciata senza alcuna rabbia, ma solo con un’incredibile amarezza ricca di rassegnazione. Distolse lo sguardo da quegli occhi azzurri che erano riusciti a turbare perfino un soldato dal cuore duro e forgiato dalla guerra come lui, reprimendo l’impulso di metterle una mano sulla spalla per rassicurarla.
- Col tempo migliorerà. Una volta che ti sarai abituata all’idea di vivere in questo castello tutto sarà più semplice.
- E’ proprio il tempo che mi spaventa. - replicò lei, con voce appena percettibile.
Il gigantesco soldato le lanciò un’occhiata di compassione, senza capire cosa intendesse dire con le sue parole, ma profondamente colpito dal suo tono disperato
Prima di chiudersi la porta dietro le spalle si voltò ancora una volta a fissare la prigioniera del suo comandante.
- Lascia che ti dia un consiglio, ragazzina. Cerca di non far arrabbiare Devil. Raramente l’ho visto comportarsi in modo crudele con una donna, ma non perdona chi gli disobbedisce.

Nella locanda di Lockerhalt, una cittadina dell’impero di Daygon che confinava con il regno di Ghedan, un giovane dal lungo mantello grigio aveva destato la curiosità degli avventori. Inutilmente le numerose lampade appese al soffitto cercavano di penetrare la copertura dell’ampio cappuccio che in quel momento copriva gran parte dei suoi lineamenti, perfino le sue mani erano avvolte da spessi guanti di pelle scura, quasi lui desiderasse rimanere il più anonimo possibile.
Nonostante viaggiasse senza compagnia pareva disarmato, una facile preda per i briganti che imperversavano in quella regione, tuttavia nulla sembrava turbare la tranquillità con cui mangiava il suo pasto.
Il ragazzo si calò ancora di più il cappuccio sugli occhi, in modo che la bocca fosse l’unica parte visibile del suo volto, poi andò al bancone della locanda per affittare una camera per la notte.
Da quando viaggiava non aveva mai abbandonato quell’abbigliamento Sapeva di apparire sospetto alla maggior parte della gente che incrociava, tuttavia non aveva altra scelta: nessuno doveva guardarlo negli occhi, scoprire il colore insolito delle sue iridi che, dovunque andasse, lo perseguitava come una maledizione.
Perché Kilik era un Etereo.
L’unico della sua razza che ancora camminava su Sylune senza aver dovuto oltrepassare la barriera magica eretta dagli Oscuri, l’unico che non era stato bandito assieme al suo popolo.
Si chiuse a chiave nell’angusta camera che gli era stata affittata, togliendosi i guanti ed il mantello solo dopo aver avuto la certezza di non essere spiato da nessuno. Subito la schiacciante solitudine con cui si era ritrovato a combattere in quegli ultimi giorni tornò ad avvolgerlo, gelida e crudele come il peggiore dei nemici.
Lentamente la sua mano scese lungo il fianco, alla ricerca di uno dei due pugnali che prima erano stati celati dal lungo mantello.
Accarezzò con dolcezza il fodero in pelle che ne circondava la lama, soffermandosi sulle decorazioni in rilievo e sulla striscia di cuoio perfettamente liscia con cui usava legarselo al lato destro della cintura, in totale simmetria con l’arma gemella che teneva su quello sinistro.
Una lacrima scivolò lentamente sulla sua guancia, andando ad infrangersi sull’incisione d’argento che, sul manico del pugnale, componeva il nome Kohori.
- Fratello…
   
 
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