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Autore: Katia R    02/01/2011    2 recensioni
Anna è partita. Luca è alle prese con il caso di Remo.
Ma una sera una chiamata cambia di nuovo tutto.
One-shot su Luca e Anna.
Genere: Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Say me it ‘s not a goodbye.

Sera, in commissariato. Solito ufficio, solita penna e soliti documenti che portavano solo ad un mal di testa tremendo. Continuai a sfogliarli sperando che da un momento all’altro cambiasse qualche parola e mi dicesse dove trovare Remo e la sua banda. Ma niente. Sempre le solite frasi che non portavano a nulla. Erano mesi che davamo la caccia al mio amico d’infanzia ed erano mesi che non riuscivo più a dormire. Odiavo rimanere senza far nulla, rimanendo solo con i miei pensieri stavo male, era come se urlassero per farsi sentire e si sovrastavano l’uno sopra l’altro. In tutto quel tempo cercai in tutti i modi di dare un sostegno a Viola e al piccolo Marco, anche se lei era titubante.
Dopo il bacio che c’era stato tra di noi cercavamo di stare lontani, ma non ci riuscivamo. Sentivamo il bisogno di stare insieme. In realtà, io sentivo il bisogno di stare con qualcuno, di sfogarmi in qualche modo ed evitare di pensare a tutto il macello che era successo e che continuava a succedere. Ho cercato di vedere in lei un ripiego, un chiodo schiaccia chiodo. Volevo dimenticare una persona e Viola mi sembrava il soggetto migliore per riuscirci. Ma non era così.
Qualcuno bussò alla porta facendomi rialzare gli occhi dal foglio e interrompendo il flusso dei miei pensieri.
-Avanti- dissi mentre Giulia si affacciava con un dolce sorriso -Ciao, volevo salutarti- disse flebilmente avvicinandosi -Perché non stacchi?-
-Si, beh… tra poco!- esclamai per poi guardare l’orologio -Magari passo da Viola prima- dissi per poi guardare lei, improvvisamente seria. Cercò di nascondere la sua espressione con un finto sorriso -Mi raccomando. Non fare tardi e… stai attento!-
-Si, mamma- dissi divertito riuscendo a strapparle un sorriso sincero.
-Buonanotte- disse dolcemente Giulia, uscendo.
-’notte- dissi guardandola chiudersi la porta alle spalle.
Sbuffai e lanciai la penna, alzandomi e afferrando la giacca. Nel momento in cui poggiai la mano sulla maniglia il cellulare iniziò a squillare. Sconcertato per l’ora guardai il numero strano sul display che continuava a lampeggiare.
-Pronto?- risposi incerto.
-Salve, parlo con Luca Benvenuto?- mi chiese una voce che non conoscevo.
-Ehm, si. Chi è lei, scusi?- domandai agitato.
-Sono la dottoressa Antonietti, dell’ospedale di Trieste, quella che ha seguito la gravidanza della signorina Gori! È il primo recapito telefonico che Anna ci ha dato qualche mese fa in caso ci fossero stati problemi- e non lo so cosa mi bloccò in quel momento. Sentivo solo alcune parole risuonare come un eco, sempre più lontano ma ancora chiaro. Non ricordo nulla di quel momento. Rimasi senza dire niente, mentre la mia salivazione si era azzerata. Non ricordo se stessi respirando. Ricordo solo che avevo una fitta fortissima al petto. Sembrava mi stessero squarciando il cuore.
-Signor Benvenuto, è ancora al telefono?- la voce della donna mi riportò di nuovo alla realtà.
-Si, mi scusi- cercai di dare un contegno alla mia voce che però faticava ad uscire -Cosa…- e improvvisamente avevo voglia di non fare quella domanda. Avevo paura di una risposta.
-Anna, poche ore fa ha dato alla luce la sua bambina- disse, mentre io ero ancora deciso a non sapere -Credo lei sappia della precedente gravidanza di Anna, no!?-
-Si, si- risposi, ma pensavo a ben altro.
-Beh, in poche parole: Anna ha avuto una complicazione durante il parto. Abbiamo cercato di fare il possibile ma…- e lì pregai non continuasse. Pregai di morire all’istante, di non dover sentire le parole che credevo avrei sentito da un momento all’altro.
-È in coma- disse, e fu quasi un sollievo. Era ancora viva.
-È grave? Voglio dire… si riprenderà?- fu l’unica cosa sensata che riuscii a dire.
-Non posso dirlo con precisione, ma il quadro clinico non è dei migliori- disse un po’ abbattuta. Forse stava soffrendo anche lei. Stava soffrendo per una donna che ha seguito per tutta la durata della gravidanza. Stava soffrendo per una donna che ha rischiato la propria vita per dare alla luce la sua bambina. Ma forse lei non sapeva quanto stavo soffrendo io. Sapere che a chilometri di distanza, su un letto d’ospedale, attaccata a delle macchine c’era la persona più importante della mia vita, che stava combattendo tra la vita e la morte, la donna che ho amato e che forse non avrei mai più rivisto. Quella stessa persona che mesi prima mi aveva lasciato, con una sola lettera, facendomi capire di aver voltato pagina. Di aver iniziato un nuovo capitolo. E io in quel capitolo non c’ero. Ero già uscito di scena come il peggiore degli antagonisti.
-Signor Benvenuto, c‘è ancora?- la voce della donna mi richiamò all’attenzione.
-Si, mi scusi- sospirai e mi massaggiai gli occhi con la mano -Senta, cerco di arrivare il prima possibile!- dissi ancora un po’ scosso.
-Va bene, l’aspetto allora. A presto!- esclamò lei.
-A presto- dissi, e rimasi con il telefono vicino all’orecchio anche se avevamo messo giù. Non mi sembrava ancora vero. Mi sembrava un incubo e pregavo solo che finisse. E invece due lacrime mi rigarono il volto senza neanche accorgermene e fu lì che capii che era tutto vero, che il dolore che provavo non poteva essere finzione.
Con passo svelto uscii dal commissariato e raggiunsi la mia auto, per poi partire sgommando verso casa di Giulia. Arrivato lì parcheggiai e iniziai a suonare. Pochi secondi dopo Giulia venne ad aprirmi, aveva una vestaglietta addosso. Non ricordai che ora erano, ma fortunatamente non stava dormendo.
-Luca!- esclamò lei sorpresa. Non so che faccia avevo in quel momento, so solo che la feci preoccupare -Dio mio, che è successo?- mi chiese. Ma io non riuscivo a parlare. Non riuscivo a trovare la parole per dirle quello che era successo.
-È successo qualcosa con Viola?- chiese mentre si faceva sempre più preoccupata.
-No, no- dissi andando avanti e indietro per poi sedermi e passarmi le mani tra i capelli. Stavo sudando freddo.
-Luca mi stai facendo preoccupare!- esclamò, come se non fosse abbastanza evidente.
-Anna- riuscii a dire. Ma di certo non le bastò per calmarsi.
-Anna cosa?- chiese facendosi più vicina.
-Ha dato alla luce la sua bambina- dissi per poi lasciarmi andare ancora alle lacrime -Ma qualcosa è andato storto e…- sospirai cercando di farmi capire meglio -Anna è in coma- dissi guardandola negli occhi. I miei occhi velati di lacrime la vedevano sfocata. Sentii la sua mano che mi accarezzò il volto e poi mi strinse a sé, come una madre fa con il proprio figlio, come una sorella fa con il proprio fratello. Non ci furono bisogno di parole in quel momento. Lei sapeva cosa provavo, e io non avevo più parole.
Rimanemmo così per qualche minuto, poi quando riuscii a calmarmi un po’ mi staccai e le dissi -Io devo andare da lei- ed ero deciso. Ma io lì avevo un ruolo, e non potevo abbandonare la mia squadra.
-Va da lei- mi disse semplicemente, Giulia -Noi ce la caveremo benissimo. Ascolta Luca, lo so che stai pensando che non puoi lasciarci, che abbiamo bisogno di te, ma noi siamo una squadra. E anche senza un elemento riusciamo ad andare avanti! Noi siamo in tanti, Anna è da sola!- esclamò e bastò a convincermi. Probabilmente sarei partito ugualmente, fregandomene di tutto. Lo so che forse non se lo meritava, Anna. Lo so che forse avrei dovuto lasciarla sola come lei ha fatto con me. Ma sapevo anche che io per lei ci sarei sempre stato.
-Luca, io so cosa significa aver paura di perdere la persona che si ama- disse in lacrime. Le presi le mani e gliele strinsi tra le mie. Il ricordo di Paolo era sempre più vivido. Lei aveva perso tutto dopo la sua morte. Lei non l’avrebbe mai dimenticato. E provai a pensare di trovarmi al suo posto. Se avessi perso Anna non mi sarei mai dato pace, come stava facendo lei. E immaginarmela in un letto di ospedale mi diede i brividi.
-Lo dici tu ai ragazzi?- le chiesi e lei annuì con un dolce sorriso -Vai tranquillo, Luca- disse e io le stampai un bacio sulla guancia, per poi alzarmi e raggiungere la porta.
-Ah, Luca!- esclamò prima che io uscissi. Mi voltai e la guardai. Mi lanciò qualcosa che io afferrai al volo. Aprii il palmo della mano trovandomi un mazzo di chiavi.
-Sono le chiavi del mio appartamento a Trieste. L’ospedale si trova ad un quarto d’ora da lì- disse sorridendomi per poi alzarsi e scrivermi l’indirizzo -Fai come se fossi a casa tua- e le sorrisi per poi scappare di nuovo a casa a preparare il borsone.
-

Scesi dall’aereo e l’aria di Trieste mi sembrò cupa, troppo grigia per i miei gusti. Ma per uno che non aveva mai lasciato la propria città, credo sia del tutto normale.
Presi il borsone, dove avevo messo due, tre cose, e andai dritto verso l’uscita. Fortunatamente c’era un taxi libero e lo presi in fretta. Diedi l’indirizzo all’uomo che mi sorrise, partendo.
Poco dopo mi ritrovai di fronte all’appartamento di Giulia. Chiesi al taxi di aspettarmi ed entrai dentro. C’era un po’ di polvere, ma era ancora in ottimo stato. Posai il borsone all’entrata e mi diedi una sciacquata al viso, per poi uscire di nuovo e chiedere all’uomo di portarmi all’ospedale. Adesso arrivava la parte più difficile.
Un quarto d’ora dopo, come mi aveva detto Giulia, il taxi si fermò davanti all’enorme edificio. Pagai e uscii, fermandomi a guardare in alto. Sospirai e presi a camminare. All’improvviso sentii qualcuno che urlò il mio nome. Guardai verso quella direzione e un bambino, con dei riccioli rossi come il sangue, correva verso di me. Mi fu naturale allargare le braccia e sollevarlo per poi stringerlo forte a me. Abel. Sentii il profumo di Anna addosso a lui. Lo respirai e ripensai all’ultima settimana di Anna a Roma. Io e il piccolo avevamo legato tantissimo prima che partissero.
Si staccò leggermente da me e mi guardò negli occhi -Posso rimanere con te? Voglio stare accanto ad Anna- disse con la sua vocina, un po’ lamentevole. Sorrisi dolcemente e gli stampai un bacio sulla fronte, per poi scenderlo a terra e dargli la manina, avvicinandomi all’assistente sociale.
-Salve- dissi sorridente.
-Salve, lei deve essere Luca Benvenuto- disse la donna.
-Si, sono proprio io- dissi mentre le stringevo la mano -Le dispiace se Abel rimane con me?- chiesi, e sperai non facesse troppe storie. La donna mi sorrise e annuì -Verrò a riprenderlo più tardi- disse la donna per poi allontanarsi. Guardai Abel che a sua volta guardava me.
-Andiamo a vedere Daniela Annuka!- esclamò il bambino mentre la mia espressione cambiò all’istante.
-Come hai detto che si chiama?- chiesi incredulo.
-Daniela Annuka! Beh, non proprio, ecco. Anna non ha fatto in tempo a dire il nome- disse mentre ritornava triste. Lo sollevai nuovamente da terra e lo costrinsi a guardarmi negli occhi -Ehi, ascoltami campione. Anna ce la farà- dissi dolcemente. Lui annuì e io sorrisi -Adesso mi levi una curiosità? Perché questo strano nome? Cioè, Daniela mi piace… Annuka è…- cercai la parola adatta -Strano- dissi con un’espressione buffa facendo ridere Abel.
-Beh, Daniela l’ha scelto Anna perché era il nome della sua migliore amica quando era piccola. Mentre Annuka… l’ho scelto io!- esclamò orgoglioso -E ad Anna è piaciuto per il suo significato- disse sorridente.
-Perché, cosa significa?- chiesi ormai incuriosito.
-In realtà, niente. Ma è l’unione di due nomi speciali- disse con un sorriso più ampio.
-Che nomi?- ma non servì aspettare una risposta perché già l’avevo capito. Annuca. Anna e Luca. E mi venne di nuovo da piangere mentre Abel mi guardò e capì che non c’era più bisogno delle parole.
-Abbiamo solo voluto cambiare la “c” con la “k” per renderlo un nome straniero- finì di spiegare. Annuii e lo posai a terra, asciugandomi una lacrima con il palmo della mano. Era stato un gesto bellissimo.
Ci incamminammo verso l’ospedale mentre lo tenevo per mano. Cercai subito il nido, quando improvvisamente una donna mi richiamò -Luca Benvenuto?- mi voltai e vidi una donna sulla quarantina.
-Sono la dottoressa Antonietti- disse, e subito capì che si trattasse della dottoressa che aveva seguito Anna.
-Ah, salve- dissi stringendole la mano -Stavo andando al nido, per vedere la piccola- dissi e lei sorrise -Venga allora. L’accompagno io- disse per poi rivolgersi ad Abel e dargli una carezza -Ciao Abel!- esclamò per poi farci strada, mentre il bambino gli regalò uno dei suoi sorrisi migliori.
Entrai al nido e vidi dallo specchio tutte quelle magnifiche creature. Una più bella dell’altra.
-Adesso le mostro qual è la piccola- disse la dottoressa chiamando un’infermiera. Ma non la stavo ascoltando, perché i miei occhi erano puntati su una bambina soltanto -È lei, vero?- chiesi con voce emozionata. E la dottoressa mi guardò sorpresa -Si- disse ancora incredula. L’infermiera poco dopo la prese e uscì con quel frugoletto rosa tra le braccia.
Quando la presi in braccio sentii un brivido che non saprei descrivere. La tenevo tra le braccia e lei era come un pezzo di puzzle perfetto che combaciava con esse. Abel guardava sorridente la scena mentre io, dolcemente, iniziai a parlare con la piccola. Come ogni papà, come ogni parente che arrivava in ospedale. E forse ero troppo ridicolo, ma non mi importava di nulla. Avevo tra le braccia un esserino piccolo, che si muoveva tra le mie braccia. Con le stesse guance di Anna, con gli stessi occhi e la stessa pelle. Era la sua fotocopia, quasi. Sorrisi davanti a quella bambina, così perfetta da sembrare finta. E i miei occhi si inumidirono di nuovo.
Un’infermiera si avvicinò, con il biberon in mano -Vuole darglielo lei?- chiese sorridente. Annuii leggermente e presi la bottiglietta contenente il latte. Mi sedetti su una piccola sedia e piano, piano la piccola iniziò a bere. La guardai incantato per poi guardare Abel che la guardava con la stessa espressione. Sorrisi e mi concentrai nuovamente su quel piccolo angelo.

Quando l’infermiera mi riprese la bambina dalle braccia, dopo la poppata e il ruttino, la dottoressa mi fece strada verso il reparto di Anna. Iniziai a deglutire e cercai di farmi forza, mentre strinsi di più la mano di Abel che si voltò subito. La dottoressa si fermò davanti un vetro. Mi avvicinai sempre di più fino a quando lo scenario si presentò davanti come un pugno in pieno petto. La scena mi sbatté in faccia con una tale potenza da lasciarmi senza fiato. Ripresi a deglutire mentre alzai la mano e l’appoggiai al vetro. I miei occhi diventarono lucidi, fino a quando l’immagine di Anna si fece sfocata. Lì mi accorsi che avevo ripreso a piangere. E non potevo farci nulla. Non riuscivo a smettere. Abel si aggrappò alla mia giacca e si strinse alla mia gamba. Abbassai lo sguardo e lo guardai passandogli una mano tra i capelli e scompigliandoglieli. Poi tornai a guardare Anna attraverso quel vetro. Sospirai e appoggiai la testa guardando un punto impreciso a terra. Ti prego Anna, non mi lasciare. Continuavo a ripeterlo dentro di me. E mentre intorno a me c’era silenzio, dentro di me sentivo urlare.
-Posso entrare?- chiesi alla dottoressa.
-Solo un minuto, però- disse lei, comprensiva. Annuii e mi abbassai all’altezza di Abel -Piccolo, aspettami qui- gli dissi dolcemente. Lui annuì mentre io mi rialzai. Misi una mano sulla maniglia e sospirai. Aprii lentamente la porta, come se avessi paura. E la scena si ripresentò ancora più vivida, ancora più dolorosa. Il rumore dei macchinari mi tormentava. Mi avvicinai e la guardai. Sembrava dormisse. Solo che non sapevo se da quel sonno si sarebbe risvegliata. Allungai una mano, ma ebbi paura a toccarla. Mi sembrava così fragile. Deglutii nuovamente e mi sentii piccolo, piccolo. Avrei voluto portarla via da lì. Avrei voluto farle capire che io ero lì, accanto a lei. E avrei voluto dirle che non poteva, non doveva, lasciarmi. Ma non potevo, e non riuscivo.
Mi avvicinai ancora e presi la sua mano, stringendola nella mia. E mi sentii morire. La mia pelle, a contatto con la sua, ardeva. Il mio cuore aveva ripreso a battere in modo irregolare. Era come una goccia d’acqua e una scintilla di elettricità. Quello era l’effetto che mi aveva fatto toccarla nuovamente. Essere lì con lei.
-Non mi lasciare, Anna- dissi con la voce strozzata. Non so come fece ad uscire, ma sperai con tutto il cuore che lei sentisse quelle parole. Mi abbassai leggermente e le baciai la mano. Poi la guardai di nuovo, l’accarezzai uno zigomo e le stampai un bacio sulla fronte. Sentii la dottoressa che mi bussava dietro il vetro e alzai lo sguardo annuendo, poi guardai di nuovo Anna -Torno presto, eh. Io sono qui- dissi semplicemente, per poi allontanarmi e uscire dalla stanza.
Abel mi fu subito accanto e mi abbracciò. Lo sollevai da terra e lo portai a guardare attraverso il vetro. Vidi i suoi occhioni che riflettevano l’immagine di Anna, distesa su quel letto. La guardava assorto, e notai che i suoi occhi diventavano sempre più lucidi. Si girò verso di me -Luca, Anna ce la farà, vero?- mi chiese mentre una lacrima solcò le sua guancia, piena di lentiggini. Deglutii e lo strinsi forte a me. Mi mise le braccia intorno al collo e si attaccò a koala. Guardai oltre il vetro e gli accarezzai i capelli, mentre lui era appoggiato alla mia spalla -Si, piccolo. Anna ce la farà- dissi dolcemente -Lei è forte, lo sai- e mentre ripetevo quelle parole, mi accorsi che in realtà, ci speravo. Ci speravo davvero.

Chiamai l’assistente sociale per dirle che, se non aveva nulla in contrario, Abel avrebbe dormito da me. Non ci furono problemi, così ritornai all’appartamento di Giulia e cercai di sistemare un po’ la stanza, con Abel in braccio, che si era addormentato. Non si svegliava con niente. Sorrisi e lentamente lo adagiai sul divano, mentre prendevo le lenzuola da mettere al letto. Qualche minuto dopo andai a riprendere Abel che si mosse un pochino, ma continuò a dormire. Lo poggiai su letto, gli tolsi le scarpe e lo coprì un po’. Poi andai dall’altro lato e mentre guardavo la città in movimento, le luci, e tutto, iniziai a sbottonarmi la camicia. Misi una maglietta bianca e il pantalone del pigiama. Mi coricai accanto ad Abel e poi rimasi a guardare il soffitto, tirando un sospiro. Ero sicuro che non avrei preso sonno. Il mio pensiero fisso era Anna e in quel momento avrei voluto essere lì, accanto a lei.

-

La mattina, dopo aver accompagnato Abel a scuola, andai subito in ospedale. Passai a vedere la piccola, ma dormiva quindi rimasi solo qualche minuto. Poi andai subito nel reparto di Anna. E lì rimasi ore intere.
-Buongiorno, signor Benvenuto- disse la dottoressa. Alzai lo sguardo e sorrisi leggermente -Buongiorno- risposi.
-Da quanto tempo è qui?- chiese.
-Qualche ora- dissi guardando l’orologio. Si sedette accanto a me e sospirò -Mi ascolti, non vorrei darle false speranze, ma credo che Anna stia reagendo bene- disse sincera. Io annuii e guardai davanti a me -Dottoressa, cosa è successo esattamente?- chiesi, ma non ero sicuro di volerlo sapere.
-Un’emorragia, fortunatamente abbiamo saputo bloccarla, ma… adesso Anna è grave. Per questo non voglio darle false speranze- disse.
-Capisco. Senta, potrei entrare?- chiesi.
-Due minuti, massimo!- mi avvisò. Mi alzai ed entrai in camera. E ogni volta era un colpo al cuore. Mi avvicinai e con più sicurezza, le presi la mano e gliela accarezzai.
-Ciao, Anna- dissi dolcemente -Mi sento un po’ uno stupido a parlare con te in questo stato, ma ne sento il bisogno. Ho poco tempo, la dottoressa poi è pronta a cacciarmi fuori- e sorrisi -Senti, io non lo so perché mi hai voluto fuori dalla tua vita. Non lo so, ma non m’importa adesso. Voglio solo che ti risvegli. Voglio solo che guardi che io sono qui, nonostante tutto, Anna, perché te l’avevo promesso. Io ci sarò sempre per te!- esclamai, e avrei voluto urlare, ma a malapena mi usciva la voce. Guardai la dottoressa e poi mi voltai verso Anna -Che ti avevo detto? Devo andare, tempo scaduto- dissi baciandole la mano -Sono qui fuori, però!- e uscii dalla stanza per sedermi nuovamente.
-Abbia fede, Anna è una ragazza forte- tentò di rassicurarmi la dottoressa. Annuii ma non mi tranquillizzai.
Le ore successive rimasi lì, seduto. Di tanto in tanto mi alzavo, camminavo un po’ avanti e indietro e poi mi fermavo davanti al vetro e pregavo. Pregavo Anna di non lasciarmi e pregavo Dio di non portarmela via.
Solo in quel momento provai cosa significasse rischiare di perdere la persona più importante della tua vita. Mi resi conto di cosa portasse nel cuore Giulia, dopo la perdita di Paolo. Il solo immaginare Anna su quel lettino mi faceva impazzire, e quando la vedevo avevo solo voglia di urlare e spaccare qualcosa.
Rimasi con l’assistente sociale che sarebbe andata lei a prendere Abel a scuola. Io sarei passato l’indomani. Non mi sentivo di lasciare l’ospedale in quel momento. Ero stanchissimo, e anche la dottoressa se ne accorse, ma nonostante tutto, nonostante i suoi inviti a tornare a casa, rimanevo lì. Andai al nido circa tre volte quel giorno. Vedere quella bambina era sempre una gioia, mi sentivo sereno quando parlavo con lei. Notai che mentre parlavo con la piccola, un bambino mi guardava incuriosito e chiedeva al padre perché mi comportavo in quel modo, mentre il padre mi guardava commosso sentendo cosa dicevo alla piccola. Le parlavo di Anna, le dicevo che ce l’avrebbe fatta e che finalmente avrebbe potuto conoscerla anche lei.
Poi ritornavo su, entravo altri due minuti e parlavo ad Anna, le raccontavo della bambina, di quanto le somigliasse, di quanto fosse bella e di quanto mi emozionava ogni volta che la tenevo tra le braccia.
Poi chiamai anche Giulia. Al decimo erano tutti preoccupati.
-Oh, Luca! Allora, come sta Anna?- fu la prima cosa che chiese.
-Al solito. Non ci sono novità- dissi cercando di sembrare tranquillo.
-E tu come stai?- mi chiese, e capii che con lei non potevo mentire.
-La verità!?- dissi per poi sospirare -Sto da schifo, Giulia. La guardo e mi sento piccolo, insignificante! Vorrei poter fare qualcosa per lei, ma non posso fare nulla. Devo aspettare e quest’attesa mi sta mandando al manicomio! Cerco di pensare positivo ma… se Anna non ce la dovesse fare non ha più importanza vivere, per me- dissi di nuovo con gli occhi gonfi di lacrime.
-Ascolta Luca, non pensare a questo! Anna è forte, ed ha te vicino!- esclamò mentre io annuivo e cercavo di ricacciare le lacrime.
-Sai che bella la bambina?- dissi con un sorriso ampio in viso -È stupenda, Giulia! È la bambina più bella che abbia mai visto!- esclamai euforico mentre sentii lei con la voce più allegra, sorridente dire -Sono curiosa di vederla!- esclamò lei.
-Assomiglia ad Anna. Ed è fantastico tenerla in braccio, darle da mangiare. Parlarle anche se potrei sembrare un idiota!- esclamai ridendo.
-È bello ciò che ti fa provare questa bambina- disse.
-Già. Sento come se fosse… un po’ mia, anche se non c’entro niente- dissi.
-Leva il “come se fosse”! È, un po’, anche tua, adesso!- esclamò e io sorrisi. In effetti la sentivo davvero mia. Non sapevo chi era il padre di quella bambina, e fino a quel momento non me l’ero neanche chiesto. A parte me, in quell’ospedale non veniva nessuno a fare visita ad Anna.

-

Rimasi due notti lì, seduto su quelle sedie scomodissime. Dormii per qualche ora, poi mi venne a svegliare la dottoressa e mi spaventai.
-No, no, stia tranquillo signor Benvenuto!- esclamò sorridente -Anna sta rispondendo bene alle cure e le probabilità di un suo risveglio adesso sono un po’ più alte- disse felice. E il mio viso si tramutò in un’espressione indescrivibile. Avrei voluto urlare, saltare, piangere dalla gioia. Ma rimasi fermo, immobile con un sorrisino da ebete stampato in volto.
-Ciò non toglie che ancora non possiamo cantare vittoria- disse, ma io continuai a sorridere. Ero sicuro che ce l’avrebbe fatta. Doveva farcela. Per la sua bambina, per Abel e… anche per me. Perché la mia vita non avrebbe avuto più senso.
La dottoressa mi spiegò tutto ciò che poteva accadere da quel momento in poi, dopo mi salutò e io andai a sciacquarmi il viso. Uscii fuori per prendere una boccata d’aria e richiamai Giulia per darle la novità.
Circa un quarto d’ora dopo ritornai da Anna e vidi la porta della stanza aperta. Mi avvicinai cautamente, un po’ spaventato e rimasi sorpreso.
-Abel!- esclamai, facendolo sobbalzare.
-Ti prego, ti prego, un attimo soltanto! Voglio parlare un altro po’ con lei!- esclamò il bambino implorante.
-Ma cosa fa Benvenuto?- la voce della dottoressa alle mie spalle mi spaventò.
-Non può stare qui il bambino!- esclamò entrando nella stanza.
-Lo so benissimo, ma io sono appena tornato e ho trovato la porta aperta- cercai di giustificarmi mentre la dottoressa si avvicinò ad Abel.
-Lasciami stare!- urlò Abel aggrappandosi al lettino, abbracciando Anna. A quel punto mi avvicinai spaventato dalla reazione del bambino -Abel, non possiamo stare qui!- esclamai cercando di allontanarlo, ma teneva la presa ben stretta -Così non risolvi nulla! Adesso usciamo, poi la dottoressa ci farà rientrare!- cercai di farlo ragionare.
-Aspettate…- disse la dottoressa. Puntai lo sguardo su di lei e mi si gelò il sangue quando vidi che si avvicinò ad Anna. Ma poi la mia attenzione venne attirata da un movimento strano. Rimasi come paralizzato e anche Abel, accorgendosi del movimento mi guardò spaesato. Si allontanò dal lettino e si strinse a me. Lo accarezzai con gesti meccanici cercando di rassicurarlo, ma non stavo capendo più niente.
-Anna, mi senti?- chiese al dottoressa piano. Poi guardò me e sorrise -Provi a chiamarla-  disse. Io deglutii un paio di volte, la voce non riusciva ad uscire. Poi presi coraggio.
-Anna!?- la chiamai piano, ma deciso. E poi vidi anche le sue palpebre dare qualche segno di vita. Rimasi a guardare la scena mentre cercavo di respirare.
Non so quanto tempo passò. So solo che quando rividi i suoi occhi, aperti, spalancati, il mio sangue iniziò a fluire tranquillamente, il cuore riprese a battere più velocemente, e il mio respiro tornò regolare, mentre il macigno sul petto scomparì quasi del tutto. Anna ce l’aveva fatta.



[Anna]
Aprii lentamente gli occhi e li richiusi nuovamente. Iniziai a sbattere le palpebre per abituarmi alla luce. Non so da quanto tempo non la vedevo. Mi accorsi che avevo una flebo attaccata ma non sentivo più il rumore dei macchinari. Non ricordavo nulla. Ricordavo di aver sentito la voce della dottoressa, di Abel e di Luca. Luca. Il mio Luca. Cosa ci faceva qui?
Girai lentamente la testa alla mia sinistra e la scena che vidi mi lasciò senza fiato. Non avevo mai visto una scena così bella. Sembrava una visione.
Seduto sulla poltroncina c’era Luca che dormiva con in braccio un frugoletto rosa addormentato. Sorrisi. La mia bambina in braccio all’uomo che ho sempre desiderato. Era un quadretto perfetto, e il sole che filtrava leggermente dalla finestra, rendeva tutto ancora più spettacolare.
La porta della stanza si aprì ed entrò la dottoressa sorridente. Le dissi di fare silenzio, e con un sorriso mi voltai di nuovo verso quella meravigliosa scena.
-Beh, deve essere molto stanco. È rimasto qui da quando è arrivato- disse sottovoce la dottoressa. La guardai, ancora sorridente -Come ti senti?- chiese.
-Un po’ stordita- dissi flebilmente.
-Vedrai, ti riprenderai del tutto tra un paio di giorni!- esclamò accarezzandomi i capelli -Ci hai fatto prendere un accidenti!- disse con tono di rimprovero. Scrollai le spalle come per dire “non è colpa mia”, facendola ridere.
-Torno dopo, ti lascio riposare un altro po’- disse uscendo dalla stanza. Chiuse la porta alle sue spalle e nel farlo Luca si svegliò. Aprì lentamente gli occhi e rimasi a guardarlo senza avere il coraggio di respirare. I suoi occhi erano nuovamente nei miei. Ci fu un momento di smarrimento, poi spostammo lo sguardo su quell’esserino che si mosse tra le sue braccia.

[Luca]
Sentii qualche movimento per la stanza. Aprii lentamente gli occhi e mi ritrovai in quelli di Anna. Dio mio, mi mancò il respiro. Era un’emozione troppo forte. Qualcosa, anzi qualcuno, si mosse tra le mie braccia. Abbassai lo sguardo sulla piccola Daniela Annuka. Sorrisi e le accarezzai la schiena -Ehi- dissi dolcemente stampandole dei bacini sulla fronte. Rivolsi di nuovo il mio sguardo ad Anna che guardava la scena emozionata. Mi alzai lentamente dalla poltroncina e mi avvicinai al letto -Forse è l’ora che voi due vi conosciate- dissi porgendole la bambina che lei prese delicatamente tra le braccia. Le lacrime iniziarono a scorrere sul viso di Anna e io non potei fare a meno di guardare la scena con la stessa emozione di quando vidi la bambina per la prima volta. Erano stupende insieme. Erano qualcosa di unico.
-Ciao piccola mia- disse lei accarezzandole il viso e stampandole dolci baci.
-Hai visto quanto è bella!?- dissi sorridente. Lei mi guardò e annuì -È la bambina più bella che abbia mai visto- disse guardandola con gli occhi gonfi di orgoglio. Poi si specchiò nuovamente nei miei occhi.
-Anna…- dissi quasi in un sussurro. Deglutii, mentre mi sentivo tutto lo stomaco attorcigliato.
-Luca…- mi guardò tenendo stretta a sé la piccola. C’erano tante cose che avrei voluto chiederle, ma non ci riuscii. Fu lei ad iniziare a parlare.
-Mi sei mancato Luca- disse dolcemente -E lo so che probabilmente starai pensando “non sono stato io ad uscire dalla tua vita”. E hai ragione! Sono stata io a cacciarti. E l’ho fatto perché avevo paura di un tuo giudizio!- esclamò mentre inarcai un sopracciglio -Si, perché ho fatto una cosa di cui non vado fiera. Adesso è diverso. La mia bambina mi riempie di orgoglio. Ma i primi mesi è stata dura accettare tutto questo. Accettare la mia gravidanza- e non riuscii a capire dove volesse arrivare -Ti ho tenuto lontano da me proprio per questo. Mi sentivo uno schifo. E avevo paura che tu mi potessi giudicare male- disse abbassando lo sguardo. A quel punto non riuscii a rimanere in silenzio -Ma cosa dici, Anna? Io sarei stato sempre dalla tua parte, qualsiasi cosa fosse successa! Ti ricordi con chi stai parlando?- chiesi retorico con un sorriso amareggiato. La vidi deglutire e fissarmi con i suoi occhi, velati di lacrime -Si. Sto parlando con l’uomo che mi ha reso la persona che ora sono- la bloccai
-Sono io che ti ho reso così egoista da farmi escludere dalla tua vita?- mi guardò incassando il colpo. Chiusi gli occhi e mi passai una mano sul viso, mentre la piccola iniziò a piangere per il volume della mia voce. Anna cercò di tranquillizzarla -Dimmi la verità, Luca…- disse e aspettai continuasse -Avresti preferito che morissi?- chiese. E fu un colpo basso.
-Come puoi pensare una cosa del genere?- chiesi quasi in un sussurro -Anna, sono rimasto qui interi giorni e intere notti aspettando il tuo risveglio. Sono rimasto ad aspettarti, ancora una volta!- esclamai quasi disperato -Io non lo so perché mi hai voluto fuori dalla tua vita, ma posso solo dirti che sarei stato capace di aiutarti, anche da lontano. Non ti avrei lasciata sola, Anna. Sei stata tu a chiudermi tutte le porte in faccia. Di cosa hai avuto paura?-
-Ho avuto paura di cosa avresti pensato di me!-
-Ma per quale motivo?-
-Perché non so chi è il padre della bambina!- sbottò -Perché è frutto di una notte da ubriaca! Mi vergognavo a dirtelo, Luca! Mi vergognavo a dirti che ero incinta di uno conosciuto in discoteca, dopo che mi ero ubriacata! Cosa avresti pensato di me?- disse in lacrime, ormai agitata.
-Ehi, ehi- mi avvicinai -Calmati- e mi sedetti accanto a lei e alla piccola, sul letto. Accarezzai Daniela e rimanemmo in silenzio per un po’. Aspettai che Anna si calmasse un po’ per ricominciare a parlare -Non pensare mai più una cosa come quella di prima. Non posso vivere senza di te, Anna. E benché potessi accettare di fare a meno di te per la tua felicità, non riuscirei mai ad accettare la tua morte. Mi sei mancata. Giorno e notte. In ogni mio pensiero tu c’eri. Ripensavo ai nostri ricordi. Quelli belli, quelli brutti e… E ogni volta faceva male, Anna- dissi accarezzando la manina alla piccola -Faceva maledettamente male- dissi e deglutii -Ti sarei stato accanto, anche se mi sarei arrabbiato, probabilmente. Ma ti sarei stato accanto!- esclamai convinto.
-Perdonami, Luca- disse lei appoggiando il viso sul mio petto e stringendo la mia camicia tra le dita. Non sapevo cosa fare. Poi, con il gesto più spontaneo di questo mondo, l’avvolsi tra le mie braccia e chiusi gli occhi per assaporarmi quel attimo che mi era mancato.
-Possiamo iniziare tutto da capo?- chiese. La guardai e scossi la testa -Il passato non si può cancellare. Però, si può sempre scrivere un nuovo capitolo. Insieme- dissi seriamente.
-Tu lo vuoi?- chiese speranzosa. Annuii e lei mi sorrise dolcemente -E come lo iniziamo questo nuovo capitolo?- chiese seria. Mi avvicinai e le sfiorai le labbra per poi stamparle un bacio caldo e sincero. La guardai e le parlai a pochi centimetri dalla bocca -Così…- dissi mentre lei sorrise e non riuscì a bloccare le altre lacrime. La piccola emise un versetto strano e la guardammo sorridenti -L’inizio piace molto a Daniela Annuka- dissi accarezzando la guancia rosa della bambina. Anna mi fissò -Daniela Annuka? Te l’ha detto Abel?- chiese. Annuii -Si, ed è un gesto davvero bello da parte tua- dissi regalandogli un dolce sorriso. Rimanemmo a guardarci per qualche istante, poi dolcemente sussurrai -Anna, io…- ma fui interrotto da un urlo.
-MAMMA!- esclamò Abel entrando come una furia nella stanza. Cercò di fare attenzione e abbracciò forte Anna.
-Amore mio, come mi hai chiamata?- chiese emozionata. E solo allora ricordai che Abel non l’aveva mai chiamata “mamma”. Presi la piccola in braccio, cullandola un po’, osservando la scena.
-Mamma. Ho avuto paura di perderti. Ma adesso non mi lascerai più, vero?- chiese con quei grandi occhi che si ritrovava. Anna sorrise -No tesoro, non ti lascerò più- disse stringendolo forte a sé mentre sul mio viso spuntò un sorriso emozionato.
-E Luca?- chiese Abel. Si girarono entrambi verso di me e li guardai interrogativo -Io cosa?- chiesi.
-Tu ci lascerai, adesso?- chiese tristemente. Rivolsi lo sguardo ad Anna, per poi soffermarmi sulla piccola, iniziando a parlare -Che dici? Tu vuoi che rimanga?- chiesi e la bambina emise un altro brontolio. Anna e Abel ridacchiarono -Penso sia un si- disse lei. Feci una smorfia -Beh, in tal caso… Non posso di certo rifiutare l’invito di una signorina!- esclamai stampando un tenero bacio a Daniela.
-Evvai!- esclamò Abel saltellando per la stanza.
-Abel, dobbiamo andare!- esclamò l’assistente sociale.
-Aspetta! Voglio fare una cosa! È uno splendido quadretto familiare questo!- esclamò per poi estrarre qualcosa dal suo zainetto. Una fotocamera. La posizionò sul tavolino poco più in là e corse per rimettersi di nuovo sul letto, ai piedi di Anna, facendomi cenno di avvicinarmi con la bambina per metterci in posa. Facemmo circa cinque foto, poi l’assistente sociale lo trascinò perché aveva una piccola gita con i suoi amichetti ed era già tardi. Nel frattempo la bambina si stava per addormentare. La coccolai un altro po’, fino a quando mi accorsi che era già nel mondo dei sogni. La sistemai nella culletta accanto al letto e la coprii con la copertina. Rimasi a guardarla per qualche secondo, poi l’accarezzai dolcemente e sorrisi.
-Siete stupendi insieme- disse Anna, e solo allora mi accorsi che ci guardava rapita, emozionata da quella scena. Le sorrisi e tornai a guardare la piccola.
-Cosa stavi per dirmi prima?- chiese costringendomi a guardarla -Quando?- chiesi spaesato.
-Prima che arrivasse Abel- disse. Mi mancò il respiro e deglutii per poi schiarirmi la voce -Ecco, volevo…- sospirai -Volevo dare un inizio importante al nostro nuovo capitolo- mi guardò interrogativa e mi avvicinai di più. Eravamo nuovamente a pochi centimetri -Ti amo- dissi, e la vidi sgranare gli occhi per la sorpresa e iniziare a boccheggiare, senza riuscire a parlare.
Aspettai fino a quando non vidi un sorriso raggiante e, emozionata, mi prese il viso tra le mani attirandomi a sé, baciandomi dolcemente e sussurrando sulle labbra un semplice, ma importante -Anch’io…-

FINE.

   
 
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