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Autore: bluemary    02/01/2011    4 recensioni
La donna sollevò lo sguardo senza rispondere, rivelando gli occhi che fino a quel momento si erano rivolti altrove. Incapace di muoversi, la guardia la fissò sconvolto. L’iride nerissima era frammentata da piccoli lampi di grigio, come delle ferite che ne deturpavano l’armonia, donando al suo sguardo una sfumatura intensa quanto inquietante; ma era stato il centro stesso dell’occhio ad aver attratto da subito l’attenzione dell’uomo, che adesso la fissava quasi con terrore, le mani strette convulsamente alla lancia ed il respiro affannoso: al posto del nero della pupilla, si stagliava il bianco tipico degli Oscuri.
Cinque sovrani dai poteri straordinari, una ragazza alla ricerca della salvezza per una razza intera, un umano con la magia che sembra stare dalla parte sbagliata. Benvenuti su Sylune, una terra dove la speranza è bandita e dove gli ultimi uomini liberi lottano per non soccombere.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Sylune' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Mi ritaglio un piccolo spazio per fare a chiunque passi di qua gli auguri di buon 2011! Ne approfitto inoltre per avvertire chi fosse interessato che ho postato l'antefatto a questa vicenda; è una oneshot dal titolo "Il Viandante", che ho inserito nella serie a cui appartiene anche questa storia. Infine ci tengo a ringraziare chi legge questa storia, chi l'ha aggiunta alle preferite o alle seguite, e ovviamente un grazie speciale a chi mi ha lasciato o mi lascerà un commento!




-Capitolo 7: Situazioni pericolose-

Mizar si immerse lentamente nell’ampia vasca di marmo bianco, colma di acqua calda e oli profumati.
Ancora una volta aveva adempiuto alla sua missione senza alcun problema, riuscendo perfino a tornare a palazzo un giorno prima del previsto ed a meritarsi la soddisfatta approvazione del suo re.
Come al solito, dopo aver fatto rapporto a Daygon ed essersi informato sulle novità avvenute durante la sua assenza, il suo primo pensiero era stato prendersi un lungo bagno caldo, in modo da togliersi dal corpo la polvere e l’odore di sangue e di morte che le battaglie imprimevano come un marchio sulla sua pelle.
Solitamente utilizzava questi momenti di tranquillità per rilassarsi e lasciare che la tensione dell’ultimo scontro venisse dissolta dalle mani esperte delle sue schiave, ma questa volta c’erano troppi pensieri a disturbargli la mente. Mentre tornava dall’ultima città conquistata, infatti, aveva scoperto che il piccolo e neutrale villaggio vicino a Lorimar era stato completamente distrutto, probabilmente per opera di una banda di predoni.
Non che gli importasse qualcosa di quel povero agglomerato di capanne e stradine malconce, tuttavia lo infastidiva l’idea che un gruppo di criminali tanto numeroso fosse sfuggito al controllo suo e di Daygon: chiunque osasse turbare l’armonia dell’impero doveva essere repentinamente eliminato.
Fortunatamente Devil era sicuro di avere nelle proprie mani chi avrebbe potuto spiegargli cos’era successo ad Huan e svelare l’identità di quegli ignoti distruttori.
Si alzò di scatto dalla vasca, congedando con un gesto irritato la giovane serva che gli stava lavando la schiena.
A petto nudo, con i capelli biondi ancora gocciolanti, entrò nella stanza della sua prigioniera.
Kysa era in piedi, rivolta verso la finestra aperta con la triste espressione di un uccellino in gabbia; non appena lo sentì entrare, si allontanò di scatto, quasi si sentisse colpevole di aver osato pensare alla fuga, un’eventualità impossibile da attuare, visto che la stanza in cui era reclusa si trovava a parecchi metri dal suolo.
Devil richiuse la porta dietro di sé.
- Siediti. - le ordinò, indicando il letto.
La ragazza obbedì, incrociando le ginocchia al petto in un'istintiva posizione di difesa.
- Come ti senti? - le chiese con il tono freddo che lo caratterizzava.
- Sto bene. - mormorò lei, sentendo quanto perfino deglutire fosse diventato difficile in presenza di quell’alto soldato che la spaventava.
L’uomo si accomodò su una sedia, come al solito i suoi occhi non mostravano alcuna emozione, quasi fossero congelati in uno sguardo perennemente impassibile eppure minaccioso.
- Chi ti ha ridotto in fin di vita?
- Perché me lo chiedi, visto che sono stati i tuoi uomini? - rispose la ragazza, nascondendo l’odio che provava per gli assassini della sua gente dietro l’amarezza con cui aveva parlato.
- Non mentire! - la brusca voce del comandante la interruppe all’improvviso, sferzante come una frustata - I miei uomini erano a Lorimar e tu non sei nemmeno riuscita a raggiungerla.
La sua prigioniera sollevò lo sguardo, sorpresa.
- Intendevo i soldati che hanno distrutto Huan. Non erano ai tuoi ordini? - chiese poi, con voce esitante.
- A Daygon non può certo interessare un villaggio tanto insignificante. - replicò Devil con disprezzo, accentuando la sicurezza di Kysa che l'Oscuro era del tutto estraneo alla sua cattura.
Socchiuse gli occhi gelidi, aggrottando la fronte in un attimo di riflessione.
La risposta della sua prigioniera l’aveva sorpreso non poco: non credeva che uno degli altri Re fosse abbastanza temerario da attaccare in segreto una zona così vicina ai possedimenti di Daygon, rischiando di attirarne su di sé il sospetto e la collera, a meno di non aver trovato qualcosa per cui valesse la pena di agire tanto avventatamente.
E, tuttavia, in quel villaggio di pezzenti non c’era nulla che avrebbe potuto interessare ad un Oscuro, né ricchezze, né potenziali soldati particolarmente valorosi, né ribelli.
Strinse le labbra in una piega sottile che ne accentuava la crudeltà.
A quanto pareva gli altri Re avevano dei piani di cui Daygon non era a conoscenza e la cosa non gli piaceva affatto; una volta riferito tutto al suo sovrano avrebbe chiesto di poter svolgere delle indagini per scoprire quali fossero gli obiettivi degli altri maghi, sempre che la ragazza di fronte a lui avesse detto la verità sulla distruzione di Huan…
- Sai combattere? - le chiese all’improvviso.
Kysa scosse la testa, sorpresa della domanda.
- Ed il pugnale incrostato di sangue che ho trovato al tuo fianco?
- Ho cercato di difendermi.
L’espressione di Devil venne attraversata da un lampo di sospetto.
- Com’è possibile che una ragazza come te sia sopravvissuta alla distruzione di un villaggio? - la fissò a lungo negli occhi azzurri prima di vederla abbassare il volto, come ricercando un qualche particolare che potesse dare una risposta alla sua domanda - Non possiedi la magia, non sai combattere e non hai nemmeno il coraggio di sostenere il mio sguardo.
Kysa alzò la testa, in un impeto di ribellione per le sue parole, ma poi tornò nuovamente a fissare il candido lenzuolo sul quale era seduta, mordendosi piano un labbro per reprimere la paura.
Il volto del soldato si distese impercettibilmente, ricomponendo quello sguardo impenetrabile che lo caratterizzava.
Per un attimo gli era balenata in mente l’ipotesi che la sua prigioniera potesse essere una spia degli altri Oscuri, ma l’espressione terrorizzata con cui lei studiava ogni sua mossa era troppo genuina per far parte di una finzione; senza contare le gravi condizioni in cui versava quando l’aveva trovata, nessuno avrebbe potuto prevedere la sua decisione di salvarle la vita.
Con una leggera smorfia archiviò tutte le sue riflessioni; più tardi avrebbe riferito a Daygon i suoi sospetti e le conclusioni a cui era giunto, ma adesso aveva altro a cui pensare.
Si avvicinò lentamente al letto, lasciando affiorare sul suo volto un pallido sorriso di soddisfazione non appena gli occhi azzurri della ragazza fecero trasparire un lampo allarmato.
- Oggi non mi chiedi di lasciarti libera? - la derise.
- Sarebbe di qualche utilità? - mormorò lei di rimando con voce spenta.
Per tutta risposta il sorriso del comandante si allargò, senza comunque raggiungere gli occhi gelidi e impassibili che parevano incapaci di mostrare una qualche emozione.
- No. - le sussurrò come una condanna, mentre le afferrava il mento.
La baciò, forzandola ad aprire le labbra per poterle esplorare la bocca con la lingua, abbracciandola con un gesto che non era né dolce né romantico, ma un semplice prendere possesso di una prigioniera alla quale aveva salvato la vita unicamente per renderla un suo giocattolo.
Kysa rimase immobile, troppo terrorizzata dalla situazione per opporsi; poi, non appena si sentì spingere verso il materasso mentre il corpo asciutto e muscoloso del soldato premeva contro il suo, la paura si concretizzò nell’atavico istinto di conservazione tipico di ogni essere vivente che la spinse a ribellarsi con tutte le sue forze.
Cominciò a divincolarsi selvaggiamente, appoggiando le mani contro il suo petto nel disperato tentativo di allontanarlo da sé, quasi la sua volontà bastasse ad aver la meglio su un uomo di gran lunga più forte di lei.
Un attimo di esitazione la colse quando le sue dita incontrarono degli strani rilievi sulla sua pelle, vicino al cuore, facendole alzare gli occhi per intercettare le iridi di ghiaccio del suo aguzzino che la fissavano senza alcuna emozione; poi la paura riprese il sopravvento ed ogni pensiero razionale venne soffocato dallo spasmodico desiderio di liberarsi e scappare.
Subito una mano dell’uomo le imprigionò i polsi in una stretta d’acciaio, bloccandoglieli sopra la testa.
Kysa si morse un labbro con tutte le sue forze, ricacciando indietro le lacrime che stavano per bagnarle le guance, e chiuse gli occhi, impotente e sconfitta tra le braccia di chi l’avrebbe distrutta.
Stranamente Devil non si mosse, continuava a fissarla senza dire una parola, con il volto a pochi centimetri dalle sue labbra, abbastanza vicino da sentire il suo respiro.
La ragazza si irrigidì ancora di più, certa che il soldato prediletto di Daygon stesse architettando qualche nuovo giochetto per spaventarla, invece, con sua grande sorpresa, il guerriero la lasciò andare all’improvviso, sedendosi a qualche centimetro di distanza da lei.
Subito Kysa rotolò verso il lato più lontano del letto, pronta ad alzarsi e mettere il maggiore spazio possibile tra loro, ma un’occhiata minacciosa dell’uomo la congelò sul posto. Rimase immobile, studiandolo in attesa di un suo movimento per scattare verso la porta e tentare la fuga.
Devil non fece nulla, nonostante avesse lo sguardo rivolto verso di lei sembrava non vederla nemmeno, né avvertire la terribile tensione che la pervadeva. Le sue iridi di ghiaccio si erano fatte quasi remote, perse in una dimensione di ricordi che non lo rendeva meno minaccioso, solo più distante.
- Te ne sei accorta. - mormorò, con un tono indefinibile.
Kysa non rispose, lasciando che fosse il suo stesso sguardo, fisso sul petto del soldato, a confermare le sue parole.
Appena sotto la spalla sinistra dell’uomo, vicino al cuore, c’era un segno a forma di stella, quasi impossibile da notare ad occhio nudo se non avesse saputo dove cercare; eppure, adesso che l’aveva toccato, anche i suoi occhi lo scoprivano con un lampo di stupore, increduli di riscontrare una cicatrice sulla pelle di un guerriero che aveva la fama di non essere mai stato ferito in battaglia.
- Sei sorpresa?
La ragazza sollevò lo sguardo fino ad incontrare le iridi azzurre del suo carceriere.
- Non pensavo che qualcuno fosse riuscito a ferirti. - mormorò dopo un po’ di silenzio.
- Non è stato un essere umano. - replicò Devil con un sorriso, ricordando il giorno in cui aveva acquisito la magia.
Per una volta la sua espressione non aveva nulla di minaccioso, eppure le sue parole risuonarono stranamente cupe alle orecchie della giovane prigioniera.
L’uomo la vide rabbrividire impercettibilmente, mentre capiva le implicazioni della sua risposta ed abbassava lo sguardo.
Le sfiorò i capelli castani, lunghi abbastanza da coprirle metà schiena, prima di darle le spalle e dirigersi verso la porta.
- La prossima volta non ti consiglio di respingermi.

Nello stesso momento, Kilik stava fuggendo da Lockerhalt.
Quella mattina aveva commesso uno stupido errore, facendosi sorprendere senza cappuccio dalla giovane cameriera che era venuta a rassettargli la camera.
La ragazza aveva fissato le sue iridi viola con un’esclamazione soffocata, prima di abbandonare a terra le lenzuola con cui era entrata e scappare giù dalla scale in preda ad una spaventata eccitazione, lasciandolo immobile a masticare un’imprecazione dopo l’altra.
Non c’era voluto molto tempo prima che arrivassero anche i soldati degli Oscuri, ma fortuna aveva voluto che la stanza affittata fosse provvista di un’ampia finestra, dalla quale era riuscito a fuggire con un salto di qualche metro.
Mentre zigzagava tra le vie del villaggio, travolgendo gli ignari passanti che gli intralciavano la corsa, maledì ancora una volta la proprio imprudenza. Nonostante quella mattina fosse stato in preda ai pensieri più disparati, non ultimo quello di Viridian, avrebbe dovuto fare più attenzione, invece di aprire la porta chiusa a chiave quando ancora non si era del tutto vestito.
I passi alle sue spalle si fecero più vicini, segno che i soldati stavano guadagnando terreno su di lui.
Kilik strinse i pugnali che nascondeva sotto il mantello, conscio di doversene servire entro breve tempo, poi un vicolo seminascosto dall’immondizia attrasse la sua attenzione; ci entrò, la fronte aggrottata per lo sforzo di utilizzare la poca magia che possedeva. Subito un’immagine con le sue sembianze gli comparve a fianco; con dei rapidi movimenti delle dita, quasi stesse controllando una marionetta, l’Etereo la fece uscire allo scoperto e proseguire la fuga nella strada principale.
I soldati svoltarono l’angolo in quel momento e, tratti in inganno da quell’illusione, continuarono a correre oltrepassando lo stretto vicolo in cui lui era nascosto.
Stremato dalla lunga corsa e dall’utilizzo della magia, Kilik tirò un sospiro di sollievo.
Quando fu certo che i soldati erano abbastanza lontani, tornò sui suoi passi, pronto a lasciare per sempre quella città in cui una volta di più aveva rischiato la vita. Non fece neanche a tempo a compiere pochi metri che la porta di una povera casa alla sua destra si aprì, lasciando intravedere il volto grinzoso e incuriosito di una vecchia.
- Ehi, giovane. - lo chiamò la donna, dopo aver dato un’occhiata in giro con aria ansiosa.
Kilik fece esitante un paio di passi verso di lei.
- Devi nasconderti, i soldati torneranno tra breve. - una mano piena di rughe si alzò per scostarsi dagli occhi un ciuffo arruffato di capelli grigi, come per prendere una decisione - Presto, entra qua.
Sorpreso, il ragazzo si lasciò trascinare dentro quella casa povera ma accogliente, studiando con attenzione quella sconosciuta.
Senza nessun apparente motivo gli venne in mente la sua nonna materna, un’Eterea dall’aspetto fragile, eppure cocciuta all’inverosimile, che riusciva sempre ad imporsi sui figli ed i nipoti. Come suo fratello Kohori, Kilik provava un affetto incredibile per quell’anziana parente che, nonostante un’apparente severità, lo aveva sempre coccolato, più protettiva dei suoi stessi genitori, e che, da quando era stata bandita assieme a tutto il suo popolo, gli mancava terribilmente.
Con un sussulto si riscosse dalle sue riflessioni, rendendosi conto che la donna sconosciuta gli stava ancora tenendo il braccio.
- Tu sei uno di quelli con la magia! - esultò lei, mettendo in mostra la bocca sdentata.
Kilik accennò un sorriso, sentendosi un po’ a disagio di fronte all’entusiasmo di quella piccola vecchia che continuava a fissarlo con un benevolo interesse fin troppo evidente.
- Ti ringrazio di avermi fatto entrare, ma adesso devo rimettermi in cammino.
La sua ospite scosse la testa con veemenza, assomigliando davvero per un attimo alla sua testardissima nonna.
- No no, è troppo pericoloso, rimarrai qui fino a domani mattina.
- Perché mi aiuti? Se i soldati lo scoprono se la prenderanno con te.
La donna contrasse il volto in un’espressione a metà tra il dolore e la rabbia.
- Mi hanno ucciso due figli. Devono pagare. - spiegò semplicemente. Un secondo più tardi i suoi lineamenti tornarono a comporre il benevolo e materno sorriso di un’anziana signora - Tu riposati, tra breve ti preparerò qualcosa da mangiare.
Quasi sospinto su per le scale fin dentro un’angusta stanzetta, a Kilik non rimase altro che sdraiarsi sul letto, ancora sorpreso di aver trovato aiuto proprio da una donna appartenente ad una razza di cui non si era mai fidato.
“Allora anche tra gli umani ci sono delle persone per bene” si disse, prima di lasciare che la stanchezza prendesse il sopravvento.
Forse fu il suo istinto a spingerlo ad aprire gli occhi dopo nemmeno un’ora di sonno, o magari si trattò unicamente di una casualità, comunque, una volta completamente sveglio, capì che non sarebbe riuscito ad addormentarsi di nuovo e decise di alzarsi. Incuriosito dalle voci che sentiva provenire dal piano di sotto scese le scale, con l’intento di offrire il suo aiuto a quella simpatica vecchia che lo stava ospitando, ma non appena giunse nel piccolo salotto si bloccò di scatto.
- Che diavolo… - mormorò, stupefatto nel vedere di fronte a sé i soldati a cui pensava di aver fatto perdere le proprie tracce ore prima.
Strinse i pugnali, pronto a fronteggiarli con tutte le sue forze, ma un violento colpo alla nuca lo fece sprofondare nel buio.
   
 
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