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Autore: elfin emrys    04/01/2011    8 recensioni
Uther è un comico molto famoso, con una vita felice. Ma c'è un messaggio. L'ultimo messaggio di Igraine, prima di sparire dalla sua vita, partita lontano. E delle incongruenze nella loro storia. E se...
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Merlin e Arthur stanno insieme da tempo, ma compare per il primo un nuovo spasimante che metterà il bastone fra le ruote a Arthur.
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Morgana è un'avvocato che, un giorno, scagiona per sbaglio un'assassina, Sophia. Affoga nel Tamigi, dopo una dura lotta, ma il corpo non viene ritrovato. Morgana ha un brutto presentimento.
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Gwen e Lancelot hanno una storia d'amore, ma un malinteso li porterà lontani...
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro Personaggio, Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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Loro

 

Uther salutava gli spettatori che guardavano il suo show serale. Il Re fissò uno a uno tutte le donne e gli uomini che, comodamente seduti nelle loro poltroncine, applaudivano entusiasti. Sinceramente, Uther avrebbe voluto andare lì e strappare loro le mani. Loro e i loro sorrisi stupidi, mentre ridevano di lui, mentre lui si metteva in ridicolo in quelle altrattanto ridicole situazioni che creava per mezzo della sua fantasia. Lui, Uther Pendragon, che aveva creato il suo Regno della Risata, anche se le sue battute facevano meno ridere di quelle di Krusty il clown dei Simpson.

-A domani!

Il popolo si disperse, mentre i camera men spegnevano le loro telecamere. Uther scese dalla scaletta che portava in tribuna e si diresse verso il suo camerino, dove l'attendeva Hunith, la sua nuova fiamma. A lei era morto il marito da cinque anni e lui una moglie non l'aveva mai avuta. Aveva amato una donna una volta. Igraine si chiamava. Ma lei apparteneva al passato, quando ancora era giovane e con tutta una vita davanti. Un giorno semplicemente lei era sparita, lasciandogli solo un foglio. Se lo ricordava benissimo.

Rovinerei tutto

Sì, diceva proprio così. Ma adesso era felice con Hunith. Gli era sembrato di ritornare ragazzo con lei. Le sue battute erano più divertenti, i suoi sguardi più accesi... addirittura la sua salute era migliorata! Uther sorrise quando una voce allegra raggiunse le sue orecchie.

-Hunith!

La donna si girò verso di lui al suono della sua voce. Lei si gettò fra le sue braccia, mentre lo accompagnava alla macchina per andarsene da quel tempio del divertimento. L'auto di Uther era una Ferrari rossa fiammante, con cui attirava belle ragazze... o forse erano i soldi ad attirarle? Di una cosa era certo: Hunith non stava con lui per nessuna di quelle ragioni. Ne aveva avuto la prova quando, tre anni prima quando si erano conosciuti, l'aveva aiutato a superare il periodo più difficile di tutta la sua vita. Si ricordò quando gli avevano detto che aveva poco da vivere. Poi lo chiamarono per dirgli che era stato miracolato. Miracolato? Lui non credeva a Dio e ai miracoli, credeva solo in quello che vedeva e quello che vedeva era una donna che gli aveva dato talmente tanto amore che il Fato aveva avuto pietà di lui e della povera donna che stava soffrendo con lui. Uther sfoderò il suo sorriso sghembo che da giovane usava spesso con le ragazze e strinse l'amata a sé mentre, con un rombo del motore, l'auto partiva, sommergendo tutto ciò che stava dietro in una nuvola di fumo.

 

La riunione durava da più di due ore. Parte dei partecipanti dormiva, l'altra parte si girava i pollici. Solo Merlin, che in quel momento sembrava uno scriba, annotava qualunque cose venisse detta sul computer, in modo che il suo capo potesse leggere il tutto in santa pace successivamente. Arthur era il suo capo. Si erano conosciuti in quarta elementare e da lì non si erano mai lasciati. Quando finirono la scuola, Arthur aveva aperto un'azienda e dette a Merlin un lavoro come suo segretario. Il capo era un giovane uomo alto e biondo. Gli occhi azzurri, sinceri e penetranti, erano in quel momento velati di stanchezza. Era bellissimo e non solo Merlin se n'era accorto, a giudicare dalla quantità di donne che gli girava intorno. Il ragazzo sorrise, mentre Richard finiva di dire che i guadagni erano di più di quelli dell'anno scorso e che le vendite erano considerevolmente aumentate. Arthur, intanto, stanco e affaticato dalla lunga giornata di lavoro, scarabocchiava su un foglio di un quaderno. Era un block-notes grande con dei fogli bianchi a righe che, per Arthur, serviva solamente a disegnarci sopra. Lui era molto bravo a disegnare: glielo aveva insegnato sua madre prima di morire... per lui era un modo di ricordarla e di farla sentire vicina. Solo il suo attuale segretario gli era rimasto vicino alla sua morte: lui aveva cercato in tutti i modi di attutire il dolore... Non immaginava neanche lontanamente quanto ci fosse riuscito. Arthur sorrise, pensando che se sua madre avesse saputo cosa lui avrebbe fatto con le nozioni che gli aveva impartito, non avrebbe mai pensato di insegnargli come si faceva. La penna nera scorreva sulla carta, lasciando segli di inchiostro. Velocemente prese forma un viso pallido, con dei capelli neri che svolazzavano. Poi due occhi, che il biondo colorò con l'inchiostro blu. E due labbra, disegnate in rosso. Piano, Arthur ne disegnò il corpo esile, che da sempre lo faceva impazzire. Cominciò a disegnare gli indumenti al personaggio del suo disegno che, nonostante fosse un uomo, venne vestito con un tubino nero e delle belle scarpe con tanto di tacchi. Il broncio adorabile che aveva messo al suo personaggio così era motivato. Arthur sorrise, mentre guardava i suoi disegni precedenti. Merlin cameriera, Merlin cubista, Merlin ballerino, Merlin infermiere sexy, Merlin... solamente Merlin... Lui e le sue labbra rosse, il suo collo lungo e bianco, i suoi capelli morbidi e caldi. Arthur lo guardò, mentre il ragazzo finiva di scrivere l'ultima frase pronunciata da Richard. Il biondo sorrise, immaginando già cosa lo aspettava tornato a casa. Lo aspettava la spalla su cui piangere, il confidente cui rivelare i segreti, il calore del suo abbraccio. Il calore del loro amore.

 

-Bambini, dentro!

Gwen aprì la porta della scuola. I bimbi, sentendo la voce della maestra, entrarono in aula, mentre un bel sole splendeva ancora sugli scivoli, sulle altalene e sui dondoli. La ragazza chiuse la porta, mentre già qualche bambina le tirava i pantaloni cercando di attirare la sua attenzione sui propri problemi. Sorrise.

-Cosa c'è, Mary?

-Sam non non vuole giocare con me...

La bambina aveva un broncio adorabile cui nessun adulto avrebbe saputo resistere. Mary era la preferita di Gwen. Era piccola e pallida, con dei grandi occhi che sembravano olivette nere e con dei capelli castano scuro tagliati corti, ma abbastanza lunghi da essere legati in due codini. La maestra la accarezzò e con lo sguardo andò a cercare la piccola Sam che giocava sola soletta poco lontano. Gwen si avvicinò a lei con a seguito la bimba.

-Sam!

La bambina chiamata si girò verso la proprietaria di quella voce, mentre poggiava il pupazzo con cui stava giocando.

-Perchè non vuoi giocare con Mary?

Sam la guardò, poi guardò la compagna di classe. Riposò lo sguardo sulla maestra, che la fissava con sguardo comprensivo e severo contemporaneamente. La piccola aprì la bocca come per dire qualcosa, ma poi la richiuse immediatamente. Sam degludì, poi fissò lo sguardo sulla macchinina del pupazzo.

-Perchè Mary ieri mi ha rotto la bambola...

La vocina della piccola era sottile e timida, ma, nonostante il frastuono provocato dai giochi e dalle urla degli altri bambini, Gwen la sentì benissimo. La ragazza guardò Mary, ancora aggrappata alla sua gamba, e poi Sam che aveva ripreso a giocare.

-E' vero, Mary?

La bambina annuì.

-Sì, ma non l'ho fatto apposta!

-Sentito, Sam? Non l'ha fatto apposta...

Le due bimbe si guardarono, una dietro la maestra, l'altra da terra. Sam posò gli occhi neri in quelli dolci di Gwen.

-Sì, ma l'ha rotta e io ho paura che possa romperne un'altra.

Gwen sorrise comprensiva, mentre incitava la piccola Mary a uscire dal suo nascondiglio e a sedersi con l'amica. La ragazza, poi, si chinò fino ad arrivare all'altezza degli occhi di Sam.

-Se ne romperà un'altra, allora dimmelo che te la ricomprerò io.

Così dicendo, posò un bacio sulla testa delle due bimbe, per poi tornare al piccolo tavolo che doveva essere una cattedra.

 

Morgana uscì velocemente dal tribunale. Non ne poteva sinceramente più. La giovane donna che doveva difendere, accusata di omicidio, era la presunta assassina più timida e meno cattiva che avesse mai conosciuto. L'avvocato si guardò intorno, mentre prendeva un caffè alla macchinetta che in quel momento aveva davanti. Morgana era una donna alta e magra. La pelle pallida era in contrasto con i bei capelli neri. Gli occhi verdi erano gelidi e in quel momento lo erano più del solito. Nonostante fosse Settembre, faceva molto caldo. La giacchetta elegante venne tolta e messa dentro una valigetta da lavoro.

-Signorina Fay?

La ragazza si girò. Una giovane donna con i capelli castani la stava chiamando mentre veniva verso di lei. Era Sophia, la ragazza accusata di omicidio. Non doveva essere lasciata così in libertà: dov'erano i poliziotti?

-Signorina, la ringrazio per tutto quello che sta facendo per me. La vostra determinazione dovrebbe essere da esempio per me... sapete, non sono una persona molto sicura...

Morgana la guardò sorridendo: era sempre bello sapere di aver qualcosa da insegnare agli altri.

-Dove sono i poliziotti?

L'avvocato decise di non parlarle di problemi di autostima, decidendo di puntare sulla domanda che la stava tormentando da molto tempo. Negli occhi della castana si accese un lampo rosso sangue. Le labbra si alzarono in un ghigno. Un attimo, prima che tornasse la dolce ragazza di sempre.

-Diciamo che mi hanno lasciata andare...

Il volto della presunta assassina si fece scuro, mentre lo sguardo si tingeva ancora di quella voglia di morte. Morgana si ritrovò a pensare che forse quella donna non era così indifesa come sembrava.

 

Il vecchio si chiuse la porta dell'ufficio alle spalle. Lo studio apriva tardi per questioni di salute dei clienti e del vecchio stesso. Gaius si sedette sulla sua comoda poltrona, respirando l'aria un po' viziata della stanza. La luce che proveniva dalla finestra non era molta. Un grande tappeto rosso stava sul parquet scuro. Le pareti dello stesso rosso del tappeto davano un'aria spettrale. O forse era il mobilio antico? Un'alta libreria stava accostata a una delle pareti. Tra i libri si trovavano testi di psicologia, su Freud, sui sogni. Alcuni erano sul cervello umano sotto il punto di vista medico, altri erano semplicemente libri di filosofia. Studiare il cervello umano e i pensieri che esso può formulare, questo era per Gaius il suo lavoro. E ascoltare. Era sempre stato bravo ad ascoltare e a dare consigli, ma il sapere che dalle sue decisioni poteva dipendere il futuro di una persona era inquietante. Il vecchio psicologo si passò una mano sopra il viso, mentre la moglie, Alice, che faceva da infermiera, gli portava in stanza il primo dei tanti malati che lui guariva. Non tutti quelli con cui parlava erano malati. Anzi, molti erano molto più sani di lui e di tutti gli altri: i geni sono sempre incompresi. Gaius fece cenno all'uomo che gli stava davanti di sedersi. Il viso del cliente era impassibile, come se non sentisse niente, o come se sentisse tutto insieme. I passi erano lenti e il corpo sembrava non volersi muovere. Quando finalmente l'uomo si sdraiò, lo psicologo potè cominciare.

-Chi è lei?

Non era sempre la cosa migliore iniziare da quella domanda. C'erano matti che solo per quello gli erano saltati addosso cercando di ucciderlo. Eppure quell'uomo gli ispirava una tranquillità quasi spettrale. Un morto che camminava. L'uomo gli raccontò quasi tutta la sua vita. La narrazione era ogni tanto interrotta da un singhiozzo o un lamento. Era un ragazzo, ma le giovani membra erano stanche come quelle di una persona anziana. Gioventù sprecata. Parte dei ragazzi del ventunesimo secolo sprecava la propria esistenza a scuola, studiando cose che con molta poca probabilità gli serviranno a qualcosa nella vita. Per esempio, sapere tutte le leggi di Keplero, a meno che tu non voglia intraprendere la carriere dell'astrofisico, a cosa servirebbe? Oppure il teorema di Euclide... quello proprio non l'aveva mai capito. Gaius si ritrovò a pensare ai vecchi tempi, in cui si sapevano poche cose, ma si sapevano alla perfezione!

-Per oggi basta.

Il giovane si alzò dal lettino e l'infermiera portò in stanza la madre del ragazzo.

-Lo riporti qui domani, signora, per essere certi di quello che ha.

-Cos'ha?

-Mi sembra semplicemente molto confuso.

La donna se ne andò col figlio vicino, poggiando i soldi sopra la scrivania e mormorando un “Arrivederci”.

-Oppure è semplicemente illuminato.

 

:::::NOTE FINALI:::::

Allora?? Cosa ne dite? Lasciate un commentino, please?? Mi farebbe molto piacere =D
Insomma, spero che questo piccolo capitolo per presentare i personaggi non vi abbia annoiato... Kiss

   
 
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