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Autore: Sunny    31/12/2005    24 recensioni
I missing moments della saga di BAWM! Ormai sono diventati troppi...meglio farne una raccolta! E si comincia con...
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: un po' tutti
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Buon 14° compleanno Hiromi

Buon 14° compleanno Hiromi!!! Questo è il mio piccolo regaluzzo per te… speriamo che l’orda di parenti che si aggirava per casa non mi abbia distratto troppo, spero proprio di farti un regalo che ti piaccia e non ti deluda, insomma proprio come lo volevi tu… un bacissimo e ancora auguri!!! *^_____^*

P.S.: per orientarci… questa shotty dovrebbe collocarsi a giugno, proprio qualche giorno dopo la fine del sesto anno scolastico di Dan, Jack e Amelia. Quindi tecnicamente… viene prima di “Casa Mia”. Tutto chiarissimo, no? O___o

 

 

 

Where the heart is

 

 

 

 

Gotta find a way to get home strong
Gotta find a way back home
Gotta find
the light to guide me along
Gotta finda a way back home
Running for your life won't get you so far
Running for your life so far
Gotta find the road to bring me home slow
Gotta find a way back home

                                    Bluebird of Happiness, Mojave 3

 

***************

 

 

“Muoviti, pappamolla, corri!”

 

“Non c’è motivo di correre in questo modo!”

 

“Balle, tutte scuse! Sei un vecchio lumacone, ecco la verità!”

 

“Senti chi parla! Non sono io che ho compiuto sedici anni proprio oggi!”

 

“Appunto, tu è già un po’ che hai soffiato sedici candeline… e guarda che effetto ti hanno fatto, ti sei rammollito!”

 

Jack non riuscì a replicare… un po’ perché gli conveniva risparmiare il fiato per continuare quella corsa sfrenata, un po’ perché in fondo lo divertiva vedere Amelia così battagliera… era sempre battagliera quando era felice. E dal modo in cui si guardava e stringeva in mano il manico di scopa ancora infiocchettato, si poteva dedurre che fosse più che felice… era briosa. Ancora una volta i suoi genitori avevano fatto centro, pensò con un sorriso il giovane rosso… quell’elegante e velocissimo nuovo modello di scopa era stato il regalo più bello che la sua amica avesse ricevuto quel giorno. E così la festa era riuscita benissimo, e il regalone aveva ottenuto l’effetto sperato.

 

“Ci siamo!”

 

Amelia quasi scavalcò il cancello di casa per l’emozione… moriva dalla voglia di far vedere a suo padre il regalo che aveva ricevuto. Jack quasi faticò a starle dietro… sembrava quasi che per la gioia pattinasse sul pavimento in marmo della casa, era inafferrabile.

 

“Papà!!”

 

Laurence Sheffield era dove sua figlia si aspettava di trovarlo… come al solito alla sua scrivania in mogano, intento a firmare fogli scritti con caratteri così piccoli da costringerlo a inforcare un paio di occhiali da lettura, con un gomito appoggiato sulla pila di fascicoli che ancora aspettavano di essere visionati.

 

Amelia sentì il rumore delle scarpe che facevano attrito col pavimento mentre frenava bruscamente. “Papà! Guarda che bellissimo regalo mi hanno fatto i genitori di Jack!”

 

Il signor Sheffield si tolse subito gli occhiali e alzò gli occhi, contento di poter vedere la figlia così raggiante, e le rivolse un gran sorriso. “Congratulazioni, piccola peste… e così adesso mi dovrò preoccupare ancora di più se non ti trovo per casa, sarai sicuramente su quella…scopa.”

 

Jack riprese fiato per un momento, poi si unì all’allegria generale. “Questa non è una semplice scopa… è un bolide. La stessa versione che ho io, solo che è modello femminile. Vede la disposizione della coda, e anche questa specie di piccolissimo sellino qua…”

 

Laurence rise bonariamente. “Non mi abituerò mai a questo genere di cose. Speriamo solo che non siano pericolose.”

 

“Pericolose un accidenti, lo saranno per chi non sa volare.” Amelia scrollò le spalle allegramente. “Ma dato che io lo so fare, e anche bene, paparone adorato, puoi dormire sonni tranquilli.”

 

“Ah, me lo auguro.”

 

“Cos’è questo baccano?”

 

Amelia alzò gli occhi al cielo. Aveva appena fatto il suo ingresso Charlotte, la terza moglie di suo padre… che poi altro non era che una fotocopia della precedente. Sembrava che suo padre avesse una predilezione per quelle snob col naso perennemente all’insù, le tipiche donne all’antica che lei non aveva mai potuto sopportare. E dire che se ne era trovata già due così per casa! Lei amava moltissimo suo padre, ma certe volte si chiedeva se non lo facesse apposta a scegliere la persona sbagliata da portare all’altare.

 

“’Sera.” Jack alzò una mano per salutare, ma non si sprecò più di tanto.

 

“Ciao Charlotte.” mormorò Amelia, usando un tono molto simile ad una cantilena monotona.

 

La donna era vestita in modo sobrio ma elegante, fasciata da un abito di velluto blu e con i capelli raccolti in uno chignon molto ordinato, e aveva in mano due bicchieri di limonata. Squadrare Amelia dall’alto in basso le venne automatico… coi jeans mezzi strappati, una maglietta più larga di almeno due misure al punto da lasciarle scoperta una spalla, i capelli disordinatamente raccolti in una coda di cavallo e le scarpe coi lacci che le finivano fin sotto le suole, quella ragazzina era quanto di più sciatto e disordinato avesse mai visto in vita sua.

 

“Amelia, tuo padre ti ha regalato proprio ieri un vestito delizioso… perché non lo metti? Ti starebbe d’incanto, e poi s’intona con il colore dei tuoi bellissimi occhi.”

 

Amelia le fece la linguaccia mentre era di spalle. “E dovrei andare in giro vestita da bomboniera?” Jack nascose la sua risata in un colpo di tosse.

 

Charlotte Sheffield chiuse gli occhi per un attimo, come se cercasse di dominare la frustrazione, e appoggiò una mano sul fianco. “Dovresti saperlo, signorina, che tuo padre è un personaggio fin troppo mondano, siamo sempre sotto i riflettori. Una vera signora si distingue dalla classe con cui si mostra, per rispetto a suo marito, a suo padre…”

 

“Si, si, d’accordo.” Amelia scosse brevemente la testa. “Adesso non ho tempo. Papà, guarda questa meraviglia… è una Blackblaze 2020, ultimo modello. Guarda da te…”

 

Il padre prese il manico di scopa e ne osservò con cura i dettagli. Pur non capendoci molto era felice, non era tanto frequente sentire la voce di Amelia così gioiosa. “Davvero molto elegante… ha un bel disegno.”

 

“Puoi dirlo forte, conosco la donna che disegna questa marca di scope.” Amelia si riappropriò del suo regalo, guardandolo come se fosse un barattolo di cioccolato. “E’ un vero genio. Pensa che ha costruito la sua fortuna in questo modo.”

 

“Disegnando modelli per scope volanti?” Laurence Sheffield fece una smorfia divertita. “E’ sempre più evidente che ho sbagliato lavoro.”

 

Jack ridacchiò. “Si è messo d’accordo con mio padre, per caso? Questa frase è il suo tormentone da un po’ di tempo a questa parte.”

 

Amelia accarezzò la sua scopa quasi con venerazione. “Ci vuole il gusto femminile per disegnare capolavori come questi. E poi l’artista è una francese, si sa che dalla Francia parte la moda di classe… non è vero, Charlotte?”

 

“Assolutamente si.” La donna non colse la nota di scherno nelle parole di Amelia, anzi… lasciò la stanza infinitamente felice di quel riferimento al suo vestito di moda d’oltre Manica.

 

“Amelia.” Laurence la rimproverò bonariamente, ma non con severità. “E sentiamo, chi è questo genio delle scope?”

 

“Si chiama Daisy De Blanche.”

 

La mano con cui l’uomo stava firmando tranquillamente uno dei tanti documenti si immobilizzò di scatto.

 

“Mi pare che sia stata anche qui in Inghilterra per un certo periodo della sua vita, ma prima di mettersi a disegnare modelli per manici di scope.” Amelia scrollò assentemente le spalle. “Boh, è Dan che sa vita, morte e miracoli di quelli che fabbricano queste meraviglie.”

 

Jack si accigliò… a lui non era sfuggito il pallore improvviso del padre della sua amica. “Signor Sheffield? Tutto bene?”

 

“Mh?” l’uomo alzò lo sguardo assente. “Cosa… dicevate?”

 

Amelia rimase perplessa. “Papà? Perché hai quella faccia, che è successo?”

 

Laurence decise di darsi una scrollata, e agitò lievemente la mano in tono leggero. “No, scusate… niente, mi sono ricordato solo adesso che ho dimenticato di far preparare una copia del documento per domani. Niente di che.”

 

Amelia scrollò le spalle. “Boh, io non ti capisco… comunque vado a posare questa di sopra e prendo la mia borsa. La mamma di Jack pensava che invece di andare domani mattina da loro, potevo restare da stanotte.”

 

“Si… si, certo cara, vai pure.” Per un momento il padre l’aveva guardata come se avesse dimenticato del suo weekend nel torrido Marocco per lavoro. Ora più che mai desiderava prendere quell’aereo e mettere quanta più distanza possibile fra sé e l’Inghilterra… arrivò a pentirsi di aver permesso ad Amelia di restare dai Weasley, perché l’avrebbe volentieri portata con sé per restare via più tempo…

 

“Io ti aspetto qua.” Jack aspettò di sentire i passi veloci della sua amica su per le scale, poi si voltò vero l’uomo pallido seduto dietro la scrivania. “Signor Sheffield, cos’è successo? Non si sente bene?”

 

“No. No, Jack, per niente.” Laurence si sfilò gli occhiali dal naso e strinse gli occhi, massaggiandosi stancamente la fronte.

 

“Non è per la copia del documento, vero?”

 

“No…” l’uomo tirò un lungo sospiro. “E’ per… questa donna, questa disegnatrice di scope… dov’è adesso, che tu sappia?”

 

Jack scosse la testa. “Non ne ho la più pallida idea, suppongo a casa sua… perché?”

 

“Devi promettermi che la terrai lontano da mia figlia, se mai sapessi che possono incontrarsi. Io farò del mio meglio, ma lei passa più tempo con te che con me… promettimi che non gliela lascerai mai incontrare.”

 

“…va bene, ma continuo a non capire perc…”

 

“E’ la madre di Amelia.”

 

Jack rimase di sasso, con la bocca socchiusa e lo sguardo frastornato. “La ma… sua madre? Quella che…”

 

“Che l’ha abbandonata da piccola. Si, è lei.” Laurence Sheffield si appoggiò stancamente alla spalliera della sedia, ma non osò alzare lo sguardo. “Nessuna delle due riconoscerebbe l’altra, ma se Amelia sapesse… se la conoscesse… non voglio che soffra come ho sofferto io. Non è giusto. E’ per questo che devi promettermi che starai attento a lei… non so dove sia in questo momento Daisy, non so dove sarà domani né tra una settimana o fra un anno, quello che so è che la voglio lontana da Amelia… posso contare su di te, vero ragazzo?”

 

“Certo.” Jack annuì, per quanto si sentisse ancora scosso dalla notizia. “Non si deve preoccupare.”

 

“Grazie. Mi rendo conto che posso sembrare paranoico a preoccuparmi per una donna che vive in un altro stato…”

 

“Non è paranoia…”

 

“Non ti auguro di incontrare mai una donna come lei nella tua vita, Jack.” Laurence sospirò profondamente. “Una che ti ruba anima e cuore… e poi te li mette sotto i piedi senza un briciolo di pietà.”

 

Calò un silenzio imbarazzante. Da una parte c’era un uomo a cui sembrava di provare nuovamente lo stesso dolore di anni prima, con la consapevolezza di non poterlo esternare per il bene di sua figlia, dall’altra un ragazzo che aveva voglia di fare mille domande pur sapendo che sarebbe stato indelicato, e per rispetto di quell’espressione avvilita sul volto del suo interlocutore si tratteneva a fatica la lingua. L’aria era tesa e fremente comunque.

 

“Eccomi!” Amelia rientrò nella stanza di corsa, zaino in spalla, capelli ancora più disordinati e sorriso a trentadue denti. “Non ci ho messo proprio niente, vero?”

 

Jack si riscosse da quello stato di perplessità e forzò un sorriso. “Allora ho ragione quando dico che non sei una ragazza ma un koala… le donne ci mettono un sacco di tempo per prepararsi.”

 

Amelia gli strizzò l’occhiolino. “Beh, non io. Papà, allora ci salutiamo?”

 

“Si… ma certo, tesoro, dobbiamo proprio salutarci adesso.” A malincuore Laurence Sheffield si alzò dalla sua poltrona e abbracciò forte la figlia… aveva un tale desiderio di portarla via con sé, di tenerla sotto controllo per non permetterle neanche lontanamente di provare il dolore che aveva provato lui… “…sei sicura che non vuoi venire con noi?”

 

Amelia arricciò il naso, districandosi gentilmente dall’abbraccio del padre. “Nah, lo sai che questi posti surriscaldati non fanno per me. Io ti aspetto qua… e portami un bel regalo, eh.”

 

“Va bene, tesoro.”

 

“Ci vediamo fra tre giorni!” Amelia uscì dalla stanza facendogli allegramente ciao con la mano.

 

Jack gli rivolse un cenno di saluto meno esuberante, ma rassicurante allo stesso tempo, e il padre di Amelia potè finalmente sedersi in solitudine e abbandonare per un attimo la testa fra le mani. Potevano essere passati anni, ma quelle ferite erano ancora fresche come il primo giorno… come quel lontano giorno di sedici anni prima in cui si era ritrovato con una neonata fra le braccia e una porta sbattuta in faccia senza ripensamenti.

 

 

***************

 

 

Non ti auguro di incontrare mai una donna come lei nella tua vita, Jack… una che ti ruba anima e cuore… e poi te li mette sotto i piedi senza un briciolo di pietà.

 

“…lo possiamo sempre chiedere a Simon, magari lui ci da una mano.” Amelia continuava a camminare allegramente in direzione di casa Weasley. “Tanto a lui non serve neanche leggerle queste notizie, di sicuro ha abbastanza materiale per farci fare quella stupidissima ricerca… così guadagniamo qualche giorno di vacanza in più, che ne pensi?”

 

“…mh?” Jack era ancora così preso dai suoi pensieri che non poteva fare a meno di estraniarsi dalla conversazione. Innanzitutto aveva una gran voglia di raccontare al mondo intero quella notizia bomba che aveva appena appreso, ma si sentiva vincolato da quella promessa e poi… la cosa bella era che sarebbe andato a dire tutto proprio alla sua migliore amica prima di tutti gli altri, che al momento era l’unica persona che non doveva sapere neanche una virgola sull’argomento.

 

Amelia si imbronciò. “Se c’è una cosa che odio con tutte le mie forze… sono quelli che non mi ascoltano quando parlo.”

 

“Come? No, scusa…” Jack sbattè gli occhi blu. “Ti stavo ascoltando… parlavi del Pannolone?”

 

Amelia si accigliò, rallentando il passo. “Ehi, se hai qualche problema e vuoi parlarne…”

 

“Ma no, che ti salta in mente?”

 

“Ti vedo strano…”

 

“Non sono strano.” Jack evitò accuratamente il suo sguardo. “Stavo pensando a una cosa, tutto qui.”

 

“Si?” Amelia increspò il visetto furbo in una smorfia allegra. “E a cosa, di grazia?”

 

Jack ridacchiò e le premette un dito sul naso. “Mai farti gli affari tuoi tu, eh? Beh, se proprio vuoi saperlo… devo dare un palo a Holly Johnson.”

 

“Mmh, però… questa quanto è durata? Due settimane? Record…”

 

“E piantala…” Jack le diede una spintarella.

 

Amelia rise. “Ma nonostante la tua infamante reputazione di sciupafemmine senza cuore, la tua amica ha pensato a te.”

 

“Ah si?”

 

“Si. Ok, tecnicamente ci ha pensato tuo cugino, però il biglietto in mano ce l’ho io, perciò…”

 

Jack inarcò un sopracciglio. “Il biglietto per cosa?”

 

Amelia sorrise largamente e saltellò sul posto. “Sorpresa sorpresa… è il regalo di Dan per il mio compleanno! Ha preso tre biglietti per noi per andare indovina dove… alla conferenza di Daisy De Blanche di Londra domani mattina!”

 

…non ci credo…

 

“Ehi, non metterci così tanto entusiasmo, mi raccomando.”

 

Jack fece fatica ad annotare l’ironia pungente della sua amica… al momento aveva il vuoto in testa. Sembrava incredibile: era una maledetta francese questa donna, e proprio adesso che il padre di Amelia non era nei paraggi… lei piombava in Inghilterra in poche ore! Dire che aveva dell’incredibile sarebbe stato poco, sembrava piuttosto una presa in giro montata a perfezione…

 

“Oh, cretino! Ma non te ne frega niente?”

 

“Mi dici che diavolo ci andiamo a fare a sentire una stupidissima conferenza?!” Jack fece una smorfia disgustata. “Racconteranno le solite frottole da rotocalco, questa farà i soliti sorrisini di circostanza, ci addormenteremo dopo i primi dieci minuti! E poi che cazzo ci fa questa a Londra, non avevi detto che era francese?”

 

Amelia sembrava stupita, confusa e offesa allo stesso tempo. “Non capisco perché ti scaldi tanto.” Replicò acida, incrociando le braccia sul petto.

 

Jack si rese conto di essersi scomposto troppo, e tentò di recuperare in tempo. “Non è che mi scaldo… dico solo che possiamo passarlo mille volte meglio un sabato estivo, insomma… ma che vacanza è chiudersi in uno stanzone pieno di gente a sentire una miliardaria snob che si alliscia le piume perché è troppo brava e intelligente?”

 

“Daisy De Blanche non viene a farsi allisciare le piume.” rispose freddamente la brunetta. “Presenta il nuovo modello di scopa che ha progettato per la nazionale in vista dei mondiali dell’estate prossima. Credevo che ti interessasse il quidditch.”

 

“Il quidditch, non la teoria.” Jack fece una smorfia. “Dai, Popò, cambiamo programma… facciamo qualcosa di veramente divertente!”

 

“Tu fai quello che diavolo ti pare.” Amelia gli prese la mano, gli sbattè senza troppi complimenti un biglietto accuratamente piegato in due, e proseguì nel giardino di casa Weasley senza voltarsi indietro. “Io ci vado.”

 

Daniel Potter, sei morto.

 

Jack alzò gli occhi al cielo e la rincorse. “Tanto sei affidata ai miei per questi due giorni, devi chiedere il permesso a loro. E non è detto che te lo diano.”

 

Amelia fece un sorriso sadicamente furbo. “Ci scommetti?” gli mormorò mentre bussava alla porta.

 

Jack aprì la bocca per protestare, ma venne bruciato sul tempo dalla piccola Katie, che aprì la porta con un gran sorrisone sdentato dei suoi. “Ciao di nuovo!”

 

“Ciao di nuovo a te, tesorino.” Amelia la prese in braccio e le scoccò un bacio nella guancia paffuta.

 

“Non cambiare argomento.” Protestò Jack, trattenendola per un braccio. “Ci vai solo perché l’ha detto Dan… ma lui è un fanatico di queste cose, tu no. Che bisogno c’è?” Amelia lo congelò con uno sguardo furioso.

 

Katie allungò le labbra a cuoricino in una smorfia di dubbio, inclinando la testa bionda. “Sei arrabbiato, Jack?”

 

“Lascialo perdere.” Replicò sbrigativamente Amelia, entrando e lasciando cadere a terra lo zaino che si era portata dietro.

 

“Fanculo, voi donne siete una razza a parte!” bofonchiò fra i denti Jack, entrando precipitosamente e chiudendo la porta di casa con un sonoro calcio.

 

“Si può?” Amelia fece capolino in cucina con Katie ancora in braccio.

 

“Le mie bambine preferite più belle che mai.” Ron sorrise largamente, ma non si allontanò dalla pentola in cui stava buttando un po’ di tutto… o almeno, un po’ di tutto quello che aveva tagliuzzato minuziosamente fino a un attimo prima. “Chi è così carina da venire qui e assaggiare il mio minestrone?”

 

Katie rise felice e si nascose col viso nel collo di Amelia. “Che schiiiiifo, papino fa le cose con le erbe… a me mi fanno schifo le erbe.”

 

“Cucini tu?” chiese interessata Amelia, avvicinandosi e lasciando Katie seduta sul tavolo. “Hermione dov’è?”

 

“Turno di notte… e come vedi, mi ha lasciato i compiti a casa.” Ron le porse un cucchiaio colmo di minestrone. “Che mi dici? Di sale è buono?”

 

Amelia assaggiò… e non potè fare a meno di tossire e scuotere la testa. “Bleah… ma che ci hai messo dentro? Acido? Questa roba corrode!”

 

Ron scoppiò a ridere. “Lo sapevo che il minestrone non è arte mia… ci facciamo una bella frittata?”

 

“Si, la frittata!” Katie battè le manine. “Come mi piace la frittata, la fai come mammina? Mammina ci fa il sorriso dentro…”

 

Ron inarcò le sopracciglia. “Uhm… amore, ti dispiace proprio tanto se la frittata è di malumore e non sorride stasera?”

 

Amelia ridacchiò e svuotò il contenuto della pentola – quella specie di minestrone – nel lavandino. “Ma mica glielo devi fare mentre la friggi, il sorriso… si fa dopo, quando la servi a tavola.”

 

“Hermione fa così?” la brunetta annuì, e Ron ridacchiò. “Ma io dove sono quando succedono queste cose?”

 

“Di solito quando mamma si sporge in avanti tu sei disconnesso, le guardi il culo e noi altri possiamo anche bruciare che manco te ne accorgeresti.”

 

“Bentornato a casa, amabilissimo figlio dalla bocca pulita.” Ron accolse con una pacca sulla nuca l’ingresso di Jack. “Niente parolacce davanti a tua sorella, te la faccio cadere quella lingua.”

 

“Si, ok, tutto quello che vuoi… dobbiamo parlare.”

 

“No, prima io.” Amelia tirò Ron per una mano, ottenendo la sua completa attenzione. “Dan mi ha fatto un regalo bellissimo… domani a Londra c’è la conferenza per la presentazione della nuova scopa della nazionale, e lui ha preso i biglietti… è vero che posso andare?”

 

Ron scrollò le spalle. “Si, se vai con Dan e torni a casa per cena…”

 

Amelia fece un sorriso raggiante, e Jack la spinse bruscamente indietro. “No che non può andare! Se ci va lei ci devo andare pure io, e francamente non mi va di passare così il sabato!”

 

Amelia incrociò le braccia sul petto e lo guardò storto. “Datemi un paio di forbici, così ci tagliamo questo cordone ombelicale e alla conferenza posso andare anche senza di lui.”

 

“Ma quanto sei divertente.” Ringhiò Jack.

 

Ron era accigliato e confuso. “Scusate, io non sto capendo perché litigate.”

 

“Sinceramente nemmeno io!”

 

Jack maledisse in tutte le lingue la situazione, le scope, suo cugino… “Senti, Grande Padre, se ti dico che non dobbiamo andare a questa maledetta conferenza ho le mie motivazioni, che ne dici se per una volta mi credi e mi dai ascolto?”

 

“Davvero?!” protestò Amelia. “Allora perché non me le spieghi?!”

 

Jack si passò le mani in faccia. Urgeva una soluzione… “…non ci posso andare perché… non posso vedere Dan, perché… si, insomma…” Amelia strinse gli occhi in due fessure, Ron inarcò un sopracciglio. “…perché Dan mi ammazza se mi vede. Gli ho soffiato la ragazza, ecco.”

 

Amelia scoppiò a ridere sonoramente. “Tutto qui? Scemo che non sei altro, perché non me l’hai detto prima! Non hai rubato niente a nessuno. Dan e Elanor stanno sempre insieme, e sono anche molto affiatati.”

 

“Problema risolto, allora.” Ron scrollò le spalle. “Potete andarci tutti e tre insieme e poi fare quattro passi per Londra. Mi sembra un’idea carina.”

 

“Carinissima.” commentò acido Jack.

 

Katie tirò Amelia per la maglietta. “Mi accompagni a fare la pipì?”

 

“Sicuro.” Amelia la aiutò a scendere dal tavolo e la prese per mano. “Andiamo.”

 

Jack fece attenzione, attese che Amelia fosse fuori dalla portata della sua voce e subito si voltò verso suo padre. “Fermala finchè sei in tempo.”

 

Ron si accigliò. “Si può sapere cos’è questa storia? Ma che hai, sei strano…”

 

“Amelia non deve assolutamente andare a questa maledetta conferenza!” sibilò a bassa voce il ragazzo. “La tizia che intervisteranno è…”

 

Jack sigillò le labbra a tempo di record quando sentì dei passi decisi e scanditi nei pressi della cucina… e gli scappò una parola di quelle off-limits per le orecchie di Katie quando vide che era solo Simon. Anche se ‘solo Simon’ era una definizione riduttiva… suo fratello marciava a passo di guerra verso suo padre, e quando sbattè con violenza sul tavolo il librone che aveva in mano ottenne definitivamente tutta l’attenzione che cercava.

 

“Tu sei un assassino.”

 

Ron spalancò gli occhi. “Io? Che ho fatto adesso?!”

 

Simon fece due passi avanti con la stessa aria minacciosa che aveva sempre sua madre quando voleva spaventare qualcuno. “Sei un barbaro perché permetti delle cose barbare, sei spietato e soprattutto schiavista!”

 

Schiavista??? Ma se non abbiamo nemmeno uno straccio di elfo domestico, cosa diamine…”

 

“Non si è schiavisti solo perché si esercitano dei poteri in prima persona, ma anche e soprattutto se si lascia correre una situazione immonda come questa!” Simon marcò l’ultima parola puntando l’indice contro il librone sul tavolo. Era un libro sui draghi.

 

“Cos… campione, guarda che sei male informato.” Ron scosse la testa furiosamente… quel ragazzino era pericolosamente simile a Hermione alla sua stessa età quando si comportava così… e chissà perché, gli incuteva lo stesso terrore. “Non lavoro mica all’Ufficio per le Creature Magiche o come diavolo si chiama, quella è roba da Ministero!”

 

“Lo sai quanti draghi muoiono ogni anno perché li trattano come fenomeni da baraccone? Eh?” Simon gli puntò l’indice contro. “Lo sai? Tu sei una persona importante, se tenessi una discussione a riguardo, magari potrebbero anche aprirne un caso e…”

 

“Ah no, scordatelo proprio!” replicò subito Ron arretrando e alzando le mani in cenno di difesa. “Io detesto parlare in pubblico, perché non lo chiedi a tua madre o a zio…”

 

“Mamma dice che lo devi fare tu, perché sei tu il menefreghista!”

 

“Ah, io sarei menefreghista?!”

 

Jack per poco non si strappava i capelli dalla testa. “Per favore, potreste rimandare queste cazzate a un altro momento?”

 

Simon lo guardò in cagnesco. “Ecco, ecco cosa pensano quelli come te! Che sono cazzate… è una specie vivente che stiamo danneggiando, ma tanto che ci importa?”

 

“Ehi, io non ho danneggiato nessuno, sia ben chiaro!” fece Ron. “Solo che non è una cosa di mia pertinenza…”

 

“Devi fare qualcosa, c’è una specie da salvare, certo che è una cosa di tua pertinenza!”

 

“Io salvo la gente, non gli animali!”

 

“Gli animali sanno essere meglio delle persone!”

 

“Sono assolutamente d’accordo, ma che ci posso fare io se li allevano male i tuoi draghi?!”

 

Jack si lasciò cadere su una sedia, nascondendo il viso fra le mani. “E’ un incubo…”

 

Ron increspò le labbra in un’espressione disperata. “Ti prometto che cercherò di fare qualcosa… magari ne parliamo con tua madre domani, va bene? Possiamo calmarci adesso?”

 

“Io non mi calmo finchè questa situazione di abbrutimento andrà avanti.” Simon riprese il librone sotto braccio. “Tu forse sei abituato a voltare la faccia dall’altra parte, ma io decisamente no. E non me ne starò a guardare.”

 

Ron lo guardò uscire e tirò una specie di sospiro di sollievo. “Diamine…” mormorò, passandosi una mano fra i capelli. “…dannata somiglianza… adesso capisco perché Harry diceva sempre che lo immaginava con terrore un figlio maschio col carattere di Hermione…”

 

Jack aprì gli occhi fra le fessure delle dita che ancora gli coprivano la faccia, all’apice della frustrazione, e gli venne spontaneo digrignare i denti. “Se questo spettacolino da due soldi è finito, ti dispiacerebbe starmi a sentire?”

 

Ron lo guardò. “Che mi stavi dicendo tu, scusa?”

 

“Cercavo di dirti che…”

 

“Papino?”

 

Un piccolo ciclone biondo entrò di corsa nella stanza, arrampicandosi in collo a suo padre.

 

“Amore, che è successo?”

 

Katie prese a giocherellare con il bavero della camicia del papà. “A te ti piace tanto tanto la giacca elegante?”

 

Ron si accigliò. “Quella che mi ha tirato fuori mamma per il compleanno di zio Bill?”

 

“Eh, quella.”

 

“…che vuol dire se ci tengo tanto?”

 

Katie scrollò le spallucce e sorrise, facendo bella mostra dei dentini mancanti. “Perché mi sa che Spock non lo sa questo… non ti arrabbiare con lui, non ci ha fatto cacca sopra per farti un dispetto.”

 

Ron spalancò occhi e bocca. “Spock ha fatto cacca sulla mia giacca buona?!?”

 

Jack non ebbe il tempo di far notare ad alta voce quanto pietosa fosse la situazione… Ron corse fuori con la figlia in braccio.

 

SIMON!!! IL TUO CANE MI HA DISTRUTTO UNA GIACCA, E POI SAREI IO IL BARBARO ABBRUTITO?!?”

 

Jack lasciò cadere la testa sul tavolo, sbuffando. In quel momento più che mai aveva una voglia pazza di sua madre, dei suoi consigli saggi, più che altro di un adulto che si fermasse ad ascoltarlo. Non aveva avuto il tempo di assimilare le novità… aveva saputo una notizia sconvolgente che avrebbe voluto raccontare alla sua migliore amica, e non poteva… suo padre gli aveva chiesto un favore apparentemente banale, tenere la figlia lontana da una donna di un altro Paese, e per uno scherzo del destino quella benedetta donna sarebbe stata a meno di dieci metri da Amelia in una manciata di ore. E lui era in panico totale. Certo, poteva andare tutto per il meglio, le cose potevano evolversi senza ripercussioni, ma se qualcosa fosse andato storto… aveva letto una grave sofferenza negli occhi del padre di Amelia. Mai e poi mai voleva vedere quello stesso dolore nello sguardo della sua migliore amica. E dopo un colpo di ‘fortuna’ simile, come poteva credere che tutto sarebbe andato per il meglio?

 

 

***************

 

 

“…ecco, come si può vedere dalla posizione del predellino, la postura della gamba verrà a rivolgersi verso l’interno del corpo, e in questo modo il baricentro sarà ancora più compatto verso il centro della scopa, il che dovrebbe far acquistare un bel po’ di velocità in più a chi ci sarà in groppa…”

 

“Genio.” Dan scosse la testa e continuò a fissare il palco verso cui puntavano tutti i riflettori dello stanzone in cui erano seduti. “Quella donna è un vero genio.”

 

Amelia annuì, altrettanto entusiasta. “Con questi nuovi modelli, l’Inghilterra arriva dritta dritta in finale l’estate prossima.”

 

Jack fece una smorfia di circostanza che doveva assomigliare ad un sorriso, ma sotto le braccia conserte non riusciva a smettere di stringere convulsamente i pugni. La sala in cui erano seduti assomigliava piuttosto a un anfiteatro per la sua forma, per la disposizione dei posti a sedere e per il palco interamente occupato dal grosso tavolo su cui stavano disposti i vari modelli di manici di scopa. I flash dei giornalisti si ripetevano in modo quasi ossessivo, ma d’altra parte la signora De Blanche era stata molto chiara: domande e interviste potevano essere concesse solo durante la conferenza e non dopo, e a giudicare dall’aria dei due omoni vestiti in abito scuro – scontato a dirsi, due guardie del corpo – quella non era un’affermazione flessibile, ma un ordine in piena regola. Jack smise di seguire i discorsi di Dan e Amelia, e si concesse il lusso di trastullarsi nei suoi pensieri.

 

La mamma di Amelia.

 

Quella donna sul palco era proprio la madre di Amelia, la donna che l’aveva abbandonata da piccola. Si era sempre chiesto come potesse essere… e tutto sommato nel vederla ora molte cose gli sembravano chiare… Amelia aveva preso molto da lei, a quanto poteva vedere.

 

Daisy De Blanche aveva tutta l’aria di essere una donna molto indipendente, altamente emancipata, e soprattutto incredibilmente moderna e al passo coi tempi. Conoscendo Laurence Sheffield si sarebbe aspettato l’ennesima signorona dal nome altisonante, una col naso sparato in aria, mentre quella donna portava la sua età con una sorprendente leggerezza che aveva qualcosa di sportivo. Anche il suo modo di vestire… niente vestitoni lunghi, niente gonne elegantissime… un pantalone e una camicia, punto. Sobria e sportiva, con gli occhiali da sole piantati fra i capelli corti e un filo di perle attorno al collo. Si muoveva con sicurezza e padronanza di sé, dominava la scena e la riempiva, si esprimeva con toni semplici, chiari, decisi… eppure non le mancava la battuta, più di una volta aveva pronunciato qualche frasetta a doppio senso che aveva sollevato le risate del suo pubblico. Una donna decisa, all’avanguardia… una tosta.

 

E nessuno poteva notarlo, ma lui si… aveva gli stessi occhi da cerbiatta di Amelia. Lo stesso taglio furbetto e vivace verso l’alto, lo stesso modo di sorridere arricciando il naso.

 

Jack moriva dalla voglia di dirlo a qualcuno… ma si morse la lingua fino a sentire dolore e rimase zitto. Dovevano solo arrivare alla fine di quella stupida conferenza illesi, finita la quale sarebbero tornati a casa e l’incubo De Blanche sarebbe finito. Lui si sarebbe sfogato raccontando la storia ai suoi genitori, Amelia non avrebbe saputo niente, e non ci sarebbero stati problemi. Fine della storia.

 

“Pronto? Terra a Jack.”

 

Il rosso sbattè gli occhi. “Che?”

 

Dan fece una smorfia divertita. “Tu secondo me l’hai presa proprio nel verso sbagliato questa conferenza. Guarda che non è mica una lezione di Pozioni, è uno spasso.”

 

Jack si sporse verso il cugino, invadendo lo spazio personale di Amelia. “Senti, se tu vai pazzo per queste cose non puoi pretendere che tutti ci caviamo gli occhi per l’emozione!” ringhiò a bassa voce.

 

Dan si accigliò furiosamente e si spinse anche lui sul sediolino di Amelia, abbassandosi all’altezza del cugino. “Ehi, ma ti senti bene? Credevo che ti interessasse il quidditch!”

 

“Questo non è quidditch, questi sono modelli di scope che non ci potremo comprare mai, visto che costano quanto un mese di stipendio dei nostri genitori!”

 

“Ti si è annodata la bacchetta, Jack? E poi io sto cominciando già da adesso a mettere da parte i soldi, magari non subito ma vedrai che me la compro una scopa così.”

 

“In questo momento ruberei quel modellino per ficcartelo in…”

 

“Volete fare un po’ di silenzio?” protestò un ragazzo dietro di loro, e Amelia respinse i due ragazzi con risolutezza.

 

“Piantatela, stiamo facendo una figuraccia!”

 

Jack si rimise seduto, più imbronciato di prima, e controllò l’orologio. Per fortuna in dieci minuti quell’inferno sarebbe finito. Amen, e voglio bere alla mia salute.

 

“Chissà se possiamo avvicinarci abbastanza da chiederle un autografo.”

 

“Avevo già previsto tutto… ho con me penna e taccuino.”

 

Come?

 

“Brava, ottima idea. Fra qualche minuto ci alziamo e andiamo a metterci in posizione strategica per fermarla prima che esca…”

 

Jack li guardò come se avessero bestemmiato. “Anche questo adesso?!”

 

Dan lo guardò stranito. “Io proprio non ti capisco oggi.”

 

“Lascialo perdere, è da ieri che fa questo.” Amelia lo ignorò completamente. “Noi andiamo, se tu vuoi venire bene, se no fregati.”

 

“Grazie, come al solito sei un fiore.” Jack le fece una smorfia acida. “Sto solo dicendo che fra un momento si scatenerà l’inferno là davanti, e tutto per avere uno scippo di penna da una che neanche vi guarderà in faccia quando lo farà.”

 

Dan rise in tono basso e rauco. “Questo detto dalla stessa persona che ha rincorso quella Veela per tutta Diagon Alley pur di fare una foto.”

 

Amelia scosse la testa. “Quanto alla folla avrai anche ragione, ma noi siamo più furbi e giochiamo di anticipo.” Così dicendo, la brunetta si alzò in piedi e scivolò silenziosamente lungo il corridoio laterale che dava sull’ingresso transennato da cui sarebbe uscita la De Blanche.

 

Dan fece per seguirla, ma appena fu in piedi nel corridoio si sentì afferrare per la collottola e attirare dietro l’ultima fila di sedie.

 

“Si può sapere che ti ha preso?!”

 

“Sshh!!” Jack si guardò frettolosamente in giro per controllare di non essere ascoltato. “Senti, non ho tempo per spiegarti… dobbiamo fermare Amelia, non deve assolutamente avvicinarsi a quella tizia!”

 

Dan aveva un’aria confusa più che mai. “Perché? Si può sapere cosa cacchio…”

 

“Quella è la madre!” ruggì Jack, badando a tenere la voce bassa.

 

“La madre…quella vera?”

 

“Noo, la sua imitazione!”

 

Dan assunse un’espressione seccata per la presa in giro, ma un attimo dopo si concentrò sulla notizia incredibile appena appresa. “Ma che ne sai tu?”

 

“Me l’ha detto suo padre.” Jack alzò gli occhi al cielo. “E’ per questo che ho tentato in tutti i modi di tenerla lontana da questo posto… guarda che si somigliano, se si dovessero vedere da vicino… insomma, io non so niente, non ne ho parlato con nessuno, ma il padre di Amelia sembrava sconvolto. Mi ha fatto promettere che lei non lo avrebbe mai saputo… e non mi chiedere il perché, ne so quanto te! So solo che Amelia non deve parlare con quella donna, punto!”

 

Dan rimase un attimo in silenzio, poi annuì. “Facciamo così… mi metto davanti a lei quando passa la madre, così nessuna delle due vedrà l’altra. Se ce ne andiamo adesso la faremmo solo insospettire. Facciamo finta di niente, andrà tutto bene.”

 

Jack annuì una volta, contento finalmente di essersi potuto sfogare. Adesso aveva l’appoggio di suo cugino, poteva contare su un aiuto e non si sentiva più così solo… in due sarebbero riusciti a far filare tutto per il verso giusto. Dan si alzò in piedi e Jack fece altrettanto, ma appena si voltò ebbe un sussulto e arretrò di un passo.

 

Amelia era in piedi davanti a lui. Immobile, pallida, coi pugni stretti forte e il respiro lievemente affannoso. Aveva sentito tutto.

 

Jack ebbe la sensazione che la lingua fosse ridotta peggio di una felpa usata. Con la coda dell’occhio incrociò lo sguardo di Dan, e si accorse che anche lui stava esitando. Evidentemente nessuno dei due sapeva che fare.

 

“Amelia…”

 

La ragazza si sottrasse alla mano di Dan, arretrando bruscamente.

 

Jack le si avvicinò senza permetterle di allontanarsi, prendendola per un braccio. “Dammi un attimo e ti spiego tutto…”

 

“Vai al diavolo.” Amelia gli rifilò una gomitata nello stomaco e si liberò, correndo a tutta velocità giù per il corridoio e uscendo attraverso una delle tante porte alla sua sinistra.

 

Dan e Jack registrarono a malapena il rumore degli applausi della folla, segno che la conferenza era appena finita, perché si preoccuparono solo di correre nella direzione presa un momento prima dalla loro amica e di farlo nel più breve tempo possibile. Sentivano la gente applaudire e urlare il nome del loro idolo come dei fanatici, e quei rumori così dirompenti non permettevano di sentire i passi di Amelia… la porta dalla quale era uscita dava su un corridoio con due ulteriori uscite, e lei sembrava sparita nel nulla.

 

“Tu vai a sinistra.” Disse frettolosamente Jack al cugino, correndo verso la direzione opposta.

 

A quanto sembrava la porta di destra dava sull’ingresso principale, quello da cui era entrata Daisy De Blanche prima della conferenza e dove l’aspettava anche la sua lussuosa limousine bianca. Jack arrivò di corsa nelle vicinanze dell’auto, sul cui cofano stava appoggiato il sederone di un autista tanto grasso quanto distratto… apparentemente troppo preso a leggere il giornale per accorgersi di altro. Il ragazzo rosso si voltò in tutte le direzioni in cerca della sua amica, ma niente… in compenso dall’ingresso principale stava uscendo proprio in quel momento Daisy De Blanche, occhiali da sole sul naso e sorriso fotogenico stampato in faccia, seguita da una folla di ammiratori e fotografi che i due omoni ben vestiti faticavano a trattenere. La donna si soffermò un attimo a salutare la folla mentre l’autista le apriva lo sportello… e fu allora che Jack la vide.

 

“Grazie a tutti, ci vediamo presto.” Daisy accompagnò con un sorriso raggiante il saluto alla gente che urlava il suo nome, poi si voltò per entrare nella macchina… e rimase alquanto sorpresa di trovarci dentro una ragazzina. “E tu da dove salti fuori?”

 

L’autista avvampò furiosamente e si fece largo per infilare le braccia dentro la macchina e tirare fuori l’intrusa. “Ehi mocciosa, ma cosa credi di fare, eh? Vieni subito qui!”

 

Amelia si ritrasse finchè non fu con le spalle alla portiera opposta, incapace di aprire bocca. Sua madre… la stava guardando. Per la prima volta in vita sua, dopo anni di domande, di dubbi, di sogni e incubi senza senso, eccola lì… era lei. Non era sparita dalla faccia della terra come le aveva sempre fatto credere suo padre, era proprio lì.

 

“Avanti, non farmi perdere tempo! Vieni fuori con le buone, altrimenti…”

 

“Gerard, per favore.” La donna lo scansò con grazia, chinandosi lei stessa per osservare l’intrusa. Era una ragazzina magra con dei bellissimi occhi scuri, aveva l’aria spaurita eppure familiare in qualche modo… aveva dei bellissimi capelli lisci che le incorniciavano il viso, anche se era evidente che non curasse abbastanza il suo aspetto fisico. Niente trucco, niente pettinature… era decisamente semplice, acqua e sapone, e non aveva per niente l’aria di un’invasata che si era infilata lì dentro per un banalissimo autografo. La donna le sorrise in modo amichevole. “Stai bene, signorina?”

 

Amelia finalmente si sbloccò… inghiottì le lacrime di emozione che le intasavano la gola, e forzò un sorriso che indubbiamente le venne fuori tremulo. “Le chiedo scusa, s-signora… non volevo introdurmi così nella sua auto… ma sono… sono…”

 

Daisy si sfilò gli occhiali da sole e continuò a sorriderle gentilmente. “Sei?”

 

Amelia si morse le labbra. “…sono un’apprendista alla Gazzetta del profeta, e… ecco, una sua intervista mi farebbe… il mio direttore mi permetterebbe di… ecco…”

 

“Oh.” La donna rise leggermente, come se la cosa la divertisse. “Mi piace l’audacia in una ragazza così giovane… e voglio premiarti. Avrai la tua intervista, cara.”

 

Amelia rimase per un momento senza fiato quando vide la donna sedersi accanto a lei. Quella che le stava seduta icino era sua madre… non riusciva a crederci. Eppure era vero, avevano gli stessi occhi… lo stesso sorriso… forse prendendo tempo con quell’assurda storia dell’intervista l’avrebbe guardata meglio anche lei, avrebbe notato a sua volta la loro somiglianza… si sarebbero ritrovate. Dopo tanti anni quella era pur sempre la donna che l’aveva abbandonata, il suo orgoglio le urlava di trattarla da schifo come aveva sempre desiderato di poter fare, ma la bambina dentro di lei la obbligava a darle almeno l’ultima possibilità. Probabilmente non ce ne sarebbero state altre.

 

Daisy fece ancora un altro saluto alla folla… e rimase molto sorpresa di vedere che un ragazzo rosso correva a tutta velocità nella sua direzione, inseguito da uno dei suoi uomini. Il giovanotto era decisamente più veloce, perché raggiunse la macchina e spalancò la portiera, ansimando.

 

“Dove credi di andare, eh?”

 

Daisy seguì il suo sguardo… era rivolto alla ragazzina seduta al suo fianco.

 

“Vattene.” Fu la secca replica della brunetta.

 

“All’istante, ma solo se tu vieni con me!”

 

“Ehi, tu!” uno dei due omoni aveva quasi raggiunto Jack.

 

Daisy inarcò un delicato sopracciglio per un momento, poi sembrò illuminarsi come colta da un’ispirazione. “Ma certo, ho capito… sei anche tu qui per l’intervista, giusto?”

 

“Che cosa?” replicò confuso Jack. “Ehi, giù le mani!!”

 

L’omone lo strattonò indietro, senza riuscire a scollarlo dalla portiera della limousine. “Vieni subito qui, razza di galletto…”

 

“Norman, un attimo.” La donna gli fece cenno di lasciarlo andare. “Sei anche tu un giovane apprendista per la Gazzetta del Profeta e vuoi l’intervista come la tua amica, ho capito bene?”

 

Jack guardò Amelia… pur essendo furibonda con lui, con lo sguardo gli stava facendo cenno di annuire… evidentemente era con quella scusa che si era intrufolata nell’auto. Non gli restava altro da fare… se l’avesse fatta scoprire, Amelia non glielo avrebbe mai perdonato e soprattutto sarebbe diventata ossessionata da quella donna… tanto valeva farle fare quello che voleva fare, e limitarsi almeno a starle vicino.

 

“Si… si, noi siamo… siamo colleghi.”

 

Daisy sorrise largamente. “Nessun problema, allora. Sali pure su, adesso andiamo a prendere un caffè tutti e tre insieme e avrete la vostra intervista. Non sia mai che due giovani non abbiano la possibilità di fare carriera.”

 

Jack si scrollò bruscamente le mani dell’omone di dosso, ed entrò nella limousine. Amelia lo gelò con lo sguardo, poi tornò a guardare timidamente la donna al suo fianco. Il ragazzo sospirò profondamente e maledisse chiunque gestisse il destino, perché si stava facendo gioco di lui in quel modo… tutto quello che non doveva succedere era successo. Adesso non sapeva davvero più a quale santo votarsi.

 

 

***************

 

 

Daisy De Blanche sorseggiò il suo caffè e rimise la tazzina sul piccolo piatto, e tornò a sorridere in direzione dei due ragazzi come aveva fatto fino a un attimo prima. “Va’ pure avanti, cara. Cosa altro vuoi chiedermi?”

 

Jack vide Amelia esitare. Evidentemente la storia dell’intervista – che oltretutto durava già da una buona ora – le stava costando un impegno che non si sentiva di portare avanti, fingere di essere una completa estranea quando probabilmente non desiderava altro che parlare di sé e ascoltare a sua volta sua madre, le sue motivazioni, tutti i suoi perché…lui avrebbe tanto voluto aiutarla, ma quando lei gli aveva passato bruscamente il taccuino e la penna, dicendogli di prendere appunti, gli aveva quasi bucato la mano con la penna… evidentemente era ancora arrabbiata con lui. In tal caso c’era ben poco che potesse fare per rendersi utile.

 

La donna si guardò distrattamente le unghie, poi appoggiò il mento in una mano e fissò Amelia. “Hai degli occhi molto belli, lo sai?”

 

Sono i tuoi, mamma… non li riconosci, vero?

 

Jack vide Amelia guardare in basso, e cercò di venirle in aiuto. “Uhm… senta, come mai ha deciso di fabbricare le scope per l’Inghilterra? Voglio dire, con i mondiali imminenti e lei che è francese, sarebbe stato più logico…”

 

“Che a beneficiare del mio lavoro fossero stati i ragazzi della nazionale di Francia?” Daisy fece un sorriso allegro e divertito. “Ebbene, ho passato un periodo molto bello della mia vita in Inghilterra… mi sono sentita legata da una sorta di debito morale.”

 

Jack scarabocchiò qualcosa sul taccuino, senza in realtà staccare gli occhi dalla sua amica. “E’… stata in Inghilterra?”

 

“Quando avevo più o meno la vostra età. Ero una ragazzina in cerca di lavoro… ricordo perfettamente che avevo una voglia pazza di sfondare, di farmi un nome. E’ per questo che vi ho concesso questa intervista, qualcuno a suo tempo ha dato un’opportunità a me e adesso io voglio darla a voi.”

 

“Eh già.” Jack fece un sorriso falso.

 

Amelia raccolse il filo di voce che le era rimasto. “Non vogliamo entrare nel suo privato né farle domande troppo… personali… ma non ha una famiglia?”

 

“Se per famiglia intendi un marito…” la donna estrasse dalla borsetta un pacchetto di sigarette. “…no, tesoro. Ho un compagno, è francese. Mi ci trovo molto bene perché anche lui, come me, mette sempre al primo posto la carriera e quindi non abbiamo incomprensioni che potrebbero sorgere con altri tipi di compagni.”

 

“Come con uno che vuole avere dei figli, vero?”

 

Jack ingoiò rumorosamente e la penna quasi gli scivolò di mano… Amelia doveva aver perso il controllo, perché era stata troppo pungente per passare inosservata.

 

Daisy inarcò un sopracciglio. “Prego?”

 

Amelia inspirò profondamente e abbassò gli occhi per un momento. “Niente, mi scusi.”

 

Jack spostò lo sguardo fra le due, e tentò di ammortizzare il colpo schiarendosi la gola. “Si, come dicevamo… signora De Blanche, progetta di… uhm… fare dei… dei viaggi?”

 

La donna scosse la testa. “Chi può dire dove saremo domani. Ognuno ha dei progetti, non credi anche tu?”

 

Jack annuì, fingendosi disinvolto abbastanza da sorseggiare il suo caffè.

 

Daisy tornò a guardare Amelia. “E tu, cara? A quanto ho capito, da grande vuoi fare la giornalista.”

 

“No. Voglio fare la moglie. E la madre.”

 

Jack si sputò il caffè addosso.

 

Daisy gli scoccò un’occhiata interrogativa, mentre guardò la brunetta come se avesse detto la più grossa idiozia possibile. “Tesoro, è una bella cosa, ma… rinchiuderti fra le quattro mura di casa tua? Sei una ragazza molto bella, hai le proporzioni per sfondare sulle copertine di qualche stilista, o se lo vuoi puoi darti da fare nel campo del professionismo… insomma, ci sono così tante porte aperte davanti a te… perché precludersele?”

 

Amelia scosse leggermente la testa, mentre la sua espressione mutava dall’incredulità allo sconforto. “Lei non capirebbe.”

 

“No?”

 

“No.”

 

“Solo perché ritengo che una persona può tracciare la sua strada e farsi un futuro pieno di brio e spensieratezza?”

 

“Mandare avanti una famiglia con tutto l’amore possibile… è qualcosa che ho visto fare, e che mi piace. Per me quella è la spensieratezza. Cosa c’è di vero nel mondo esterno? La fama passa, dura un attimo… quello che conta è avere un motivo per tornare a casa la sera felici di farlo.”

 

Daisy fece un sorriso quasi ironico e distolse lo sguardo. “Lo pensavo anch’io una volta.”

 

Amelia cercò il suo sguardo. “E poi cos’è successo?”

 

“Sono cresciuta.” La donna la guardò dritta in faccia senza esitazione. “Ho capito di avere ambizioni… sogni… e non volevo che nessuno al mondo mi tappasse le ali per nessun motivo. Quello che faccio può non piacerti, ma a me invece piace moltissimo… riempie le mie giornate. Riempie la mia vita. Non sostituirei mai tutto questo con una vita da casalinga.”

 

Jack accusò il colpo come se fosse stato lui a riceverlo. Poteva sentire a pelle la delusione della sua amica… e adesso gli sembrava di comprendere anche quella sensazione afflitta che aveva letto negli occhi del signor Sheffield. Quella donna, quella Daisy, aveva davvero l’aria di una in gamba che sapeva far girare la testa a un uomo… ma sotto sotto era dura come la roccia. Era egoista, egocentrica, presa dalle sue idee, convinta di essere nel giusto. Era sprezzante nel suo carisma travolgente. Nella sua mondanità non aveva la minima idea dei valori considerati più all’antica nonché più sani della società… adesso era chiaro perché Laurence Sheffield continuava a sposare donne completamente opposte a lei. Anche se nessuna di loro poteva competere con quello che doveva avergli fatto provare a suo tempo lei, altrimenti la ferita non sarebbe stata così fresca. Jack prese una decisione, quella che ritenne la migliore, e chiuse il taccuino.

 

“Credo che sia sufficiente così.”

 

Daisy gli rivolse un sorriso compiaciuto, probabilmente sollevata dalla notizia. “Spero di esservi stata utile… sono sicura che ne otterrete un bell’articolo, e che farete progressi nel vostro praticantato al giornale.”

 

“Mh.” Jack aiutò Amelia ad alzarsi, cercando di farle capire che era arrivato il momento di mettere fine a quella tortura. “Arrivederci, signora, e grazie mille per il suo tempo.”

 

Daisy gli strinse la mano, poi la tese ad Amelia. “Allora mi raccomando, in bocca al lupo.”

 

Amelia fissò quella mano tesa per pochi estenuanti secondi… ricambiò la stretta in modo innaturalmente flebile. Stava dicendo probabilmente addio a sua madre… e lo stava facendo con una stretta di mano. Un fredda, insignificante stretta di mano.

 

“Posso chiederle un’ultima cosa?”

 

“Certamente.”

 

“Lei… lei non ha figli?”

 

“No.”

 

Jack si voltò dall’altra parte e chiuse forte gli occhi. Questa era stata pesante.

 

“E non…” la voce di Amelia tremava. “Non le sarebbe piaciuto… averne avuto almeno uno?”

 

Daisy strinse le labbra sottili. “Come dite voi giovani… un figlio per me sarebbe stato l’incidente di percorso. In una carriera come quella che ho fatto io, con anni di gavetta più caotica che mai, sarebbe stato un problema. D’altra parte voi capite cosa intendo, vero?”

 

“No. E non ci interessa farlo.” Jack agguantò Amelia per un braccio e la trascinò verso la porta. “Addio, signora.”

 

Il click della porta che si chiudeva fu una specie di sollievo per il giovane rosso… erano finalmente usciti da quel bar dove l’aria era stata irrespirabile per oltre un’ora, respirare un po’ di ossigeno pulito non poteva che fare bene. Jack sospirò pesantemente e provò a guardare Amelia… teneva gli occhi bassi, ma non poteva nascondere i due lacrimoni che le stavano scivolando lungo le guance fin nel collo. Piangeva dignitosamente in silenzio, neanche i singhiozzi facevano rumore… ed era peggio che mai, tanto che Jack non si soffermò a pensare, semplicemente le passò le braccia attorno ai fianchi e la strinse forte a sé, contenendo nel suo abbraccio solido la sua figura più minuta.

 

“Mi dispiace.” Le sussurrò fra i capelli. “Mi dispiace tanto…”

 

Amelia non disse nulla, continuò a piangere in silenzio e si rifugiò in quella stretta senza sottrarsi come aveva fatto alla conferenza. Non ne aveva la forza, non ne aveva la voglia… e poi in quel momento non riusciva a provare niente. Solo una grande, profonda e amara tristezza.

 

 

***************

 

 

Jack rimise a posto lo spazzolino e sbuffando si appoggiò ai bordi del lavandino del suo bagno, guardandosi allo specchio con un’aria disgustata. Si sentiva l’ultimo degli amici. Si era comportato da idiota, non era riuscito a fare la cosa più stupida del mondo… era vero che la sorte aveva congiurato mostruosamente contro di lui, ma era altrettanto vero che non era stato capace di gestire le cose. Non aveva mantenuto la promessa fatta al padre di Amelia. Avrebbe dovuto trascinare la sua amica via da quel bar prima che sentisse quella donna parlare in modo così insensibile e freddo, ma nemmeno questo era riuscito a fare. Si sentiva un fallimento. E adesso Amelia ne pagava le conseguenze.

 

Il viaggio di ritorno sul Nottetempo era stato orribile. Amelia se ne era rimasta rannicchiata in un cantuccio tutto il tempo, e lui e Dan si erano scambiati continue occhiate insicure, incerti sul da farsi, finchè non erano arrivati al tacito accordo di lasciarla stare e non invadere il suo spazio personale, almeno per il momento. Una volta a casa, Amelia si era scusata con i Weasley dicendo di non aver fame ed era andata a coricarsi prima di cena… cena che lo stesso Jack aveva sorprendentemente saltato. Si era limitato a riassumere in due parole la giornata ai suoi genitori, e poi aveva optato per andare a dormire anche lui. Si sentiva troppo stanco per pensare o per dire qualcosa in più.

 

Trascinandosi sui piedi, il ragazzo uscì dal bagno e si chiuse in camera sua… nel letto di Simon c’era Amelia, con la lucetta ancora accesa sul comodino, raggomitolata verso la parete e abbracciata al suo cuscino. Pur non potendola vedere in faccia era chiarissimo che fosse ancora sveglia… il suo respiro non era pacato e tranquillo, anzi.

 

Jack si sedette sul bordo del letto, e le accarezzò i capelli che le coprivano le spalle… avrebbe voluto fare tanto di più per farla sentire meglio, ma non sapeva davvero cosa fare o cosa dire.

 

“Ehi…” provò a sussurrarle, senza smettere di accarezzarle i capelli. “Ancora sveglia?”

 

Amelia tirò su col naso. “E’ una cosa così stupida.” mormorò piano. “Quando sei sfinito e il sonno non ti viene.”

 

“Già.” Jack inspirò profondamente, continuando ad accarezzarle i capelli. “Forse vuoi parlare un po’… io sono qui.”

 

Amelia strinse forte gli occhi. Era stufa di piangere. “Che cosa vuoi dire di più…”

 

“Tutto quello che hai voglia di dire.” Jack sbuffò. “Sono stato un pessimo amico… volevo tenerti lontana da… da quella donna, e invece guarda che casino ho combinato… manco mi ci fossi messo d’impegno…”

 

“Non è colpa tua.” Amelia tirò su col naso una seconda volta… non serviva la sfera di cristallo per indovinare che doveva essersi fatta un bel pianto fino a pochi momenti prima. “In fondo l’ho sempre saputo… che non doveva avermi amato, visto che se n’è andata… è solo che…”

 

“Solo che?”

 

Amelia si voltò sulla schiena per guardarlo in faccia, con gli occhi gonfi e rossi e l’aria infinitamente triste. “E’ così orribile sentirsi considerare un incidente di percorso…” piagnucolò.

 

Jack le accarezzò il viso. “Lei non ti è più nulla! Fottitene di quello che dice o che pensa. Andiamo, non l’hai vista? E’ così vuota e senza scopi nella vita… che te ne importa se lei non ti voleva? Tuo padre ti ha voluta tantissimo. E anche noi ti vogliamo. Che vada al diavolo lei e la sua carriera, non è tua madre…”

 

“E’ la donna che mi ha partorito, Jack…” sussurrò Amelia, con la voce spezzata dal pianto. “E ha negato anche questo… non mi ha riconosciuto, non ha visto niente di lei in me… o forse non ha voluto vederlo, lei non mi ha mai desiderata… sono stata la sua brutta notizia…”

 

Jack fece una smorfia avvilita quando vide la sua migliore amica tornare a voltarsi verso la parete. Era così triste… chi poteva biasimarla o darle torto, stava dicendo solo cose vere. Che possibilità aveva per farla sentire meglio? Per rimediare al danno che non era stato capace di evitare?

 

“Non c’è niente che posso fare per te?” le bisbigliò.

 

Amelia scosse la testa, mordendosi le labbra. Per quanto adorasse Jack e la sua vicinanza, stavolta non riusciva a trarne alcun beneficio. Si sentiva così sola e abbandonata… in cuor suo sapeva che era stata un’illusione fin dall’inizio, sapeva che sua madre non poteva che essere così, esattamente come era consapevole di non essere sola… ma per quanto la voce della ragione volesse rendersi utile, il cuore le sanguinava comunque.

 

Jack sospirò, piuttosto sconsolato. “Io non so che cosa dire.”

 

“Allora non dire niente.” Gli rispose piano lei.

 

E niente si dissero. Passarono dei lunghi momenti di silenzio e immobilità, interrotti solo dai piccoli singulti di Amelia, ma nessuno dei due osò fiatare. Jack detestava quel genere di situazioni… si sentì paradossalmente sollevato quando bussarono alla porta.

 

“Posso?” Era Hermione, già in camicia da notte, e aveva l’aria serena e tranquilla. “Jack, ti dispiace proprio tanto se per questa notte mi requisisco la tua amica?”

 

Jack fece una smorfia. “Non lo so, cioè… non credo che a lei vada…”

 

Amelia si voltò leggermente per negarsi con quanta più gentilezza possibile, ma poi vide il sorriso sereno di Hermione, la sua mano tesa… e non riuscì a dire di no. In fondo si sentiva persa, non sapeva neanche lei cosa volesse fare e cosa no… quella bella donna dall’aria così serena invece le infondeva un senso di calma che le serviva più che mai.

 

Hermione scompigliò i capelli di uno stupito Jack lungo il tragitto, e senza lasciare la mano di Amelia si diresse verso la sua camera da letto. Ad attenderle sul lettone matrimoniale c’era una Katie con tanto di pigiamino e treccine, che quando le vide arrivare balzò sulle ginocchia e mostrò orgogliosa il barattolo di gelato che aveva in mano.

 

“Amy, guarda! Guarda cos’ha preso mammina per noi!”

 

L’entusiasmo di quella bambina tutto pepe non potè non strappare un pallido sorriso ad Amelia, anche se solo per qualche attimo.

 

Hermione chiuse la porta della stanza e si sedette accanto ad Amelia sul lettone. “Non esiste terapia migliore del cioccolato dopo una giornata pesante… altrimenti perché lo userebbero contro i Dissennatori?”

 

“Non fa una piega.” mormorò malinconica Amelia, ricevendo con poco entusiasmo il suo cucchiaino.

 

“Lo voglio aprire io!” Katie si diede molto da fare per sollevare il tappo del barattolo, e quando ci riuscì lo mise al centro del letto per fingere di essere giusta… fu una finzione che durò poco, visto che fu la prima a infilarci dentro il cucchiaio per due volte consecutive.

 

Hermione ridacchiò. “Stai diventando un po’ troppo simile a tuo padre e ai tuoi fratelli, giovanotta.”

 

Katie sorrise largamente, con la boccuccia tutta sporca di cioccolato. “E’ buono.”

 

Hermione le strinse il naso fra le dita, poi prese una cucchiaiata di gelato a sua volta. “Mmh… effettivamente è davvero buono. Assaggialo, Amy.”

 

Amelia si strinse nelle spalle. “Grazie… non mi va adesso.”

 

“Come vuoi.” Hermione non impedì alla figlia di continuare a mangiucchiare il suo gelato, ma mise via il suo cucchiaino e prese la spazzola dal comodino. “Allora…” disse dolcemente ad Amelia, mentre le spazzolava con delicatezza la chioma bruna e liscia. “…hai voglia di passare una bella notte tutta al femminile qui con me e Katie?”

 

Katie annuì vivacemente. “Sii, mammina ha sfrattato papà dal lettone! Ha detto che per stanotte è tutto per noi.”

 

Hermione ridacchiò, continuando a pettinare dolcemente la brunetta. “Non c’è niente di più divertente di una bella serata tutta in rosa quando hai la casa piena di maschi.”

 

Amelia provò a fare un sorriso. “Si.”

 

“La sai una cosa?” mormorò Hermione, mettendo via la spazzola e suddividendo con delicatezza i capelli di Amelia in tre ciocche per farne una morbida treccia. “Alla tua età desideravo dei capelli come i tuoi con tutta me stessa… ma niente, ce li avevo crespi e alla fine mi sono arresa. Si può proprio dire che tu sia la mia soddisfazione, starei a pettinarti per ore.”

 

Amelia sentì le lacrime pungerle gli occhi, ma le ricacciò indietro. Non per questo la sua voce era ferma quando provò a parlare. “Non credo di essere la soddisfazione di nessuno.”

 

“No?” Hermione finì indisturbata la treccia morbida e la racchiuse con un piccolo elastico colorato.

 

Amelia si voltò verso di lei… aveva gli occhi lucidi. “Tutti scappano da me.”

 

“Errore, mio piccolo soldatino…” Hermione le accarezzò le guance, scostandole dal collo i ciuffi più corti che uscivano impertinenti dalla treccia. “Jack non è scappato. Io sono qui. Nessuno di noi va da nessuna parte. Siamo una famiglia, o sbaglio?”

 

Amelia si rannicchiò nel suo abbraccio, stavolta senza neanche provare a trattenerle le lacrime. “Non mi ha mai voluta…” sussurrò rauca. “Io sono stata un incidente di percorso per lei…”

 

Hermione la tenne stretta a sé e le accarezzò con dolcezza i capelli. “Voglio raccontarti una cosa.” le disse piano, ottenendo in qualche modo l’attenzione anche della piccola Katie, col musetto ancora sporco di cioccolato. “La prima cosa che mi hanno insegnato quando sono entrata nei War Mage è che esiste un sentimento col quale devi fare i conti tutti i giorni, perché se non lo fai non sei un essere umano… e quel sentimento è la paura. Se la affronti e la batti, hai vinto tu. Se la affronti e perdi, hai vinto comunque tu.” e qui Hermione sollevò dolcemente Amelia, asciugandole le lacrime dal viso. “Ma se scegli di scappare… se non provi nemmeno ad alzare i pugni e darle del filo da torcere… hai perso tutto. Incluso te stesso.”

 

Amelia si morse ripetutamente le labbra, tirando su col naso.

 

Hermione le sorrise serenamente, prendendole una mano. “Un figlio ti cambia davvero la vita… e come tutti i cambiamenti, fa paura. Non devi pensare che lei non ti abbia voluta per chissà quale ragione… è molto più semplice, amore piccolo. Lei ha avuto paura. E vuoi sapere un’altra cosa? E’ più che normale che non abbia visto niente di lei in te.”

 

Amelia si strinse nelle spalle. “Perché?”

 

“Perché lei è debole… mentre tu sei una roccia.” Hermione le prese il viso fra le mani e le baciò la fronte. “E sarai una mamma meravigliosa, quando sarà il momento… la migliore di tutte.”

 

Amelia sorrise, ancora commossa ma non più in lacrime. “Tu dici?”

 

“Altrochè. Non dovrai fare altro che metterti una mano qui…” Hermione le appoggiò una mano sulla pancia. “…tutte le volte che avrai paura di portare a termine una cosa così bella e allo stesso tempo così impegnativa… chiuderai gli occhi, e penserai che lì dentro c’è un piccolo cuore che batte per te… e non ti ricorderai nemmeno il significato della parola paura.”

 

Amelia le gettò le braccia al collo… si stava così bene nell’abbraccio di una mamma. Certo, tecnicamente quella non era la sua… ma era come se lo fosse. Si sentiva coccolata, protetta, perfino piena di speranza per il futuro… si sentiva bene. Di nuovo viva. E fu con un sorriso felice che si separò da Hermione e prese in mano il suo cucchiaino. “Adesso un po’ di questo cioccolato lo vorrei proprio.”

 

“Ooh, questo sì è parlare.” Hermione fece lo stesso, e insieme intinsero il cucchiaio nel barattolo per poi assaggiare il gelato. “Mmh… buonissimo… ora comincio a capire perché Ron e i ragazzi di notte se ne spazzolano barili interi.”

 

“E fa venire la carie così.” Katie spalancò la boccuccia e si indicò le fessure dove i dentini da latte avevano lasciato spazi momentaneamente vuoti.

 

Amelia ridacchiò e prese un’altra cucchiatata di gelato. “Mh… ne vale la pena.”

 

“Mammina?” Katie si mise sulle ginocchia, emozionata. “Pure io voglio fare la mamma brava come Amy!”

 

Hermione rise. “Ma certo che sarai anche tu bravissima, amore mio. Sarete due mamme da manuale… e sarete anche ottime mogli, il che è molto divertente perché quando impari a fare la moglie impari anche un sacco di trucchetti… come questo.”

 

Amelia e Katie osservarono stupite Hermione afferrare la sua bacchetta e puntarla con noncuranza verso la porta… che un attimo dopo si spalancò di botto, facendo cadere a terra Ron, Jack e Simon, che evidentemente fino a un momento prima ci erano appoggiati contro. Le due ragazzine scoppiarono a ridere.

 

“Ehi!” protestò Ron, mentre si rimettevano in piedi. “Non solo ci rubate il gelato…”

 

“Aah, e così sei qui per questo, per il gelato…” Hermione gli rivolse uno di quei sorrisini che sapeva bene quanto facessero breccia nel cuore di suo marito.

 

Katie si mise in piedi sul lettone. “Ma non potete entrare, mamma ha detto che stanotte solo femminucce!”

 

“E se facessimo uno strappo alla regola?” tentò Simon.

 

Jack annuì come se la cosa fosse ovvia. “Ehi, avete in ostaggio il nostro ultimo barattolo di gelato…” Spock, il cagnolone di Simon, abbaiò rumorosamente.

 

Hermione non si trattenne, e sorrise. “Almeno i cucchiaini ce li avete?”

 

“A me il gelato!” urlò Simon, lanciandosi sul lettone.

 

“Giù quelle zampacce, è anche mio!” Jack gli fu subito alle calcagna.

 

Katie si buttò sul barattolo. “No! E’ il gelato delle femminucce!” Amelia rise di cuore, rischiando quasi di strozzarsi per le troppe risate.

 

“Passami subito quel barattolo!” le intimò Simon, sfoderando il cucchiaino come una spada.

 

“No!” la bambina saltellò sul posto nel tentativo di sfuggire al fratello, attirando anche l’attenzione di Spock, che pensò bene di balzare anche lui sul letto matrimoniale.

 

“Te l’ho mai detto che sei il mio eroe preferito?” sussurrò Ron a Hermione, sedendosi accanto a lei e chinandosi per baciarla.

 

“Eww, papà!” protestò Jack.

 

“Amy, salvalo!” Katie le tirò il barattolo del gelato.

 

Amelia si preparò a ricevere l’oggetto volante, ma Jack le piombò alle spalle e glielo soffiò dalle mani, mentre ridendo le stampava un sonoro bacio sulla guancia. Amelia ridacchiò e per una volta non si diede alla competizione, lasciandogliela vinta.

 

Ron si scollò dalle labbra di sua moglie e cercò il gelato. “Ehi, che facciamo qui, due pesi e due misure? Anch’io voglio il cioccolato!”

 

“E’ delle femminucce, l’ha detto mamma!”

 

“Sta’ zitta, pulce, l’avete rubato a noi!”

 

“Spock, no!” Hermione fece fatica a piombare in avanti giusto in tempo per fermare il cagnolone, che mirava dritto al barattolo che stringeva in mano Simon. “Quello non è per te!”

 

“Mettilo in mezzo!”

 

“Dammelo… e dammelo!”

 

Non si capì né come né perché… o forse era fin troppo chiaro il motivo, ma le gambe di legno del letto cedettero sotto tanto peso e tanto agitarsi di gambe e braccia. E quando si ritrovarono per terra, nessuno dei presenti osò trattenersi: ci scappò una risata di quelle che difficilmente si riescono a fare, come quando qualcuno ride così tanto da farsi scendere le lacrime dagli occhi. Le prime lacrime della giornata che Amelia accolse con un benvenuto felice.

 

Si, il letto si era appesantito troppo sotto tutto quel peso chiassoso… o più semplicemente non aveva retto l’impetuoso e felice battere di tutti quei cuori. Perché un cuore che batte felice è il rumore più bello e assordante che si possa sentire.

 

 

** The End **

 

E’ proprio il caso di dirlo, speriamo di aver chiuso in bellezza… perché al novanta per cento, questa è l’ultima shotty su BAWM (…salvo novità dell’ultimo minuto, è ovvio ^____-) Felicissimo anno nuovo a tutti, speriamo davvero che porti a tutti un po’ di pace e serenità che ne avremmo tanto bisogno… e se volete lasciarmi un commentino, sapete già che fare! ^_____- Besitos!!

 

Sunny

  
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