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Autore: Roccia di Burro    15/02/2011    6 recensioni
°°Drake... Cosa c'è di meglio di essere la star del liceo? Al secondo anno della Greensburg High School, asso della squadra di basket della scuola, uno stuolo di ragazze che cadono ai tuoi piedi, le matricole da sfottere, i secchioni da torturare, e un frocetto del tuo stesso anno da prendere in giro.°° °°Sei potente come un leone.°° °°Ma attento. La preda un giorno potrebbe rivoltarsi tra le tue zanne e diventare predatore.°° °°E a quel punto che farai?°°
Avvertimenti: la storia non è particolarmente drammatica, il rating è arancione per i temi affrontati, per la presenza di scene di bullismo, e per il linguaggio non sempre all'acqua di rose^^. Non sono comunque presenti scene violente o che possono turbare, in alcun caso^^. Ho scelto, a malincuore, "romantico", perché c'è una storia d'amore, anche se non vedrete nulla di smelenso, ve lo assicuro u.u
Ragazzi è passato un anno ormai da quando ho pubblicato questa storia!! Come sono felice...=) ringrazio chi mi ha seguito fino adesso, chi ha recensito, chi ha solo letto, ma soprattutto chi si è emozionato ^^ Grazie.
Genere: Romantico, Sportivo, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Slash, Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ok, vi chiedo scusa di nuovo, ma questi esami mi stanno uccidendo e il capitolo pure. L'avrò riscritto tipo quattro volte e continuava a farmi schifo. Questa è la versione "finale" e spero vivamente che vi piaccia .-.
Rispostine...

areon: NO, non è Jared Leto u_u il mio Jared, detto anche J.J. per ovvi motivi, è un ragazzotto svampito con i capelli fulvi e le lentiggini e non c'entra un tubo con il figone dei 30stm u_u
Eveline è scorbutica, ma proprio per questo è puccia <3 si, la amo tanto. Per sapere se Phil muore devi leggere il capitolo /awe

RiflessoCondizionato: si effettivamente ho tifato per Drake anche io, che dovrei essere imparziale, ma Josh... Non è che mi sia antipatico, è che Josh è proprio un coglione >_> altro che Eve, lei è bella, intelligente, forte, tenace, *coffcoff* ok la smetto di influenzare la gente sui miei stessi pg...>_>

Come sempre, buona lettura.
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Andy aveva quasi la sensazione di trovarsi in una bolla d’aria che rendeva tutto il resto dei rumori ovattati e distanti. Sua madre taceva, e il suo respiro leggero era impercettibile anche ad un orecchio in ascolto.

Ripensandoci più tardi, avrebbe attribuito la calma che regnava innaturale allo shock della notizia appresa, ma non era del tutto convinto di ciò.
Probabilmente il suo cervello si stava ancora rifiutando di elaborare ciò che Monica gli aveva riferito, perché non poteva accettarlo, suo padre morto, no, era una cosa impensabile. I medici di sicuro l’avrebbero salvato, non c’era di che preoccuparsi. E poi non poteva essere così grave, insomma… Jared aveva perso un braccio, ma era vivo e vegeto, no?
Ma capita spesso, gli mormorò una voce malefica dall’interno della sua testa, decisa ad insinuare in lui il germe del pessimismo, capita molto spesso che negli incidenti qualcuno muoia e qualcun altro rimanga praticamente illeso, non sarebbe il primo caso…
No, non doveva pensarci. Sarebbe finito tutto bene, e questo pensiero sarebbe diventato ben presto distante e sarebbe finito nel dimenticatoio. Vedeva già lui, sua madre e Philip seduti davanti al loro camino in un imprecisato inverno futuro, tutti integri e sani, a brindare alla loro salute e totalmente concentrati sulla meravigliosa serata.
Ma man mano che si avvicinavano alla zona dell’ospedale, la stolta sicurezza lasciava posto a tensione, preoccupazione, e quando l’imponente struttura color mattone fece capolino tra i condomini, Andy deglutì, un lampo di panico negli occhi scuri.
« Mamma. » mormorò, quando furono scesi dall’auto.
Lei si voltò a guardarlo ma non sembrò essere in grado di aprire bocca per rispondergli.
« Quante ore fa è avvenuto l’incidente? »
Monica lo fissò a lungo e poi tirò su col naso, stringendosi nelle spalle.
« Cinque ore fa, ormai. Non sono riusciti a contattarmi prima di quattro ore dopo l’arrivo in ospedale, perché hanno dovuto cercare di stabilizzare le condizioni. Solo in seguito hanno frugato tra gli effetti personali per avvertire le persone più vicine. »
La mente di Andy lavorava frenetica. Se dopo quattro ore dall’incidente le condizioni di suo padre erano ancora sul “gravissimo” ma non erano peggiorate, allora forse c’era la possibilità che si sarebbe salvato?
Non riusciva a fare a meno di pensare però, che le sue farneticazioni fossero solo un disperato tentativo di crearsi una ragione, seppur labile, per non gettarsi dal primo ponte che avrebbe incontrato.
Durante il viaggio in auto aveva desiderato quasi di poter volare, di raggiungere quell’ospedale il più in fretta possibile, e ora che era lì sentiva un assoluto terrore scorrergli nelle vene, e ad ogni passo che facevano verso il portone lo sentiva avvicinarsi tanto velocemente che se non fosse stato attento avrebbe potuto inghiottirlo.
Per un folle momento aveva sperato di trovarlo chiuso, ma era chiaro che l’entrata di una clinica non era di certo sprangata alle tre del pomeriggio.
Varcarono la soglia e si guardarono entrambi attorno, per un momento spaesati; la quiete congelata che regnava nel vasto parcheggio si trasformò di botto in un brusio concitato mischiato a varie voci da nastro registrato provenienti dalla sala d’aspetto e dalla fila di ascensori sulla loro destra.
I cartelli colorati indicavano vari blocchi di reparti, e poco sotto quello del Pronto Soccorso videro una targa recante la scritta “Urgenze – rianimazione – terapia intensiva, piano terra, corridoio giallo”.
Di nuovo un torpore mistico si era impossessato di Andy, e il percorso gli sembrò durare ore, quando invece con tutta probabilità avevano impiegato non più di due o tre minuti per raggiungere la sala dove suo padre era ricoverato. Un paio di volte aveva creduto di urtare della gente che camminava in senso contrario, ma non era mai riuscito a produrre sufficienti sinapsi per scusarsi, e quando la porta scorrevole dai vetri lucidi si aprì davanti a lui e alla madre, pensò che le porte dell’inferno avrebbero prodotto di sicuro un rumore più gradevole.
Fu grato a Monica per aver preso l’iniziativa con la signorina della segreteria, perché si sentiva le mascelle cementate, e in ogni caso non avrebbe probabilmente saputo mettere in fila nemmeno il proprio nome col cognome.
La donna chiese loro i nominativi e un documento d’identità valido per poter permettere loro di proseguire oltre; Andy frugò nella cartella che teneva addosso, ancora piena dei libri che si era dimenticato di deporre in auto, così che si accorse solo in quel momento che la cinghia della tracolla gli stava segando la spalla e gli provocava una certa dose di dolore.
Estrasse la patente di guida, la prima cosa che gli era capitata sotto mano, e la porse alla signorina che gli sorrise dolce, scrutandolo da capo a piedi con i suoi limpidi occhi azzurri.
« Siete la moglie e il figlio del signor Nolan? » chiese infine.
Monica annuì. « Possiamo vederlo? »
Elga, Andy riuscì a leggere il nome sul cartellino di riconoscimento, scosse il viso incorniciato di corti capelli biondi con un’espressione che pareva sinceramente dispiaciuta. « Mi dispiace signora. » disse « Purtroppo le sue condizioni sono tali che a nessuno è permesso entrare nella stanza. Si trova nella sala di rianimazione, che è riservata esclusivamente al personale medico e deve rimanere totalmente sterile. Quando verrà trasferito nella camera apposita per i ricoverati gravi ma in condizioni stabili, allora potrete visitarlo. Mi risulta che la persona che si trovava con lui al momento dell’incidente sia nel reparto di chirurgia qui a fianco – e indicò un corridoio con la porta rossa sulla sinistra della segreteria – e sia possibile andarlo a trovare. Come desiderate. » concluse.
Monica aveva lo sguardo perso nel vuoto, ma poco dopo si riscosse e chiese al figlio cos’aveva intenzione di fare. Questi si strinse nelle spalle e propose di raggiungere Jared; entrambi lasciarono la sala d’aspetto di quel pianerottolo e si diressero nell’altra corsia secondo le istruzioni dell’infermiera.
Qui trovarono un’altra segretaria e ripeterono la procedura di identificazione, e dopo aver ottenuto il numero di stanza dove si trovava l’amico, la raggiunsero senza dire una parola. Appena entrarono, Monica si trattenne a stento dal premersi una mano sulla bocca e Andy strinse quasi convulsamente la cinghia della borsa, finché le nocche delle mani diventarono livide.
Il ragazzo giaceva sull’ultimo letto vicino alla finestra oscurata da pesanti cortine grigie, e non aveva nulla a che fare con il giovanotto energico e dalla pelle abbronzata che avevano sempre visto: il suo volto sembrava un ammasso di carne tritata, circondato da ciocche di scomposti e arruffati capelli fulvi, che ricadevano sulle spalle. Ciò che non era coperto di tagli rossastri e freschi, era pallido o violaceo. Un grosso livido si estendeva sullo zigomo destro, e il labbro inferiore era spaccato lungo un angolo.
Avvicinandosi Andy si accorse che l’aspetto dell’amico non era poi così terribile, e le sue ferite non erano gravi come sembravano da lontano.
Sembrava che stesse dormendo profondamente, ma quando furono quasi a livello del letto, il ragazzo alzò lo sguardo e puntò su di loro due iridi grigie, a malapena visibili sotto gli occhi pesti.
Andy lasciò cadere di malagrazia la cartella su una sedia e si gettò al capezzale del degente.
« Oh Jared… Come ti senti adesso, fa male? »
L’interpellato cercò di sollevare un braccio tremante e di estrarlo da sotto le lenzuola, e seppure la cosa sembrò costargli uno sforzo immane, riuscì a posargli un avambraccio sulla spalla e a tirarlo più vicino a sé.
« Non molto… A dire il vero. » gli borbottò all’orecchio. « Ho mezzo corpo anestetizzato. » tossì, e riuscì a schiarire la voce impastata. « Acqua. » gracchiò.
Monica, che era la più vicina al comodino, afferrò una bottiglietta di plastica e la passò al figlio, che la aprì e la posò sulle labbra di Jared.
Bevve avidamente, ma riuscì ad ingollare solo qualche sorso, e quasi subito si scostò come se anche quello fosse uno sforzo eccessivo per lui. Strinse gli occhi, sofferente, e si lasciò ricadere pesantemente sui guanciali.
« E’ stata colpa del ghiaccio. » disse dopo un po’, guardando affranto il soffitto bianco. Era tutto bianco, lì dentro. Le lenzuola, le pareti, il soffitto, gli armadi. Anche la pelle di Jared era bianca, dove non era rossa o viola. Sembrava che il dolore avesse portato via tutti i colori tranne quelli più forti e terrificanti.
O forse, di nuovo, era Andy ad essere troppo suggestionabile.
« Cosa è stata colpa del ghiaccio? » chiese Monica, anche se era consapevole di conoscere già la risposta.
« L’incedente. » rispose il ragazzo, senza distogliere lo sguardo dalle lampade al neon spente. « Quel camion… Non credo che corresse troppo forte. Eravamo in autostrada dopotutto. E sembrava davvero pulita. C’era il sale, anche. Ma… » e qui sembrò doversi concentrare per ricordare con precisione. « Deve aver perso il controllo del veicolo. Si. Ha sbandato. Ha divelto il guardrail, ma non quello di lamiera, quello di cemento che divide i due sensi di marcia, capisci? E quando ce ne siamo accorti, ormai ci era addosso. » concluse, con la voce che sfumava. « E Philip… »
Guardò entrambi con uno sguardo interrogativo, anche se il terrore che vi si scorgeva nascosto faceva capire che temeva il peggio. « Nessuno mi ha detto niente. » aggiunse con voce strozzata.
« Non sappiamo. » disse Monica, scuotendo la testa. « E’ ancora vivo. » disse poi, tanto per chiarire il dubbio principale.
Jared volse lo sguardo dall’altra parte, mentre il suo petto sussultava leggermente, quasi come se anche piangere fosse troppo devastante per il suo fisico. Andy prese un fazzoletto, e dopo aver costretto l’amico a voltarsi, tamponò le lacrime dalle sue guance segnate e dagli occhi che teneva chiusi, un po’ per la vergogna, un po’ per il dolore.
« E tu… » azzardò Monica. « Ci hanno detto… Il braccio… »
« La mano. » la corresse Jared. « La mano destra. Tranciata di netto. Andata. Per fortuna che sono mancino. » aggiunse dopo una breve pausa.
« Ti fa male? »
« Figurati. Almeno quello… Mi hanno dato talmente tanto anestetico che credo basterà per una settimana. Non riesco mica a tirar fuori il braccio da sotto le lenzuola sai, non me lo sento neppure. »
La donna annuì comprensiva e gli chiese se aveva bisogno di altro. Il ragazzo stava per rispondere, quando entrò un medico seguito da un altro paio di robusti infermieri.
« Lei è il signor Jared Johnson? » chiese al paziente, che annuì.
« Dobbiamo parlare con lei. Da soli. » aggiunse poi in un eloquente tono che non ammetteva repliche.
I due visitatori uscirono in corridoio, dove rimasero a ciondolare per circa mezz’ora, senza avere la minima idea di cosa fare. Nessuno dei due propose di ritentare la fortuna con la segreteria del reparto di rianimazione, consapevoli del fatto che le condizioni di Philip erano talmente gravi e instabili che molto probabilmente sarebbero stati mandati via a vista.
Quando il dottore uscì, Andy notò che aveva in mano un generoso plico di fogli, ma non riuscì a leggere quello che dicevano le stampe; si avvicinò al medico e gli domandò se potevano tornare nella camera.
« Siete amici del signor Johnson? » ribatté questi.
« Si, siamo i parenti di Philip Nolan, quello… Che ha avuto l’incidente con lui. »
Il primario annuì, pensoso.
« Beh, suppongo che non ci sia nessun problema nel farvi rimanere un pi’ con lui. » disse, alludendo a Jared con una fugace occhiata alla porta socchiusa. « Ma non potrete rimanere più di tanto, perché il nostro paziente sarà presto trasferito. »
« Trasferito? » gli fece eco Monica, mentre il dottore aggiungeva di avere una certa fretta e di non poter restare a dare esplicazioni a loro. Li salutò con un cenno molto distinto e una stretta di mano, e se ne andò seguito dai due infermieri che l’avevano accompagnato.
Quando la testa di Andy fece capolino dalla porta, Jared sussultò, come interrotto nel mezzo di riflessioni particolarmente intense. Sembrava turbato.
Il ragazzo si avvicinò al suo letto.
« C’è qualcosa che non va? » gli chiese timido, ma non era sicuro di voler davvero sapere la risposta.
« No. » sospirò Jared. « Mi hanno proposto di farmi fare un intervento alla mano, all’ospedale di Charlotte. Un trapianto. »
« Beh ma è fantastico, no? » disse Monica, con un’espressione vagamente più rincuorata. « Ormai la medicina dei trapianti delle mani è progredita parecchio dai primi interventi, e hanno più volte mostrato, anche ai notiziari, che la ripresa dei pazienti è stata molto buona, e che riescono ad utilizzare la mano come se fosse la propria, o quasi. »
Jared guardò altrove, leccandosi velocemente le labbra secche. « Non lo so. » rispose dopo una breve pausa. « E’ sempre una cosa… Pericolosa. Devono connettere tutto, anche i nervi, e se sbagliano… Potrei rimanere paralizzato dalla spalla al polso per sempre! » concluse, disperato.
« Ma… Hanno sempre delle mani a disposizione? » chiese piano Andy, preferendo spostare il fulcro del discorso perché non sapeva come lenire la devastazione interiore dell’amico, perfettamente comprensibile, di fronte ad un dilemma da cui probabilmente sarebbe dipeso il suo futuro.
« No. » ribatté Jared. « A dire il vero è… » scrollò le spalle incapace di continuare, ma poi si fece forza e concluse « E’ una mano bionica. »
Alle sue parole lo sguardo di Monica sembrò sprofondare in un abisso.
« Una… Cosa? »
Jared annuì, sorpreso dalle sue stesse parole. « Non sarebbe il primo intervento di questo tipo, e di sicuro non sarà l’ultimo. E’ tutto per un progetto delle università mediche, l’hanno già fatto anche in Italia, il primo è stato più di due anni fa, e mi hanno anche detto che il paziente sta ancora bene e anzi, va alla grande. Io sono giovane e in forze, sono il candidato ideale, capite? E’ meglio di una mano presa da un… cadavere, poi. Non c’è pericolo di rigetto per un’altra pelle, ma per metallo o quello che è insomma, che è sterile… Anche se ovviamente all’inizio dovrò prendere un sacco di farmaci immunodepressori, o mi inietteranno delle cellule staminali, non lo so… Meglio di niente però, eh? » e li guardò entrambi sperando che almeno loro potessero dargli un qualche responso.
« Per me dovresti provare. » disse la donna, animata da una strana luce negli occhi umidi, protendendosi verso Jared quasi a rafforzare le proprie parole. « Insomma, se è un progetto così particolare, nuovo, quello che vuoi… Chiameranno un’equipe di esperti, non dei chirurghi generali che non sono abbastanza qualificati, no? » chiese scuotendo la testa, come se anche solo l’ipotesi di un tale azzardo fosse inimmaginabile.
« A dire il vero – disse l’altro con un mezzo sorriso – ho già accettato. Preferisco rischiare piuttosto che condannarmi ad una menomazione certa. Non voglio credere di essere già spacciato. Non posso. Ci saranno un sacco di bioingegneri… »
Monica annuì, e gli scostò i lunghi capelli dal viso con fare materno.
« E poi… » aggiunse il ragazzo « Mi portano via in elicottero. Figo, no? Io ho sempre sognato di volare, anche se ovviamente non per una ragione simile. » e si sforzò di nascondere la nota di panico che aveva pervaso la sua voce.

*

Dopo ore di attesa che parvero interminabili, senza più Jared che ormai era già stato trasportato nella struttura ospedaliera di Charlotte, un dottore uscì trafelato dalla sala di rianimazione e andò a parlare con Andy e Monica. Le condizioni di Philip sembravano stabili, e finalmente qualcuno sembrava propenso a dire loro concretamente quali traumi aveva subito, dacché ormai ne avevano le scatole piene di sentirsi dire solo che versava in “gravissime condizioni”, senza un’esplicazione in più.
Il verdetto non era comunque dei più felici, anzi.
Frattura cranica, per fortuna non profonda, e una costola spezzata aveva perforato un polmone e la sua pleura, causando il collasso della parte ferita dell’organo.
Purtroppo Philip aveva manifestato sintomi di febbre già dopo tre ore dall’incidente, e oltre all’applicazione del drenaggio avevano dovuto somministrargli una certa dose di antibiotici per prevenire infezioni gravi.
« Lo teniamo in coma farmacologico. » spiegò il dottore. « Dopo numerosi controlli abbiamo verificato che non ci fosse nessun danno alla corteccia cerebrale, ma quello è il problema minore. La frattura si sanerà, ma il capo deve stare in immobilità completa. Il trauma peggiore è comportato dal pneumotorace, che è abbastanza esteso. A causa della forte lesione dovuta all’incidente si è rischiato di ottenere un emopneumotorace, ma il deflusso forzato del sangue è stato applicato tempestivamente, e questo non si è mescolato alla miscela d’aria del polmone. Abbiamo stabilizzato le condizioni, e al momento è fuori pericolo. »
« E’ salvo quindi? » mormorò Monica, facendo chiaramente intendere che al di là di specifici dettagli medici, era quella risposta a starle maggiormente a cuore.
« Si, posso affermarlo quasi con certezza. Naturalmente lo teniamo sotto controllo costante. »
« Posso restare qui per la notte? »
Il medico indugiò un po’ prima di rispondere. « Signora… Al momento suo marito non è in grado di avvertire la presenza di altre persone, neppure degli infermieri, ed entrare nella sala dov’è ricoverato è vietato per chiunque non faccia parte del personale addetto. Vada a riposare, di sicuro è rimasta qui per molto tempo. Se ci sono emergenze la chiameremo, ma per il momento può ritornare domani. »
Anche se riluttanti, i due seguirono il consiglio e andarono a casa; Monica ebbe qualcosa da ridire quando Andy annunciò che il giorno dopo non sarebbe andato a scuola, ma i suoi tentativi di rifiuto furono talmente deboli che dopo un po’ capitolò. Dopotutto era l’ultimo giorno di scuola prima delle vacanze di Natale, e non sarebbe sicuramente stato una grave perdita.
Una parte difficile di tutta quella faccenda fu spiegare a Joy e agli altri cos’era successo, l’indomani, quando non lo videro all’istituto; dovette raccontare tre volte a tre persone diverse l’accaduto, perché come al solito Eve e Josh non si trovavano mai a casa nello stesso momento e avevano scelto momenti diversi per contattarlo. Tutto ciò fu molto penoso per Andy, che ormai aveva ripercorso mentalmente o verbalmente il giorno prima tante di quelle volte da avere la nausea al solo pensiero.
Quando il telefono squillò per la quarta volta, immaginò con gioia di gettarlo fuori in giardino e lasciare che si congelasse.
Era Drake: probabilmente Joy o Josh avevano raccontato tutto anche a lui e Shawn, ma Andy sentì che non ne poteva più di parlare con degli estranei di Jared e suo padre, e fu molto tentato di non rispondere. Infine quasi solo per cortesia, premette il piccolo tasto verde e ascoltò la voce squillante di Drake raggiungerlo metallica dall’altro capo dell’apparecchio. Per fortuna il ragazzo fu molto comprensivo; non gli fece domande su ciò che era capitato ma chiese semplicemente se Philip stava migliorando, e se lui a la madre avevano bisogno di qualcosa, anche solo di un po’ di conforto.
Fino a poco prima si sentiva in guerra con il mondo, non aveva voglia di parlare – o meglio discutere – con nessuno, ma appena sentì la voce di Drake sentì che il peso che da ore gli opprimeva il petto stava leggermente scemando, lasciando posto ad un calore corroborante, che lo avvolgeva come un abbraccio.
Aveva un nodo alla gola, che gli costò un doloroso silenzio mentre Drake gli chiedeva preoccupato se fosse tutto a posto.
« Grazie. » riuscì solo a mormorare, e riattaccò il telefono.
Andy diede per assodato che quello era il peggior Natale della sua vita. Non era disperato e non si strappava di certo i capelli urlando come in una pantomima, ma si sentiva costantemente ansioso, all’erta, con il panico nel cuore ogni volta che un dottore gli si avvicinava per dargli notizie del padre. Aveva il terrore di sentire che era peggiorato, che aveva avuto una ricaduta, che le ferite non si sanavano, che aveva riportato un danno irreversibile. Invece poco a poco Philip migliorava, anche se con una lentezza quasi esasperante.

*

Andy aveva appena finito di apparecchiare la tavola per il pranzo; si sedette, e lo sguardo gli cadde sulla madre, che stava ancora ai fornelli e gli dava la schiena.
La osservò, con un misto di amore e sofferenza, il cuore più pesante. Era sempre stata una donna così bella, alta, formosa, dai tratti dolci e decisi e i colori scuri tipici di un’ascendenza ispanica.
La guardò a lungo, e gli parve che portasse sulle spalle il doppio degli anni che aveva, infagottata in abiti sgualciti, con i capelli in disordine e occhiaie violacee che non si curava più nemmeno di nascondere.
Cosa poteva fare? Aveva provato a darle tutto il conforto che poteva. Le aveva detto “Io sono qui, mamma” e l’aveva racchiusa nei suoi abbracci di uomo acerbo, accarezzandole la testa e baciandole le guance. Ma a mano a mano che i giorni passavano, le telefonate di amici e parenti lontani si facevano più rade, le visite dal padre - che pur essendo cosciente a tratti, non aveva la forza di parlare o di interagire con loro – si contornavano di un’atmosfera greve e pesante.
E Monica si chiudeva lentamente in un silenzio carico di pensieri che non voleva condividere, nemmeno con lui.

L’olio nella padella era caldo, e sfrigolava rilasciando il suo aroma; la donna vi svuotò la confezione di straccetti di carne, e prese a mescolare fino a quando si rese conto che aveva preparato troppo per due persone sole. Quando lei cucinava, erano sempre in tre a casa. Sempre.
Andy se n’era accorto, come si rendeva conto di ogni minimo movimento, espressione, allusione gestuale, da un po’ di tempo a quella parte. Voleva dirle che non importava, che avrebbero messo da parte quello che avanzava, ma il suo pensiero si era appena articolato nella mente che il campanello suonò.
Era un rumore squillante, ma gli sembrò profondo come quello di un gong da monaci buddhisti, e lo fece trasalire. Sperò vivamente che chiunque fosse l’avventore, avesse poco da riferire; sbirciò da dietro la tenda del soggiorno, e il suo cuore ebbe un tuffo quando riconobbe la sagoma smilza che si sporgeva oltre le punte del cancello per vedere se c’era qualcuno in casa.
Era tremendamente tentato di fare orecchie da mercante, ma all’ultimo non resistette ed aprì l’uscio. Attese in silenzio e con la porta socchiusa, finché i passi si fecero più vicini, e si trovò faccia a faccia con l’ospite.
Prese come di consueto il cappotto e la sciarpa, e notò che Drake recava in mano un involto piuttosto grosso.
« Spero di non disturbare… » mormorò, anche se non era necessario parlare così piano.
In realtà Andy si sentiva disturbatissimo, ma allo stesso tempo era felice di avere qualcosa che lo distraesse dal sentimento di impotenza e dai sensi di colpa che provava ogni volta che guardava sua madre persa nella propria tristezza, e si sentì un po’ crudele di aver pensato questo.
Il ragazzo venne accompagnato in cucina, dove la stufa recava un po’ di calore e vita, con la legna che scoppiettava allegra dietro lo sportello.
« Oddio… Stai mangiando! Scusami, è che pensavo che alle tre del pomeriggio… Che tempismo pessimo, mi dispiace… Ti lascio in pace, me ne vado… »
« No, fermo, non ci disturbi affatto! » Andy lo trattenne per un braccio.
« “Ci”? C’è qualcun altro… » non fece in tempo a formulare la domanda che Monica era appena uscita dalla dispensa con un vasetto di salsa al curry in mano.
Andy le mostrò un sorriso forzato e balbettando presentò Drake sperando che sua madre non se la prendesse con lui per non averla avvisata della visita. Con suo immenso stupore, il viso della donna si illuminò e le sue belle labbra si aprirono in un sorriso dolce e sincero come non ne vedeva da giorni.
« Drake Foster… » ripeté assorta. « Non disturbi, figliolo, non devi preoccuparti… Vieni, siediti. Mi dispiace che tu sia venuto adesso, pranzando saremo di poca compagnia… Tu hai già mangiato, immagino… »
Drake si strinse nelle spalle, imbarazzato. « A dire il vero torno giusto adesso da un allenamento con la squadra, ehm, della scuola, e non sono passato da casa perché volevo venire a trovare Andy, per cui in realtà no… »
Lo sguardo della donna si illuminò, e lei si affrettò a prendere un piatto e delle posate dalla credenza.
« Perfetto! Spero che ai tuoi genitori non dispiaccia se resti qui per pranzo, sempre se ti va… »
« Non c’è nessuno a casa, signora Nolan, i miei sono entrambi al lavoro. Ma è sicura che non sono di troppo? »
Monica non avrebbe potuto essere più convinta che Drake fosse una manna dal cielo, e glielo fece capire con svariate pacche sulla spalla e inviti a prendere posto a tavola. Quasi dimentico dell’altro motivo per cui era lì, il ragazzo si batté un palmo sulla fronte e consegnò ad Andy il pacco che teneva in mano, spiegando che era un dolce natalizio che aveva chiesto a sua madre di fare – « Perché io sono proprio negato in cucina… » - per un amico che voleva andare a trovare.
Il ragazzo lo accettò, pensando che in fondo la signora Foster si stava dimostrando una buon’anima molto più di quanto avrebbe potuto credere; e dopo averlo assaggiato, tutti si convinsero che aveva anche delle mani d’oro.
Drake passò con loro tutto il pomeriggio, e la loro casa si riempì di un po’ di vitalità, che negli ultimi tempi aveva fatto sentire la sua mancanza, lasciando un vuoto grigio e opprimente. Andy capì, d’un tratto, cosa serviva alla madre.
Lui le aveva di certo offerto tutto il conforto e l’affetto che era in grado di offrire, ma nonostante questo il loro nucleo familiare, già di per sé ristretto, si era chiuso e isolato sempre di più. Drake era non solo un estraneo, ma un elemento che almeno per Monica era completamente nuovo, e non semplicemente una “distrazione”, che era una definizione fin troppo superficiale e semplicistica, ma una finestrella sul mondo esterno, una ventata di luce. Andy benedì quel suo carattere solare ed esuberante, perché lo stava facendo rinascere. Sentirlo solo per telefono, se ne rese pienamente conto, non era neppure lontanamente sufficiente. Aveva bisogno di lui, di averlo accanto, di poterlo toccare con le mani per convincersi che non era un miraggio lontano.
Dopo aver sistemato la cucina alla fine del pranzo, Monica decise che era ora di dare una sistemata anche a se stessa, e li lasciò per recarsi al piano superiore.
Drake la seguì con lo sguardo e poi si voltò verso Andy.
« A quanto pare ho fatto una buona impressione, o no? »
Il ragazzo gli sorrise senza rispondere. Si protese verso di lui e gli poggiò la testa su una spalla, chiuse gli occhi e inspirò il suo profumo. « Si. » mormorò. « Un’ottima impressione. »
Drake gli accarezzò il viso, dolcemente. « E tu come te la passi? »
« …vorrei tanto che mio padre stesse bene in fretta. La casa è vuota senza di lui. Non che fosse mai stato presente fisicamente, era sempre in giro per lavoro, ma il solo pensiero ch lui c’era, là fuori, era come averlo sempre accanto… »
Drake abbozzò un sorriso amaro che Andy, ancora ad occhi chiusi, non colse.
« Pensa un po’ che con il mio, di padre, la situazione è all’esatto opposto. La sua ditta non è certo distante da casa, e ce l’ho anche troppo tra i piedi… Ma mai un abbraccio, un sorriso, un gesto d’amore. A volta mi chiedo se io e Kat siamo davvero figli suoi. Lei ha la sua stessa faccia, ma io sono tutto mia madre, chissà, potrei essere il risultato di una scappatella. A volte… » e qui la voce si fece più dura ma incerta « A volte vorrei davvero che non fosse mio padre. Almeno non soffrirei così tanto per le sue non-attenzioni. »
Andy alzò il volto fino ad incontrare gli occhi dell’altro, lucidi, che fissavano ostinatamente il tavolo senza battiti di ciglia. Non sapeva che dire. Non aveva mai avuto di questi problemi, e si rese conto in quel momento di quanto fosse fortunato. Aveva paura a dire qualcosa, paura di pronunciare parole vuote, di circostanza, che non avrebbero aiutato nessuno. Prese il volto di Drake tra le mani e lo costrinse con dolcezza a guardarlo.
« Tu sei un ragazzo tenace, Drake. Di sicuro un giorno troverai anche la forza di affrontare tuo padre e di mostrargli le tue paure e le tue insicurezze. »
« Non lo so… E’ sempre stato una figura così… Autoritaria? Non lo so. Imponente, di sicuro. »
« Si, magari incute timore, ma anche lui è un essere umano. »
Drake sospirò. « Mai parole furono più sagge. E’ umano, soprattutto quando sbaglia. »
Andy aveva esaurito i consigli. Gli si avvicinò. Dal piano superiore giungevano i passi della madre che stava probabilmente facendo la spola tra la sua camera da letto e il bagno, ma li ignorò. Si era riproposto di avere un rapporto platonico con Drake, aveva giurato che dopo quella faccenda ci sarebbe andato con i piedi di piombo, che lo avrebbe guardato da lontano e gli avrebbe parlato quando c’erano altri amici con loro.
Si, vabbè.
Scalciò prepotentemente tutti quei pensieri nefandi, e baciò le sue labbra dolci, che sapevano di crema, di zucchero e di caramello.
Drake rispose al bacio, stringendogli la nuca tra le dita affusolate, e portando l’altro braccio a cingere i fianchi sottili di Andy. Com’era bello dimenticarsi di tutto e sentire solo i loro corpi che strusciavano l’uno contro l’altro come due gatti…
Andy lasciò la propria sedia e si sedette a cavalcioni dell’altro, gettandogli le braccia al collo e continuando a baciarlo con vigore. Sentiva le sue mani dappertutto e si scostò i capelli dal viso, gettando alcune ciocche dietro le orecchie.
All’improvviso Drake si staccò come se avesse avuto un’illuminazione folgorante.
« Andy. »
« Dimmi. »
« Tua madre… » esitò « Lei sa che tu sei… »
« Cosa? »
Abbassò la voce e si guardò intorno. « Lei sa che sei gay? » bisbigliò.
Andy lo fissò, e pensò che probabilmente Drake si era fatto qualche scrupolo nel caso Monica tornasse da loro e li trovasse in quella posizione non giustificabile con “lo stavo solo abbracciando”.
« Si che lo sa. E anche mio padre. » riprese a baciarlo, ma Drake lo scostò dolcemente da sé.
« E… Come l’hanno presa quando gliel’hai detto? »
« Allora… » cercò di far tornare alla mente le scene del fatidico giorno. « Mia madre si è messa a piangere, mio padre è rimasto in silenzio, ma non l’ho mai visto tanto sconvolto. Per un po’ non mi hanno parlato, ma ero abbastanza piccolo, e l’accettazione è stata poco traumatica. Hanno sempre tentato di cambiarmi, anche se non apertamente, fino all’anno scorso, ma alla fine si sono messi l’anima più o meno in pace. Sono stati loro a “spingermi” a mettermi con Eveline. Fino a che non mi sono letteralmente buttato su Josh, e allora hanno rinunciato al diabolico piano. »
Ridacchiò quando notò Drake fare un movimento stizzito al nome di Josh, e gli stampò un bacio sulle labbra a mo’ di scusa.
« Se io lo dicessi ai miei… Beh, probabilmente sentiresti parlare del mio brutale assassinio al notiziario serale. »
« Ad ogni modo adesso sei a casa mia, no? »
Il ragazzo lo fissò con quegli occhi dorati che sembravano poterti guardare dentro, e gli sorrise mettendo in mostra i canini affilati.
« Si. » rispose, e lo attirò a sé riprendendo a baciarlo. Aveva voglia di lui. Aveva fame di lui. Non poteva starne senza, o sarebbe impazzito. E se un giorno avesse dovuto affrontare l’ira di suo padre, l’avrebbe fatto, sarebbe sceso in campo, perché aveva qualcosa per cui combattere, e quel motivo che lo faceva andare avanti per la propria strada, non se lo sarebbe mai fatto portare via.
  
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