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Autore: Terre_del_Nord    17/02/2011    13 recensioni
Sul finire del primo millennio, i quattro più potenti Maghi del tempo, Salazar Slytherin, Rowena Ravenclaw, Godric Gryffindor e Helga Hufflepuff, raggiungono il Regno di Alba per fondare Hogwarts, una scuola in cui insegnare Magia. Attraverso lotte, amori e naufragi, tradimenti e Magia, realizzeranno il loro progetto; per uno di loro, però, ritornare ad Alba significa anche altro: mantenere una promessa mancata e riappropriarsi del proprio passato.
1. Prologo di "THAT LOVE IS ALL THERE IS - SLYTHERIN'S BLOOD" (si può leggere anche senza aver letto l'altra), la storia tratta personaggi e trame in buona parte originali.
2. Con "Nuovo Personaggio" ho indicato la presenza di vari personaggi rilevanti per le vicissitudini dei protagonisti.
3. Ho introdotto l'avvertimento "Violenza/Contenuti forti" per la presenza di scene di guerra e situazioni in linea con la vita dell'epoca.
4. La storia è in corso di revisione
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Corvonero, Godric, Nuovo, personaggio, Priscilla, Corvonero, Salazar, Serpeverde, Serpeverde, Tassorosso, Tosca, Tassorosso
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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- Questa storia fa parte della serie 'That Love is All There is'
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That Love is All There is

Terre_del_Nord

Old Tales

Terre del Nord - I.003 - Dòmhnall



La foresta era immersa nell'oscurità e in un silenzio quasi perfetto, il vento portava lieve, a tratti, solo il respiro del fiume e i versi sommessi di qualche animale notturno, dal folto del bosco. In quella quiete, poteva sentire, nitido, il battito del suo cuore, forte e stranamente irregolare: quella notte sembrava che pulsasse così violento e furioso da impedirgli di dormire, quasi volesse fuggirgli via dal petto. Passava spesso la notte così, in attesa, a occhi chiusi e in silenzio, ad ascoltare il suo corpo, la brezza, la natura, provando a fondersi con lo spirito di quei luoghi, come gli aveva insegnato sua madre fin da bambino; in quel momento, però, una tensione ignota gli impediva quasi di respirare, la sua mente non si apriva all’armonia che viveva attorno a sé, ma si tormentava correndo dietro a pensieri contorti e dolorosi. Dòmhnall si rigirò nel suo giaciglio, piano, per non svegliare suo fratello: da un po' il moccioso aveva smesso di servirsi di lui come fosse un pagliericcio, così aveva potuto mettersi supino e ora stava considerando l'idea di sollevarsi a sedere o addirittura alzarsi. La luce della luna illuminò il musetto di Cuilén che spuntava appena dalla pelle d'orso, preso da un sonno profondo e da chissà quale sogno finalmente sereno, non si era accorto dei movimenti del fratello maggiore, per fortuna, altrimenti Dòmhnall avrebbe dovuto passare il resto della notte a rispondere alle sue sconclusionate domande. Sorrise tra sé: quel bambino era spesso una peste insopportabile ma lui gli voleva bene, ogni volta che si allontanava per qualche giorno con suo padre per la caccia o le prove, non sentiva nostalgia solo per la voce di sua madre, o per quella che era ancora la sua casa, gli mancava anche suo fratello, la sua ingenuità spesso ridicola, quel suo modo ancora un po' buffo e goffo di muoversi e parlare. Sospirò. Quell’inquietudine invece di disperdersi sembrava stringerlo più forte, perché non sopportava l'idea che non avrebbe mai visto suo fratello diventare un uomo, presto non avrebbe saputo più nulla di lui, di tutti loro. Presto se ne sarebbe andato da quella radura e la sua vita avrebbe preso una strada diversa da quella di tutti loro. Non c'era niente da fare… Doveva muoversi, voleva togliersi di dosso quella odiosa ansia. Poteva arrivare al fiume, immergersi nell'acqua fresca, bere. Se fosse stato abbastanza rapido, sarebbe ritornato prima che qualcuno si accorgesse della sua assenza. Gettò un'occhiata verso la tenda dei suoi genitori, attraverso le ombre proiettate dalla Fiamma verde, vide la figura di suo padre, seduto vicino all'imboccatura, ciondolare un po', forse si era assopito mentre montava la guardia a sua madre e al neonato: il piccolo non si era ancora sentito, non aveva pianto per la fame, sembrava dormire sereno e tranquillo.

    Chissà se è un altro maschio o, finalmente, una bambina?

Dòmhnall si strinse nelle spalle, del destino di quel bambino non avrebbe mai saputo niente, quindi non doveva curarsi di lui, era già triste pensare di dover abbandonare Cuilén, era inutile affezionarsi al neonato, significava solo soffrire di più. Si alzò senza far rumore, accostò per bene la pelle d'orso addosso al fratello, notò che stringeva tra le dita il richiamo che gli aveva regalato un paio di ore prima, quasi fosse il più prezioso dei tesori. Si voltò, deciso a non pensare, si sgranchì appena le gambe e le braccia: il suo corpo, pallido ai raggi della luna, appariva macchiato qua e là di scuro dalle ombre delle fronde sovrastanti. Era ancora poco più di un ragazzino, asciutto e sottile, ma già alto quanto suo padre, e sulla sua pelle la peluria biondiccia dell'infanzia aveva ormai lasciato quasi del tutto il posto a quella più scura e prepotente di un giovane uomo. Rabbrividì quando vide le rune, sottili ricami d’inchiostro nero, rilucenti sulle sue dita, pensando al fatto che presto a esse se ne sarebbero aggiunte ancora e ancora. I suoi occhi chiari indugiarono sul suo corpo ancora per un po', con un misto di tristezza e imbarazzo: a volte, anche se quei pensieri lo facevano vergognare a morte, si rendeva conto di invidiare suo fratello, così piccolo e ancora bisognoso di protezione, sapeva di aver paura, di non voler diventare un uomo, di non voler crescere, perché per quelli come lui, crescere significava doversene andare, lasciare il mondo che conosceva, la sua famiglia, per andare lontano, ad affrontare l'ignoto. Suo padre gli aveva raccontato con orgoglio delle avventure che avevano segnato la sua vita, del lungo viaggio fino alle Terre del Nord, delle prove, dei riti, delle cerimonie, degli insegnamenti del suo maestro, dell'incontro con sua madre, della sua vita raminga insieme con lei, fino a scoprire quella radura, e creare lì, con lei, la sua vera famiglia. Dòmhnall ne era rimasto affascinato e colpito da bambino, ma ora che la vita stava per chiamarlo ad affrontare in prima persona quei cambiamenti, sentiva il cuore e la mente vacillare, perché non sopportava l'idea che quella che conosceva non sarebbe più stata, come diceva suo padre, la sua “vera” famiglia. Se solo fosse stato possibile, non avrebbe mai abbandonato il suo mondo, quell'angolo di foresta che conosceva come se stesso, i suoi nascondigli, i punti migliori per pescare, e... E quel sentiero che aveva scoperto pochi anni prima, che portava allo scoperto, fuori dal bosco: ci si era perduto una volta per sbaglio, inseguendo un cervo, poi era stato attratto da un suono strano, che non aveva mai udito prima...

    Ina...

Ci si era inoltrato di soppiatto più e più volte, da allora, nascondendosi tra i cespugli che celavano una radura ai margini di Am Moradh, in cui alcune ragazze di un villaggio vicino lavavano e si facevano il bagno. Dòmhnall accelerò il passo, camminò rapido fino al fiume, cercando di non pensare a quelle immagini: scoprire quelle donne tanto diverse da sua madre l'aveva turbato e l'esistenza di Ina, lo sapeva, aveva accelerato la data della sua partenza. Era strano e ridicolo che la sua vita cambiasse ogni volta che gli capitava di vedere delle donne che si facevano il bagno: era poco più piccolo di Cuilén quando aveva visto sua madre al fiume e, se lo ricordava ancora, era scoppiato a ridere come uno stupido, facendosi scoprire, osservando quel suo corpo tanto diverso dal suo, le sue forme più piene delle sue, guardandolo incuriosito, sorpreso di quanto fosse diverso una volta nudo, senza quella tunica informe con cui la vedeva sempre, tanto simile alla sua. Sua madre non aveva detto nulla, al momento, ma per tutto il resto del giorno l’aveva fissato a lungo, spesso di soppiatto, cercando di cogliere nei suoi occhi un cenno, una domanda, per iniziare con lui un discorso importante, ma Dòmhnall, dopo quelle risate iniziali, era ammutolito, non capiva nemmeno lui perché, ma si sentiva troppo imbarazzato per chiedere. Quando fu l'ora di spegnere il fuoco, sua madre aveva all'improvviso iniziato a parlargli di come la natura avesse voluto gli uomini e le donne simili eppure diversi, "complementari" aveva detto, proprio come tutti gli altri animali della foresta; l’aveva ascoltata per ore, affascinato, scoprendo una realtà che aveva percepito già, a volte, ma che non aveva compreso mai: da quel momento aveva iniziato a guardare il mondo attorno a sé in maniera diversa, consapevole e curioso di quelle differenze. Senza accorgersene, la sua infanzia era finita così, per un fatto innocuo e fortuito: da quel momento la sua vita era cambiata, non aveva più potuto mettere piede nella tenda, non aveva più potuto dormire accanto a lei, scaldandosi col suo calore, era lentamente passato dal mondo di sua madre a quello di suo padre, aveva smesso di raccogliere erbe e bacche nella foresta con lei e aveva iniziato a seguire lui, passando via via sempre più tempo lontano dalla radura, a caccia. Aveva persino imparato a uccidere. Solo il giorno che aveva trovato e visto le donne del villaggio, però, aveva compreso appieno il discorso di sua madre.
E quel giorno non aveva riso, no. Aveva scoperto cose nuove, non nel mondo che lo circondava ma in se stesso, un turbamento diverso; era rimasto confuso, quelle spiegazioni erano di colpo diventate reali, le aveva sentite sulla sua stessa pelle, era rimasto spaesato, per non dire spaventato, per giorni. Da allora aveva cercato sempre più spesso la solitudine e il silenzio, da quel momento la curiosità che finora aveva riversato sul mondo era finita e aveva iniziato a cercare di capire e scoprire se stesso, le proprie reazioni, il mistero che aveva nella mente e nel suo corpo. Al tempo stesso, non poteva fare a meno di andare al fiume sempre più spesso, all'inizio ogni volta che i suoi non si curavano di lui, poi appena si presentava anche la più piccola folle occasione di allontanarsi, infine era arrivato a disubbidire e scappare senza dare spiegazioni: c’era, infatti, una ragazza bionda, più piccola e timida delle altre, Ina, che non si spogliava mai, che concentrava tutta la sua attenzione, alimentando giorno per giorno, sempre di più, la sua ossessione.
Dòmhnall passava giorni e notti intere a immaginare come fossero la sua pelle e il suo corpo sotto la tunica, come fosse il suo profumo, come sarebbe stato baciarla e toccarla e... S’inventava i piani più stupidi e pericolosi immaginando di poterla portare via dalle altre, poter restare solo con lei, convincerla a rimanere per sempre con lui, a vivere insieme nella foresta, ma ogni volta che nella realtà la ammirava, seduta in riva al fiume, a ridere timida con le altre, i suoi passi diventavano pesanti come pietra e lui si rendeva conto che non sarebbe mai riuscito ad avvicinarla. Quando aveva scoperto il suo segreto, suo padre non era stato tenero con lui, anche se Dòmhnall gli aveva giurato e spergiurato di non aver mai mosso un passo fuori dai cespugli, di aver solo sognato di avvicinarsi a lei, di non essersi mai nemmeno mostrato. Suo padre non aveva sentito ragioni, l’aveva rinchiuso per tre giorni e tre notti in una grotta, senza cibo né acqua, in un luogo impervio della foresta da cui nessuno potesse sentire le sue urla e le sue suppliche. Dòmhnall non aveva capito quello che era accaduto, credeva che suo padre si fosse arrabbiato perché aveva ignorato suo fratello per farsi gli affari propri, ma quando infine, al tramonto del terzo giorno, l'uomo, con cipiglio severo, era tornato da lui, portandogli da mangiare, ed era rimasto con lui tutta la notte a parlargli, aveva scoperto una verità che non sospettava. Suo padre gli aveva spiegato che esistevano due mondi, e che la foresta di Am Moradh esisteva per segnare il loro confine, assicurandosi che fossero e restassero separati per sempre. Questi due mondi erano caratterizzati dalla presenza o dall'assenza di quella forza che Dòmhnall sentiva crescere in sé giorno per giorno, una forza che il ragazzo aveva sempre immaginato innata, eterna e immutabile, presente in ogni creatura, invece, con orrore, suo padre gli stava dicendo che non era così, che esistevano uomini e donne senza quella forza, invidiosi di quella forza, capaci con il proprio sangue e la propria carne impura di indebolire, fino a spegnerla per sempre, la loro diversa essenza. Dòmhnall aveva scoperto quella notte che quelle cose che lui sapeva fare, quelle che aveva appreso dai suoi genitori e che stava insegnando a suo fratello, non erano alla portata di tutti, che la forza che stava crescendo in lui era un potere straordinario concesso a pochi, ma anche una responsabilità gravosa, che solo pochi erano in grado di assumersi.

    Quella notte ho appreso che noi siamo Maghi e tutti gli altri no...

Aveva imparato quella parola quella notte, non l'aveva udita mai prima. Aveva imparato il suo nome quella notte, scoprendo con esso la propria forza e la propria maledizione. Aveva scoperto che la sua vita non era segnata, preordinata alla nascita, come quella di tutti gli altri, ma stava tutta nelle sue mani, poteva plasmarla a suo piacimento, affrontando di volta in volta le innumerevoli scelte che il destino gli avrebbe messo davanti. Quella notte, lo comprese subito, forte di quella nuova consapevolezza di sé, aveva smesso di essere solo un ragazzino ed era diventato un giovane uomo.

    Un Mago.

Erano passati mesi da quella notte di primavera, i suoi sogni continuavano a popolarsi di quei corpi, di quelle risate cristalline, di quei capelli rossi e biondi che si muovevano al vento, i suoi pensieri abbracciavano ancora, spesso, il dolce sorriso di Ina, ma aveva compreso che per lui tutto questo non contava abbastanza. Troppo alto era il prezzo di un desiderio, in fondo, incredibilmente futile. Entrò nell'acqua del fiume, scorreva placida e gelida, rabbrividì fino alle ossa, e lasciò che quel tremore spegnesse l'ansia e il desiderio che aveva sentito crescersi addosso. S’immerse fino a sentire le sue palpebre pesanti d'acqua, le sue orecchie chiudersi a qualsiasi rumore, fino a coprire completamente la testa; represse il respiro, fino a forzare i suoi polmoni, si trattenne ancora sempre di più, fino a sentirsi bruciare dentro, poi riemerse, i capelli corvini che si appiccicavano sulla pelle intirizzita delle spalle. Si lasciò cullare dall'acqua, diventando un tutt’uno con l’abbraccio fluido e ritmico del fiume.

*

Il vecchio sarebbe giunto a prenderlo entro il nuovo plenilunio, in un momento imprecisato, forse persino quella stessa notte: allora Ina, quelle donne, sua madre e suo padre, Cuilén e tutto il resto sarebbero spariti, simili a fantasmi del passato sul fare del giorno, non avrebbero lasciato che tenui tracce su di lui, come quell'acqua che eternamente scorre, non è mai la stessa, in mezzo a un mondo che vorrebbe essere immutabile come roccia antica.

    Nemmeno la più dura delle rocce resta immutabile e inviolata dal tempo.

Uscì dall'acqua grondante, si sedette sull'erba umida di rugiada, la brezza che gli gelava le gocce addosso, ancora un po' affannato, la mente vuota, pronto ad ascoltare la voce della sua foresta. Avrebbe scoperto nuove foreste, avrebbe ascoltato altri alberi, avrebbe conosciuto altri sentieri, ne avrebbe persino aperti di nuovi, sotto un cielo immutabile, quello sì, che si sarebbe acceso su di lui ogni notte. Di colpo capì quello che poteva e doveva fare. Il cielo era l’unica cosa immutabile che conosceva, ed era lo stesso in ogni terra in cui suo padre l’aveva condotto. Avrebbe insegnato a suo fratello, quella stessa notte, appena fosse ritornato alla radura, come restare sempre insieme: gli avrebbe insegnato a riconoscere il Carro dell'Orsa, gli avrebbe detto di osservarla, tutte le sere, e intanto stringere in mano il richiamo per gli uccelli che aveva costruito per lui; in questo modo, pur in terre diverse, per il resto della loro vita sarebbero sempre stati insieme, uniti da quello stesso cielo.

    E forse un giorno... chissà…

Rapido si asciugò dal viso le gocce che scendevano dai suoi capelli, aveva sentito sulle labbra qualcosa di salato, non voleva ammettere nemmeno con se stesso che per molto tempo avrebbe perso la sua battaglia con quelle lacrime. Fu allora che lo sentì. Era strano: qualcosa frusciava, irrispettoso, muovendosi incerto nel fogliame. Non era il suono naturale degli animali: quelli, nell'eterna scacchiera dei predatori e delle prede, cercavano sempre di non fare alcun rumore. Questo era un rumore innaturale. Rumore di passi, passi pesanti, passi erranti, passi diversi, uomini misti ad animali... Qualcuno delle “genti diverse” aveva violato Am Moradh, spingendosi fin lì, un luogo finora difeso dalle loro stupide superstizioni e dal fitto della boscaglia. Di colpo Dòmhnall ricordò che, alcuni anni prima, suo padre era stato catturato e tenuto prigioniero: era piccolo e all'epoca non aveva capito, aveva pensato che suo padre non fosse tornato a casa per oltre un mese perché aveva combattuto con un orso o una belva feroce, per via della cicatrice sul volto. Invece, quando gli aveva spiegato la differenza con gli “altri”, suo padre gli aveva parlato anche di quello che le “genti diverse” di solito facevano a quelli che chiamavano “strani”, “adoratori del demonio”, “dissacratori”, “figli di satana”, quelli come loro. Ricordò anche, con angoscia, che una Strega, per quanto forte e potente come sua madre, dopo il parto restava debole e priva di poteri per giorni, perché impegnata a passare al nuovo nato il suo “dono”, attraverso il sangue prima, e poi con il latte. Comprese di dover fare in fretta, doveva raggiungere gli altri, annunciare la presenza di estranei, aiutare suo padre a mettere in salvo sua madre e i suoi fratelli. Combattere al suo fianco.
Dòmhnall maledisse se stesso e la propria debolezza, sapeva che c'era un motivo serio se suo padre e sua madre non volevano che si allontanasse, soprattutto di notte, maledisse la propria stupidità: correva tra le foglie, leggero, senza far rumore, proprio come aveva appreso dai cervi, saltava tronchi d'albero e tagliava, a balzi, sui ciottoli scivolosi, l'ansa del fiume, per raggiungere la radura il più velocemente possibile e per celare al fiuto dei cani, li aveva sentiti, l'odore dei suoi passi. Non capiva quanti fossero, non capiva che cosa cercassero, non capiva che cosa li avesse spinti in un bosco che tutti consideravano spaventoso di giorno, figurarsi in piena notte: l'unica risposta che riusciva a darsi, era che stavano cercando proprio loro. Quando giunse alla radura, trovò tutto come aveva lasciato, suo fratello nella pelle d'orso, la tenda illuminata dalla Fiamma verde, l'ombra assopita di suo padre: si avvicinò, rapido e furtivo, fino all'ingresso della tenda, parlando piano, mettendo una mano sul braccio dell'uomo, e svegliandolo di soprassalto.

    «Ci sono degli estranei che si avvicinano alla radura, padre... dobbiamo allontanarci, portare la mamma e i bambini al sicuro!»

All'inizio, colto alla sprovvista, Cormacc parve non comprenderlo, poi dallo sguardo spaventato del figlio, l'uomo si rese conto di quello che stava accadendo, rifletté, poi decise di affidargli Cuilén e ordinargli di risalire il fiume fino alla sorgente, di aspettarli lì, mentre lui si sarebbe occupato della moglie e del neonato, seguendoli e coprendo intanto la fuga dei figli più grandi.

    «Padre... coprirò io la vostra fuga, posso rallentarli, mentre voi e la mamma… e i bambini... »
     «No, devi mettere in salvo tuo fratello, Dòmhnall, è questo il tuo compito... Qualsiasi cosa succeda, e te lo ripeto, qualsiasi cosa succeda, giurami che farai di tutto perché Cuilén raggiunga la sorgente!»

Non accettò altre obiezioni, Cormacc prese la sua pelle d'orso, ci avvolse dentro la Fiamma verde, dopo averle imposto un incantesimo che la chiudesse su se stessa, e diede una pacca sulla spalla del maggiore dei suoi figli, gettandolo fuori dalla tenda. Dòmhnall si voltò un'ultima volta per guardarvi dentro, prima di avviarsi al fiume: suo padre svegliava con difficoltà la madre, l'aiutava ad avvolgere il bambino in una pelle e li prendeva entrambi tra le sue forti braccia. Quando raggiunse Cuilén, il bambino dormiva ancora e Dòmhnall comprese che sarebbe stato più facile fuggire con lui se non si fosse svegliato, così avvicinò le labbra all'orecchio del fratello e recitò una nenia antica, poi se lo caricò sulle spalle e iniziò a correre risalendo rapido e spaventato il corso del fiume.

*

Per raggiungere la sorgente mancavano ancora alcune ore di cammino, ma Dòmhnall non ce la faceva più, era stanco, sfinito dalla corsa e dalla paura, attorno a lui il bosco era sempre e indistintamente immerso nel silenzio. Il ragazzo era nato e vissuto nei boschi, conosceva in particolare quella foresta come se stesso, eppure aveva paura, proprio come la prima volta che si era inoltrato tra quegli alberi e quei sentieri. Aveva paura perché dietro di se sembrava tutto immerso nel silenzio della morte. Non capiva... Dopo aver corso per un po' come un forsennato, si era fermato, tendendo l'orecchio, in ascolto, ma dalla radura non era salito alcun suono, non sapeva perciò se quegli uomini fossero davvero diretti nella sua radura, se avessero un’altra meta, se si fossero scontrati con suo padre o se avessero deciso di seguire lui. Quell'incertezza gli devastava la mente e popolava la foresta di voci, di sospiri, di fantasmi. Più di ogni altra cosa, però, lo angustiava non sapere niente del resto della sua famiglia. Suo padre gli aveva dato un compito, ma lui non ce la faceva a restare lì o a proseguire, senza sapere, gli passò per la mente un'idea folle, ma al momento gli sembrava fattibile: avrebbe nascosto Cuilén, in maniera che nessuno lo potesse trovare, poi sarebbe ritornato indietro, per vedere cosa fosse successo.

    Per aiutare la mia famiglia.

Si accostò a un albero, controllò con attenzione tutto attorno a sé, sentì che non c'erano nelle vicinanze animali pericolosi; depose suo fratello a terra, ai piedi dell'imponente pino, cauto, gli gettò addosso di nuovo l'incantesimo con cui l'aveva addormentato, poi camminò in cerchio attorno a lui, recitando altre litanie e concentrandosi su se stesso e la forza degli alberi, perché tutto intorno a suo fratello si elevasse una barriera che lo proteggesse da qualsiasi cosa. Sapeva come si faceva, l'aveva visto spesso fare a sua madre quando era più piccolo e se l'era fatto insegnare da lei, già da qualche anno, per avere sempre il controllo su Cuilén, quando la madre lo affidava a lui. Prese con sé la Fiamma e la pelle che la conteneva, non poteva rischiare che suo fratello si bruciasse, si guardò di nuovo intorno, mise a fuoco quell'immagine e la memorizzò, gettò attorno a sé degli incantesimi a distanza di cinquanta passi l'uno dall'altro per riconoscere il percorso, quando fosse tornato indietro. Poi si voltò. E i suoi passi si fecero via via sempre più rapidi e tumultuosi.


*continua*



NdA:
Ringrazio tutti per le letture e le recensioni e grazie per la fiducia a chi ha aggiunto ai preferiti/ seguiti, ecc ecc. 
A presto.
Valeria



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