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Autore: Lizzie_Siddal    04/03/2011    10 recensioni
Tyler avrebbe voluto gridare che erano degli stronzi ipocriti.
Avrebbe voluto che smettessero di fingere di essere la bella famigliola ricca, influente e perfetta che tutti credevano.
Avrebbe voluto urlare che i bambini non si toccano.
E non si toccano neanche quelli che bambini non lo sono più, ma nemmeno sono ancora totalmente uomini.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Jeremy Gilbert, Tyler Lockwood
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Moonchild
Fandom: The Vampire Diaries
Personaggi/Pairing(s): Tyler Lockwood e famiglia; Jeremy Gilbert (vaghissimissimo Jyler ma solo se davverodavvero volete leggercelo); implied Tyler/Vicki/Jeremy
Genere: Generale, Introspettivo, Angst
Avvertimenti: oneshot; violenza; un po' di bad language
Timeline: pre-serie, o tipo all'inizio della prima stagione
Conteggio parole: 1436
Challenge/Prompt: scritta per il team fucking!Angels del COW-T @maridichallenge; missione #2 della III settimana (prompt famiglia)
Note iniziali: Titolo orrido e random per quest'altrettanto orrida e random gen. Ma sticazzi. Il mio adorato team Angeli ha bisogno di ogni contributo possibile è_é *arruffa piume*




Il sapore ferroso del sangue bruciava sul labbro rotto di Tyler, mentre le sue narici si dilatavano frementi, i pugni stretti a viva forza.
Calmati. Respira. Calmati, dannazione!
Era successo di nuovo: l'ennesimo litigio con Jeremy Gilbert, l'ennesima rissa tra loro, finita con una vittoria del maggiore e un paio di lividi in faccia per entrambi.
L'adrenalina gli scorreva in corpo a velocità folle, nonostante fossero passati parecchi minuti dalla zuffa, conclusasi con l'intervento di Richard Lockwood.
Era un copione che si ripeteva sempre più spesso, senza che Tyler potesse farci niente.
Quella volta erano stati una battuta e uno spintone di troppo da parte del fratellino di Elena, fuori dal Mystic Grill, ma era capitato anche per molto meno.
Perché?
“Ty, sali in macchina” ordinò suo padre, freddamente.
Tyler fissava ancora in cagnesco Jeremy, che si stava pulendo il naso sanguinante sul colletto della felpa.
Voleva colpirlo ancora.
Più forte.
Il fuoco non s'era ancora spento, e lui nemmeno ricordava cosa l'avesse acceso, come in preda a un'amnesia.
“Tyler!” abbaiò nuovamente Richard Lockwood, e a quel punto lui si decise a distogliere lo sguardo e obbedire.
“Tutto a posto, figliolo?” chiese poi sbrigativo a Jeremy, che non rispose e si limitò ad annuire.
Cercava di tenere buon viso a cattivo gioco, e fare ombra ai casini provocati dal figlio con parole vuote e diplomazia, in pubblico.
Non erano in tanti, ma un piccolo gruppetto di avventori del locale si era radunato lì fuori, attorno a loro, per vedere cosa fosse successo.
Era buio, il parcheggio illuminato scarsamente dalla luce debole dei lampioni e da quella del plenilunio, ma chiunque avrebbe potuto riconoscere la voce del sindaco e le sagome dei due ragazzi.
“Okay, non è successo nulla”
Sorriso da campagna elettorale e pacca sulla spalla di Jeremy.
Tutto a posto. Non è successo nulla. Il motto preferito di suo padre.
Tyler lo guardò: anche se la sua espressione sembrava rilassata, la piega tagliente delle labbra era inconfondibile.
A casa facciamo i conti, diceva quella smorfia. E fare i conti, con una semplice traduzione Richard Lockwood-inglese, significava ti gonfio di botte così la prossima volta impari a non cacciarti nei guai.

Richard guidò in silenzio fino a casa - le mani strette a viva forza sul volante l'unico segno di quanto fosse furioso. In salotto, Carol Lockwood sedeva sul divano leggendo un libro, e quando lui le chiese gentilmente – con la gentilezza forzata e disgustosa di quei momenti – di lasciare la stanza, lei obbedì senza dire una parola. Solo, rivolse loro uno sguardo impietosito e preoccupato – maledettamente passivo e inutile - , prima di chiudersi la porta alle spalle.
Tyler contrasse la mandibola e deglutì, perfettamente conscio di ciò che sarebbe seguito.
Ricordava ogni singolo colpo ricevuto dalle mani furiose del padre, come se ognuno avesse lasciato una cicatrice indelebile sul suo corpo – nulla che si fosse riassorbito assieme ai lividi, col tempo.
Le botte erano rimarcate abilmente dalle parole, parole che gli martellavano nella testa a distanza di mesi orgoglio Ty, alza quel dannato mento e guardami negli occhi mentre ti colpisco! Non hai le palle di guardare tuo padre, come potrai dimostrare di essere un Lockwood? Di essere migliore degli altri? - e i suoi occhi stretti a fessura, a marchiare a fuoco la lezione.
Cinghiate, pugni allo stomaco, a volte calci. Solo e sempre in punti coperti dai vestiti, e che, in ogni caso, potevano essere spacciati per urti incassati sul campo da football.
Tyler non reagiva mai, non poteva – era come paralizzato dalla paura, o da un ordine non detto, urlato a viva forza nel cervello non appena Richard lo fulminava con un'occhiata feroce.
Non provare a difenderti.
Anche quella volta, Tyler chinò il capo, come un cane che sa di dover essere punito dal padrone, e pregò che finisse in fretta.

Mordendosi l'interno delle guance fin quasi a farle sanguinare, Tyler salì in camera a passi lenti e pesanti. Contò fino a dieci, interrompendosi almeno il doppio delle volte senza riuscire minimamente a calmarsi, e alla fine schiantò un pugno contro la parete, ferendosi le nocche.
Il dolore fu tiepido, pungente e bianco, ma durò solo qualche secondo prima di scomparire e accatastarsi in un torpore assente.
Lentamente, Tyler si sedette alla propria scrivania, tirando fuori un blocco di fogli da disegno e le matite.
Quella passione che aveva fin da piccolo era stata relegata passatempo vergognoso, e segreto: un hobby sporco, da tenere nascosto tra le pagine di libri che a fatica trovava la voglia di leggere, figurarsi a studiare.
Lo faceva stare meglio, nei momenti in cui tutto gli sembrava grigio e piatto, e, per qualche motivo, schifosamente triste.
Ultimamente poi, era peggio del solito.
Non sapeva come fosse cominciata, ma era folle, incomprensibile.
Semplicemente, perdeva il controllo per qualunque sciocchezza.
Come quella sera.
Tyler ci rimuginava su più spesso di quanto non desiderasse, e ne aveva paura, se ne vergognava.
Odiava l'idea di aver ereditato dal padre quegli scatti di violenza incontrollabili, e allo stesso tempo, facendo di questi pensieri, temeva di poter diventare, prima o poi, una specie di emo patetico come Gilbert – a trascinarsi da un'aula all'altra con lo sguardo da cane bastonato, occhi bassi e braccia strette ai libri, camminando rasente al muro come se desiderasse scomparirci attraverso.
Jeremy Gilbert.
Solo l'aspetto di quel ragazzino depresso, i capelli scompigliati, l'aria perennemente sconfitta e la postura di chi si senta sempre un pesce fuor d'acqua, lo mandavano in bestia.
Tutto in lui suggeriva debolezza e necessità incoerente di prenderlo a botte e umiliarlo.
Il basket, la palestra e il football non erano più sufficienti a sfogare l'aggressività – Tyler aveva dimenticato perfino la selvaggia soddisfazione fisica che gli provocava il respirare a pieni polmoni il sudore e la fatica degli avversari che riusciva ad atterrare sull'erba – e Gilbert era un bersaglio talmente indifeso e a portata di mano...
Gli faceva montare una rabbia pazzesca, poi, soprattutto quando sembrava credere che Vicki potesse volere qualcosa di più che della droga o una sveltina, da lui. Perché Tyler glielo leggeva sopra quella faccia anonima e apatica – Gilbert ci credeva.
Aveva lo sguardo di chi, nonostante tutto, vuole fermamente convincersi che un giorno la ruota girerà e i problemi scompariranno.
Forse era quello a rendere Tyler più furioso di tutto: nella debolezza di Gilbert, ma anche in quella speranza innocente e stupida, rivedeva se stesso.
Quando da bambino, cercava di convincersi che le minacce e le punizioni di suo padre fossero solo un insegnamento troppo rigido alla disciplina.
Quando, dopo aver scoperto che i genitori si tradivano vicendevolmente, non solo non aveva fiatato, ma aveva assecondato le bugie di entrambi, facendo finta di nulla.
Quando, segretamente, aveva sperato in qualcosa di più che qualche blanda e impacciata carezza da parte di una madre quasi del tutto assente, capace solo di sorrisi di plastica e tante belle parole, come il marito.
Il mio Ty.
E poi rimaneva zitta e immobile quando Richard si scagliava sul suo Ty – preferiva far finta di non vedere, Carol, forse perchè le avrebbe prese anche lei, se si fosse messa in mezzo.
Tyler avrebbe voluto gridare che erano degli stronzi ipocriti.
Avrebbe voluto che smettessero di fingere di essere la bella famigliola ricca, influente e perfetta che tutti credevano.
Avrebbe voluto urlare che i bambini non si toccano.
E non si toccano neanche quelli che bambini non lo sono più, ma nemmeno sono ancora totalmente uomini.
Invece era lì, di fronte a un foglio bianco, con una matita che quasi scompariva nella sua mano grande e robusta.
Ne poggiò la punta sulla carta, scoprendosi quasi emozionato di fronte all'immensa distesa di bianco che di lì a poco sarebbe andato a sporcare – come i segni che suo padre gli aveva lasciato sulla pelle, come i non-sorrisi di sua madre impressi nella memoria.
Calcò una prima linea curva, che qualche secondo più tardi, dopo aver subìto la pesantezza di altri segni e un paio di cancellature, assunse le fattezze di un viso.
Tyler era come in trance. Disegnava senza sapere cosa ne sarebbe venuto fuori, e il risultato lo stupiva – lo spaventava – , a poco a poco: corpi muscolosi, fauci, unghie appuntite e occhi ferini, prendevano vita con tratti netti e decisi.
Creature strane, né uomini né bestie, l'una accanto all'altra, in un piccolo branco.
Il ragazzo continuò a disegnare fino a tarda notte, sempre più rilassato, e quando infine crollò esausto a letto, sprofondò in sogni a tinte rosse, avvolti da una pace limpida e calda.
Correva nel buio, con altre persone, perfetti sconosciuti, eppure si sentiva uno di loro, sentiva che poteva fidarsi.
Che non l'avrebbero mai pugnalato alle spalle, che erano tutti parte indispensabile di una grande famiglia.
Lì non c'erano falsità, legami di convenienza o tradimenti.
Era semplicemente bello.
Al mattino però, Tyler non ricordò nulla di ciò che aveva sognato.
Tutto era svanito assieme alla luce della luna, sciogliendosi ai primi raggi di sole.


   
 
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