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Autore: Evil Daughter    25/03/2011    16 recensioni
Oltre ad essere rozza sei priva di delicatezza.
Pensò Vegeta. Dedicandole l’accusa.
Piegò le labbra in giù, fece maggiore pressione e l’ago schizzò fuori portandosi dietro una scia di sangue annacquato.
Ripensò al ricovero in ospedale, rimembrava ogni particolare; almeno da quando aveva riaperto gli occhi. Alcuni dettagli li avrebbe cancellati volentieri. Altri no, sedimentavano. Lo mettevano davanti a diversi interrogativi. Lei lo aveva salvato.
E sai come sprecare il tuo tempo.
Un pensiero ancora rivolto a lei.
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Vegeta? Un folle omicida. Ma Bulma lo sa bene: mai fermarsi a giudicare unicamente la coda del mostro.
La belva deve essere sempre osservata nella sua interezza.
Periodo trattato: triennio antecedente ai cyborg.
INIZIO RELAZIONE TRA BULMA E VEGETA. STORIA ILLUSTRATA.
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Nuovo capitolo, 18: PROGENIE SEGRETA SOTTO LAMPI DI GUERRA.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Dr. Gelo, Vegeta, Yamcha | Coppie: Bulma/Vegeta, Bulma/Yamcha
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti
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- Questa storia fa parte della serie 'ARANCE MARCE: Bulma e Vegeta, sbagliati e quindi veri.'
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EDIT del 28/12/2020: come potete vedere la pubblicazione di questo capitolo risale al lontano 2011, dopo tanti anni, questo inizio a me non piace più come allora, se non per pochi aspetti e unicità. Quindi, unico sforzo che vi consiglio è andate avanti, magari troverete questa storia non così scontata come potrebbe apparire in questo capitolo. Vedrete che poi la vicenda si farà molto movimentata come meno potreste aspettarvi. Provare per credere. Un grazie in anticipo a tutti i coraggiosi.

Prima di dare inizio alle danze: se disgraziatamente vi annoiaste dopo le prime quattro righe (mi auguro di no e vi consiglio caldamente di proseguire; nella coda sta il veleno) scorrete la pagina e date uno sguardo a cosa c'è in fondo.


Standby


Capitolo I - Il genio, il torvo, e un po’ di sangue.


Occhi rossi fissi allo schermo, cerchio insopportabile alla testa e piedi bramosi d’uscire da quelle che potevano essere meglio definite trappole mortali piuttosto che scarpe; a quel punto Bulma fermò il lavoro, mollando il resto delle pratiche da controllare alla segretaria.
Voleva tornare a casa per lasciarsi alle spalle i postumi di una giornata piena e sfiancante: starsene rinchiusa in ufficio, senza fare nient’altro che firmare cartacce, parlando con persone mai viste che, in alcuni casi, emanavano cattivo odore, non le si addiceva. Era un tipetto da laboratorio lei, amava stare con le mani in pasta a progettare nuovi congegni. Lei era l’ideatore, il genio. Non sentiva assolutamente di meritare tanta denigrazione per colpa d’un padre svogliato con l’aggravante dell’età avanzata. Pertanto, abbandonò rapidamente gli uffici della Capsule Corporation alla guida della sua hovercar, tirando dritta verso casa.

Scesa dal veicolo, una folata di gelo accolse il suo ritorno. Non ricordava ci fossero mai stati inverni tanto freddi, si strinse di più nel cappotto e camminando goffa e tremolante sui tacchi scomodamente alti; perché la femminilità non andava trascurata: "una donna deve essere slanciata" le diceva spesso sua madre, "a forza di indossare scarpe basse finirai per avere polpacci e caviglie da uomo", ultima arringa minacciosa che l’aveva definitivamente convinta a calzare i trampoli che aveva allacciati ai piedi; Bulma s’avviò con sforzo per raggiungere l’ingresso di casa. Ma si fermò: la navicella spaziale, che da un paio di mesi occupava parte dell’ampio cortile, era in funzione; il suo bislacco coinquilino, buon masochista, si stava ancora massacrando nella camera delle torture.
La scienziata arricciò il naso e fece passo, fosse stata più in forma gliene avrebbe cantata una. Sfortunatamente, nelle condizioni in cui erano i suoi nervi non avrebbe sopportato una sola parola da parte dell’altro.
Quindi, aggirò l’ennesimo urticante prurito della giornata.
Raggiunta finalmente la porta di casa, Bulma vi entrò con stizza esagerata. Era tardi e i suoi di sicuro s’erano già coricati.
Meglio.
Pensò.
Niente domande inutili.
Evitò la cucina. Anche se la fame era tanta, necessitava di farsi prima un bagno, per sciogliere la tensione e per togliersi di dosso tutti i germi che sentiva proliferare beatamente sulla sua preziosissima pelle.
Così, immersa in una vasca d’acqua bollente e avvolta in tanta schiuma, iniziò a sentirsi meglio. Nell’assoluto relax, tra il calore e i vapori dei sali che si scioglievano, soffermò i pensieri sul misterioso ragazzo giunto dal futuro e sulla notizia che con molto dispiacere aveva rivelato a Goku; e che Piccolo aveva poi riportato:

"Esseri umani mutati in macchine porteranno morte in ogni parte del mondo, nessuno potrà nulla per impedirlo. Tra tre anni ogni cosa sarà polvere."

L’inquietante pronostico era stato un trillo d’allarme per tutti, più che altro per lei; il resto della combriccola d'amici era parso bramoso di incontrarli, i beneamati cyborg; addirittura, era stata zittita quando, genialmente, lei aveva proposto loro la soluzione all'imminente catastrofe: eliminare il male alla radice, far fuori il folle scienziato del Red Ribbon.
Sapere che un mentecatto stava dandosi da fare per dare il benservito alla Terra, mentre loro si dedicavano ai sollazzi, facendo finta di nulla, era inconcepibile. Da veri incoscienti, a parer di Bulma.
Durante il travaglio su Namecc, lei aveva sviluppato un innato attaccamento alla vita; di buttarla via a causa dei compagni vogliosi di qualche scazzottata, non lo reputava affatto giusto. Sentiva che le cose stavano cambiando, che tirava un’aria pericolosa e, sebbene amasse l’avventura come le sue invenzioni... sembrava non ci fosse più posto per lei.
L’arrivo dei guerrafondai saiyan era stato indiscutibilmente ciò che aveva spostato l’ago della bilancia in un tracollo verso il caos. Ed esattamente in quell’istante, inevitabilmente, Bulma virò le attenzioni proprio al soggetto della questione, quello che per primo aveva bocciato in tronco la sua iniziativa anti-cyborg: Vegeta. Uomo imperscrutabile – o meglio, una scimmia – schivo, parecchio torvo, smisuratamente maleducato, in sintesi una montagna di innata alterigia. Le incuteva timore, certo, lo incuteva a chiunque e ci godeva nel farlo, però, assurdamente; alla vista di chi avesse voluto vederla da quest’angolazione; lei gli aveva elargito ospitalità ad occhi chiusi, fregandosene altamente di quanto fosse sporca la fedina del saiyan. Correndo il rischio con strana curiosità.
Sì, Vegeta era pericoloso. Aveva anche minacciato d’ucciderla, se si fosse intromessa per fermare la pazza mente del Fiocco Rosso... Ma Vegeta aveva pure dato una mano per resuscitare Crilin e Goku; e nonostante il visibile indigesto che provava per la Terra e i suoi abitanti, si stava allenando tenacemente per affrontare gli androidi prossima sventura del pianeta.
Lei lo apprezzava, tralasciando quella cocciutaggine votata all’esagerazione dell'esercizio fisico, che lo portava sullo sfinimento alla fine di ogni giorno, lei smisuratamente lo apprezzava.

Ancora nella vasca, Bulma allungò lo sguardo sulle dita dei propri piedi: facevano capolino fra la schiuma e le unghie erano laccate di rosso infuocato.

Chissà come sono i piedi di Vegeta...

Arrossì. Constatazione bizzarra, forse perversa. Non era nemmeno la prima volta che osservando il suo corpo fantasticava su quello del saiyan. Anzi, le capitava spesso. Come se, attraverso la pelle e le sue forme, riuscisse a comprenderlo di più. Tra loro non c’era dialogo o, perlomeno, non come comunemente si intendeva tra due persone normali. Le loro interazioni erano composte dagli irregolari monosillabi di lui con i quasi altalenanti monologhi di lei; se la giornata era fortunata, il cielo era sereno e alla radio trasmettevano la sua canzone preferita. Quasi mai.
Durante il resto del tempo, i due si pungolavano. Ed aspre erano le frecciatine che finivano per scambiarsi. 
E se dubbi ed incognite l’avevano sempre attratta come un magnete sin da quando era bambina, stare ora ad elucubrare sul “torvo di casa” era diventato un conturbante passatempo. Vegeta era il suo privato enigma da risolvere. Bulma sapeva che era lo spietato principe di una razza estinta con un pianeta andato in frantumi, e l’aveva visto all’opera più volte a manifestare la sua terrificante natura aliena. Quel Vegeta, però, non corrispondeva affatto all’uomo che da mesi le deambulava per casa, dalla presenza più assente che presente, e pacata se lasciato per fatti propri, senza stuzzicarlo.
Bulma era convinta, inoltre, di aver scorto qualcosa di triste e vacuo in lui, un’ombra nei suoi occhi severi. E non era malvagità, come il saiyan s’ostinava a mostrare e come tutti vedevano. Ne era sicura, c’era qualcosa che il ritroso alieno celava ferocemente dietro maschere di collera e cattiveria. 
Riassunto: le appariva frammentato, sdoppiato, i vuoti che restavano li riempiva lei. La convinzione che sotto quella corazza scostante e scorbutica nascondesse sentimenti umani era il suo personale e riservato punto di sutura.

Sembri saperla lunga. Che vogliamo fare? Un giorno di questi lo portiamo giù in laboratorio, lo stendiamo sul tavolo operativo e smantellandolo in più parti proviamo a vedere se pure lui ha un cuore?

Scendi dalla navicella spaziale, facci il piacere, tesoro.

La sua coscienza, quella che tutti dovrebbero possedere, quella sincera, immediata, che palesa le cose per ciò che sono; nel caso della scienziata irrazionali.
Con malgrado, Bulma ne aveva una. Addirittura più irritante di lei.

 

Mani lesse, acqua fredda. La scienziata decise di abbandonare il piacevole brodo primordiale in cui s'era immersa e che l'aveva rigenerata. S’asciugò alla meno peggio e, vestita nel suo pigiama, un maglione di una taglia molto grande rispetto alla sua esile figura e che a caratteri cubitali riportava il suo nome, si mosse per raggiungere la cucina.
Nel frattempo, diede una sbirciatina fuori, in giardino. Notò che finalmente la gravity room all’interno dell'astronave era stata spenta. Osservazione che la dilaniò in due metà: se da una parte era contenta che il bieco saiyan avesse finalmente sospeso di flagellarsi, dall’altra non voleva assolutamente incontrarlo.
Si sentiva strana, quella sera, e per nulla pronta ad affrontarlo. Neanche avesse dovuto lottarci in un corpo a corpo.
Ma trattare con Vegeta significava partecipare ad una maratona senza aver mai corso, soffrendo pure di tachicardia.
Il risultato: un rigor mortis sicuro. Con lui ci voleva polso duro e battuta pronta, mai farsi vedere fiacchi. Altrimenti, se ne sarebbe approfittato.
Affrettò il passo, con la speranza di non incrociarlo. Il suo spauracchio, purtroppo, l’aveva battuta sul tempo: se ne stava nel buio della cucina, illuminato solo dalla fioca luce del frigorifero e chinato ad ingozzarsi come una bestia, in un atteggiamento che rasentava quello d’un ladro intento a portarsi via l’intero malloppo.
Bulma cercò di non farsi sentire e s’accucciò pure lei. Restò ad osservarlo silenziosamente, facendo capolino dalla parete che separava il salotto dalla cucina.
Rifletté che quel che lei stessa stava facendo era assai commentabile.

Spiare: roba da vigliacchi mascalzoni.

Pensò, ma scansò a pedate il pensiero e continuò a studiarselo.

L’esemplare più bello d’una specie ormai estinta...

Un momento... Aveva detto che era bello? No, l’aveva solo pensato tra sé.

Sì, dopo questa, alla prossima dillo ad alta voce, faglielo sentire, così, tanto per vedere come reagisce. Magari ricambia e ti divora come sta facendo adesso con quel cosciotto di carne. Oppure s’arrabbia e ti divora e basta.

Dov’era la differenza?
Non la stava aiutando, non la stava aiutando per niente quella voce nella sua testolina dalla chioma tutta ciano.
Doveva andarsene subito via. Al diavolo la cena, si sarebbe rifatta l’indomani con un’abbondante colazione.
Sgattaiolare senza farsi sentire: prima opzione. Tanto, lui pareva non essersi accorto di nulla. Oppure, per evitare il rischio, aspettare che finisse per poi uscire allo scoperto e nutrirsi anche lei. Sempre che l’ingordo non ingoiasse pure il frigo.

«Vuoi smetterla di spiarmi!»

Troppo tardi.

Il saiyan aveva ringhiato improvvisamente facendola sobbalzare dallo spavento e interrompendo così il flusso delle sue speranze.
A tradirla, secondo lei, era stato un mugolio del proprio stomaco affamato. In realtà lui s’era accorto da un pezzo che stava nascosta. La smemorata aveva dimenticato le capacità sensitive ultra-sviluppate che egli possedeva.
«M’hai fatto prendere un colpo! Che modi sono i tuoi? Sei un animale sai? Vergognati!»
«Zitta, se qui c’è qualcuno che deve vergognarsi quella sei tu. Mi stavi spiando.»
«Non ti spiavo!... Ad ogni modo, vorrei ricordarti che qui sono in casa mia, e quindi ho carta bianca per fare qualsiasi cosa io voglia!»

Anche per sbavare dietro ai tuoi ospiti?

Coscienza pignola. Il tono con cui s’era giustificata non era stato nemmeno tanto convinto. E beffardo e consapevole della risposta di circostanza, il torvo non replicò lasciando morire il battibecco nel silenzio che li circondava.
L’aveva spaventata, poteva dirsi soddisfatto per quella sera. Ultimamente, se c’era qualcosa che a Vegeta dava gusto era atterrire la terrestre, spegnerle il cicaleccio continuo ed insopportabile.

A guardarlo nella penombra, sembrava provasse soddisfazione. Certo, si compiaceva nel vederla così a disagio. Pensò lei.
Contrariamente alla baldanza di Vegeta, Bulma era un agglomerato di cocente imbarazzo.
Iniziò a farsene una ragione, optando per un digiuno, poiché, di quel passo, con l’inquietante presenza del cumulo di superbia, non sarebbe riuscita a sfamarsi. E mentre s’avviava in direzione del salotto per raggiungere le scale dirette al piano superiore, i suoi piedi nudi ed infreddoliti calpestarono qualcosa di bagnato ed appiccicoso.
Inorridita dalla sensazione e maledicendo se stessa per il vizio di girovagare sempre scalza come una zingara, corse ad accendere la luce. Le si aprì un sipario raccapricciante: parte del pavimento era tappezzato da piccole gocce d’un colore rossiccio, non completamente calpestate. Le gocce iniziavano a metà della cucina e poi tornavano indietro fino a lei che saltellò come per non farsi toccare da queste ed assicurarsi che non fosse lei a perdere sangue. Ne risultarono un altro paio di stampi dei suoi piedi ormai sporchi.
Analizzando il resto del pavimento, che s’era ridotto quasi ad una artistica composizione astratta, Bulma s’accorse che macchioline più scure e dense campeggiavano sull’entrata, giravano attorno al tavolo, e non ad intervalli regolari, arrivavano al frigorifero per accumularsi, e finivano col raggiungere il saiyan; il quale, nel frattempo, s’era messo comodo su uno degli sgabelli della cucina con un’aria del tutto indifferente.
Alle grida della scienziata s’aggiunse un impercettibile plick.

«Vegeta, sei ferito!»

Una chiazza marrone all’altezza della spalla si stava estendendo inzuppando quasi del tutto la felpa verde da lui indossata, rendendola più antiestetica di quanto essa già non fosse. Il sangue aveva trovato strada lungo il braccio sinistro, continuava imperterrito a sgocciolare lentamente seguendo il profilo della mano di Vegeta.
Bulma scattò verso di lui, senza curarsi di dove mettere i piedi, timbrando maggiormente le mattonelle già sporche. Poi, allungò le mani. «Hai bisogno di una medicazione!» Neanche il tempo di dire o fare altro che lui, in una smorfia forse di dolore, le afferrò un braccio con veemenza per spingerla via. Lei rimbalzò violentemente addosso al piano cottura: una bella botta al fianco, preliminare per lividi, con fitte lancinanti ad ogni movimento che l'avrebbero sorpesa nel giorno a seguire. Per non parlare del braccio che il saiyan le aveva ghermito in una stretta simile ad una tenaglia.
Vegeta rimase sconcertato, non credeva d’averci messo tanta forza, possibile che i terrestri fossero così dannatamente deboli? Era già pronto ad una sfuriata o ad un pianto tragico. Invece, contrariamente alle sue aspettative, lei non accusò dolore. La scienziata fece un respiro profondo e tornò nuovamente da lui, che ora la osservava sbalordito.
«Fammi vedere.» Lo esortò, tono inflessibile.
Vegeta ubbidì, insolito, sporgendosi verso di lei. Senza fare obiezioni stavolta. Si sfilò la felpa per farsi esaminare.
La ferita, ringraziando il cielo, non era né profonda né estesa, però, continuava a perdere sangue. 
Come facesse lui a starsene tranquillo, Bulma non riusciva a spiegarselo.
Colpa dei tuoi allenamenti.
La sua prognosi: disinfettante, qualche giro di bende e danno risolto.
Senza proferire parola, Bulma si districò per la cucina in cerca di garze e quant’altro occorreva.

Troppo delicata... Una donna piccola e troppo delicata. Anzi, una ragazzina.

Era l’analisi di un Vegeta che cominciava a sentirsi alquanto infastidito da quella situazione e dal fatto che s’era ammansito inspiegabilmente; e poi, elaborare giudizi su di lei, in base ad una eccessiva osservazione, gli urtava non poco i nervi.
Poteva benissimo accantonarla dov’era e filare via, non aveva bisogno di cure, lui. Eppure, non si mosse. Come un cane che si fa docile per mordere, il saiyan era alla mercé della scienziata.
Bulma gli pulì la ferita, tamponando il sangue, e gliela disinfettò. Pratica che procurò un fremito al bieco silenzioso. Sì, perché nei brevi minuti necessari al compimento dell’opera, Vegeta s’era fatto muto. Probabilmente una tregua la sua. 
Lei a malapena riusciva a nascondere il batticuore. Gli era talmente vicina che percepiva il respiro di Vegeta, la pelle calda sotto le dita e l’odore di sudore misto al metallico del sangue; peccato per l’antisettico, che stava coprendo quell’odore. Per sentirlo meglio, avrebbe dovuto avvicinarsi di più a lui. Le stava girando la testa, era in preda ad una vertigine. Le mani tremavano.

Da quand’è che ti piace l’odore di un assassino?

E la coscienza l’assillava senza sosta, insolente e dispettosa. 
Intanto, aveva iniziato a passare il primo giro di bende per coprire quello che di lì a poco si sarebbe tramutato nell’ennesimo sfregio su un corpo visibilmente stremato. Vegeta si limitò semplicemente a lasciarla fare, statico nel suo silenzio, puntando gli occhi altrove.
«Avresti dovuto farti controllare subito, con una ferita del genere. Guarda come hai ridotto il pavimento, sembra un macello!»
Meglio chiacchierare e distogliersi dal desiderio di...
Di che?

«È solo un graffio.», rispose lui.
«Io capisco gli allenamenti, ma la tua sta diventando un’ossessione!» Questo avrebbe potuto dirlo anche a se stessa: l’ossessione era uno stato che di recente viveva anche lei. E nel mentre dell'occasionale e particolare conversazione, da record sulle classifiche della loro hit-parade delle interazioni, la testa continuava a girarle veloce, ovattata. Ed il cuore ci dava dentro: le macinava battiti da stramazzo.
«Te l’ho detto, non è nulla. Piuttosto, impicciati degli affari tuoi.»
«Infatti, lo sto facendo, tu sei affar mio
Tu sei affar mio...
L’ho solo pensato, vero?
No, stavolta l’hai detto, gli hai dato fiato.
Senza ragionare, le parole le si erano srotolate di bocca. Spontanee. Nessun filtro, nessun controllo. Inutile tentare di riparare, ormai il danno s’era compiuto.
Quel mio pesava come un macigno. Un’affermazione tanto breve quanto significativa lasciava molto ad intendere al suo interlocutore.
Voleva piangere e scappar via. 

Adesso lo sa, sì che lo sa, ha capito.

Diceva a se stessa.

Certo... Ma cosa dovrebbe aver capito?

La interrogava la coscienza.

Non ci stava capendo nulla, aveva completato il lavoro da una decina di secondi ma non riusciva a mobilitare un solo muscolo: era rimasta pietrificata. Con tutta la luce che illuminava l’ambiente, nulla poteva occultare il suo musetto completamente rosso. «Ho... ho finito.» Concluse, infossando lo sguardo a terra, come se bastasse a rimediare a quel che aveva sciorinato con troppa sicurezza.
Vegeta se la guardava con gli stessi occhi di chi veniva a conoscenza di verità che non voleva assolutamente sapere: non gliene fregava nulla, ma il senso l’aveva compreso. Non era un idiota.
«Tsk, ragazzina... »
L’ammonì e s’alzò strusciando rumorosamente le zampe dello sgabello. Un' azione che fece di proposito, per rompere quella specie di incanto, per porre fine alla strana atmosfera – troppo intima per i suoi gusti – che non doveva esserci ma che s’era andata ugualmente a creare, fra loro.
La lasciò sola, senza ringraziarla.

Fra il rumore scorticato e il sentirsi dare della ragazzina, la testa non le girava più. Faceva male e basta.


La scienziata aspettò con sconforto che i silenziosi e diligenti robot pulissero lo sfacelo appiccicato sul pavimento della cucina – e che non si limitava ad imbrattare solo quell'ambiente – per evitare sicure grida d’orrore al mattino. I suoi genitori se ne sarebbero accorti.
Si pulì i piedi e buttò ovatta e fazzoletti sporchi nella pattumiera. Raccolse dal pavimento la felpa ormai da buttare di Vegeta. Poi, a testa china, raggiunse la sua camera.
Chiusa la porta, s’adagiò su di essa pesantemente. Gli era stata vicina per pochi minuti, ma aveva avvertito lo stesso un'insolita sensazione, diversa: non era l'abituale voglia di sfidarlo a parole per dimostrargli di non temere nulla, nemmeno lui; tanto meno la paura d’essere di fronte a uno degli esseri più pericolosi dell’universo; era stata una vibrazione. Una vibrazione che aveva risuonato in lei col cieco istinto di volersi propagare anche in lui. Ne conosceva bene il significato e la faceva vergognare.

Stringendo ancora tra le mani la felpa sporca del sangue del saiyan, Bulma raggiunse il letto, spense la luce. E spense la testa con la sua mente geniale.


Continua...
 

Note:
1. I capelli di Bulma sono di un lilla scuro, direi più violetto, ma per motivi pratici e di comodità, oltre che di gusto, ho scelto di dar retta alla serie televisiva.

2. Bulma potrebbe apparire piuttosto prematura, confusa – idem per il racconto – e voi potreste confondervi nella lettura assieme a lei... va benissimo, così mi piacete.

3.Il periodo in cui si svolge la vicenda è semplicemente quello durante l’attesa dei cyborg, prenderò a mio piacimento alcuni momenti che son stati creati solo nell’anime e di questi non vi garantisco l’ordine cronologico. 4.Vegeta suggerisce di spostare l’entità di Crilin e Goku sulla Terra per poi poterli riportare in vita ma, come sapete, all’eroe non servirà.
5. Quello che vedete è un disegno che ho fatto per voi, perché vorrei che ve li immaginaste come li vedo io. Senza nulla togliere al grande Akira e alla perfezione della sua forma stilizzata, naturalmente.
(È stato abbastanza difficile tramutarli in figure quasi reali, soprattutto Vegeta, renderlo umanamente appetibile rispettando la sua fisionomia mi è sembrato quasi impossibile, e ancora non sono pienamente convinta che possa piacervi... Ditemi voi). 

   
 
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