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Autore: Wendy 92    27/03/2011    0 recensioni
Anna e Luca...il mio distretto 10.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Le onde del mare si infrangono sugli scogli scuri e ruvidi. Il mare è mosso, agitato, quasi volesse sottolineare il mio stato d'animo di questi ultimi due mesi. E' una giornata di metà settembre. L'estate è finita e l'autunno è alle porte. Il vento si muove silenzioso ma minaccioso, provocando una danza delle conchiglie più leggere a riva. Sul lungomare ci sono un paio di famiglie con bambini a seguito. Alcuni sono nel passeggino, altri scorazzano sulla sabbia, divertiti dai giochi aerei dei gabbiani,. I genitori li osservano con amore e tenerezza. Istintivamente mi siedo sulla sabbia fredda, quasi gelida, e chiara. Mi accarezzo il ventre, fantasticando sulla sorte del bambino che porto in grembo. Tutto si dissolve però, come una bolla di sapone. Il mio bambino non avrà nessun papà che lo prenderà in braccio, che gli insegnerà a camminare. Semplicemente perchè questo piccolo ha solo me, avrà solo me, purtroppo. E' vero non gli potrò dare lo stesso affetto due genitori insieme ma io ce la metterò tutta. Gli riserverò tutte le attenzioni possibili, anche a rischio di viziarlo. Voglio che abbia ciò che desidera, non dovrà mai vergognarsi della sua vita, dovrà vivere una vita bellissima, piena di gioie e poche sofferenze. Le urla e gli schiamazzi dei bambini mi riportano alla realtà. Giocano ancora sorridenti e pieni di vita sulla spiaggia. Sono freschi, allegri, frizzanti e innocenti. Continuando a osservarli teneramente, mi alzo e mi dirigo a casa. Il tramonto è imminente e il freddo è più tangibile. Fortunatamente l'appartamento è caldo. Preparo la cena e mi siedo in tavola. Sono giorni che ripenso alla lettera che ho spedito a Luca. Quella lettera mi è costata davvero cara. Gli ho detto di essere incinta, è vero ma allo stesso tempo gli ho mentito: gli ho detto che il bambino è di un altro, un ipotetico ragazzo che dovrei aver conosciuto all'università. Bugie, menzogne. Il bambino è suo. E' il frutto della nostra unione l'ultima mia sera a Roma. E' stata la prima e anche l'ultima volta. Poi mi sono trasferita a Trieste, non ne abbiamo più parlato e non ne parleremo. Dopo quella lettera, Luca non si è fatto più sentire. Talvolta mi manda un messaggio sul cellulare ma lo conosco troppo bene. E' freddo, indifferente. Se manda qualche messaggio è perchè si sente obbligato. Obbligato dalla nostra amicizia, dal nostro legame, dall'amore a modo nostro. Ma io non lo colpevolizzo affatto. Sono stata io a prendere questa decisione. Forse me ne pentirò o forse no. Ma per ora non ci voglio pensare. Voglio godermi questa gravidanza in tranquillità, da sola. Finisco la cena, lascio i piatti in lavastoviglie e vado a letto. I raggi del sole penetrano debolmente dai buchi della tapparella. La sveglia comincia a suonare insistentemente, così con un colpo riesco a farla frantumare a terra. Stamattina non ho proprio la forza, la voglia necessaria per affrontare una giornata all'università, tra lezioni di biologia e scienze. Fisicamente sto benissimo, a volte non credo nemmeno di essere incinta. Probabilmente è una questione psicologica. Oggi ho solo voglia di pensare a me, solo a me e al mio piccolo o piccola. Mi alzo a fatica e preparo una colazione leggera. Dopo aver lavato anche i piatti di ieri sera, mi dirigo sotto la doccia, per riscaldarmi. Indosso un abbigliamento pesante, dalla finestra sento che l'aria è diventata più fredda dei giorni precedenti. Prendo la borsa, il giubbino ed esco di casa. Avevo ragione. L'aria è fredda, quasi fastidiosa. Il vento è silenzioso ma tagliente sul viso. Sistemo meglio la sciarpa sul collo, coprendomi maggiormente. Passeggio lungo le strade principali di Trieste. I negozi sono aperti, le donne più anziane sono ferme a chiacchierare con il panettiere, con la commessa del supermercato. Non ci sono bambini in giro, saranno a scuola. Osservandomi in giro, noto un fiocco azzurro appeso a un negozio di calzature. Passando lì accanto, riesco a scorgere alcune parole della proprietaria con una cliente. "E' così piccolo e indifeso. Mia figlia e mio genero sono al settimo cielo!" Abbozzo un sorriso e passo oltre. Chissà la felicità de due genitori. Mi sfioro il ventre e mi faccio coraggio. Anch'io sarò al settimo cielo, quando nascerà, anche se sarò sola. Ma poco importa, avrò lui. Continuo la mia solitaria passeggiata, pensando e riflettendo. ... Aprile, primavera. Le giornate si sono allungate. La pioggia, la nebbia e il freddo hanno lasciato posto al sole, al caldo. Da qualche settimana sono entrata al nono mese di gravidanza. Tutti questi mesi sono trascorsi velocemente. Il mio stato di salute è più che buono. Il medico mi ha detto che, nonostante la mia situazione di ragazza-madre, questa gestazione l'ho gestita nei migliori dei modi. Ho scoperto il sesso: sarà un maschietto. All'inizio non sono stata molto contenta, avevo paura che il bambino potesse somigliare a Luca, e quindi potesse farmi ricordare quei momenti così strani, forse un pò spiacevoli. Ma poi ho capito che era mio figlio e io l'avrei amato, così come mi sono promessa il giorno in cui ho saputo della sua presenza, se avesse somigliato o meno a Luca. Sono a casa. Sto preparando un'esame alquanto complesso. Il bambino non mi aiuta per niente, continua a scalciare imperterrito. Non ho ancora deciso il nome. Ho comprato persino il tipico libro dei nomi ma ce ne sono troppi e io non so decidermi. Mi rassegno. Non riesco a continuare lo studio così mi sposto sul divano, per rilassarmi un pò. Il piccolo scalcia, non ne vuole sapere di smettere. Mi accarezzo il pancione, cercando di tranquillizzarlo ma invano. D'un tratto sento il divano inumidito, sfioro la fodera ed è completamente bagnata. Mi tocco il ventre ed è umido. Cerco di stare calma e tento di chiamare l'ambulanza. I medici non tardano ad arrivare, mi caricano su una barella, mi trasportano sull'ambulanza e partiamo. Le doglie cominciano dolorosissime, i due infermieri mi stringono la mano, mi incitano, mi fanno forza. Arriviamo in ospedale e immediatamente vengo portata in sala parto. Uno dei due infermieri di prima, continua a starmi accanto, mi stringe la mano e mi da forza. L'ostetrica mi dice di respirare e di cominciare a spingere. Ma è difficile, non ce la farò mai. "Forza Anna! Spingi, così tutto finirà!"esclama l'ostetrica. Parla facile lei, non è mica costernata da dolori atroci e la paura di non farcela. "Anna forza! C'è in ballo il tuo bambino!"mi dice l'infermiere, stringendomi la mano. Lo guardo negli occhi ed è come se rivedessi Luca. Il suo sorriso, i suoi occhi. All'improvviso, stupendomi anche di me stessa, comincio a spingere maggiormente, fino allo stremo delle forze. Dopo tanta fatica, sento un pianto, un vagito. Mi blocco e guardo l'infermiere, che osserva estasiato la scena davanti a me. Io non posso perchè un telo verde mi ostacola la vista. Il piccolo continua a piangere,ininterrottamente. Ho anche paura, è normale questo pianto? O è sintomo di qualcosa? "Anna stai tranquilla, sta benissimo. E' un bellissimo maschietto!"ecsclama l'infermiere sorridente. Sul mio volto compare un sorriso a 32 denti e stremata ma felice mi appoggio sui cuscini del lettino. L'infermiere, di cui ho scoperto il nome, Francesco, si allontana, dirigendosi dalle altre infermiere. Mi guardo attorno, la stanza è illuminata da fari quasi accecanti, qualasiasi tipo di tessuto è verde. Sono totalmente sudata, i dolori ormai si sono atrofizzati, adesso ho solo voglia di vedere, abbracciare mio figlio. Francesco si avvicina sorridente e tra le braccia ha un lenzuolo verde, aggrovigliato. E' lui. E' il mio bambino. L'infermiere me lo porge sul petto, delicatamente. Gli occhi iniziano ad appannarsi per l'emozione, la felicità. Il piccolino continua a piangere ma quando con una manina afferra il mio indice smette, adesso quasi mi sorride. Questo pargoletto è mio figlio, è lo stesso bimbo che è cresciuto in tutti questi mesi dentro di me, con me. Penso ancora di sognare, perchè non ho realizzato niente. "Anna mi dispiace ma adesso te lo devo portare via, per le analisi di routine! Te lo porteremo più tardi direttamente in stanza!" mi dice Francesco raccogliendo il piccolo, che ricomincia a piangere. Ed è un bruttisima sensazione, come se mi avessero strappato la mia unica ragione di vita. Ma mi consolo, ripensando alle parole dell'infermiere: me lo porteranno più tardi in camera. Nel frattempo alcune infermiere mi aiutano a cambiarmi e mi assegnano la stanza dove dovrò rimanere altri due giorni, per osservazione. In camera ci sono tre letti, di cui uno è già occupato da una ragazza e gli altri due sono vuoti. La ragazza del letto vicino alla finestra avrà più o meno diciotto anni, se non di meno. Adess sta allattando suo figlio, passeggiando su e giù per la camera. Dopo aver sistemato le ultime cose nell'armadietto, mi sistemo nel letto, aspettando l'arrivo di mio figlio. Osservo la ragazza che adesso sta coccolando il piccolo. "Maschio o femmina?" chiedo sorridente, per rompere il ghiaccio. Lei si ferma davanti al mio letto e guarda il piccolo che ormai si è addormentato. "E' una femmina. Si chiama Isabelle!" mi risponde orgogliosa, con gli occhi lucidi. "E' un nome bellissimo!" "Grazie. E lei?" "Oh dammi del tu. Comunque è un maschietto, me lo dovrebbero portare a breve!" "Come l'hai chiamato?" "Ancora non saprei...avrei tante idee ma ne devo scegliere comunque uno!". La ragazza appoggia la piccolina nella culla,adiacente al letto per poi avvicinarsi nuovamente a me. "Comunque io sono Stefania!"esclama sorridente, porgendomi la mano. "Piacere Anna!"dico ricambiando il gesto. Stefania sta per dire qualcosa ma viene interrotta dall'entrata di qualcuno. E' Francesco, che spinge una culla di plastica davanti a sè. Stefania allora si allontana. Io mi sporgo maggiormente e intravedo un piccolo pargoletto, avvolto da una copertina celeste. Sopra la testolina, un'etichetta non ancora scritta. L'infermiere l'accosta alla mia destra. Non so ancora cosa mi stia succedendo. Sento un fuoco, dentro, che mi brucia ma contemporaneamente ho paura. Paura di non esserne all'altezza. Francesco lo prende e per la seconda volta me lo porge tra le mie braccia. E' così piccolo, indifeso. Sta dormendo beatamente, come se stesse in un mondo a parte. Il viso è morbido, roseo. La bocca piccola è rossa, appena accennata. Gli occhi chiusi, le sopracciglia chiare, quasi non si vedono. Entrambi le mani sono chiuse in due minuscoli pugni, appoggiate al petto. "Che nome devo mettere?"chiede Francesco con la penna in mano. "Gori!"esclamo fiera. "Ma non è il tuo?!"domanda dubbioso. Annuisco sorridente, per poi tornare a mio figlio. L'infermiere riceve una chiamata e mi lascia. Osservo attentamente il mio bambino, mio figlio. Ancora non riesco a individuare qualche somiglianza con Luca ma forse è ancora presto. "Anche tu sola?"irrompe Stefania, ora seduta sul suo letto. "Perchè, anche tu?!" "Già..." "Mi dispiace. Per quanto mi riguarda, la mia è stata una scelta. Non l'ho detto al diretto interessato, anzi gli ho fatto credere che è di un altro!"confesso apertamente. Non so perchè l'ho fatto, forse avevo bisogno semplicemente di dirlo a qualcuno. "La mia Isabelle è stata giudicata quando ancora non si era nemmeno formata del tutto. Gliene hanno detto di tutti i colori, a partire dal padre biologico, i miei genitori. Ma io non ce la facevo ad abortire , ormai la sentivo mia a tutti gli effetti. Così sono fuggita di casa e ho continuato la mia vita, con la mia bambina!" "Stefania quanti anni hai?"chiedo istintivamente. Lei sorride, divertita. "Ho 17 anni, Anna!" Io sono allibita. Come può una ragazzina, trovare tutta questa forza di combattere contro tutto e tutti?! "Scommetto che ti starai chiedendo come ho fatto..." E' evidente che ha capito i miei pensieri, dalla mia espressione. Annuisco più volte, aspettando la sua risposta. ... Stefania mi ha raccontato la sua storia. Ha sofferto tanto, è vero, però è sempre riuscita a trovare la forza per affrontare la vita. Vorrei essere anch'io così, una personalità forte, decisa ma io riesco solo a scappare e fuggire lontano dai problemi. L'ammiro davvero, dal profondo del cuore. Adesso sta riposando, tranquillamente. Io, invece, non mi stanco di osservare il mio bambino, al quale prima o poi dovrò anche dare un nome. Istintivamente mi volto verso la mia compagna di stanza e ho l'intuizione. Lo chiamerò Stefano, proprio come lei, piena di vita e di forza. Anche mio figlio dovrà essere forte, coraggioso, non debole e fragile come la madre. ... Sono passati 18 mesi dalla nascita di Stefano. Passano i giorni e somigla sempre più a Luca, suo padre. Gli occhi verde-nocciola hanno lo stesso taglio di quelli di Luca, anche le labbra sono identiche alle sue. Con Stefania siamo rimaste in contatto.Qualche volte ci incontriamo al parco giochi,per fare due chiacchiere. Ha incontrato un ragazzo che la ama veramente ma soprattutto è invaghito di Isabelle. Sono andati a vivere insieme in un paese di montagna, a pochi chilometri da Trieste. Per quanto riguarda la mia vita, è sempre la stessa. Sto finendo la tesi, e a breve la dovrò discutere e finalmente laurearmi. Per adesso lavoro presso un'azienda di vendite porta a porta, anzi per telefono. Il mio datore di lavoro, infatti, dopo aver saputo della mia situazione con Stefano, mi ha permesso di lavorare di svolgere il mio lavoro direttamente da casa. Stefano cresce giorno dopo giorno, dimostrando anche la sua personalità. E' un bambino vivace, allegro e non si stanca mai. L'unica cosa di cui mi preoccupo è che ci sono volte in cui comincia a tossire in continuazione, emette dei sibili, quasi andasse in dispnea. E' successo già un paio di volte, così ho fissato un appuntamento con il pediatra, per oggi pomeriggio. L'appuntamente è fissato per le 14 e io sono parecchio distante. Preparo da mangiare sia per Stefano che per me. Prima di imboccarlo però devo accendere la radio e fargli ascoltare Radio Italia, quasi fosse una stazione magica in grado di incantarlo e ammaliarlo. Dopo pranzo, lo cambio. Indossa una salopette di jeans, con sotto una maglietta azzurra, le scarpe bianche e il cappellino di Bugs Bunny. Dopo averlo vestito, lo sistemo nel box. Mentre lui si diverte con i suoi giochini, io riesco a lavarmi i piatti, vestirmi e preparare la borsa con i relativi pannolini, salviettine e giochini vari. ... Sono nello studio del medico. Fortunatamente non c'è molto da aspettare. Stefano continua a tossire, il che non è un bel segno. Una nonna e un nipote escono ed entriamo. Dopo i primi convenevoli, gli spiego la situazione e confesso la mia preoccupazione. Il pediatra posiziona Stefano sul fasciatoio e dopo averlo svestito, lo visita accuratamente. Durante la visita, non proferisce parola e questa cosa non mi piace affatto. Poco dopo, lo riveste e lo rimette nel passeggino. "Dottore, allora?"sbotto nervosa. Lui si accomoda dietor la scrivania e mi guarda. "Allora Anna, non sono ancora certo ma credo che Stefano sia affetto da asma bronchiale. Per verificarlo e accertarlo, dovremo fargli alcuni accertamenti. Solo allora avremo la conferma." Io non lo sto più ascoltando, mi sono fermata all'asma bronchiale. Lui probabilmente avrà capito. "Anna non si preoccupi. E' una cosa comune oggi."cerca di rassicurarmi. "In cosa si tratta esattamente?" "L'asma bronchiale è una malattia respiratoria, caratterizzata da una forte difficoltà di respirazione, dovuta all'azione di diversi fattori, quali uno stato di costruzione della muscolatura dei bronchi. Praticamente Stefano presenta un'aumentata reattività delle vie respiratorie a stimoli esterni, quali ad esempio, inquinanti atmosferici, allergeni, alcuni farmaci."mi spiega chiaramente. "Ma può guarire?" "E' difficile guarire definitivamente. Se lo porterà sempre dietro. Forse con l'avanzare del tempo potrebbe regredire o anche progredire. Tutto dipende dalla forza fisica del bambino!" "E...per adesso cosa posso fare?" "Innanzitutto accertiamo che ci sia veramente. Adesso le prescrivo alcuni esami da sottoporre al bambino. Li prenoto direttamento io, così da poter sapere immediatamente e intervenire di conseguenza. C'è un posto libero fra un'ora, riesce?" "Certo. Prenoti pure!" ... Sono di nuovo dal pediatra. Stefano ha fatto la tomografia e i radiologi mi hanno consegnato i risultati, che naturalmente sembrano scritti in aramaico. Il pediatra ci fa accomodare e senza pretese, prende i risultati. Dopodichè si siede e ripone i documenti dentro la busta. "Allora, Anna, avevo ragione. Stefano ha l'asma bronchiale, quindi adesso dobbiamo intervenire. Per prima cosa gli prescrivo alcuni farmaci broncodilatatori, come il salbutamolo, salmeterolo e il formeterolo. Questi vanno presi non appena il bambino comincia a tossire. Dovrebbero dargli subito sollievo. Se invece non agiscono passeremo alla terapia con i corticosteroidi. Ma credo non ce sarà bisogno. L'asma è ancora nello stato iniziale e i broncodilatatori basteranno!" Tutti questi nomi mi hanno rincretinito. Pensavo fosse una comune tosse e invece è asma bronchiale. Pensandoci ancora mi viene in mente un caso che seguii quando ero in Polizia: un ragazzo aveva la stessa patologia, credo, e i genitori si trasferirono a Sabaudia, per fargli respirare l'aria marina. "Dottore, mi scusi, e se portassi Stefano al mare? In una località balneare, in cui l'aria sia fresca e pulita?" azzardo interrompendo il medico che sta compilando le varie ricette dei farmaci. Lui alza lo sguardo e mi guarda, dapprima serio, poi sorridente. "Sarebbe l'ideale. Magari anche con un clima più caldo e meno umido!" ... Tre anni dopo. Stefano è decisamente migliorato. Ormai gli attachi di tosse sono rarissimi. E' cresciuto davvero tanto. Ha 4 anni e frequenta il secondo anno di asilo. E' un bambino socievole, allegro e frizzante. Fisicamente è la fotocopia di Luca. All'inizio mi faceva un certe effetto ma poi ho fatto l'abitudine. E' una domenica di fine maggio. Ho portato Stefano a Villa Borghese. Sono tre anni ormai che viviamo a Sabaudia, per la sua asma. Ma quando abbiamo l'occasione, veniamo a fare un giro nella capitale. Questa domenica, Fabio, il mio datore di lavoro, mi ha concesso un giorno libero per trascorrere una giornata con mio figlio. Da due anni, lavoro in uno stabilimento balneare come barista e a volte partecipo ad alcune ricerche presso l'università di Latina. Il sole è alto in cielo, caldo e quasi afoso. Stefano sta giocando con altri bambini, a calcio. Io sono seduta su una panchina, con un buon libro. Ma oggi c'è qualcosa di strano, nell'aria. Sarà l'arrivo dell'estate, questa meravigliosa giornata. Mi volto ad osservare l'intero parco. Quanti ricordi. Davvero tanti. Ma non ci voglio pensare, adesso ho una mia vita, ho mio figlio. Già, Stefano. Quando mi giro per cercarlo, non lo vedo. Il gruppo di bambini è sempre lì ma lui non c'è. Mi alzo e comincio a chiamarlo. Mi avvicino agli altri bambini, chiedo a loro, i quali mi dicono che è andato a recuperare il pallone verso quella direzione. Avanzo il passo, lo chiamo, urlo il suo nome ma niente. Poi, eccolo. Si sta avvicinando a un uomo che ha tra le mani un pallone. Un colpo al cuore. Comincio a correre verso il bambino. Ma più avanzo e più mi rendo conto che quell'uomo ha un che di familiare. Ma solo quando si sfila gli occhiali da sole, lo riconosco. Non può essere. Non può essere vero. Adesso cammino lentamente. Sta chiacchierando tranquillamente con mio figlio o forse dovrei dire nostro figlio. Lui alza lo sguardo e i nostro occhi, ancora una volta, si incontrano. "Mamma questo signore ha lo stesso disegnino che ho sul polso!"esclama Stefano venendomi incontro e mostrandomi quella piccola voglia a forma di cuore, sotto il polso. "Ah che bello amore!" rispondo distrattamente. Lui mi sta ancora guardando, come me del resto. Si alza e avanza verso di me. "Stefano, tesoro, gli altri bambini ti stanno aspettando. Perchè non vai?"suggerisco al piccolo, che coglie l'occasione e dopo aver salutato fugacemente va via. "TI va di parlare un pò?"chiedo immediatamente dopo l'allontanamento del bambino. Luca annuisce e insieme, silenziosamente, raggiungiamo la panchina. Da qui riesco a vedere Stefano, e sono più tranquilla. "Anna..." Da quanto tempo non sentivo pronunciare il mio nome dalla sua bocca. Tengo la sguardo abbassato, per paura, per vergogna. "Anna, guardami negli occhi!"esclama prendendomi il viso tra le sue mani. Costringendomi a guardarlo negli occhi. "Luca mi dispiace!"dico con la voce spezzata. "E' mio figlio?!"lo dice quasi fosse un'affermazione. Abbasso nuovamente lo sguardo e annuisco timidamente. "Ho solo una domanda da farti. Perchè? Perchè non mi hai detto nulla? Eppure mi conosci o almeno mi conoscevi, sapevi che non mi sarei tirato indietro!" "E' proprio per questo, Luca! Non avevo nessun diritto di intromettermi ancora, per l'ennesima volta, nella tua vita. Non volevo intralciare il tuo cammino. Magari avevi trovato un equilibrio con qualcuno e io sarei stata una rottura, quindi ho preferito così. Forse ho sbagliato, non lo so!" "Che bambino è?"mi chiede dolcemente, continuando a osservarlo attentamente. Ha completamente ignorato le mie giustificazioni, non ho battuto ciglia. "Stefano è un bambino vivace, allegro e socievole. Adora ascoltare canzoni italiani, infatti quando mangi devo sintonizzare la radio!". Gli racconto piccole cose su suo figlio. "Perchè sei ritornata a Roma?" Sapevo che me l'avrebbe chiesto. "Non stiamo proprio a Roma, viviamo a Sabaudia. Vedi, Stefano è un bambino fantastico ma purtroppo è affetto da asma bronchiale. Adesso gli attacchi non accadono spesso, come prima. Quando l'ho scoperto, proposi al pediatra proprio una località marina e così ci siamo trasferiti!" "Adesso sta bene però?!"esclama con un tono misto tra la preoccupazione e il sollievo. "Si, te l'ho detto. Gli attacchi ormai sono diventati vecchi ricordi!" Sta per chiedermi qualcos'altro ma l'arrivo di Stefano lo frena. "Mamma, Marco e Francesco se ne sono andati e io ho fame!" si lamenta venendo tra le mie braccia. Gli bacio la testa e gli accarezzo il viso. "Adesso andiamo a mangiare tesoro!"dico facendogli indossare la giacca. "Ehi, campione, che ne di andare al McDonald's, ti piace?" propone Luca, abbassandosi all'altezza del bambino. Stefano mi guarda per avere l'approvazione. Sto per rispondere ma Luca mi precede. "Dai, mamma è d'accordo! Andiamo!"esclama prendendo per mano Stefano e cominciando ad avviarsi verso l'uscita del parco. Prendo la borsa e li raggiungo. ... Siamo al McDonald's. Stefano dopo aver pranzato, si è messo sulle gambe di Luca a giocare, fino ad addormentarsi. "E' davvero un bambino meraviglioso!" esclama accarezzandogli la testa. Annuisco, osservando il mio bambino tra le braccia di Luca, tra le braccia di suo padre. "Ascolta Luca,io non voglio importi niente. Stefano non mi ha mai chiesto nulla riguardo suo padre e di conseguenza non ho mai affrontato l'argomento!"sto per continuare ma mi interrompe. "Anna, Stefano è anche mio figlio. Diciamo che per incidenti di percorso, non sono riuscito a partecipare nella sua vita ma adesso ci sono e se me lo permetterai vorrei essere presente il più possibile!" dice quasi con la voce spezzata. "Quindi non ce l'hai con me?" "Non avrebbe senso. Ormai le cose sono andate così e prendersela sarebbe dannoso per lui!" dice abbassando lo sguardo sul bambino. "Luca, Stefano è anche tuo figlio. Solo adesso me ne rendo conto veramente, non avevo alcun diritto di decidere anche per te!" sbotto con le lacrime agli occhi. Ma è vero. Solo adesso, vedendoli insieme mi rendo conto di aver sbagliato per aver scelto anche il destino di mio figlio, di suo padre. Luca allunga una mano verso la mia e me la stringe. "Stai tranquilla. Adesso sono qua!" mi dice con il suo solito sguardo rassicurativo. ... E' passato più di un mese da quando ho incontrato Luca. Da quel giorno è stato sempre presente. Ogni mattina viene a portarci la colazione, gioca con Stefano, lo tiene con sè quando ho i doppi turni al lavoro. Stefano si è davvero affezionato tanto, credo che abbia anche capito qualcosa. L'altro giorno, Luca se l'è portato persino al distretto, gli ha fatto conoscere i suoi colleghi, che non conosco nemmeno, ed è arrivato a casa con tanto di cappellino della Polizia e un paio di macchinette a giocattolo. E' successo, qualche volta, che Luca si fermasse a cena qui la sera, su preghiere di Stefano. Oggi dovrebbe venire. Andremo in spiaggia, a divertirci, quasi come una vera famiglia. Sto preparando Stefano. Stamattina gli ho comprato il costumino: un piccolo pantaloncino blu, con ai lati, due strisce bianche. Luca mi ha mandato un messaggio, stamattina, dicendomi di non comprargli nessun accessorio, ci avrebbe pensato lui. Anch'io ho preso un costume nuovo. Un bikini a triangolo, bianco a pois rossi. "Mamma, ma Luca è il mio papà?"domanda Stefano mentre gioca con le macchinine sul pavimento. Ecco, sapevo che prima o poi sarebbe successo. Lascia stare la borsa del mare e lo raggiungo sul pavimento, sedendomi accanto a lui. "Vedi Stefano...sì! Luca è il tuo papà!" Non ha senso mentirgli. Me lo sono promessa fin da subito, gli avrei sempre detto la verità, nel bene e nel male. "Allora lo posso chiamare papà?" mi chiede con naturalezza, continuando a giocare. Gli accarezzo la schiena, emozionatissima. "Se lo vorrà, certo amore!" Lo sto ancora osservando, orgogliosa di lui, quando suonano alla porta. Sarà Luca. "Mamma, vado io!" esclama Stefano correndo verso la porta. Velocemente metto a posto i giocattoli nella cesta e sistemo la borsa. Sento Stefano aprire la porta e urlare di gioia. Avanzo verso la porta. Luca gli ha regalato il materassino, i braccioli, il secchiello e tutti i giochi da mare. "Mamma guarda, quelli che volevo io!"urla Stefano, mostrandomi frettolosamente i regali. Guardo Luca e lo ringrazio con un sorriso. Indossa un pantalone bianco fino alle ginocchia e una camicia azzurra, per metà sbottonata. "Forza campione, andiamo!" esclama rivolgendosi al figlio, il quale, eccitatissimo, gli corre incontro. Luca lo carica sulle spalle e aspetta che io chiuda la porta. Stiamo scendendo le scale, quando Stefano irrompe nel silenzio. "Luca, mamma mi ha detto che sei mio papà. Ti posso chiamare papà?" esclama distrattamente. Luca rivolge lo sguardo su di me, che a mia volta alzo le spalle. "Certo! Che domande sono!"esclama euforico. "Ok...papà!" ... Siamo in spiaggia. Luca e Stefano sono in acqua, io ho preferito rimanere fuori. Tolgo gli shorts e la canotta e mi sistemo sul lettino. Mi sdraio e mi rilasso. D'un tratto sento delle gocce fredde sul corpo. Apro gli occhi. Luca ha in braccio Stefano che praticamente sta sgocciolando su di me. "Ma che state facendo?!?" esclamo fintamente arrabbiata. I due se la ridono di gusto. "E dai mamma...è uno scherzo!"si giustifica Stefano. "Uno scherzo di cattivo gusto!" "E' stata un'idea di papà!"esclama Stefano. Anna fulmina Luca, con gli occhi, il quale capisce che forse è meglio abbandonare il campo. Così Anna comincia a rincorrere Luca ma alla fine è lei a diventare la preda. D'un tratto, non vedendo più Luca, si ferma, guardandosi attorno. All'improvviso, Luca le spunta da dietro, facendola sobbalzare e spaventandola. Rischia di cadere ma i riflessi pronti dell'ìuomo, evitano il peggio. I due si ritrovano terribilmente vicini. Ognuno sentono il respiro dell'altro. I loro nasi si sfiorano, le loro guance, arrossate, si toccano. Si guardano negli occhi ed è un attimo. Le loro bocche si sovrappongono, le lingue cominciano una danza particolare, audace ma allo stesso tempo intrigante. Le mani di Anna sul petto di Luca, la vita della donna avvolta dall'abbraccio di Luca. "Mamma, papà!"esclama Stefano guardando i due genitori avvinghiati così. I due si staccano e scoppiano a ridere. "Andiamo a giocare!"esclama Luca prendendo Stefano in braccio e afferrando per una mano quella di Anna. Tutti e tre si avviano verso il mare. Adesso sono una famiglia, a tutti gli effetti.
  
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