Storie originali > Drammatico
Ricorda la storia  |      
Autore: Anya_BlackAngel    28/03/2011    0 recensioni
Storia che ha partecipato ad un concorso riguardante la tragica strage si Sant'Anna.
I ricordi della strage rievocati da una bambina che ha perso tutto.
Genere: Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Un gemito nel silenzio. Una speranza nascosta tra fiumi rossi che scorrono sulla nuda terra. In quel silenzio fatto solo di dolore e di oscurità una mano mi ha riportata in vita, mi ha aiutata a non cadere nel baratro. Ma prima che arrivasse quella mano a salvarmi c'era solo un inferno intorno a me...

Ebbi la certezza che qualcosa non andava quando mia madre mi disse di nascondermi nella dispensa e mi fece cenno di fare silenzio. Riuscì a nascondere solo me perché i tedeschi piombarono in casa nostra e la portarono via tra le urla. Io stupidamente sgattaiolai fuori dalla dispensa e mi affacciai alla finestra. Vidi che un soldato stava trascinando mia madre in mezzo alla piazza tra le risate di scherno. Con le baionette le aprirono il ventre e presero la bambina inerme che da nove mesi portava in grembo. A terra mia madre urlava e piangeva, cercando di riavere la sua piccola, invano purtroppo. Anche io piangevo, appoggiata a quel vetro opaco e freddo. I tedeschi continuavano a ridere e a lanciare in aria la neonata ormai morta. Un colpo di fucile mise fine al loro sadico divertimento. Un soldato, comparso all'improvviso, li intimò a smetterla e a continuare il “lavoro”, poi con un ghigno che non dimenticherò mai finì mia madre. Subito dopo aver assistito a quella scena, scappai a rifugiarmi nuovamente nella dispensa. Nascosta in quel mobile potevo sentire le raffiche di mitragliatrice e le urla strazianti delle donne e dei bambini che non riuscivano a sfuggire a quella furia distruttiva. Chiusa nel mio silenzio non riuscivo a fare altro che pensare a mia madre e alla mia sorellina. Quante volte avevo toccato il suo ventre per sentire i piccoli calcetti colpire la mia mano e quante volte vi avevo appoggiato sopra la testa e avevo raccontato alla bambina le mie avventure per i boschi con i miei amici. Affogai la tristezza nelle lacrime, cercando di non urlare, anche se avrei voluto. Piansi fino a quando non tornarono i tedeschi. Entrarono in casa e cominciarono a cercare in tutte le stanze. Controllarono superficialmente e tralasciarono alcuni angoli. Aprii lo sportello della dispensa e li sbirciai mentre guardavano sotto il tavolo o nel forno. Li vidi passare una mano sul duro legno di un cassetto e sorridere. Rimasi disgustata da quegli uomini sadici fino al midollo. Ghignando diedero fuoco alla casa e se ne andarono. Non scappai, almeno non subito. Il crepitio delle fiamme non riusciva a sovrastare il rumore dei fucili, quindi decisi di non uscire per evitare di essere presa. Aspettai nascosta nella dispensa per non so quanto, tenendo d'occhio l'avanzare del fuoco, e quando capii che se non mi fossi sbrigata non sarei più potuta uscire, mi gettai fuori dal nascondiglio. La cucina stava bruciando completamente, come le scale e l'ingresso. Presi fiato e chiusi gli occhi, poi attraversai di corsa l'ingresso e mi trovai fuori casa.

I raggi del sole mi investirono con la loro luce. Ci misi qualche secondo per mettere a fuoco il macabro spettacolo che mi si presentava davanti.

La chiesa era in fiamme. Decine di corpi erano sparsi a terra, immersi in pozze di sangue scuro. Per la maggior parte erano donne e bambini. Alcuni di loro avevano ancora negli occhi il terrore provato in quelle angoscianti ore e le mani erano protese in avanti in ultimo tentativo di fuga. Mi inginocchiai accanto al corpo di mia madre e mi guardai intorno spaesata. Quali menti mostruose avevano potuto concepire simili orrori? Quale...essere, aveva avuto il coraggio di fare tutto ciò? Noi, l'uomo...la nazionalità contava poco...questa volta erano tedeschi ma a nessuno importerà da quale paese provengono ma ciò che ci hanno fatto...

Mentre accarezzavo i capelli di mia madre un odore strano, nauseabondo mi raggiunse e mi sentii male...

 

Il vento ululava tra gli alberi. I fili d'erba si piegavano al suo passaggio e alcune foglie svolazzavano nel vuoto per qualche istante, prima di toccare il terreno.

Rigagnoli di sangue scorrevano sulle nude rocce mentre un odore acre soppesava l'aria. Era l'odore della carne che brucia. Il fuoco stava inghiottendo tutto con la sua voracità.

Mi svegliai. Lacrime calde bagnavano le mie guance.

Silenzio. Un silenzio spettrale era piombato sul nostro paese, lasciando un vuoto che nessuno potrà più colmare.

Sussultai. Avevo sentito un rumore, lontano. Piano piano quel rumore si moltiplicava, diventava nitido. Passi d'uomo. Erano tornati i tedeschi. Dovevano controllare che tutto fosse a posto. Un gruppo di tre soldati si avvicinava al mio corpo. In fretta nascosi il volto nel fango e trattenni il respiro. Non dovevano capire che ero ancora viva.

- Überprüfen Sie in jeder Ecke, in jedes Loch. Überall! (Controllate in ogni angolo, in ogni buco. Ovunque! ) - disse quello al centro. I due lo lasciarono solo e andarono a cercare i possibili sopravvisuti. Mentre aspettava il responso si avvicinò al cumulo di cadaveri in cui ero nascosta. Sentivo i suoi stivali calpestare le foglie e le pozzanghere. Sentivo le sue ginocchia flettersi e le sue mani spostare i corpi. Ma non tremai, non urlai, non piansi. Non potevo permettermi un simile errore. Il tedesco continuava a rovistare tra i cadaveri e alla fine arrivò anche a me.

Mi scosse, mi girò e levò il fango dalla mia faccia. Non mi mossi e lui mi abbandonò sul terreno. Lentamente si rialzò e tornò sui suoi passi. Senza pensarci sospirai e ripresi fiato.

Il cuore cominciò a martellarmi il petto quando scoprii che il soldato stava tornando da me. Mi aveva sentita!

Tump, tump... eccolo, era la fine. Ero stata una stupida, mi ero illusa di potercela fare. I passi si avvicinavano sempre di più e subito mi raggiunsero. Di nuovo sentii il flettersi delle ginocchia del tedesco. La sua mano scivolò sulla mia spalla, scese sul tricipite, superò il gomito e mi afferrò il polso.

- Herr! Sie sind alle tot! ( Signore! Sono tutti morti! )

I due soldati mandati a perlustrare il resto del paese erano tornati. L'uomo ancora mi teneva il polso ma non fece caso al piccolo cuoricino che sentì battere. Era concentrato sulle parole dei suoi uomini. Soddisfatto mormorò qualcosa e li mandò via. Lentamente socchiusi gli occhi per cercare di capire cosa stesse facendo. Un piccolo cappello triangolare era poggiato sulla calva nuca. Gli occhi erano nascosti da occhiali da sole scuri. Un piccolo serpentello grigio avvolgeva il suo volto. Tra le labbra nascoste da neri baffi teneva un sigaro per metà consumato. La bocca era piegata in un sorriso, un sorriso di vittoria che non smetterò mai di odiare. Sentii il suo sguardo posarsi su di me e le dita stringermi il polso.

Inclinò le labbra in un sorriso e lasciò il mio polso. A quel punto aprii gli occhi e li fissai nei suoi. Lui, in tutta calma, portò la mano sotto la giacca e ne estrasse una pistola. Mi sputò e premette il grilletto.

In un attimo tutto sembrò precipitare intorno a me e un dolore immenso invase il mio corpo. Mi aveva colpita al fianco. Il sangue colava caldo sulla mia pelle. Urlai con tutto il fiato che avevo in gola. Urlai in un misto di dolore e rabbia. Invocai aiuto anche se ero perfettamente consapevole che non ci fosse nessuno vivo oltre a me. In breve tempo il mondo divenne sfocato, sempre di più, e alla fine tutto diventò buio.

 

- Qui ce n'è una!

Una voce mi sveglia dal mio sonno profondo. È la voce di un uomo. Ci metto qualche secondo per capire che sono ancora viva e che mi hanno trovata. Lentamente socchiudo gli occhi, poi li apro del tutto. Piegato su di me c'è un uomo con al collo una macchina fotografica. È un giornalista. Mi sorride e mi assicura che guarirò. Gli sorrido anche io. Ma non c'è niente di cui sorridere. Accanto a me c'è ancora il corpo di mia madre. Le sfioro una mano e la guardo. Quanto mi volto di nuovo il giornalista non c'è più. Al suo posto c'è un altro uomo che, con le lacrime agli occhi, mi afferra la mano.

- Ciao piccola mia.. - sussurra.

Piango.

- Ciao papà.

Non sono più sola.

  
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: Anya_BlackAngel