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Autore: Sparrowhawk    08/04/2011    1 recensioni
Kylion è uno dei pochi fumetti europei che mi piacciono davvero. Mi mancano due numeri, certo, -l'ottavo ed il decimo se non sbaglio-, ma siccome non ho difficoltà ad immaginare come sia andata a finire la storia non mi sento poi molto preoccupata. Una cosa però mi rode, ovvero il fatto che non abbiano dato abbastanza spazio alle possibili storie d'amore. Cioè, tutti hanno capito che Cole ama Calliope, ma cosa si sa degli altri, in particolar modo di Tanner e di Mita. Li ho sempre visti bene insieme, sono la mia coppia preferita dentro al fumetto, perciò ecco spiegato il mio esperimento! Spero vi piaccia.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Mita, Tanner
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Chi non risica non rosica.
Fandom: Kylion
Personaggi: Tanner; Mita
Rating: Verde
Genere: Introspettivo; Fluff; Sentimentale
Altro: Missing Moments; One-shot
Note: Inutile dirlo, in pochi conoscono questo fumetto. Mi rammarico di tale fatto, visto che comunque è uno dei pochi europei che mi sono piaciuti davvero. Mita e Tanner, Tanner e Mita. Come sono carini insieme.


"Una volta qualcuno mi ha detto che più passi il tempo in un singolo posto, statico come potrebbe esserlo fossile, più ti abitui al solito tran tran quotidiano, più dimentichi il tipico desiderio di avventura che è insito in noi esseri umani sin dall'alba dei tempi.
Non è che scompaia del tutto, sta sempre lì, a monito di ciò che sognavamo un tempo con gli occhi di chi, giovane, vedeva nuove esperienze interessanti ovunque. Il fatto è che si nasconde dietro a chilometri e chilometri di altre cose: preoccupazioni, emozioni, avvenimenti che -pur rimanendo nei limiti di ciò che noi consideriamo normale- sembrano diecimila volte più importanti delle nostre infantili congetture su qualcosa di nuovo.
Ai più succede, è vero, e quelle persone non si sentono neanche tanto in colpa nei confronti dei sè stessi che erano un tempo, ma per me la cosa è un poco differente.
Certo, mi sono abituato alla vita di tutti i giorni qui si Kylion, ogni mattina mi sveglio e mi affaccio alla terrazza inalando l'aria fresca che mi scompiglia dolcemente i capelli. Ogni pomeriggio mi ritrovo a conversare con quelli che, ormai, non sono più semplici compagni di viaggio con cui devo fare i conti per forza di cose, ma veri e propri amici. Ogni sera mangio con loro, nella sala da pranzo della casa che dividiamo con Zog -il nostro gigantesco amico-, e poi, quando viene l'ora di andare a dormire, dò la buona notte a tutti e mi corico per ultimo, controllando che il mio equipaggio stia bene.
...ma dopo questo, nonostante mi senta felice ed appagato per come viviamo qui, c'è ancora qualcosa che mi turba e che non mi lascia mai chiudere occhio prima di averci rimuginato sopra per lungo tempo.
Un giorno, non molto tempo fa a dire il vero, Cole mi ha chiesto se avessi mai sentito le farfalle nello stomaco, se improvvisamente il mio battito avesse accelerato senza motivo apparente, se la mia gola si fosse seccata all'istante, impedendomi di parlare in modo quanto meno decente. Lì per lì gli avevo risposto che no, non mi era mai successo, e che comunque fra tutti noi lì il medico non ero di certo io -era lui!-, liquidandolo alla bellè meglio forse per timore che magari quello strano malore potesse essere in qualche modo contagioso. Avevo già abbastanza grane a cui dover pensare, figuriamoci se avevo anche il tempo di ritrovarmi malato o chissà che altro!
Ora però, riflettendoci, non posso dire di essere del tutto certo circa il fatto di non aver contratto lo stesso virus di Cole.
Lui mi disse che gli succedevano cose simili solo in compagnia di Calliope.
A me invece succede solo quando sto con Mita.
Ancora riesco a stare calmo in sua presenza, le cose non sono andate del tutto in malora per mia fortuna, ma comunque mi sento estremamente a disagio quando lei è nei paraggi.
La vedo e le mani mi sudano, la lingua si impasta, il cervello va in tilt per qualche minuto prima di ricominciare a funzionare come si deve. Il cuore, che anche nelle situazioni peggiori ho imparato a controllare sino all'ultimo, sembra del tutto impazzito mentre mi fa i doppi salti mortali dentro alla scatola toracica.
La verità è che, ora che siamo tutti sani e salvi e non ci sono più pericoli all'orizzonte, mi sono reso conto di quanto Mita sia speciale. Di quanto coraggiosa, intelligente, sagace e bellissima sia.
Non avevo mai fatto caso a quei piccoli particolari che la rendono stupenda ai miei occhi, quasi splendente come una stella, ne mai mi ero soffermato con così tanta insistenza sui particolari del suo corpo, scovando poi sempre qualcosa di nuovo da cui rimanere del tutto ipnotizzato.
È bella sì, l'ho già detto, però non credo che riuscirò mai a dirlo a lei.
No, impossibile.
Un vero capitano non dovrebbe mai avere certi pensieri su una propria compagna...
...o almeno credo.
Ah, vorrei tanto lasciarmi andare per una volta, liberarmi dal peso che sento anche se solo per un breve, fragile istante. Ma non ci riesco. Non ci riesco.
Sono forse un codardo? Mi nascondo dietro al mio titolo solo per evitarmi di interagire in modo serio non solo con Mita, ma con tutto il resto del mio equipaggio?
Hanno ragione quando dicono che sono troppo ingessato?
...beh, forse sì, devo ammetterlo.
Non ho idea di come Cole abbia risolto i suoi problemi, ma a giudicare dal suo comportamento di recente mi sento libero di affermare che non gli può essere andata poi molto male, anzi. Sta sempre con Calliope e la maggior parte dei sintomi da lui descritti, io non li riesco proprio a vedere mentre lo fisso. Un giorno mi è parso che si tenessero per mano, osservandosi calmi, due grandi sorrisi ad incorniciare i loro visi.
Mi chiedo se sarò mai capace di fare una cosa simile con lei, con Mita.
Non pretendo certo di tenerla per mano, non ci penserei nemmeno ora come ora, ma solo...sorriderle così, come Cole faceva quella volta con Calliope.
Sereno, felice, nessuna preoccupazione riflessa nei suoi occhi rossi se non il dolce profilo di colei a cui stava stringendo una mano.
Sembrava tutto perfetto, immensamente perfetto."


Tanner smise di scrivere sul suo diario di bordo, terminando il proprio rapporto in modo brusco, troppo confuso per poter continuare anche solo a battere una parola dietro all'altra su quella piccola tastiera.
Rilesse l'ultima riga leggermente trasognato, gli occhi verdi pesanti per la stanchezza che si era andata accumulando dopo tutte quelle notti passate in parte insonne, incapace di dormire. Quella parola, quella che tanto lo aveva infastidito, era "perfetto".
Era vero, vederli gli era parso così assurdamente perfetto che poco ci era mancato gli salisse uno strano senso di gelosia addosso. Lui non aveva mai avuto quell'espressione, non si era mai sentito libero e aveva sempre anteposto il bene altrui prima del proprio, preoccupandosi che le cose andassero bene nelle vite degli amici anzichè nella sua. Si era sempre detto che quello era il compito di un comandante, che mai avrebbe dovuto dubitare del fatto di stare facendo o meno un buon lavoro con gli altri ragazzi, ma dopo aver visto quella scena tutto era cambiato e aveva cominciato a pensare ad altro.
A Mita per esempio, che riempiva oramai ogni anfratto più intimo della sua mente, infilandosi persino nei suoi sogni o nei suoi incubi.
Non importava verso che punto si sforzasse di condurre le proprie riflessioni, lei tornava sempre in qualche modo, sbattendogli in faccia tutto ciò che gli piaceva nel suo essere sempre spontanea, a viso aperto, infischiandosene di quello che poteva pensare chi le stava accanto.
Il ragazzo si alzò di scatto dalla scrivania e, posando un attimo lo sguardo sui Cole e Raiden, giusto per assicurarsi che stessero dormendo profondamente, decise di prendere una boccata d'aria prima di spegnere il cervello -o prima di provare a farlo, forse invano- e coricarsi. Percorse a grandi falcate il corridoio che divideva la loro stanza da quella delle ragazze e aprì piano la porta rivestita di uno strano colore grigio-verde, poggiando il palmo aperto della mano destra con grande cautela: sbirciò all'interno della camera, con fare insicuro, sentendosi quasi una specie di ladro mentre, con grande lentezza, metteva un piede di fronte all'altro intrufolandovisi dentro.
Si mosse in punta di piedi, silenzioso, i respiri leggeri di Mita, Calliope ed Erin ad accompagnare ogni sua mossa. Non aveva il coraggio di guardarle, temeva che se lo avesse fatto si sarebbe ritrovato di fronte un paio d'occhi indispettiti e furibondi, e perciò fece finta di niente camminando verso quella tanto agognata balconata. Chi aveva progettato la casa in cui vivevano, di certo, non aveva mai pensato al fatto che sarebbe stato assai più saggio mettere due entrate a quel strabenedettissimo poggiolo. Certo, se qualcuno lo avesse fatto, allora lui adesso non avrebbe dovuto fare i salti mortali per cercare di non fare rumore. Gli sembrava quasi di non respirare tanto era teso...ma forse quella non era solo un'impressione, era un dato di fatto. Si fermo poco distante dalla porta, con la mano sul pomello pronto a girarlo, e finalmente respirò di nuovo gonfiando i polmoni d'aria per prepararsi ad una nuova immersione.
Solo allora sentì la flebile voce di Mita.
«...»
Tanner si girò di scatto, temendo di essere stato scoperto, ma quando la guardò comprese all'istante che non vi era alcun pericolo per lui: l'amica stava dormendo della grossa, tutta scomposta in quello strambo letto rotondo che condivideva con le altre due donne della Colony 6. I suoi capelli corvini, lunghi e liberi a differenza di come era solita portarli durante il giorno, si erano sparsi per tutto il cuscino accentuando per qualche strano gioco di luci il colore scuro ed ambrato della sua pelle. Spesso aveva pensato che la sua pelle doveva per forza di cose essere soffice al tocco come avrebbe potuto esserlo una pesca ma, complici il fatto che non ne aveva mai effettivamente toccata una e che mai e poi mai si era permesso di toccare lei, aveva da subito accantonato quell'idea etichettandola come un'idiozia.
«T...»
Mita mormorò qualcosa nel sonno, mettendosi a pancia in su con una mano appoggiata al ventre. Non avendolo capito però, Tanner dovette avvicinarsi al bordo del lettone, chinandosi su di lei per poterla sentire meglio.
«Ta...r...»
Corrugò la fronte, sentendosi ansioso. Non gli era mai piaciuto non comprendere ciò che gli veniva detto, anche se in questo dato caso non era certo che Mita stesse parlando proprio con lui. Accostò l'orecchio al suo viso, nella speranza di recepire meglio il messaggio.
«Tanner...»
Eccolo là, il momento che sapeva sarebbe arrivato a bussare alla sua porta alla fine si era fatto vivo. Prima o poi doveva succedere, l'ictus non era poi così innaturale nel genere umano.
Tanner spalancò gli occhi, sconvolto, lasciandosi cadere con il sedere sul pavimento mentre le mani si portavano convulsamente sul petto, laddove sentiva battere fin troppo velocemente il proprio cuore. Aveva pronunciato il suo nome in sogno e lui, come un povero scemo, si era tutto emozionato. In nome di Dio, che cosa accidenti gli prendeva?!
Cercò di calmarsi, di prendere respiri profondi, ma più la guardava là, inerme, sdraiata sul proprio letto ad invocare -per qualche strano ed oscuro motivo- il suo nome, meno il suo corpo sembrava disposto a dargli retta. Doveva mettere fine a tutto quello che sentiva, doveva perchè non poteva permettersi nessun genere di contrattempo nella sua posizione, però...
Tanner si alzò in ginocchio e la osservò ancora per un pò, stringendo le mani intorno al ferro che circondava il grande letto. Bella, bellissima, magnifica. Mita era tutto questo insieme e lui non riusciva più a fare finta che la cosa non lo toccasse neanche di striscio.
Piano, con la stessa lentezza con cui era entrato in quella stanza, avvicinò il proprio viso a quello di lei e poi, in un gesto che nemmeno lui stesso sapeva da dove era venuto fuori, espresse tutto ciò che sentiva nei suoi confronti. Ogni dubbio, ogni emozione, tutto venne spazzato via nel giro di un secondo, rimpiazzato dalla pura, semplice, e tanto agognata perfezione. Oh sì, quel bacio era perfetto, e giusto sopratutto.
Il giovane rimase così ancora per un pò, assaporando le labbra di lei avidamente e teneramente, condividendo un'esperienza che praticamente solo lui avrebbe ricordato nei giorni avvenire costantemente.
Quando si staccò si dedicò ancora un momento e poi, così come era entrato, se ne uscì da quelle quattro mura dirigendosi nella sua camera, pronto ora a chiudere davvero gli occhi. Troppe cose erano accadute quel giorno, no, quella sera, e adesso non se la sentiva di affrontare la propria coscienza.

«Tanner, che fai?»
La voce di Mita lo colse alla sprovvista, ma dissimulò alla perfezione quel fatto. Non si girò nemmeno verso di lei e, alzando le spalle, fissò il proprio sguardo all'orizzonte, lasciando che il forte vento gli scompigliasse ancora una volta i capelli corti e verdi. Era una mattina fresca quella, probabilmente di molto simile a quelle che noi umani associamo con l'arrivo dell'inverno.
«Stavo solo...»
«Godendoti il panorama?»
«Già.»
«Oh, certo. Queste sono le tipiche cose che fa un capitano...» disse lei, in tono canzonatorio «...scrutare l'orizzonte, immobile, mani bloccate a pugno su una ringhiera qualsiasi e sguardo imperturbabile -nonchè indecifrabile- negli occhi.»
Con la coda dell'occhio la vide sorridere e, imitandola, permise agli angoli della sua bocca di tirarsi all'insù.
«Noi comandanti siamo sempre pieni di impegni simili.»
«Non avevo dubbi!»
Sotto alla banconata i due sentirono le voci del resto dei loro compagni che, giocando e scherzando con Zog, si stavano lanciando una specie di frisbee tutto colorato e decorato. Li guardarono entrambi, in silenzio, ponderando pensieri di consistenze diverse. Ancora una volta l'attenzione di Tanner venne attratta da Cole e Calliope che, ridendo, si prendevano e si lasciavano come due calamite che si congiungevano ma che venivano costrette da forze esterne a staccarsi.
Corrugò la fronte, sorpresa del fatto che per un solo secondo i loro visi vennero sovrapposti con il suo e con quello di Mita.
«Sai, Zog dice che potrebbe essere una delle ultime giornate serene prima del freddo.» esordì Mita, all'improvviso «Forse dovremmo raggiungerli e stare con loro.»
«Vai pure. Io sto ancora un pò.»
Lei sbuffò. «Tanner, per l'amore del cielo smettila di essere...così!»
Lo prese per mano a lo tirò a forza a sè, diminuendo la distanza fra di loro in breve tempo. Tanner arrossì, ma solo leggermente...e per fortuna!
Tentò di opporre resistenza e di dire qualcosa, ma il dito della ragazza andò a posarsi sulle sue labbra ancora prima che potesse cominciare la sua formale protesta. La guardò, interrogandola con lo sguardo.
«Siamo una squadra, tu non fai altro che ricordarcelo.» spiegò lei, seria «Dobbiamo sostenerci nei momenti brutti e in quelli belli. Dobbiamo essere lì quando uno di noi ha bisogno...e il tuo compito è quello di tenerci tutti uniti, lo so bene... Ma non puoi continuare a portare questo carico da solo. Dividilo con noi.»
Anche se avesse potuto, ora non avrebbe detto niente per rispondere.
«O se proprio non vuoi fidarti di cani e porci -con certi elementi sarebbe meglio essere cauti in effetti-» parlava di sicuro di Raiden sebbene senza l'ombra di vero e proprio risentimento impresso nella voce «puoi sempre parlare con me. Dimmi tutto quello che vuoi, io sono pronta ad ascoltare.»
Tanner ci pensò su un secondo e, quando la mano di lei scese lungo il suo corpo, sospirò guardando a terra.
«Cosa faresti se...» deglutì «...se improvvisamente cominciassi a sentire cose diverse...per qualcuno che conosci da sempre?»
«Cose diverse in che senso?»
«Lo sai no? ...diverse.»
Mita alzò un sopraciglio, sconcertata. Sperava davvero che Tanner le avrebbe dato qualche indizio in più, o altrimenti non sarebbe stata in grado di capirlo.
«...non chiedermi di spiegarlo oltre, te ne prego.»
«Ehm, forse...forse cercherei di parlare con questa data persona.»
E certo, lei era quella forte, che non si fermava mai di fronte a niente. Se la avesse dovuto paragonare a qualcosa quando era sul piede di guerra allora, molto probabilmente, Tanner la avrebbe associata ad un martello.
O...ad una squadra...di martelli.
«Parlare.»
«Cosa che tu non fai spesso, lasciami dire.»
«E dici che ne vale la pena?» domandò ancora lui, sempre più preso dalla conversazione «Vale il rischio di perdere...un compagno? Un amico?»
Qui Mita sembrò riflettere attentamente prima di dare fiato alla bocca.
«Un proverbio marziano dice "Chi non risica non rosica".»
«...? E che vorrebbe dire?»
Lei gli mollò un pugno nella spalla e, cominciando a ridere, si incamminò verso l'uscita per raggiungere gli altri in giardino.
«Vuol dire che se desideri qualcosa, ma la desideri sul serio, devi fare di tutto per ottenerla anche se rischi grosso!»
Tanner se ne rimase imbambolato dopo quella affermazione anche se, solo poco dopo, corse incontro alla giovane e la prese per un braccio, facendola girare velocemente. Erano a tanto così dal cono di luce che, dalla porta che dava all'esterno dove gli altri stavano ancora giocando allegramente, li avrebbe del tutto illuminati mostrando al resto del gruppo ciò che lui stava per fare. La guardò un pò e poi si fiondò a baciarla, testando una seconda volta quella piccola sensazione paradisiaca già sperimentata la notte appena trascorsa.
Il tocco fu gentile, ricco di sentimento, però poi si trasformò in un qualcosa di diverso e di infinitamente travolgente. Passione la avrebbe chiamata qualche tempo dopo, quando avrebbe cominciato a capire anche che cosa sentiva esattamente per lei.
Staccandosi da Mita -a malincuore a dirla tutta- le sorrise debolmente, stavolta rosso in viso per davvero.
«Chi...chi non risica non rosica no?»
Mormorò, prima di uscire dagli altri, lasciando un'amica del tutto sconbussolata e...e felice, anche se a sua insaputa.
  
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