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Autore: Little Fanny    09/04/2011    4 recensioni
Il Dottore e Rose si ritrovano incastrati in una strana avventura: il loro matrimonio.
Genere: Comico, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Doctor - 10, Donna Noble, Martha Jones, Rose Tyler
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Titolo: Un matrimonio da sogno
Fandom: Doctor Who
Personaggi: Tenth Doctor, Rose Tyler, Martha Jones, Donna Noble
Parte: 1/3
Rating: PG13
Genere: romantico, fluff, comico
Conteggio parole: 15680, questa parte 5333
Avvertimenti: post “Journey’s End”, AU, het
Riassunto: Il Dottore e Rose si ritrovano incastrati in una strana avventura: il loro matrimonio.
Note: partecipa alla missione della settima settimana del Cow-T@[info]maridichallenge, con il prompt Matrimonio per il Vampire!Team e scritta per la mia tabella @[info]10disneyfic, con prompt Onore.
La storia non tiene minimamente conto dell’esistenza di 10.5, Dottore Metacrisi o come lo vogliate chiamare. Alla fine di Journey’s End Rose è rimasta sul suo giusto mondo e ha preso a viaggiare di nuovo col Dottore nel TARDIS.
Sono sconvolta dalla lunghezza di questa storia che si è praticamente scritta da sola. E pensare che doveva essere una piccola one-shot. Non è stata betata, ma l’ho letta e riletta più volte. Se ci sono errori segnalatemeli, perché dopo un po’ mi si sono incrociati gli occhi.
Disclaimer: La storia è basata su fatti e personaggi creati e appartenenti alla BBC e a chiunque ne detenga i diritti. La storia non è scritta a scopo di lucro, ma solo per mio puro diletto.



Un matrimonio da sogno



“Molto bene!” esclamò il Dottore mettendo piede fuori dal TARDIS.
“Dove siamo?” chiese la voce curiosa di Rose che era trotterellata felice dietro di lui, dimenticandosi ancora una volta la porta aperta dietro di sé.
Il Dottore sbuffò, chiudendola con un colpo secco.
“Rose… quante volte dovrò ripeterti che…”
“La porta del TARDIS va sempre chiusa, anche se si esce per due minuti?” continuò per lui Rose, imitando alla perfezione voce e intonazione del Signore del Tempo.
“Lo so e mi dispiace.” Rispose lei indossando la miglior espressione da cucciolo del proprio repertorio. “Comunque avevo calcolato di stare fuori un minuto appena, giusto il tempo di vedere il tempo all’esterno e poter scegliere l’abbigliamento adatto.”
Il Dottore la squadrò da capo a piedi: jeans, camicia e felpa. Erano adatti per qualsiasi occasione. Se proprio proprio ne avesse avuto la necessità le avrebbe prestato il suo adorabile cappotto che non avrebbe dato in mano a nessuno per nessun motivo al mondo, ma per Rose forse l’avrebbe anche fatto.
“Non ti ricordi forse la Regina Vittoria? Non vogliamo creare un altro scandalo del genere?”
“Effettivamente…” rispose lui, grattandosi imbarazzato il lobo dell’orecchio.
“E poi dobbiamo tenerci il più possibile discosti dagli eventi importanti della storia e quindi i nostri abiti – ok, va bene – almeno i miei abiti devono essere adeguati.”
“Questa cosa ti tenerti lontana dai maggiori fatti storici non mi riesce granché bene, vero?”
Rose annuì e gli appoggiò una mano sulla spalla comprensiva.
“No, quasi mai, se devo essere sincera. E di certo non aiuta il fatto che tu quasi sempre sbagli le coordinate temporali.”
“Ma è divertente, non è vero?” ribatté lui con un sorriso di felicità immensa a illuminargli il volto. Sembrava un bimbo alle prese con un pacchetto di dolciumi scovati per caso in casa. Nel suo caso sarebbero stati dei dolcetti alla banana e sicuramente nel suo frugare doveva aver distrutto qualcosa con l’utilizzo del suo fidato cacciavite sonico.
Rose scosse la testa per liberarsi di tutti quei pensieri, sorridendo complice.
“Dai, andiamo.” Disse lui prendendola per mano e trascinandola lungo le strade della nuova cittadina in cui erano piombati.
Era un piccolo centro abitato disperso nella campagna inglese, doveva essere intorno ai primi del ‘900 a giudicare dalla temperatura dell’aria e dal sapore dell’erba del prato.
“Niente erba mela?” chiese Rose, strappando dei fili verdognoli e lanciandoli in aria.
“No. Ancora la buona vecchia Terra nella sua forma e posizione originaria.”
“Che siamo venuti a fare qui?”
“Una scampagnata!” rispose lui raggiante facendo ondeggiare le loro mani intrecciate. “Non mi hai detto che volevi riposare un po’?”
“Sì, certo. Ma…”
“E cosa c’è di meglio di un pic-nic all’aria aperta per tirare un po’ il fiato?”
“Avevo pensato più a un centro termale.”
“Ma non sei inglese?”
Rose annuì, perplessa da quella stramba uscita del Dottore. Sì certo, non era più eccentrica del normale, anzi, a voler essere sinceri era una domanda comune, era solo il tono sorpreso che il Signore del Tempo aveva usato che l’aveva confusa.
“Sì, certo. Ma…”
“E gli inglesi adorano i pic-nic all’aria aperta!”
“Sì, certo. Ma…”
“Andiamo da quella parte, che ne dici?” disse lui, interrompendola per l’ennesima volta.
“Dottore!” lo richiamò Rose tirandolo indietro per il cappotto.
“Cosa c’è? Qualcosa non va?” chiese lui, perplesso dallo strano comportamento della giovane.
“Non abbiamo nulla per fare un pic-nic.” Riuscì a dire Rose infine, incrociando le braccia al petto.
Il Dottore tornò sui suoi passi, circondandole la vita con un braccio.
“Donna ti poca fede,” le disse baciandole la punta del naso. “Ti ricordo che viaggi con un Signore del Tempo. E i Signori del Tempo sono sempre pronti a ogni evenienza grazie a…”
“Tasche più grandi all’interno!” lo interruppe la compagna concludendo ancora una volta per lui la frase.
“Vedo che stai iniziando ad imparare.” Commentò lui sorridendo compiaciuto.
“Vado a lezione dal migliore.”
“Oh, grazie. Sei troppo gentile. Ora, mi faresti il grande onore di seguirmi da questa parte?” domandò porgendole ossequioso una mano.
Rose gli fece una linguaccia, cominciando a inerpicarsi lungo la collina, lasciando che il Dottore le trotterellasse dietro.

“Non mi sarebbe dispiaciuto, sai, un centro termale.” Biascicò dopo un po’ la ragazza a corto di fiato.
“Stanca?” offrì lui, posandole una mano sulla schiena e sospingendola in avanti.
“Un bel cambiamento rispetto al correre per la nostra vita, mi sento onorata per essere stata risparmiata da questa incombenza quest’oggi, ma questo sole a picco rischia davvero di uccidermi.”
Il Dottore alzò gli occhi al cielo. Le donne: non erano mai contente.
“Ho portato dietro il gelato.” Le sussurrò all’orecchio per farsi perdonare e per invogliarla a proseguire nella loro camminata.
“E non si scioglie con tutto questo caldo?” chiese lei bloccandosi nel bel mezzo della salita. Si slacciò gli ultimi bottoni della camicia e ne annodò i lembi sotto al seno, lasciando scoperta una buona porzione di pelle candida.
“Finalmente si respira un po’…” sospirò Rose, arrotolando le maniche della camicia e aprendo i primi bottoni, aumentando ancora quella scollatura a dir poco vertiginosa.
Il Dottore allentò il nodo della propria cravatta. Se l’avesse vista la Regina Vittoria l’avrebbe impiccata seduta stante, scostumata servetta o meno.
“Meglio?” domandò lui, cercando inutilmente di non far scivolare lo sguardo troppo in basso e facendosi violenza per tenerlo puntato sugli occhi nocciola e così grandi e morb-.
Su, doveva costringersi a guardarla negli occhi. Ne andava della sua stessa reputazione.
E no. Non desiderava davvero ricevere un altro scapaccione Tyler-style.
Gli occhi di Rose erano qualcosa di meraviglioso. Ogni volta che lui li guardava perdeva completamente il senno. Per gli occhi, si intende.
“Sono qui.” Lo richiamò Rose sollevandogli il volto.
Il Dottore arrossì imbarazzato e ripartì in quarta verso la cima della collina, maledicendosi per la propria trovata geniale. Un giro in campagna doveva essere qualcosa di rilassante, non un’arrampicata sotto il caldo sole estivo che faceva fluire troppo sangue in zone non appropriate.

“Cosa aveva quell’albero che non andava?” domandò Rose strascicando i piedi sul terreno.
“Non c’era la giusta ombra.” Borbottò lui, proseguendo lungo il sentiero con passo spedito.
“Ma è il terzo albero ormai che non aveva la giusta ombra. Non ti poi adattare per una volta?” mormorò la ragazza ormai sfinita dalla lunga camminata.
“Dai Rose. Solo un ultimo sforzo. Non chiedo tanto.” Disse lui, guardandola con i suoi occhioni e la migliore faccia da angioletto a cui lei non sapeva dire di no.
“Spera solo che ne valga la pena.” Smozzicò tra i denti, aggrappandosi al braccio del Dottore.
Camminarono silenziosamente per altri dieci minuti abbondanti, fino a quando il piccolo bosco non si aprì su un piccolo lago, circondato da bassi arbusti fioriti.
“Arrivati!” sussurrò il Dottore, mettendo una mano in tasca per cavarne fuori tutto il necessario.
Rose era incantata dal quel posto: sembrava un bosco abitato da fate.
“Non è che adesso spunta un mostro marino dall’acqua, vero?” chiese con un tono leggermente spaventato nella voce.
Il Dottore inarcò un sopracciglio perplesso.
“No. Perché dovrebbe?” domandò tirando fuori la coperta e distendendola per terra con un ampio movimento del braccio.
“Perché di solito queste cose accadono quando ci sei tu nei paraggi.”
“Allora ti prometto che non andrò a istigare nessun mostro marino.” Rispose lui ancora un attimo disorientato dallo strano comportamento della sua compagna. Doveva essere colpa del caldo, convenne infine, sistemando cibo e bevande sulla tovaglia improvvisata.
“Bene.” Disse Rose sedendosi al suo fianco e liberandosi delle scarpe da ginnastica.
“Sei più contenta ora?” chiese lui, offrendole un bicchiere d’acqua.
“Sarò felice quando per una volta potremo tornare al TARDIS con calma, senza dover affrontare nessuna catastrofe imminente.”
“Se non vai a tormentare i mostri marini ti assicuro che sarà così. Ma, senti una cosa, cosa ti hanno fatto di male i mostri marini? Perché li vuoi tormentare?”
Rose lo guardò un attimo sconcertata per la sua ennesima stramba uscita, prima di scoppiare a ridere di cuore.
“Oddio, Dottore!” esclamò posandosi una mano sul petto per prendere quanta più aria possibile. “Sei davvero incredibile sai?”
“Chi, io?” domandò lui, indicandosi con un dito.
La ragazza annuì e gattonò verso di lui, salendogli a cavalcioni.
“Sì, proprio tu, mio caro Signore del Tempo.” Gli disse, allacciando le braccia dietro al suo collo. “La cosa più incredibile è che nemmeno sai di esserlo.”
“Sono splendidamente naturale?” offrì lui, circondandole la vita con le braccia e tirandola verso di sé.
“Sì, e-”
Le sue parole furono sovrastate dalle urla di una donna poco distante da loro che li indicava spaventata.
Il Dottore e Rose si guardarono perplessi, mentre al grido della donna ne seguivano molti altri.
I due si scambiarono uno sguardo d’intesa prima di sollevarsi veloci e darsi alla fuga, diretti verso il TARDIS. Tuttavia non poterono andare molto lontano: erano stati circondati.
Rose si avvicinò al Dottore, posando la schiena contro la sua. Avrebbero affrontato il loro destino guardandolo dritto in faccia.
“Li abbiamo trovati!” gridò un ragazzo che doveva avere all’incirca dodici anni. Indossava un paio di calzoni sporchi di terra e erba e delle scarpe bucate che dovevano aver già visto molto primavere, sicuramente quelle di tutti i suoi fratelli maggiori. Aveva i capelli rossicci e delle lentiggini sul naso arrossato, il volto sporco di fuliggine e la camicia si posava ampia sulle sue spalle mingherline. Aveva un sorriso gioviale e sdentato, non sembrava molto minaccioso, come non lo erano i suoi fratelli maggiori di quindici, sedici e vent’anni.
“Fratelli, eh?” commentò il Dottore indicando i quattro ragazzi. “E tu devi essere loro sorella.” Disse all’indirizzo di una bambina che doveva avere all’incirca otto anni. La ragazzina annuì, grattandosi il naso con la mano sporca di terra. Portava i capelli raccolti in due folte trecce, la gonna era stropicciata e strappata in più punti, segno di corse tra i bassi arbusti dietro ai fratelli che le nascondevano la sua bambola preferita.
“Piacere, sono il Dottore.” Le si presentò accucciandosi per poter essere al suo livello e stringendole la manina paffuta. “E lei è Rose, la mia compagna.”
La bambina la salutò con un timido ciao, mentre il resto del gruppo composto da uomini e donne dagli abiti più disparati si faceva avanti, stringendoli in un piccolo cerchio.
Il Dottore si sollevò in piedi, infossando le mani nelle tasche del completo in modo che il cappotto rimanesse ben aperto. C’era un bel caldo quel giorno e il Dottore si sgridò silenziosamente per essere caduto nella tentazione di portarsi appresso il suo bel cappotto.
“Uh. Bene.” Commentò una volta che il cerchio si fu chiuso attorno a loro. Ora erano davvero in trappola. Fece un occhiolino a Rose mentre la sua mente elaborava un piano per la fuga.
“Finalmente vi ho trovato!” sbraitò una donna, facendosi largo tra la folla.
Aveva delle braccia minacciosamente enormi che facevano la loro imponente figura ben intrecciate davanti al petto prominente. Era bassa e grassoccia, con i capelli legati sopra la testa a formare uno stretto chignon da cui due solo due piccole ciocche grigiastre riuscivano a scappare.
Indossava delle scarpe con il tacco basso che si potevano intravedere dall’orlo della gonna leggermente sollevato per essere più agile nel muoversi lungo i campi, alla ricerca di chiunque fosse sfuggito al suo controllo. Aveva le guance arrossate per la grande camminata; doveva essere una faccenda importante, visto che non si era fermata un secondo, nemmeno il tempo di riprendere fiato.
“Uh, bene. Molto bene.” Ripeté il Dottore, annuendo leggermente con la testa.
“Ora lei. Lei viene con me.” Ordinò la donnona indicando il Signore del Tempo con un dito minaccioso.
“Chi, io?” domandò questi, girando la testa a destra e a sinistra convinto che ci dovesse essere un errore.
“Ma certo, carino. A chi altri mi dovrei riferire?” domandò lei retorica facendo un passo avanti, mentre il Dottore ne faceva uno indietro, addossandosi completamente alla compagna.
“Credo ci sia stato un errore.”
“Lo credo anch’io.” Ne convenne la donna allungando un braccio per bloccare la sua preda. Il Dottore riuscì a sgusciare via facilmente, ma vedeva davvero poche vie di fuga, circondati com’erano da tutta quella gente. Ma possibile che ovunque andasse i guai lo riuscissero sempre a trovare?
“Non si faccia pregare, mio Signore.” disse la donna, cercando di agguantarlo di sorpresa lasciando che le sue parole lo distraessero.
“A essere sincero lo gradirei.” Rispose il Dottore, zampettando da una parte all’altra del piccolo cerchio, cercando di scappare dalla presa di quelle mani tenaglia.
“Non faccia il bambino piccolo, Signore. Le devo ricordare che si deve sposare?”
“Sposare?” ripeté il Dottore, fermandosi sul posto e venendo subitamente bloccato dalle grandi mani della donna che non si lasciò scappare un’occasione così ghiotta.
“Ma certo, non mi dica che non se lo ricorda più.”
“A dire la verità…” cominciò a dire il Signore del Tempo con voce flebile.
La donna sbuffò e sollevò gli occhi al cielo.
“Lei, mio caro, domani si deve sposare con la signor- Oh. Mio. Dio!” esclamò interrompendo la frase a metà e portandosi le mani alla bocca. Il Dottore tentò di approfittarne per fuggire, ma fu subito abbrancato da un braccio di quella donnona. Lui la guardò stupito e leggermente impressionato: non poteva assolutamente essere impossibile. Come faceva una mole così grande a spostarsi con così tanta rapidità? Doveva avere sicuramente altre braccia, altrimenti non riusciva a spiegarsi come aveva fatto ad afferrarlo di nuovo. Avrebbe tanto voluto tirare fuori il cacciavite sonico per studiare il fenomeno più da vicino, ma la presa ferrea della sua mano gli stava togliendo il sangue nelle vene. Inoltre non sembrava il tipo che si lasciava sottoporre a indagini per l’amore della scienza. Ah sì, c’era anche il problema che la donna avesse puntato un suo dito cicciotto contro Rose e questo l’aveva fatto desistere dal portare avanti qualsiasi altra ricerca.
La osservò incuriosito, mentre con labbra tremanti si esibiva in un altro grido, più oltraggiato questa volta, piuttosto che arrabbiato ed esasperato.
“Ehi! Calma!”
“È una banshee?” sillabò Rose con le labbra, sentendo le proprie orecchie fischiare per la potenza dell’urlo.
Il Dottore sollevò le spalle non sapendo cosa rispondere: erano finiti in un posto davvero strambo.
“Che disonore!” si intromise una donna mingherlina, afferrando Rose da dietro e girandola di colpo verso di sé a dare le spalle al Dottore.
“Che disgrazia, che disonore, che disgrazia!” continuava a ripetere mentre cercava di fare forza per trascinare la ragazza via da quel cerchio di persone.
“Cosa?” domandò Rose puntando i piedi a terra e costringendo la donna a voltarsi.
Aveva un vestito del tutto simile a quello della donnona che aveva accalappiato il Dottore e, a giudicare dalle urla che provenivano da dietro, doveva tenerlo ancora nel suo pugno. Lei però era magra come uno stecco, con i capelli più chiari che le incorniciavano severi il volto. Un tempo dovevano essere stati ramati e la sua pelle liscia come una pesca. Indossava un paio di occhiali dalla montatura squadrata e doveva curare molto ogni più piccolo aspetto del suo vestiario, ma, come la sua collega, chiunque stesse cercando era più importante di qualsiasi foglia che fosse rimasta incastrata tra i suoi capelli.
“La tradizione, signorina.”
“Quale tradizione?” ripeté Rose spazientita. Sembrava di parlare con un dentista, costretti a cavare le parole di bocca una alla volta. Sperava solo che fosse un trattamento indolore.
“Ma come quale tradizione?”
Rose sollevò gli occhi al cielo, impuntandosi maggiormente per non andare avanti.
“La sposa non può vedere lo sposo il giorno prima delle nozze. Porta male.”
Rose si voltò verso il Dottore, uno sguardo spaventato sul volto.
“Signorina!” urlò la donna oltraggiata. “Non deve vederlo. Oh Dio del cielo, non so come faremo adesso. Sette abluzioni e una tunica di seta dovremo bruciare per rimediare al danno. Per non parlare del disonore che cadrà sulla sua famiglia se dovessero venire mai a sapere cosa è successo quest’oggi.”
La fece girare bruscamente, facendo cenno alla sua grassoccia compare di fare altrettanto con l’ostaggio che si dibatteva nelle sue mani. Mise tra di loro una schiera dei contadini accorsi in aiuto alla loro ricerca disperata, mentre i più forzuti impedivano ai futuri sposi di vedersi.
“È tutta colpa tua, Grimilde.” Stridette la donna mingherlina, muovendo le braccia in aria come ad assomigliare a un mulino a vento.
“Senti da che pulpito viene la predica, Matilda. Anche tu ti sei lasciata scappare la tua signorina. Sempre detto io che quella donna non fosse adatta per il mio signore.”
“Sta attenta a come parli, Grimilde.” La minacciò Matilda, per nulla intimorita dalla mole massiccia dell’altra. “A quanto mi è stato riferito è stato lui a trascinarla in questo luogo.”
“Ma è stata lei quella che si è denudata di fronte a un uomo non sposato.”
“Se volete la mia opinione,” si intromise il Dottore sovrastando le voci delle due donne, “credo ci sia stato un grosso malinteso.”
“Lo penso anch’io.” Rispose a tono Matilda raggiungendolo in poche ampie falcate. “Non si deve nemmeno immaginare di approfittarsi della mia signorina. Nemmeno per un momento. Il fatto che domani sarà suo marito non le dà il diritto di approfittarsi di lei oggi, di…” si interruppe, imbarazzata. Il Dottore le fece cenno di andare avanti, incoraggiandola a finire la frase. “Di deflorarla anzitempo!”
“Oh. Mio. Dio.” Mormorò Rose al colmo dell’imbarazzo.
“Non ci credo…” sussurrò Grimilde portandosi la mano alla bocca. Il Dottore guardò la sua carceriera con sguardo allarmato e le mani pronte a coprirsi le orecchie nel caso la sua banshee personale avesse deciso di dare ancora una volta prova della potenza delle sue corde vocali.
“Signore, complimenti!” continuò dando una vigorosa pacca sulla spalla del Dottore, facendolo quasi stramazzare al suolo. “Erano anni che tentavo di sentire quella parola uscire dalla bocca di Matilda. Non lo credevo affatto possibile. Ha sfatato un mito, mio Signore!” si complimentò ancora, mentre la povera Matilda faceva dietro-front del tutto oltraggiata.
La donna mingherlina afferrò Rose per un braccio e, con un ultimo cenno indispettito del capo, salutò la variopinta combriccola dirigendosi verso il folto del bosco.
“Ehi, aspetti!” urlò Rose cercando di sfuggire alle grinfie di quella donna. “Ci deve essere stato un errore. Non mi devo sposare!”
“Mi sta prendendo in giro, signorina?” domandò Matilda bloccandosi sul posto e girandosi a fronteggiarla.
“Credo sia assolutamente sincera.” Fu la replica pacata del Dottore, che invano cercava di liberarsi della sua tosta carceriera.
“Signorina?” la incalzò ancora una volta la donna, avvicinandosi minacciosa a Rose.
“Non mi devo sposare.” Ripeté questa leggermente intimorita.
“Mi auguro sul serio che lei stia scherzando, signorina. Dopo tutto quello che ho fatto per lei non credo di meritarmi un trattamento simile.” Singhiozzò Matilda nascondendo il volto in un piccolo fazzoletto ricamato.
Rose le si avvicinò, sfiorandole la spalla con una mano in un gesto di comprensione e conforto.
“Mi dispiace, ma non credo proprio che mi sposerò domani. Non io, per lo meno.” Continuò la ragazza girandosi a guardare il Dottore che le annuì incoraggiante. “Penso che ci sia stato uno scambio di persona. Ci avrete confuso con qualcun altro.”
“Non potrei mai scambiarvi con nessuna, signorina.” Ribatté la donna guardando Rose negli occhi. “Vi ho vista crescere sotto i miei occhi, vi conosco come il palmo della mia mano.”
“Mi state sicuramente confondendo con qualcun altro, glielo assicuro.” Rispose Rose iniziando a essere infastidita per la faccenda.
“Non mi prenda in giro, signorina. Lo scherzo è bello finché dura poco. Non faccia questo a una povera vecchia che l’unica cosa che desidera è vedervi felice. Anche a costo di vedervi con quell’uomo.”
A Rose venne in mente un’idea: sicuramente il nome del Dottore sarebbe stato sufficiente per far capire che dovevano essere tutti caduti in un enorme malinteso con relativo scambio di persona.
“Quell’uomo,” disse Rose indicando con un dito il Signore del Tempo. “Il mio sposo,” precisò alzando gli occhi al cielo quando la donna borbottò indispettita, “quale sarebbe il suo nome?”
Matilda la guardò sbigottita, ma vedendo lo sguardo determinato della giovane si decise a rispondere.
“Il Dottore, signorina Rose. Come altro dovrebbe chiamarsi il suo futuro marito?”
Rose ondeggiò all’indietro, del tutto incredula della piega che avevano assunto gli eventi. Osò guardare per un secondo il Dottore, prima di scivolare svenuta al suolo.

~o0o~


“Dove mi trovo?” domandò Rose aprendo di poco gli occhi.
La luce le stava dando fastidio. Si tirò il lenzuolo fin sopra la testa, nascondendo il volto nel cuscino. Cuscino? Rose si mise bruscamente a sedere, guardando spaventata l’ambiente attorno a sé. E sì che era sicura di trovarsi nel bosco. O almeno, i suoi ultimi ricordi comprendevano un bosco, gente impazzita e il Dottore. Si parlava anche di un matrimonio, ma quello doveva solo essere stato il frutto della sua immaginazione e del sole.
“Dove mi trovo?” ripeté spaventata, portandosi le ginocchia al petto.
Si guardò attorno nella stanza bianca invasa dalla luce. Doveva essere pomeriggio inoltrato, il sole aveva già iniziato la sua discesa verso le colline, conferendo alla camera variopinti giochi di luce.
Si spostò nel grande letto, posando la schiena contro la testata in ferro battuto.
La stanza era elegantemente decorata sulle tonalità del legno chiaro e del bianco. Esattamente di fronte al suo grande letto c’era una cassettiera con piccoli intarsi su cui faceva bella mostra di sé una composizione floreale di varie tonalità di rosa. Alla sua sinistra, opposto alle grande vetrate, si stagliava un armadio a quattro ante, parzialmente coperto da un paravento.
Dovevano essere ricchi i proprietari di quella casa per riservare una stanza del genere a una sconosciuta.
Rose scostò le lenzuola e balzò giù dal letto, stringendosi la vestaglia addosso per proteggersi dal venticello fresco che proveniva dalle finestre aperte. Con passo malfermo si diresse a chiudere le ampie vetrate, fermandosi poi a dare un’occhiata al panorama sottostante: la camera doveva dare sul giardino privato della villa. Sotto la sua finestra si apriva una grande corte al cui centro spiccava una fontana che zampillava allegramente acqua dalle statue che la adornavano.
Rose si guardò intorno, osservando incuriosita il movimento frenetico che c’era in giardino. Sembrava stessero preparando un banchetto.
Chiuse bruscamente la finestra posandosi contro i montanti in legno.
Il matrimonio! Allora non era colpa del sole!
Tirò bruscamente le tende e iniziò a spogliarsi: doveva scappare di lì, raggiungere il Dottore e mettere quanti più anni luce tra loro e quell’epoca.
Si diresse al mobile per la toeletta e si lavò velocemente con un po’ d’acqua gelata. Si pettinò con cura i capelli liberandoli delle ultime foglie ancora impigliate, mentre con gli occhi scandagliava la stanza alla ricerca dei suoi abiti.
In quel mentre la sua attenzione fu catturata da un disegno sullo scrittoio in mogano. Si avvicinò titubante, prendendo la cornice d’argento con la punta delle dita.
“Signorina!” esclamò una voce dietro di lei facendole fare un salto improvviso. Rose lasciò cadere il disegno sul tavolo che atterrò con un sonoro tonfo.
“Oh, mi scusi signorina. Non volevo spaventarla.” Si affrettò ad aggiungere la servetta abbassando colpevole lo sguardo.
“Non preoccuparti,” cominciò Rose girandosi a guardare la nuova arrivata. “Martha? Cosa ci fai tu qui?” aggiunse subito dopo raggiungendo la ragazza con due ampie falcate.
“Oh, Martha! Sono così felice di vederti!” la abbracciò di slancio. “Non puoi credere in quale assurda situazione siamo finiti io e il Dottore questa volta. Anche se penso tu lo possa immaginare.” Le disse all’orecchio con tono complice.
La servetta la guardò spalancando i suoi occhi neri, leggermente intimorita dallo strano comportamento della sua signora. La allontanò di colpo, abbassando il volto arrossato.
“No, mia signora. Davvero non so di cosa stiate parlando. E la prego,” continuò prendendole le mani e portandosele al petto in un gesto di supplica e preghiera. “La prego davvero di non dire più un’assurdità del genere.”
Rose la guardò sbigottita e annuì automaticamente con la testa. Martha le sorrise raggiante e si allontanò con un inchino informale. Rose rimase impietrita in mezzo alla stanza osservando meglio la ragazza che si affaccendava per la camera a sistemare il disordine che aveva causato.
“Martha?” la richiamò dopo un po’, ancora indecisa sul da farsi.
La servetta sistemò le ultime pieghe del lenzuolo prima di voltarsi, sempre con il capo abbassato, verso la propria padrona.
“Perché indossi quei vestiti?”
La ragazza spalancò gli occhi sorpresa, fissando con sguardo assente la gonna nera perfettamente stirata.
“Signorina, mi dispiace.” Sussurrò costernata, infossando maggiormente la testa contro il petto. “Era il giorno dell’abito blu. Sono profondamente dispiaciuta e le assicuro che non accadrà mai più una simile mancanza.”
“Martha… ehi, Martha.” Disse Rose, avvicinandosi alla giovane e sollevandole il volto con due dita. “Va tutto bene, Martha. Non hai fatto nulla di male. Volevo solo sapere perché indossavi questi vestiti da cameriera.”
“Oh, grazie mia signora. Grazie.” Disse sentitamente, asciugandosi veloce gli occhi umidi.
Rose le sorrise compiaciuta, porgendole un bicchiere d’acqua fresca.
“Ti senti meglio adesso?” le chiese dopo un po’ con un sorriso rassicurante. La ragazza annuì riconoscente, rimettendosi veloce al lavoro.
“Sono la sua cameriera personale, signorina.” Iniziò a raccontare sotto lo sguardo curioso della propria padrona. “Sono adibita alla cura della sua stanza e della sua persona.”
Rose annuì assente, pendendo dalle labbra della ragazza.
“E cos’altro?” le chiese Rose incalzante, beccandosi un’occhiata stranita dalla propria servetta.
Questa scosse la testa e scrollò le spalle.
“Mi sa che il sole mi ha dato la testa questa mattina,” continuò Rose cercando di non dare troppo a vedere quanto quelle risposte le fossero davvero necessarie. “Ho i ricordi un poco confusi.”
Martha annuì e le iniziò a raccontare tutto, dalla loro infanzia assieme fatta di giochi e studi, fino all’incontro con il Dottore. Rose la ascoltava affascinata: c’erano molti punti in comune con la sua vera vita e questo fatto era un po’ disturbante.
“Come ci siamo conosciuti io e il Dottore? E per favore, dammi del tu.” Domandò con un filo di voce, quando le mani veloci di Martha le chiusero con esperienza il corpetto stretto.
“Oh, questa è una delle storie che più mi piace ascoltare.” Le confidò la servetta porgendole un abito azzurro chiaro. Aveva il corpetto bordato di pizzo e le maniche a sbuffo, mentre la gonna voluminosa le copriva la punta dei piedi. Rose fece una piroetta su se stessa, ammirandosi nel riflesso dello specchio che occupava un angolo della stanza.
“Siete splendida, signorina.” Sussurrò Martha con affetto. “Farete morire d’invidia ogni uomo della città.”
Rose arrossì imbarazzata, nascondendo civettuola il volto dietro il ventaglio.
“Mi stavi raccontando di me e del Dottore.” Riprese il discorso Rose, lasciandosi guidare verso il mobile per la toeletta.
“Giusto. Vi siete conosciuti in un modo del tutto singolare. Ma in fondo niente è normale con quel signore.” Le disse con il sorriso di chi ne sa tante sulle labbra. “Lavoravat-“ si corresse subito, “lavoravi all’emporio del paese, cosa che ha sempre fatto infuriare tuo padre. Una donna della tua classe sociale non dovrebbe lavorare, ti ripeteva sempre. Ma tu non lo ascoltavi mai. E sotto sotto credo che tu padre ti abbia sempre ammirato per questa testa dura che ti ritrovi.” Le disse con tono fintamente serio, battendole scherzosa una mano sulla tempia. “Anche se molto spesso ci ha messo nei guai. Comunque, lavoravi all’emporio fino al giorno in cui il tuo caro Dottore non ha fatto saltare in aria il negozio.”
Rose rise di gusto. “Tipico del Dottore.” Commentò. “Non ha altro mezzo per farsi notare se non di fare un ingresso in grande stile.”
“Esatto! È proprio quello che mi hai detto la prima volta che mi hai raccontato questa storia. Visto che la memoria sta iniziando a tornare?”
Rose annuì al riflesso dello specchio, facendole cenno di continuare col proprio racconto.
“Da quel giorno non vi siete più lasciati, come se fosse scoccata una scintilla. Siete una bella coppia, davvero. Molto affiatati. Avete anche fatto impazzire tua madre, scappando in quel modo per sei lunghi mesi.”
“Davvero?”
“Oh sì!” confermò Martha con un sorriso complice sul volto. “Non faceva che sbraitare disonore di qua, disonore di là. Disonore sulla famiglia, disonore sulla cittadina intera.”
“L’ho fatta davvero impazzire.” Sussurrò Rose davvero dispiaciuta, come fosse lei la responsabile di tutto quel trambusto.
“Sì, è quasi morta di paura. Tutti qui eravamo in pena per la tua sorte. Ma infine sei tornata, raggiante forse più di prima.”
“E per fortuna non incinta.” Aggiunse Rose soprappensiero.
Martha annuì grave.
“Per fortuna.” Confermò la servetta in un sospiro.
“Dove sono stata?” chiese a bruciapelo curiosa.
Martha scosse la testa, ormai rassegnata a dover raccontare tutto alla sua smemorata padrona.
“Tu e il Dottore avete fatto un viaggio. Niente di sconveniente – come ha poi confermato il medico.” Bisbigliò sottovoce, facendo arrossire Rose e lei stessa. “Siete andati a New York e lì avete aperto una filiale della ditta di invenzioni di tuo padre. Forse è stato per quello o per la gioia di vederti sana e salva che tua madre ti ha poi perdonato.”
“Certo, il Dottore si è preso anche un bello schiaffone in faccia,” aggiunse poco dopo, massaggiandosi distrattamente una guancia. “Mi sa che doveva fare un bel po’ male.”
“Ne sono consapevole.” Commentò Rose, aprendo curiosa il portagioie. “Ma credo proprio che se lo sia meritato.”
Martha annuì. “Sì, gli è andata particolarmente di lusso. Pochi possono dire di essere rimasti incolumi alla furia Tyler. Ma credo che a tuo padre il Dottore piaccia particolarmente.”
La servetta le chiuse un acquamarina al collo e iniziò a intrecciarle i capelli in una complicata acconciatura che faceva risaltare gli orecchini coordinati.
“Ecco, ora sei pronta.” Annunciò orgogliosa Martha, guardando la propria padrona attraverso lo specchio.
Rose si ammirò nel riflesso: pareva un’altra persona. Si passò le dita nell’acconciatura stretta liberando due ciocche di capelli ad incorniciarle morbide il volto.
“Sono splendida.” Soffiò ancora stupita. Stentava davvero a riconoscersi. Martha le porse una maschera in tinta col vestito, contornata da piccole piume brillanti.
“Per cosa?” chiese fissando la servetta con uno sguardo perplesso.
“Per il ballo in maschera.” Rispose l’altra come fosse il fatto più ovvio del mondo, del tutto incredula che la propria padrona se lo fosse scordato.
Rose camuffò lo stupore dietro la maschera.
“Allora sono convinta che quel vestito rosso che c’è dentro il mio armadio ti calzi a pennello.” Commentò infine alzandosi in piedi.
Martha fece un passo indietro colta alla sprovvista.
“Ma, mia signora.” Balbettò con un filo di voce.
“Ti prego, Martha. Accettalo.”
“Ma, davvero, mia signora, non posso.”
“Martha, fallo per me, per l’amicizia che nutri nei miei confronti.”
“Io… io non so cosa dire.”
Rose annuì, andando a prendere veloce l’abito e sventolando davanti a sé.
“Dì solo grazie e mi renderai felice.”
Martha la abbracciò di slancio, felice come mai lo era stata prima.
“Grazie, Rose. Grazie davvero.” Sussurrò con le lacrime agli occhi, sfiorando con mani tremanti il tessuto prezioso. Era un abito rosso scuro, bordato di pizzo nero e decorato con complicati arabeschi neri anch’essi. Non aveva mai indossato un vestito del genere prima d’ora.
“Va’ a prepararti.” Le disse Rose con affetto, offrendole il riparo del proprio paravento.
Martha si cambiò velocemente, ridendo e scherzando con la propria padrona.
“Che lavoro fa il Dottore?” domandò a un certo punto Rose, lo sguardo perso fuori dalla finestra.
“Oh, un po’ di questo, un po’ di quello. È molto eclettico, forse è per quello che piace tanto a tuo padre e fa imbestialire tua madre.”
Rose sorrise, immaginando la scena nella sua mente.
“Qui in paese, comunque, lo conoscono come il signore del tempo. Come sto?” domandò ansiosa uscendo da dietro il paravento.
A Rose mancò un battito a quelle parole, ma si riscosse in fretta, vedendo lo sguardo di aspettativa dipinto sul volto della propria servetta.
“Sei splendida Martha.” Sussurrò con un filo di voce, prendendole una mano e facendole fare un giro su se stessa. “Mi sa che anche tu questa sera farai strage di cuori.” La ragazza arrossì imbarazzata, borbottando qualcosa che Rose non riuscì ad afferrare.
“Ma allora hai un ragazzo!” insinuò curiosa, prendendola sottobraccio. “Mi devi raccontare tutto!” le disse cospiratoria, uscendo dalla stanza e facendosi guidare fino alla sala del banchetto.

Continua…

   
 
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