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Autore: GoldSaints    28/04/2011    3 recensioni
Gamlehaugen non è imponente come l'Akershus, la fortezza costruita dalle mani dei vecchi re di Norvegia, antica quanto Oslo. Gamlehaugen è un castello da fiaba, circondato dalla foresta. Gamlehaugen è una cornice fatata, di un incontro che di innocuo ha solo l'apparenza. E forse neanche quella.
{MINOS/RUNE} {pre-Hades}{shonen ai implied}
{by LeFleurDuMal & Ren_chan}
Genere: Dark, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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gamle4

Eton, Inghilterra.

Gennaio 1980


La ruota del Fato ha cominciato a girare. E lui, per primo, sente.
Nessuna chiamata, a destarlo: Minosse, re antico, ne viene cullato sin dalla nascita, come una ninna nanna. Destinato agli Inferi, attratto dall’oscurità, si nasconde poco e tuttavia finge molto: non ha ancora coscienza di sé e del suo futuro, né tanto meno può prevederlo. Ma percepisce il girare della ruota, e sa attendere, Minosse, re antico. I mostri sono suoi figli, li sono sempre stati: di vita in vita, dal possente Minotauro ai genii delle foreste norvegesi. I mostri sono suoi figli, e quando non gli appaiono, li tira con i suoi fili. Li colleziona come bambole. In attesa.


Capitolo IV
Rowing


Il prato verde tagliato corto si estendeva nella sua dolce pendenza sino all’acqua scura, che baluginava ad ogni colpo di remo, muovendosi pigra e quasi senza rumore.
Gli scrosci lenti e il vociare dei ragazzi che scendevano dalle canoe attraversavano l’aria piatta e fredda sino a giungere distanti alle orecchie di Minos. Il ragazzo cincischiava slacciandosi e riallacciandosi le stringhe delle scarpe, già seduto sull’erba, evidentemente poco interessato a rimettere a posto remi ed attrezzi.
Un ragazzo decisamente più robusto di lui lo urtò di proposito, senza ricevere dal compagno la benché minima occhiata. Quella arrivò tardi, intensa ed indecifrabile, nascosta dalla folta frangia, e rivolta più che a lui alle sue spalle; ma quello già stava facendo finta di niente, mettendo via le lunghe aste di legno, un sorrisetto complice ad un compagno di canottaggio. Che, tanto per dar manforte all’amico, si era già piazzato davanti a Minos, pestandogli le stringhe.
Ci fu un gran sghignazzare, fino a che proprio lui, che era il più magro, pallido ed esile dei tre si alzò in piedi, e con uno spintone spedì il tizio dei remi dritto in acqua.
Un grande scroscio, molti ragazzi si voltarono, e le risate del tizio delle stringhe aumentarono inspiegabilmente di volume, mentre il norvegese si sfregava le mani: “Idiota. Te lo do io il remo.”
Con somma calma, riemersero due mani.
Poi riemerse tutto il corpo, giovane, robusto e temprato dagli allenamenti di rowing.
Senza dire una parola, il ragazzo risalì sulla riva, strizzò la canottiera, la rimise nei pantaloni.
Il perfetto gentiluomo. Umidiccio.
Holy God, Minos. Non sai stare allo scherzo.”
Ti faccio passare io la voglia di… e tu non ridere” anticipò con un’occhiata gialla l’altro, che ovviamente si stava sbellicando. Il Lord zuppo, intanto, si rinfrancava come ogni suo pari discorrendo sulle condizioni metereologiche: “Mh. Il sole è così tiepido, questa mattina, non è vero?”
Non abbastanza per riscaldarlo, evidentemente, perché dovette togliersi la canottiera, dopo qualche vano secondo di speranza nella pallida mattina lattiginosa di Eton. Minos lo degnò vagamente di uno sguardo, stendendosi sull’erba con una studiata aria sofisticata:

Voi inglesi non sapete far altro che parlare del tempo.”
E la cosa peggiore è che è la cosa più interessante, qui intorno” chiosò il terzo dello sparuto gruppetto, ignorando sia il gesto ostentato con cui il norvegese si calcava in testa un cappello alquanto improbabile (e quasi sicuramente fuori regolamento), che lo spogliarello del biondino. Costui, che più che sfoggiare chissà cosa aveva intenzione di evitare di prendersi un raffreddore, pensò bene di finire di mettere a posto i remi. Nel mentre, diede prova di un’ironia un po' più diretta: “La Norvegia, immagino, è molto più vivace.”
“Puoi scommetterci.” Sbottò invece l’interpellato, alzandosi mezzo seduto. “In Scandinavia, o splende il sole o infuria la tormenta. Nessuna mediocre via di mezzo.”
“Posso immaginare” non raccolse, l’altro, schizzandogli appena qualche goccia d’acqua mentre tornava a sdraiarsi vicino gli altri due, sul prato. Tutti gli altri ragazzi si stavano già andando a cambiare, per godere il più possibile dei minuti di tempo libero dopo l’allenamento.
“Non resisteresti una notte” sfoderò un ghigno spettrale, tornando alla carica, quello che l’inglese aveva avuto la sfortuna di ritrovarsi per quel semestre come vicino di stanza: “Agli ululati della tormenta…”

Lui alzò un aristocratico sopracciglio all’espressione da fantasma con cui quell’altro, evidentemente, voleva spaventarlo: “Che assurdità. Non dici altro che assurdità.”
Minos rovesciò il capo indietro, ridendo, e da quella posizione rivolse un ghigno anche all’altro ragazzo: “E tu? E tu resisteresti?”
Io? Io le cose che ululano...” ghignò lui “…me le mangio.”
E da là sopra gli fece il verso
, restituendogli una smorfiaccia da fantasma. Il biondino, ignaro dell’improvvisa complicità degli altri due, aveva intrecciato le mani sotto la nuca, godendosi il tepore di quella mattinata gentile. Ma venne interpellato ben presto:
Non come il piccolo lord, qua.”
Già. Mangia solo porridge, lui.”
Minos. Ryan.” Calmissimo e immobile, non aprì nemmeno gli occhi. “Fuck off.”
Nessuno si fece impressionare dalla
sua piazzata, men che mai un giovane principe norvegese, che si alzò apposta per oscurargli il sole sulla faccia, incitandolo a male parole. Sembrava molto più allegro e divertito di quanto fosse nel rigore reale di Oslo, o tra le nevi incantate di Gamlehaugen; era più rapido, più reattivo, gli occhi più svegli. La parlantina più sciolta, toni di voce più alti, si divertiva ora a scuotere alla buona con un piede il compagno che oziava sul prato, pronunciando il suo nome come se fosse qualche cosa d’irrimediabilmente comico:
Avanti, Charles. Siamo sempre stati cordiali l’uno con l’altro, ma adesso che siamo vicini di stanza dovresti fare lo sforzo di socializzare, non ti pare?”
Nessuna reazione.
Sii…” gli schiacciò lo stomaco col piede. “…socievole!”
Peccato che gli studenti dell’Eton College non fossero accondiscendenti come i suoi domestici, né docilmente sottomessi come le sue bambole: si prese senza troppe cerimonie una gomitata un pancia e venne atterrato da un inglese deciso e scocciato. Erano in vita sua le prime volte che finiva per prendere botte, ma aveva cominciato inspiegabilmente a prenderci gusto. Rise, malignamente ma rise, opponendo una blanda resistenza, per quel che ne era capace.
Ad un certo punto Ryan decise che tutto quel contatto fisico a casaccio gli piaceva.
Non è un comportamento da gentiluomini, il tuo” stava impartendo lezione Charles, tenendo giù Minos con un ginocchio. E gli arrivò l’altro addosso.
Levati!” protestò, rauco. Tuttavia, cercare di scalzare via un altro atleta in maniera composta è auspicabile, per un Lord, ma non sempre fattibile; riuscì a saltare indietro con più decisione solo quando la risatina spettrale di Minos cominciò a suonare troppo melliflua. Tutti e due si tolsero presto di mezzo e rimasero a guardarlo abbastanza perplessi. Charles fece gesto di spolverarsi una camicia che non aveva, dal momento che era ancora a torso nudo: “Minos! Le lezioni del professor Talbot non ti hanno insegnato nulla? Contegno!”
Intanto ti sei levato.”
Lui scosse il capo, apparentemente cambiando argomento:
È quasi l’ora del tè.”
Mancano tre quarti d’ora!”
Mentre
gli altri due battibeccavano, Minos, da steso che si era rimesso, si rivoltò a pancia in giù, ozioso. Passò le dita lungo un filo d’erba e lo staccò, tacendo per ancora qualche minuto. Poi domandò ai due compagni, senza voltarsi a guardarli:
Voi che cos’avete fatto durante le vacanze di Natale?”
Dopo i primi secondi di silenzio, passati a guardarsi come se dovessero consultarsi, il biondino assunse un’aria molto seria,
quasi contrita:
“Ho cantato molte carole.”
Il più scuro dei due invece si limitò ad alzare le spalle: 
“Ho ripreso a masticare coca.”
Charles si voltò con aria scandalizzata verso
il ragazzo di fianco.
Ah, ma tu racconta pure delle carole.”
Mia sorella” lo fulminò con un’occhiataccia, infatti, riprendendo a raccontare “suonava il piano.”
Ha
una sorella?, fu l’espressione scambiatasi in simultanea degli altri due.
“…quando era ancora in vita.”
Ah.”
Quindi da quest’anno ho iniziato a suonare io.”
Com’è inglese, questa faccenda delle sorelle che muoiono.”
Passane anche a me” s’intromise subito Minos, i capelli sulla fronte che rendevano indecifrabile l’espressione del viso. Sembrava attento e vigile. Naturalmente si riferiva alla coca.
Nah” ghignò il moretto, che effettivamente qualcosa ruminava, al momento, ma poteva essere anche solo un filo d’erba. “Ai ragazzini magrolini fa male.”
Magrolino. Tskch.” Lo guardò malissimo lui, punto sul vivo. Non era affatto come diceva Ryan, per giunta, nonostante l’idiota allungasse le manacce per pungolarlo alle costole, come a dimostrargli quanto fossero in rilievo. Era anzi di corporatura sana ed atletica, teneva il passo in marcia, sfilava dritto facendo la sua figura nelle processioni studentesche: era solo che di fianco a entrambi i compagni, di indole più sportiva, la sua muscolatura scadeva al confronto. Se gli altri due non avessero colto ogni opportunità buona per rinfacciarglielo, non vi avrebbe dato neanche troppo peso.
Charles sospirava, in
tanto, il viso rivolto al lago che si perdeva fra le fronde, senza badare a loro.
Little Elizabeth…
Ma secondo te” interloquì il moro, le sopracciglia contratte, prima di sputare a terra il filo d’erba ripetutamente masticato “è una tara genetica degli inglesi, o è solo lui?”
Solo lui e Coleridge,
stava per dire Minos. Ma anche Byron, pensò. E Wordsworth. E Keats. Quindi tacque. Forse era una tara degli inglesi.
Non saprei” rispose quindi, indifferente, ad una domanda altrettanto indifferente. “Non ho sorelle morte.”
Io sì, ma non faccio mica tutte quelle scene.”
Dovresti trovarti un hobby, Minos, anche dove vivi tu” li riscosse la voce profonda del ragazzo seduto poco avanti. Serio, come se le sorelle fossero un hobby. Poi spostò gli occhi verso Ryan, guardandolo come se fosse un totale insensibile.
Ho già un hobby. E non m’interessano i marmocchi.”
Aveva parlato Minos, adesso, gli occhi gialli attenti.
La conversazione si era portata su toni assurdamente surreali, e persino lo scroscio dell’acqua si era fermato. Guardò con attenzione i suoi due compagni di college, senza un motivo particolare – senza pensare a suo fratello minore, il suo fratellastro di sei anni che avrebbe regnato sulla vasta Norvegia. O alla bambina, sua sorella. Non gli importava.
Schiuse le labbra, in quel silenzio irreale e
morto, e fissò lo sguardo in quello di Ryan, scuro e fermo quanto il suo. Irreale.
Anche tu?”
Cosa?”
Sorelle morte.”
Lui serrò le labbra, sbrigativo. Ma non distolse gli occhi dai due, affascinato.
Ah. Sì.” Tono plumbeo. Occhi fissi. Charles guardava l’acqua. “Due.”
Surreale. Il racconto. Il tono della voce. L’acqua.
L’atmosfera si fece pesante. Come avevano fatto a non avvertirla, molto prima?
Il biondo seduto sulla riva smise di sfidare il debole sole di gennaio. Si rimise la canottiera, distogliendo col rumore della stoffa e dei remi goffamente urtati l’attenzione da quell’atmosfera densa e inquietante:“…and we all ate Christmas pudding.”
Una qualsiasi inglesità che era matematico catturasse l’attenzione dei due compagni,
i quali infatti recuperarono in fretta la loro verve.
Ah, certo” ghignò Minos. “E tu?”
Io?” rispose Ryan, sgrattandosi i capelli scuri. “Le cose che facciamo tutti gli anni. La corsa coi lama…”
La corsa coi lama!” rise Minos nel suo modo maligno e sarcastico, mentre Charles guardava Ryan come se gli avesse detto che andava a lezione senza cravatta.
Eh. Perché, non è una noia mortale?” ribatté quello, un sorrisetto.
Sempre a dire assurdità… lama! Ma come ti vengono in mente?”
Ma
fu la voce di Minos che inspiegabilmente catturò l’attenzione di entrambi.
Io…”
Si voltarono.
Il ragazzo disteso aveva appoggiato il mento su entrambe le mani: un ghigno allungato, una mezzaluna pallida gli solcava il volto bianco. I due ragazzi si bloccarono, senza cambiare espressione, di fronte a quel sorriso, a quello spettro, a quella marionetta dall’espressione sardonica che li fissava entrambi. Videro scintillare due lampi dorati da sotto i capelli, come se il mondo, l’orario delle lezioni, l’acqua del lago si fosse fermata per accogliere qualcosa.
E lui schiuse le labbra, improvvisamente perfido.
Io ho trovato un giocattolo.”




~ Gamlehaugen’s corner by Rucci


Prepotente cambio scena, prepotente cambio di personaggi. Rimane solo Minos, sempre generoso nel distribuire le sue angherie al prossimo. Anche se in questo capitolo lo si vede soprattutto subire, non tarderà a prendere in mano i fili della situazione, come ben avrete immaginato; ma abbiamo voluto mostrarvelo anche così, in bilico fra un mondo prevalentemente terreno e ancora l’altro. Lo scenario è meno suggestivo e ricco di spunti della foresta norvegese, e ci sono in gioco personaggi decisamente più pragmatici con cui raffrontarsi: qual è il legame con le forze infere?
La struttura della fanfic, ad ogni modo, è impostata a 'triadi' di capitoli, di cui la prima è già conclusa: tre a tre sono autoconclusive, se così si può dire. Ma ovviamente si richiamano tutte a vicenda.
Questa è la seconda: speriamo che vi piaccia abbastanza da continuare, perché abbiamo bisogno di tanto supporto, con tutti i progetti che abbiamo in corso. Sììì, sono troppiii! Dannazione! Vogliamo la stanza dello spirito e del tempo! Ci spetta di diritto! *C*;

Grazie a…

Shinji e Ayako, che ci hanno commentato nello scorso capitolo. Ma a tutti coloro che hanno letto e seguito la fic, che l'hanno gradita tanto da metterla fra preferiti e seguiti, cercheremo di non deludervi. Davvero. Un bacio.


   
 
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