Chiaroscuri e Prospettive-La Vendetta
Due
mesi.
Faccio pena, lo ammetto, ma fondamentalmente penso di conoscere
personalmente tutte le poche persone che leggono la storia ( e se non
è così, fatevi vivi o.o), quindi mi perdoneranno
:D
Il prossimo spero di pubblicarlo più velocemente, sto
tentando di disintossicarmi dai contest.
*-* Sperando
che vi piaccia, vi lascio alla lettura.
un abbraccio,
Lilyblack.
p.s. Ricordo che questo è il sequel di Chiaroscuri e Prospettive, una minilong di 4 capitoli già ovviamente conclusa.
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Friends
& Family
-
L'amicizia
è la parentela più stretta." Hazrat
Ali(599-661),
califfo arabo.
-
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La
notte portava consiglio, ma questo per Daphne non si verificava mai;
la notte avrebbe dovuto lasciar scivolare da lei i brutti pensieri e
lasciar spazio ai sogni, ma i luoghi comuni non si erano mai adattati
alla sua pelle.
Era, da sempre, la creatura delle contraddizioni,
delle passioni generalmente incontrollabili, ma a volte tanto
represse da sfociare in scatti inconsulti, in notti come quella che
si apprestava a vivere.
Il buio invadeva ogni cosa, oramai da ore,
eppure per lei la notte era ancora giovane e le prometteva
ubriacature di vita e rumori talmente forti, da zittire pensieri
troppo rumorosi perfino per lei, abituata a far tacere
tutti.
Importava poco che la casa in cui era appena entrata, con
il solito passo da regina, non fosse quella in cui sarebbe voluta
essere e passava sotto gamba anche il fatto che, in situazioni
normali, essere in casa di un semisconosciuto l'avrebbe divertita e
disgustata al tempo stesso; la fronte le batteva e lei voleva solo
estraniarsi da se stessa, da ogni sensazione cosciente che le si
agitava dentro. Cedere ad uno spasimante che altrimenti non avrebbe
nemmeno guardato, era un ottimo metodo, che funzionava per tante
altre e che avrebbe funzionato anche per lei.
Il salotto lounge e
moderno che la attorniava, la rapì ben presto facendo leva
sulla sua
innata curiosità, tanto che si dimenticò
piuttosto velocemente del
disappunto che l'aveva colta, quando si era resa conto che il suo
occasionale incontro abitava nei quartieri bene della Londra magica,
non lontano dall'attico di sua sorella.
Divano di pelle con
annessa chaise longue, mobile bar estremamente assortito e musica
diffusa nell'aria con qualche incantesimo di ultima invenzione; tutto
intorno a lei gridava 'scapolo alla moda' ed era atto a convincere, a
far rilassare, le fortunate ''prede'' che capitavano in quei
luoghi.
Daphne non aveva bisogno di essere convinta o circuita,
aveva varcato quella soglia con perfetta coscienza e desiderio, di
quello che la aspettava; aveva sicuramente un quoziente intellettivo
più alto dell'ospite media, eppure quella musica dal ritmo
basso e
trascinante, le stava prendendo i piedi, salendo su per le gambe fino
a farle muovere i fianchi a ritmo, lasciando che l'orlo morbido del
vestito verde che indossava, ondeggiasse liberamente.
Il motivo
portante della canzone, sembrava quello che suonavano nel momento in
cui aveva deciso di dimenticare, per una notte, il suo amore
impossibile e di gettarsi tra le braccia del primo latinlover, di
bell'aspetto, che avesse incontrato l'antipatia di Blaise.
Pura
ripicca; infantile e probabilmente pure stupida, ma terribilmente
soddisfacente.
Era
stato estremamente piccolo, il passo dalla pista da ballo al salotto;
aveva impiegato poco ad abbandonare la bolgia per trovarsi
lì, con
un bicchiere di Brandy in mano, le sue labbra impegnate a
solleticarle il collo e le mani ben felici, di avvolgerle i fianchi
sottili.
Deglutì un picolo sorso di liquore e poi si voltò
a
baciarlo, tentando di infondere in quel gesto quanta più
convinzione, irruenza e sensualità possibili.
Voleva crederci, e
non sarebbe stata la prima né l'ultima, che nel tentativo di
convincere sé stessa di gesti astrusi, passava attraverso il
convincere gli altri.
Aveva bisogno di sapere che pote va baciare
chi voleva, che non era così malata di una singola persona
da aver
perso la suo libero arbitrio; lei, che di libertà era
malata,
assuefatta e dipendente.
''Balliamo?''
Ballare
e lasciarsi andare; era la scelta migliore, quella che comportava
pochi pensieri, un vortice di mani che danzavano lungo i profili dei
corpi e dei volti e i baci di lui, che dalle labbra ancora ubriace di
liquore scendevano lente, studiatamente lente, fino ai seni,
lasciando che il suo capo si reclinasse all'indietro, in una cascata
di capelli biondi e i suoi pensieri, volassero altrove.
Lasciò il
corpo danzare, agitarsi, disegnare curve morbide nell'aria, con il
solo scopo di attirare l'attenzione, già totale, dei suoi
occhi e
delle sue mani, con il solo obiettivo di essere il centro totale dei
suoi sensi.
Come previsto, come voluto, bastò poco per far
scivolare via la preziosa seta verde dal suo corpo e lasciarlo nudo,
indifeso e provocatore, avvolto solo da lezioso pizzo nero; pronto e
impaziente, di essere disteso sul pellame del divano, di essere
accarezzato, corteggiato, invaso.
Le parole non erano necessarie,
i corpi che si appiattivano con veemenza l'uno contro l'altro
parlavano da soli, di bisogni e necessità diverse, magari,
ma che
confluivano nello stesso istinto, negli stessi gesti guaritori ed
esorcisti.
Le loro pelli sembrano avere fame l'una dell'altra, un
urgenza spasmodica di ritrovari a contatto, di sfiorarsi, di
imprimersi l'odore altrui addosso. Non era più questione di
cervello, era alchimia, istinto; follia, forse, e puro impulso
sessuale, bisogno di sentire i nervi esplodere e la coscienza
scomparire.
Aveva desiderato, cercato e agognato quei momenti,
Daphne, preteso con il proprio corpo, quelle carezze che ora
abbattevano ogni barriera e rubavano, fameliche e possessive, quanti
più centimetri di pelle possibile.
Attendere, era inutile. Tirò
a se il corpo di quell'uomo che si sarebbe iluso di averla, per
qualche ora, per una notte, credendo di essere stato lui a decidere
per entrambi, credendo di avere il potere di circuirla.
Lasciò
che i suoi seni si schiacciarono contro il suo torace, fece scivolare
le mani in larghe carezze sulla schiena possente e percorse strade
già conosciute eppure sempre diverse, in punta di piedi, di
labbra e
di dita; sperò, inequivocabilmente, che quella cura 'fuori
dal
comune', funzionasse, che le portasse l'oblio anche solo per poco
tempo.
Quando
il matino arrivò, gli attimi che aveva rubato alla
realtà
sembrarono troppo brevi e la vita di tutti i giorni, troppo gelosa di
riaverla con sé.
Il sole le accarezzò freddo la pelle candida,
talmente tanto simile alla neve da essere, a volte, definita
terribilmente pallida secondo l'occhio affettuoso, o invidioso, di
chi lasciava scorrere l'attenzione su di lei.
Il freddo del divano
su cui aveva febbrilmente danzato e dove si era addormentata, la
risvegliò del tutto e consegnò alla sua mente il
conto. Ogni attimo
di quella nottata e anche tutti gli istanti che aveva tentato di
affogarci dentro, tornarono a galla: Blaise e la sua ultima fiamma,
rossa come lo stendardo Grifondoro, quell'idiota di Oliver Baston che
si allontanava a distanza di giorni con la stessa donna, come a
ricordarle che chiunque poteva avere Blaise, ma non lei e ultima,
principescamente ultima, sua sorella che continuava a ricordarle che
doveva trovare marito in fretta, ritirarsi a vita privata e fare
tanti figli, se non voleva finire depressa e suicida.
L'uomo, di
cui avrebbe faticato a ricordarsi il nome ancora per un po', era
ancora disteso accanto a lei e la teneva ancorata a sé, con
una mano
poggiata sul ventre piatto e due dita a sfiorare, inconsapevolmente,
la D tatuata accanto all'ombellico; tatuaggio gemello alla A che sua
sorella portava incisa sulla propria pelle.
Le labbra si
piegarono amare, pregne di quell'emotività che veniva fuori
solo
quando era sola, al pensiero che una volta si volevano bene, lei ed
Astoria; una volta, nel tempo passato, erano state veramente
sorelle.
Si rimise distesa e tentò di riposare ancora un po', ma
si rese conto ben presto che oramai non era più il caso. I
muscoli
erano infastiditi da qualsiasi posizione gli facesse assumere, la
pelle trovava irritante il pellame del divano, che poche ore prima
era stato giudicato 'principescamente morbido'; modi gentili del suo
inconscio per dirle che doveva andarsene, possibilmente prima che il
lui senza nome si svegliasse.
Si rivestì rapidamente, con un
colpo di bacchetta e uno di quegli incantesimi complicati, che
però
le aveva salvato la vita diverse volte: dare alla magia il compito di
vestirla, pettinarla e truccarla nello stesso momento era difficile,
azzardato e a volte strettamente necessario.
Trasfigurò la stoffa
del vestito in un più mite motivo 'principe di galles' e la
allungò
di qualche centimetro, poi uscì di casa a piedi, ben decisa
ad
andare a fare colazione di Millicent al bar, come da tradizione.
La
vita riprendeva, che differenza avrebbe mai fatto una notte?
Londra dormiva sotto un sole pallido, quando la borsa di Millicent fu lanciata, con malagrazia, su una delle sedie che affiancavano il tavolino scelto.
'Lo rivedrai ancora..Come si chiama?'
Lei
e Daphne si erano appena fermate a colazione, dopo un'ora di
peregrinaggi per trovare un bar adatto e abbastanza lontano dal posto
misterioso dove aveva dormito. Aveva rinunciato oramai da tempo a
prevedere gli sbalzi d'umore di cui l'altra era preda, ma non
riusciva a perdere la speranza che aveva nel placarla e renderla un
po' più serena.
Condividere la vita con lei era una continua
prova di pazienza, bisognava aspirare alla santità e volerle
contemporaneamente molto bene, per incassare i rimbrotti e le
continue interferenze nella propria vita privata e non fare
altrettanto. Sopportare in silenzio il male che faceva a se stessa,
spesso per orgoglio, era poi praticamente impossibile.
'Non
me lo ricordo..John,..forse Jack.comunque era un nome piuttosto
comune...'
Pochi riuscivano a guardare oltre la scorza fredda in cui si avvolgeva, considerando una forza, apparire algida ed irraggiungibile. Nascondeva i suoi sentimenti sotto vagonate di sarcasmo ed un carattere indubbiamente forte, esibendosi a volte in esternazioni di pensiero che facevano venir voglia di prenderla a schiaffi.
In quel momento, nascondeva gli occhi arrossati dal poco sonno, sotto un paio di grandi occhiali da sole; nemmeno Theodore, che sapeva sempre cosa le passava per la testa, sarebbe riuscito a leggere il suo volto immobile, mentre sorseggiava il caffé.
'Non
te lo ricordi?'
'Sai benissimo che prima di aver fatto colazione,
non ricordo nemmeno come ti chiami tu.'
Far sentire le persone innopportune anche per una minima virgola fuori posto, era una di quelle che la bionda definiva ''le sue innumerevoli qualità'', mentre Millicent era fermamente convinta che era uno dei motivi per cui aveva così pochi amici e che avrebbe dovuto smussare quel lato del suo carattere, nonostante sapesse che era molto difficile: i suoi momenti acidi, frequentissimi, erano innati in Daphne e lei ci si sentiva a suo agio, come negli amatissimi tailleur.
'Comunque,
lo rivedrai?'
Sperare era una delle sue caratteristiche meno Slytherin, Gregory glielo diceva sempre; da sempre non riusciva ad accettare una visione cinica delle cose, se il perno del discorso era una persona a cui era affezzionata e il fatto che la sua migliore amica avesse deciso di non innamorarsi mai, era qualcosa che le faceva rigirare le budella. Fingeva, insieme a Mr. Nott, di non sapere che Daphne fosse particolarmente legata a Blaise da quasi dieci anni e sospettava che quel sentimento sopito, fosse ancora più antico della loro presa di coscienza.
'E'
una domanda a cui ti aspetti realmente una risposta,Milly?'
Era rimasta per alcuni istanti in silenzio e la risposta l'aveva colta di sorpresa, soprattutto dal momento che non si aspettava arrivasse.
'suppongo
questo sia un no...'
'Supponi alla perfezione, tesoro.'
Il sorriso amaro invece, lo aspettava; fra di loro era sempre così, da anni, parlavano i gesti e le parole sottintese più di quelle dichiaratamente dette.
Con quel misero arricciarsi delle labbra, Daphne le stava dicendo che per l'amore non avrebbe mai avuto tempo, qualsiasi cosa Millicent potesse dire, mentre il suo sguardo tranquillo e disilluso le rispondeva che non importava quanto mentisse, lei avrebbe continuato a provare.
'Quella donna ha dei gusti troppo difficili!!!'
Era
almeno la terza volta che Millicent si lamenvata, dritta nel suo
orecchio,da quando avevano iniziato a cercare il regalo di compleanno
per Imogen; le due avevano caratteri molto diversi e, per quanto
potessero andare d'accordo, non si erano mai veramente capite.
Lei
era invece estremamente affascinata da quel carattere contraddittorio
come il suo, eppure tanto diverso nelle sue esternazioni, passioni e
follie.
'Lei
ha scelto Theodore e noi conosciamo bene Theodore. Se ci pensi,
possiamo indovinare i suoi gusti molto meglio di tanti altri.'
Lo
sguardo confuso che l'altra le rimandò indietro, da sotto un
paio di
sopracciglia pericolosmente affrottate, le fece pensare per un attimo
che passasse troppo tempo con il suo fidanzato diversamente
intelligente.
Sospirò. Il sospiro per lei era una pennellata
dalle mille possibili sfumature, ma con Millicent era sempre
accondiscentente e bonario.
'Dimmi i primi aggettivi che abbineresti a Theo...'
'Elegante, pretenzioso, intellettualoide... poi...di classe, affascinante e con un cuore prezioso.'
'Basta scegliere qualcosa che si abbini bene a questi aggettivi...'
Forse per lei c'era ancora speranza, se riusciva a fare un'analisi del genere; sorrise e annuì, tirandosela dietro in uno dei negozi di accessori più di elite di Diagon Alley. Lei si serviva sempre li.
Respirò profondamente quando entrò nel negozio, respirò il silenzio. Ciò che più apprezzava di quel luogo era in nulla uditivo che regnava ovunque, rotto solo dal rumore delicato di polpastrelli che saggiavano la pelle delle borse e dal suono cristallino delle campanelle sulla porta d'ingresso.
'Hai visto Blaise ieri per caso? Doveva aiutarmi con delle foto...'
Odiava qualsiasi interferenza con quel silenzio, anche se era la voce della sua migliore amica e soprattutto se quella voce diceva cose che la urtavano profondamente. Sigillare le labbra ermeticamente era l'unica soluzione, secondo il suo punto di vista per niente modesto e assolutamente autorevole.
Il ricordo di Blaise con quella rossa le assalì la mente come un vampiro avrebbe assalito una persona in carne e piena di sangue, e affondò le dita in una borsa troppo veementemente, tanto che l'amica la guardò dubbiosamente. Da anni oramai era cosciente che Millicent sospettava molto di quello che lei provava, ma non era mai riuscita a parlarne e non perché questo avrebbe fatto diventare tutto quello vero, lo era già, ma perché altrimenti avrebbe dovuto costantemente affrontare i suoi discorsi per farle mettere la testa a posto e non poteva sopportarlo. Il dolore di un cuore chiuso bastava, nella sua vita, il mal di testa che l'altra le avrebbe cronicamente provocato, non era necessario.
'Io e Greg abbiamo pensato di fare un viaggio in Italia, la prossima primavera...'
Tentava di distrarla con le improbabili avventure vacanziere sue e di Goyle; era quasi un classico, quando si chiudeva nel suo amatissimo bozzo silenzioso, tentava in tutti i modi di farla parlare, anche con gli argomenti più improbabili.
'E Astoria? Come sta?'
Aveva sviluppato una strenua resistenza ai quattro quinti degli argomenti che Millicent poteva usare, ma il nome di sua sorella unito all'orologio appeso al muro del negozio, le ricordarono che era attesa a casa sua per pranzo.
Il suo umore peggiorò velocemente, come se fosse una valanga su di un versante montuoso particolarmente ripido, portando con se il melenso sorriso di sua sorella e i capelli troppo biondi di suo marito.
'Astoria gioca a fare la regina del mondo, come al solito. Sta bene, si accontenta del nulla dorato in cui vive e passa il tempo a giudicare il mondo in cui non vive.'
'Tua sorella è morta e non lo sapevo?'
Si
sentì malvagiamente libera, a quel pensiero, come se il peso
di
Astoria e del suo matrimonio le fosse stato tolto dalle spalle, con
tutto il livore che si portava dietro da parte della sua famiglia che
avrebbe voluto per lei, quel matrimonio e che ancora la incolpava del
rifiuto.
Sua sorella morta, in quel momento, le avrebbe fatto
comodo e si odiava per quello; un tempo, si erano volute molto bene e
da bambina non avrebbe mai immaginato di arrivare ad odiarla, lei che
faceva dell'indifferenza verso gli altri un vanto, una
qualità.
'Magari. Semplicemente è rinchiusa a Malfoy Manor e ritiene troppo plebeo passare molto tempo nel mondo vero. Oggi però a pranzo ci fa l'onore della sua presenza, vuoi venire con me?'
Millicent
non avrebbe mai accettato; l'amicizia per i Serpeverde era sacra
almeno quanto era rara, ma non aveva mai sopportato Draco e aveva
sofferto molto dei suoi momenti di superiorità, durante il
periodo
ad Hogwarts, tanto che ancora dopo alcuni anni, evitava accuratamente
ogni occasione di vederlo.
'Ora che mi ci fai pensare, è meglio che vada. Devo cambiarmi...'
'E il regalo per Imogen?'
Aveva
dimenticato molto volentieri il suo impegno familiare a favore di una
giornata di shopping con un'amica per un'altra amica; faceva parte
del partito di chi credeva che non sempre la famiglia è il
nucleo in
cui si nasce, fortuna per pochi e che tutti gli altri devono provare
a crearsela e a scegliersela, una famiglia.
Lei, purtroppo, per
quanto si sentisse spudoratamente fortunata nell'essere riuscita a
trovare i suoi amici, non era ancora riuscita a scalzare via
l'ingombrante ombra di coloro che portavano il suo stesso cognome.
'Ci
penseremo domani...'
Stava uscendo dal suo negozio preferito senza aver comprato niente e il suo normalissimo spirito da donna consumista le stava urlando contro, come se non bastasse l'avere davanti a sé una pessima giornata.
'E'
tutto ok?'
'No, non è tutto ok. E' una pessima giornata e ci
vorrebbe un miracolo per renderla migliore.'
Lapidaria e fastidiosa, come solo una serpe sapeva essere. Daphne sparì in un pop, lasciandosi alle spalle la faccia rassegnata e sbigottita della sua migliore amica, che si affrettò ad uscire da quel posto troppo lussuoso, in cui sembrava avere un prezzo anche la semplice aria.
Tubino nero, improponibile per lei ad ora di pranzo, filo di perle e capelli raccolti, pochissimo trucco, nessun orecchino e tacchi moderatamente bassi; si sentiva la stessa vitalità di sua nonna, da alcuni mesi residente nell'oltretomba.
Le pareti della sala di rappresentanza di casa sua, non le erano mai sembrate così opprimenti come quel giorno. Fin da piccola aveva amato quel luogo, le sue pareti con quadri eleganti, la cristalliera e i bei tappeti; l'età adulta stava portando via gli ultimi ricordi positivi, non solo impedendole di formarsene di nuovi, ma facendo sfumare quelli vecchi via dalla sua memoria, come se fossero una canzone in procinto di finire.
La quotidianità, il nuovo decennio, aveva sostituito alle figure vestite di pizzi e merletti che erano lei e sua sorella durante l'infanzia, teneramente complici, con due donne vestite di nero che si guardavano con la coda dell'occhio, una con un sorriso nervoso e l'altra con un ghigno trionfante.
Non aveva paura del giudizio di sua sorella, suo cognato o dei suoi genitori, ma essere costretta a vivere una situazione che non aveva scelto le pesava, e sedere su quella sedia per una mera costrizione sociale dalla quale non riusciva a sciogliersi, era quasi una condanna. I discorsi da perfetta 'highsociety', erano anche peggio e facevano sentire democratica perfino lei, dichiaratamente snob in più di un atteggiamento.
'Allora cara, tutto bene al giornale?'
Le parole di suo padre fecero scattare uno dei mille campanelli d'allarme posti nel suo cervello; parlava di tanto in tanto con suo padre, ma mai in presenza di tutta la famiglia.
Il
padre di Daphne e il Signor Greengrass, si erano dimostrati negli
anni due persone totalmente diverse, dalle vite paragonabili ai
binari dell'Espresso per Hogwarts.
Continuò a mangiare
l'antipasto all'italiana che era stato servito, sperando che il suo
annuire silenzioso e composto servisse a dare loro le risposte che
cercavano, e non solo a procurarle un fastidioso mal di testa a causa
dello chignon troppo tirato.
'Daphne...potresti rispondere più loquacemente.'
Ogni sua speranza si era rivelata, come previsto, pura utopia; da anni era convinta che sua madre si fosse costantemente intromessa, spesso inopportunamente, a tutti i discorsi a cui aveva partecipato, fin dalle prime parole. Cordelia Magdalena Midderdon in Greengrass non brillava né per cattiveria né per bontà, ma aveva l'indole pettegola, piatta e cerebralmente monocorde che si era poi manifestata nella minore delle sue figlie; era solita esprimersi attraverso esclamazioni poco felici, per poi passare i minuti successivi ad osservare il suo interlocutore con gli enormi occhi verdi, fino a farlo parlare per la disperazione.
'Il lavoro al giornale va molto bene, le vendite sono aumentate anche grazie ad alcuni miei lavori e presto potrei avere un aumento...'
'Trovo tutto questo così fuori luogo...'
'Come scusa, Astoria?'
Ciò che accomunava sicuramente le due sorelle era il tono di voce basso, impastato, trascinato e con una nota inconfutabilmente snob, che le rendeva solitamente antipatiche ad un primo ascolto. Astoria era ultimamente solita condire il tutto con un tono aristocratic-altolocato che alla sorella sapeva di finto, in quanto stranamente comparso nella sua bocca dopo il fidanzamento ufficiale.
Una di fronte all'altra, si fronteggiavano silenziose ed impassibili, mentre il sopraccigli di Daphne si innalzava sempre di più, segno di profondo scetticismo da parte sua.
'Trovo estremamente volgare, per una ragazza di buona famiglia, parlare di questioni del genere.'
Daphne era una persona dalle profonde convinzioni, che abbandonava raramente i suoi dogmi e uno di questi, consisteva nell'essere convinta oramai da qualche anno che sua sorella fosse una grandissima stronza; da tempo oramai viveva con quella certezza e vi basava molte riflessioni, non facendosi minimamente toccare dalla considerazione che lei stessa, al di fuori delle mura familiari, fosse considerata come e peggio di Astoria.
Il rispettabile livello di buonumore ricavato dalle notturne attività sessuali, con suo immenso disappunto, si era già dissolto nel nulla e se non fosse stata interrotta, avrebbe commesso un omicidio prima della portata principale.
''Essendo oramai sposati da un po', penso di poter interpretare il discorso di Astoria in questo modo Daphne: ritengo volesse dire che potresti dedicarti ad altre passioni, senza dover lavorare. La tua è una fortuna che non tutti hanno.'
'Ho scelto questa, di passione. La cosa vi disturba?'
'Assolutamente...leggo il giornale dove lavori, anche se preferisco l'inserto della Gazzetta. A proposito, come si è risolta la questione con Baston?'
''Al
peggio non c'è mai fine'' era sicuramente ai primi posti tra
i detti
popolari più sottovalutati: sovrapporre il volto e il
pensiero di
quel giocatore da lega principanti a quello di sua sorella era degno
dei suoi peggiori incubi.
Era difficile sviare e far diventare
energia propositiva, i suoi pensieri omicidi ed avvelenati su uno
solo dei due soggetti patologici, ma riuscire a contenere gli
improperi verso entrambi nella sua mente e nello stesso momento, era
quasi impossibile anche per una persona dall'intelligenza spiccata
come lei.
Prese un respiro profondo e provò a mediare le parole che le arrivavano diritte alle labbra dalle viscere, nota sede dell'influenza e degli impulsi, senza passare dal più saggio cervello. Considerava generalmente inopportuno scoppiare in una serie di improperi poco fini, accompagnati da frasario assimilabile a quello di uno scaricatore di porto e contornati per finire da alcuni propositi di omicidio dallo stile piuttosto artistico ed innovativo; inoltre rendersi paragonabile ad un avvincino ubriaco davanti ai suoi genitori e alla coppia reale era un'esperienza che decisamente non era il caso di provare.
Più tentava di calmarsi e di modificare il suo frasario, più si rendeva conto che le sue labbra non collaboravano e se non fosse arrivato a sorpresa il gufo di Millicent, il disastro sarebbe stato impossibile da arginare.
'Non dovresti ricevere posta a tavola...'
'Non sei la padrona di casa Astoria, Taci.'
Era solo questione di tempo: dal momento in cui aveva risposto male a sua sorella, prima che partissero urla scandalizzate e sorrisetti da compatimento di suo cognato, sarebbero passati circa un paio di minuti. Alzarsi, raccogliere le sue cose e fuggire il più presto possibile erano, in quel momento, la sua priorità assoluta.
Si stampò in faccia una smorfia priva di ogni spessore, anche del più blando sorriso di circostanza e tese la lettera a suo padre, certa che sarebbe apparsa diversa da quella che aveva letto lei, probabilmente attribuita all'Ufficio sport magici, data l'intestazione della busta.
'''Il capo di aspetta''' era tutto ciò che la sua amica barbaramente mollata a Diagon Alley le aveva scritto, ma in fondo era tutto ciò che voleva sentirsi dire e regalare: una via di fuga dall'inferno.
'Daph...'
'Tolgo il disturbo, impegni di lavoro.'
'Non è educato cara...'
Daphne aveva un metro tutto suo per giudicare il mondo: ciò che viveva nella sua testa era da lei considerato estremamente più importante di buona parte del mondo circostante. Vedere sua madre ingiallirsi dal disappunto era uno spettacolo che valeva circa un paio di premi speciali per il giornalismo magico.
'Non è educato cara...'
'Anche far aspettare il direttore dell'ufficio per gli Sport Magici, non è educato...'
Scomparve prima di capire se Millicent avesse scritto o meno nella lettera fittizia, chi era il mittente.
L'ufficio del suo capo non le era mai sembrato così affascinante ed accogliente, con quell'arredamento di dubbio gusto che solitamente la disgustava; entrò traballando su quei tacchi troppo bassi o troppo alti per lei, tipica donna da estremi che rifuggeva qualsiasi occasione di trovare il giusto mezzo.
'Come ti sei vestita? Sono solo le due...'
'Non fare domande e dammi il Wiskey...'
Quando era veramente private di ogni energia creativa e vitale, faceva quello che ogni ragazza di buona famiglia borghese non avrebbe mai dovuto fare: si dava all'alcool.
Il
goccio di liquore caldo che le scendeva lungo la gola e le faceva
scuotere appena la testa per la concentrazione di gradi alcolici,
riusciva a distoglierla dai pensieri negativi quasi come una nottata
brava.
Ignorò totalmente lo sguardo di disappunto del suo
direttore in merito al suo vestiario obiettivamente fuori luogo e lo
fissò a lungo per incitarlo a parlare, ripetendo quello
stesso gesto
che sua madre aveva fatto verso di lei pochi istanti prima, la cui
natura impositiva non riusciva ancora a spiegare, nonostante l'avesse
ereditato insieme al colore degli occhi e ne fosse provvista da
quando aveva memoria.
'Non guardarmi così! Smetti di trangugiare quel coso, che scommetto qualsiasi cifra che dopo che ti avrò comunicato il tutto, mi butterai le braccia al collo.'
'Fossi in te non ci giurerei. Spara...'
'Sulla tua scrivania c'è il contratto come nuova cronista ufficiale del campionato.'
Dritto al punto, esattamente come gli aveva chiesto.
Solitamente i pensieri innovativi del suo capo si riducevano a qualche sottile novità, decisamente trascurabile. Era un uomo ancora piuttosto giovane e sicuramente intelligente, ma privo di quel quid in più che rendeva le persone geniali; non l'aveva mai stupita, prima di quel giorno.
Scommettere su di lei non era un vuoto azzardo, bensì una scelta ponderata giusta, perché lei avrebbe potuto fare la differenza e portare una ventata di novità al mondo stantio nel quale vivevano, ma doveva riconoscere che il suo datore di lavoro si era esposto notevolmente, dandole quel posto.
In poco meno di un mese, poche settimane prima, aveva messo alla berlina in più di un'occasione una delle squadre più importanti dell'intera lega professionisti e nell'ambiente ancora se ne parlava.
Quel giorno ricevette una delle sorprese più belle della sua vita e anche se al momento non concepiva, troppo accecata dalla felicità, quante succose occasioni questo nuovo incarico le avrebbe portato, se ne sarebbe accorta molto presto presto.
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Un bacio a tutti quelli che leggono e non recensiscono, anche se una riga ogni tanto non fa male XD Lily.