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Autore: Kuri    29/04/2011    1 recensioni
«È a causa del primo aprile?» chiese Kohane tornando a fissare Doumeki. I giri di parole, in quel momento, sarebbero stati ridicoli.
Ai bordi del proprio campo visivo, Kohane notò le mani di Himawari serrarsi con un leggero spasmo.
Doumeki annuì.
«Watanuki ha sentito che c'è qualcosa che vuole fare del male a Kunogi, e non è una cosa di questo mondo. Perciò ritiene che possa essere più sicura con qualcuno che sia in grado di avvertire quando il pericolo si avvicina.»
[Kohane/Himawari]
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: Altro Personaggio, Himawari Kunogi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fic scritta per l'Only Yuri Contest, dedicato alle storie squisitamente al femminile. E credetemi, non c'è nulla, nulla meglio dello yuri nella vita, soprattutto quando arriva così, con un pairing neppure troppo meditato, ma sentito subito come perfetto.
Enjoy! *.*






Le cicatrici del girasole





Kohane accelerò il passo, stringendo più forte il manico della cartella.
Il cielo, illuminato di un violento tramonto rossastro vicino all'orizzonte, minacciava pioggia nella parte che era già stata nascosta dal buio, e tuoni sordi brontolavano in lontananza insieme al vento d'aprile.
Le sembrava ancora di sentire la voce di Doumeki mentre le chiedeva, attraverso la cornetta fredda del telefono, di raggiungerlo nella solita pasticceria in centro. Nel suo tono non aveva sentito nulla che in apparenza potesse insospettirla, eppure c'era stata una sfumatura nella sua calma roca che le aveva fatto scorrere un brivido lungo la schiena.
Il pensiero di Kohane era perciò subito andato a Watanuki, al timore che non si fosse svegliato dopo uno dei suoi interminabili sogni oppure che fosse ricaduto nella propria debolezza di chiedere un pagamento troppo basso ai clienti del negozio.
«Sono con Kunogi.»
Quella frase l'aveva lasciata interdetta. Non tanto per il fatto che Doumeki e Himawari fossero insieme, quanto per l'effetto che quel nome aveva avuto sull'aria che stava respirando, che all'improvviso non aveva più voluto saperne di scendere nei polmoni.
L'ultima volta che aveva visto Himawari era stata dieci giorni prima, il giorno del compleanno di Watanuki.
Era stata una festa bellissima. Ogni dolore che gravava sulle loro vite sembrava non essere mai esistito, come se il destino fino a quel momento fosse stato solo uno scherzo di pessimo gusto.
Kohane si era ritrovata ad osservare a lungo Himawari, la sua risata spensierata durante le schermaglie tra Watanuki e Doumeki, i bocconcini di dolce con cui rimpinzava Tanpopo che le cinguettava felice, e si era sentita schiacciare dalla profonda tristezza che a ondate pesanti arrivava fino a lei.
Kohane sapeva cosa si nascondeva dietro ai sorrisi dolci di Himawari. Lo sapeva perché aveva riconosciuto nella ragazza più grande le sue stesse ferite, quelle lacerazioni che si erano create perché erano entrambe troppo impegnate a nascondersi dall'amore delle persone per riuscire a proteggersi. Era stato per quel motivo che, appena Watanuki era riuscito a convincerle da uscire dalla tana in cui si erano intrufolate, avevano provato la riconoscenza ingenua dei cuccioli abbandonati. Era stato impossibile resistere a quel calore, alla dolcezza di quel nuovo sentimento.
Ed era stato con orrore che Himawari e Kohane avevano assistito alla scelta di Watanuki, completamente incapaci di fare o dire qualcosa che potesse bloccarlo, sovrastate dalla potenza di una rivale con cui non avrebbero mai potuto lottare.
Da quanto Yūko se ne era andata, loro avevano perso per sempre Watanuki, condannate ad assistere impotenti all'attesa che le allontanava sempre di più da lui.
La vetrina nel locale brillava poco lontano. Kohane si affrettò, il respiro che usciva veloce dalle labbra socchiuse.
A pochi passi dalla porta, scorse Doumeki e Himawari seduti in uno dei tavolini in fondo al locale. Davanti a loro, una tazza di caffè e una chiffon cake non ancora toccata. I denti di Kohane scattarono in un tremito involontario. A volte non era necessario saper divinare per cogliere segnali di sventura.
L'interno della pasticceria era caldo, pervaso da un'atmosfera vagamente familiare. Kohane sentì il cuore stringersi nel petto affannato. Watanuki aveva amato molto quel luogo, quando il fuori era qualcosa di ancora concepibile per il suo corpo e la sua mente, prima che decidesse escludere tutto per ritirarsi nel negozio ritagliato tra le dimensioni.
Appena Doumeki la vide si alzò, indicandole con il palmo della mano una sedia vuota. Lo sguardo di Kohane scivolò tuttavia su Himawari che la salutava sorridendo con la consueta affabilità. Le dita di Kohane strinsero con forza il bordo dello schienale, con un leggero tremito. Quel sorriso faceva sempre più male, ogni volta che lo vedeva affiorare sulle sue labbra pallide, perché era come una ferita.
«Vuoi ordinare qualcosa, Kohane-chan?» le chiese Himawari con dolcezza.
Kohane la guardò a lungo. Il viso sottile appariva un po' affaticato, anche se i segni della stanchezza erano stati dissimulati bene sotto un sottile strato di trucco. In contrasto con i capelli neri, il pallore della pelle risaltava come una luna piena. Tanpopo però sembrava sempre allego, appollaiato sulla sua spalla come un piccolo guardiano impettito.
Himawari continuava a sorridere, malgrado il silenzio di Kohane. Era tutto così atroce, che quasi si faticava a credere fosse vero.
«Prenderò solo una cioccolata. Fuori fa freddo, per essere aprile.»
«Già, una settimana fa il tempo era molto più mite. Ma questi cambiamenti improvvisi sono tipici, per questo mese.»
Le parole caddero, vuote, tra di loro.
Kohane si rivolse verso Doumeki. Era preoccupato. Faceva girare con lentezza un anello all'indice sinistro e fissava un punto nel vuoto.
«Kohane.» la chiamò e, sebbene la sua voce fosse bassa, il suo tono la costrinse a rivolgergli tutta la propria attenzione «Io e Watanuki vorremmo che portassi Kunogi con te dalla nonna. L'abbiamo già avvisata. Kunogi si fermerà da voi per un po' di tempo.»
Kohane guardò Himawari, che aveva abbassato gli occhi e punzecchiava la torta con la forchetta, lasciando cadere qualche briciola nella direzione di Tanpopo che nel frattempo era sceso sul tavolo.
«È a causa del primo aprile?» chiese Kohane tornando a fissare Doumeki. I giri di parole, in quel momento, sarebbero stati ridicoli.
Ai bordi del proprio campo visivo, Kohane notò le mani di Himawari serrarsi con un leggero spasmo.
Doumeki annuì.
«Watanuki ha sentito che c'è qualcosa che vuole fare del male a Kunogi, e non è una cosa di questo mondo. Perciò ritiene che possa essere più sicura con qualcuno che sia in grado di avvertire quando il pericolo si avvicina.»
«E se dovessimo essere attaccate?»
«Non ti preoccupare. Io o Watanuki interverremo. Saremo sempre con voi.»
«Vi ho detto che non è necessario. Non voglio essere di disturbo per nessuno. Inoltre devo tornare all'università...» disse Himawari, gli occhi fissi nel piatto di fronte a sé «Non c'è nessun motivo perché dobbiate preoccuparvi per me. Si tratterà delle solite premure eccessive che Watanuki ha nei miei confronti.»
«Himawari-chan.» la voce di Kohane la obbligò a sollevare lo sguardo «Non c'è nessun problema, davvero. Sappiamo che è meglio assecondare le sensazioni di Watanuki.»
Avrebbe voluto allungare la mano e afferrare quella di Himawari e stringere le sue dita sottili tra le proprie. Avrebbe voluto sussurrarle che sapeva bene quanto era difficile non saper piangere e doversi dimostrare forti a dispetto del desiderio, quotidiano, di non essere mai nate.
«Grazie.» Himawari le sorrise appena.
Era crudele potersi specchiare in qualcuno di tanto simile a sé.


«Potrai dormire qui.» disse Kohane aprendo la porta scorrevole di una stanzina minuscola. Come ogni altro luogo nella casa della nonna si sentiva un vago profumo di mughetto «Non è molto, ma almeno potrai avere un po' di intimità.»
Himawari le annuì, le spalle rigide in una postura di disagio. Sembrava quasi che, una volta lontana dallo sguardo vigile di Doumeki, si fosse permessa di allentare appena la morsa del proprio aspetto felice e conciliante per lasciare alla paura di affacciarsi sul suo cuore.
«Himawari-chan... ho preparato l'acqua del bagno. Credo che dovresti approfittarne, prima di andare a letto. Almeno così le cose sembreranno più semplici.»
«Non vorrei disturbare.»
Kohane lasciò che l'aria le entrasse nei polmoni, come se si stesse preparando ad un tuffo. Voleva capire la giovane donna che aveva di fronte come mai le era successo da quando l'aveva conosciuta. Dopo il primo aprile, c'era stata una percezione che aveva continuato ad affacciarsi, con sempre più insistenza, nella mente di Kohane. Era una senso di familiarità che le faceva desiderare di avvicinarsi, come ad una fiammella durante l'inverno freddo.
«Non disturbi affatto, Himawari-chan. L'ho preparata per me, ma sarebbe sciocco approfittare da sola di qualcosa di tanto piacevole.»
Il sorriso gentile di Himawari la bloccò. Quelle labbra sottili la stavano rifiutando.
«Sto bene così, credo che andrò subito a letto. Sono molto stanca.» le disse avanzando di qualche passo nella stanzetta.
«Ti prego, Himawari-chan. E qualsiasi cosa tu stia cercando di nascondere, ti prometto che non dirò nulla a Watanuki.» disse Kohane. Himawari si bloccò, continuando a fissare all'interno della stanza. Sollevò le dita all'altezza della spalla, accanto a Tanpopo, e si massaggiò con lentezza.
«Ma cosa dici, Kohane-chan?» le disse cercando di far sembrare la propria voce disinvolta.
«Non lo so. Però sento che c'è qualcosa che non vuoi dire. E temo che non sia solo che non vuoi stare qui, o che non è giusto che Watanuki debba starsene chiuso in quel negozio e assomigli per sempre al momento in cui ci ha fatto più male, però...» lasciò che l'aria riprendesse possesso di lei «Se posso, voglio che non passi più un anno come quello che hai trascorso. Io e Doumeki siamo fortunati, perché possiamo vederlo, ma tu...»
Himawari si voltò verso di lei, facendola sussultare. Di nuovo quel sorriso che chiudeva ogni spiraglio.
«Perchè pensi questo?»
«Perchè siamo uguali. E queste sono le stesse cose che penserei io.» Kohane ingoiò ancora aria, con avidità «E io vorrei tantissimo sapere che c'è qualcuno che pensa a me, che presta attenzione a cosa dico, a quello che faccio, ma anche a tutto quello che nascondo in fondo al cuore, con la consapevolezza che tutta la sua attenzione è solo per me.»
Dalle sue labbra il respiro usciva con un leggero ansimo. Le era sembrato così strano sentire quelle parole provenire dalla propria bocca, eppure erano rotolate lì, tra loro due, con tutta l'urgenza di un grido trattenuto da sempre.
Himawari abbassò appena la testa.
«Ti ringrazio per le tue parole gentili, Kohane-chan.» mise la mano sulla porta e iniziò a farla scorrere «Buonanotte.»
Quando il pannello si chiuse con un colpo secco, Kohane strinse la labbra con una smorfia di sofferenza.
Non si illudeva che Himawari si sarebbe fatta avvicinare tanto facilmente, ma pensava che la sua fredda cortesia si sarebbe incrinata di fronte a qualcuno di simile a lei.
Si diresse verso il bagno, avvolta dal silenzio della casa.
Da quando abitava con la nonna le cose erano cambiate. Non era stato solo il trascorrere del tempo a sciogliere i nodi che per tanto tempo le avevano soffocato il cuore, e neppure il desiderio che si era vista esaudire da Yūko. Qualcos'altro aveva lavorato dentro di lei per liberarsi, un naturale bisogno di evoluzione che aveva saputo affrontare la prigionia volontaria di Watanuki con tutto quello che implicava. Si era accorta che dentro di lei bruciava ancora la scintilla della sopravvivenza.
Nell'animo di Himawari, invece, sembrava non essere rimasto più nulla, solo un greve abbandono al destino.
Nel calore dell'antibagno, Kohane si spogliò. La sua pelle fu percorsa da un brivido. Voltò la testa sopra la spalla come se avesse udito un rumore, ma dietro di lei non c'era nessuno e la casa era immobile e muta.
L'aria del bagno era umida. La ragazza si raccolse i capelli chiari alla sommità della testa. Alcune ciocche sottili le scivolarono lungo il collo nudo. Riempì il catino d'acqua e rimase a fissarne la superficie traslucida.
Forse aveva sbagliato a parlare. Eppure la sua gola, i polmoni, ogni parte del suo corpo aveva desiderato dire quelle parole per sentirsi di un passo più vicino ad Himawari.
Kohane chiuse gli occhi e sospirò a lungo.
Quando li riaprì, uno sguardo scuro la fissava dal riflesso del catino. Sollevò il capo con un sussulto. Himawari era in piedi di fronte a lei, sul viso un'espressione di indefinita stanchezza e rassegnazione.
«Himawari-chan...» istintivamente Kohane strinse le braccia davanti al petto.
La ragazza più grande si voltò, senza una parola. Si sfilò la gonna scura poi con lentezza iniziò a sbottonare la camicetta. Quando la stoffa color crema le scivolò dalle spalle, Himawari sollevò i lunghi capelli corvini che le coprivano la schiena e li sposò a lato del collo.
Kohane spalancò gli occhi e dalle labbra le sfuggì un gemito soffocato. La pelle perlacea era percorsa da lunghi solchi, cicatrici rosate dai bordi irregolari che spezzavano la linea sinuosa della spina dorsale in migliaia di piccoli tagli, lasciando la carne scavata.
«Queste sono le cicatrici di Watanuki.» disse Himawari, immobile sulla porta del bagno, gli abiti abbandonati a terra «Ho chiesto a Yūko di salvare Watanuki e questo ne è stato il prezzo.»
Kohane seguì con lo sguardo le linee frastagliate delle ferite, i piccoli avvallamenti in cui la pelle sembrava sottile e fragile come vapore.
«Era caduto da una delle finestre della nostra scuola e stava morendo. Ed era tutta colpa mia. Sebbene avessi cercato in tutti i modi di non affezionarmi a lui, la sua testardaggine non ha voluto saperne...» Kohane poté sentire un sorriso amaro piegarle la bocca «Questo era l'unico modo per salvarlo e io ho accettato. Però l'ho perso comunque.»
Kohane si alzò in piedi. Si avvicinò ad Himawari e raccolse la sua mano tra le proprie. Quando la guardò negli occhi scuri le sorrise con tristezza e sentì le proprie guance tingersi di un vago rossore. C'era un piccolo spiraglio aperto, adesso, in quello sguardo carico di sofferenza.
La fece entrare nel bagno e la condusse fino al basso sgabello vicino alla vasca. Quando Himawari si fu seduta, Kohane immerse la spugna nel catino e la appoggiò alla schiena della ragazza, che trasalì con un sospiro confuso.
Lavò le ferite profonde, lasciando che l'acqua le accarezzasse ogni curva della pelle con il suo tocco tiepido. Le passò la spugna sulle braccia candide, dove piccoli solchi striavano la perfezione serica dei muscoli sottili.
Più la spugna percorreva quel corpo, più Kohane riusciva a vederne la bellezza delicata, a sentirla sotto i polpastrelli delle dita.
Non si fermò neppure quando sentì la schiena di Himawari tremare, mentre il suo corpo si piegava su sé stesso sotto gli spasmi dei singhiozzi. Era troppo impegnata a cancellare il ricordo di quei segni orribili, di tutto il dolore che avevano portato in quegli anni senza offrirle la possibilità di nascondersi.
Kohane lasciò che Himawari piangesse tutte le sue lacrime. Sembrava che non se ne fosse concessa una da tutta la vita.


Pioveva a dirotto.
Kohane e Himawari osservavano il cielo grigio dal riparo del pergolato.
«Sembra davvero che sia autunno.» disse Himawari sconsolata.
«Già...»
C'era qualcosa di strano, fuori. Non era solo l'aria troppo fredda per la stagione o la pioggia che cadeva con un fragore assordante. C'era un silenzio insolito che strideva nella testa di Kohane e le faceva battere più forte il cuore nel petto.
«Himawari-chan, credo che sarebbe meglio che tu restassi con la nonna. Posso andare a fare la spesa da sola, non dobbiamo prendere molte cose.»
Himawari le sorrise con gentilezza, ma scosse la testa.
«Ti prego, Kohane-chan. Non voglio sentirmi inutile anche con voi. Con Watanuki e Doumeki non riesco mai a fare di testa mia, però... per favore.»
Kohane tornò ad osservare la strada oltre il cancello di casa. Non si sarebbe mai perdonata se fosse accaduto qualcosa a Himawari. Non aveva paura di deludere Watanuki o Doumeki, a cui aveva promesso di prendersi cura di lei. Era l'idea stessa che lei si trovasse in pericolo che adesso l'atterriva.
Sentì le dita di Himawari insinuarsi nella sua mano.
«Hai ragione.» disse Kohane con un filo di voce «Forse mi preoccupo troppo. È una settimana ormai che sei qui e non è accaduto nulla. Andiamo.»
La pioggia colpiva con forza la stoffa tesa degli ombrelli. I lampioni gettavano sull'asfalto bagnato pozze di luce sbiadita. La strada era deserta e i loro passi risuonavano fino in fondo alla via scura.
Kohane sentiva il cuore batterle all'impazzata. In quegli ultimi giorni erano cambiate moltissime cose dentro di lei, lasciandola sbigottita ad osservare ogni cosa prendere una prospettiva diversa.
Aveva sempre considerato Himawari uguale a lei ma da quando aveva visto le cicatrici di Watanuki sulla sua schiena aveva capito che non era così. Himawari aveva saputo sacrificare ogni felicità per il suo amore, pur essendo consapevole della disperata inutilità di quel sentimento. Anche se in lei non c'era più un briciolo di speranza, aveva continuato lo stesso a respirare. Kohane non era certa che sarebbe riuscita a fare altrettanto.
All'improvviso, sentì il respiro gelarsi sulle labbra.
Sollevò lo sguardo. Di fronte a loro una donna camminava veloce, il viso coperto dai lunghi capelli neri e da una mascherina candida. I suoi abiti erano zuppi di pioggia e le mani magre e bianche sbucavano da un vecchio impermeabile sgualcito.
Kohane la riconobbe subito. La sua mano annaspò nel vuoto, alla ricerca del braccio di Himawari, ma afferrò solo l'aria. Tanpopo iniziò a cinguettare disperato.
Era quella la creatura che, all'ombra del negozio, era stata richiamata dalla presenza di Himawari il primo aprile.
«Himawari-chan...» sussurrò Kohane mentre le sue ginocchia tremavano.
La donna era ormai di fronte a loro. Attraverso le lunghe bande di capelli madidi fissava avida Himawari con i suoi occhi cerchiati di nero.
«Trovi che io sia bella?»
Le braccia di Kohane incontrarono finalmente il corpo di Himawari, mentre sentiva che le gambe le cedevano. Trascinò la ragazza con sé a terra, mentre gli ombrelli rotolavano nelle pozzanghere scure.
«S... sì...» balbettò Kohane mentre tentava di stringere più forte a sé Himawari, coprendole la testa con le braccia. La sentiva tremare, consapevole di quanto stava accadendo.
Kohane non poteva permettere che Himawari vedesse la creatura. Non voleva che il dolore diventasse così soverchiante da cancellare qualsiasi altra cosa.
La donna sollevò con lentezza la mano e abbassò la mascherina.
Kohane si trovò di fronte il sorriso spaccato della kuchisake-onna [1] che ghignava con un ansito gelido, lambendole il viso. Le due cicatrici rossastre che partivano ai lati della bocca le arrivavano fino agli zigomi, mostrando la pelle martoriata delle guance percorsa da sottili vene azzurrine. La kuchisake-onna si piegò sopra di loro.
«Trovi che io sia bella?»
Kohane sentiva il respiro affannoso di Himawari contro la propria spalla. Doveva difenderla a tutti i costi, doveva proteggerla dall'orrore.
«Sì.»
La kuchisake-onna sollevò la testa e dalla gola le uscì una risata singhiozzante e gutturale. Poi si voltò e si allontanò a passi lenti finché la sua figura non si sfilacciò nella pioggia sempre più fitta, fino a scomparire.
«Kohane-chan...»
Incontrò lo sguardo di Himawari. Sollevò la mano e le scostò con delicatezza una ciocca bagnata dal viso. Anche Tanpopo sembrava voler rincuorare la sua padrona, picchiettandole piano sul collo con il becco.
«È andata via. Non tornerà più.»
Himawari chiuse gli occhi e sospirò a lungo, il corpo scosso da un tremito di paura e di freddo.
«Era davvero così bella?»
«Sì.»
La trovava bella davvero.
Non importava quante ferite le avessero segnato il corpo e l'anima. Per lei la giovane donna che stringeva tra le braccia era bellissima.


«Vi ringrazio ancora per quanto avete fatto per me. Spero di riuscire a sdebitarmi in modo adeguato.» disse Himawari facendo un profondo inchino. Tanpopo cinguettò felice in risposta, sbattendo le piccole ali gialle.
«Non ti preoccupare, cara. Watanuki ci ha già fatto recapitare una delle sue bottiglie speciali di saké. Per quanto mi riguarda, il debito è già stato saldato.» disse la nonna con un sorriso gentile.
Il giardino era inondato dal sole caldo e il rosa dei petali di ciliegio si era riacceso contro lo sfondo azzurrino del cielo.
«Però... c'è un favore che vorrei chiederti.»
«Mi dica, nonnina.»
«Prendi il nostro numero di telefono.» le disse la signora anziana allungandole un bigliettino «Sono sicura che Kohane-chan sarebbe davvero felice di ricevere una tua telefonata. Questi giorni insieme a te l'hanno cambiata. Non vorrei che gli effetti positivi della tua presenza svanissero, una volta che sarai lontana.»
Himawari socchiuse le labbra, ma lo sguardo della nonna la zittì. Non c'era bisogno di dire altro.
«Lo farò. Anch'io sono stata bene. Forse...» di chinò per raccogliere la propria borsa «Credo che fosse da tanto tempo che non mi sentivo così.»
La vecchina annuì, comprensiva.
«Arrivederci. Mi saluti ancora Kohane-chan, quando ritornerà dalla scuola.»
«Certo.»
Il taxi aspettava appena fuori dal cancello, la portiera aperta. La via verso una casa che non aveva mai sentito estranea come in quel momento.
Lasciò cadere la borsa sul sedile dell'auto prima di voltarsi indietro ancora una volta. La nonna la salutò scuotendo piano la mano.
«Himawari-chan!»
La ragazza sussultò. Dal fondo della via Kohane correva a perdifiato, i capelli chiari che si sfilacciavano alle sue spalle sollevati dal vento profumato di primavera come tante piccole piume. Quando fu di fronte a lei il suo petto era scosso dal fiatone.
«Himawari-chan...»
Lei ridacchiò, coprendosi la bocca con il dorso della mano.
«Spero non prenderai una nota per aver saltato le lezioni...» le disse rivolgendole un sorriso.
Kohane scosse la testa mentre cercava di riprendere fiato.
«Avevo dimenticato di darti questo... Doumeki ha potuto consegnarmelo solo questa mattina, dopo che gli assistenti del tempio l'hanno santificato...»
Kohane le porse un piccolo omamori [2] dalla stoffa gialla.
Himawari sbatté gli occhi per la sorpresa, poi allungò la mano per prenderlo, e le sue dita sfiorarono appena quelle di Kohane. La ragazzina si sentì avvampare. Quella che sentiva era una felicità sciocca e inspiegabile, eppure non poteva farne a meno.
«Buona fortuna per tutto, Himawari-chan. Quando ci vedremo il prossimo anno, te ne farò trovare uno nuovo.»
Himawari si portò il talismano all'altezza del petto, stringendolo con delicatezza tra le dita.
«Certo. E sono sicura che l'augurio che ci hai messo dentro farà passare quest'anno in fretta, riempiendolo di cose bellissime.»
Kohane fece un passo indietro mentre Himawari saliva sul taxi.
Sapeva che avrebbe dovuto essere triste, ma non sentiva nessuna stretta al cuore, nessun laccio pronto a toglierle il respiro. Non era come ogni volta che vedeva Watanuki.
Anche se Himawari se ne stava andando, sentiva che stava ancora stringendo una parte di lei vicino al cuore.


Prego perché il mio amore ti protegga in ogni lacrima che verserai e in ogni ferita che piegherà il tuo corpo e il tuo spirito. Prego perché tu non ti senta mai più sola, non solo per il futuro, ma anche per tutto il passato che ti sei lasciata alle spalle.
E sarà per te, d'ora in poi, che attenderò che arrivi il primo aprile.















[1] La kuchisake-onna è una donna avente una bocca enorme che, andando da orecchio a orecchio, assomiglia a una spaccatura. (cit. Wikipedia, da vedere per l'intera leggenda)
[2] Gli omamori sono amuleti giapponesi portafortuna, fatti solitamente di stoffa e contenenti un foglietto di carta o una tavola di legno in cui è scritta una preghiera di buon auspicio per il portatore. L'omamori non dovrebbe mai essere aperto, pena la perdita di protezione da parte del portatore e ha validità di un anno. (cit Wikipedia)


   
 
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