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Autore: Rucci    30/04/2011    5 recensioni
Sono più abituato ad eseguire gli ordini, che a decidere per me stesso.
Ad eseguire gli ordini, però, quello sì. In quello sono molto bravo.

Mandrake Fedor, la Guerra Sacra del Novecento e le previsioni ottimistiche.
{what if post-Hades; spectre-centric; missing moments; exc.}
{personaggio del Lost Canvas translato in universo canonico}
Genere: Dark, Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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II)

Fedor buttò giù la vodka come se fosse acqua, ed aspettò i soliti tre secondi prima che dalla gola scoppiasse l'incendio che gli avrebbe scaldato cuore e petto, e alla fine tutto il corpo. Inghiottì in un sorso, poggiò il bicchiere e guardò fuori dai vetri sporchi e spessi.
C'era talmente freddo a Mosca che non nevicava nemmeno. I tetti erano imbiancati, così come i marciapiedi, e i cappelli e i cappotti erano spolverati di bianco. Ma era troppo freddo e troppo secco per la neve: dal cielo soffiava una polvere di ghiaccio sconosciuta.
Il calore dal suo stomaco si irradiò per tutta la pancia. Sentì il viso colorirsi, sino alle orecchie. Mentre l'acqua della vita gli ridava i sensi dopo le ore passate a camminare, desiderò trovarsi a Londra.
A Londra c'era freddo, ma quel freddo che potevi risolvere con un maglione o con un altro uomo nel letto; e a Londra pioveva, ma quella pioggia che si può arginare con l'ombrello: comprendeva senza fatica perché gli inglesi parlassero tanto del tempo meteorologico. Era come un amante di vecchia data. Potevi litigarci, ma nulla di serio.
In Russia il freddo pareva non andarsene mai, ed era per questo che piuttosto se ne era andato Fedor, ancora diversi anni prima del Risveglio. Aveva passato due anni dopo la scuola a studiare per l'esame d'ammissione a Cambridge, e se n'era volato a Londra. Il muro di Berlino non era ancora caduto e lui era l'unico studente dell'URSS, ma niente poteva andare male da che aveva Londra, un buon carico di maglioni e un ombrello.

Di uomini ne trovò senza fatica.
Andavano e venivano, quelli.
A Londra era facile, basta conoscere i locali giusti: li aveva imparati tutti e usciva almeno tre sere a settimana.
Non si faceva fatica a rimorchiare, quando si aveva un bel fisico e la battuta pronta. Quando poi incontri qualcuno in quel tipo di locale, è facile che non voglia mai più di quanto voglia tu.
Ne fece passare tanti, per il suo letto, e se li godette tutti; in Russia invece aveva lasciato Yuri, ma Yuri non era il suo ragazzo. Era più una specie di migliore amico, quello inseparabile dell'adolescenza, il cui ricordo in verità si faceva sempre più sfumato man mano che a casa ci tornava sempre meno spesso. Le volte che prendeva l'aereo – per le vacanze estive e invernali – Yuri veniva sempre a prenderlo all'aeroporto: tutte le volte nello stesso punto e con un gran sorriso, come se ce l'avesse in faccia da prima che scendesse le scale. Qualche volta finivano di nuovo a scopare. Qualche volta no.
“Per fortuna che ci sei tu, Yuri”, diceva suo padre quando entravano assieme in casa, allargando le braccia in segno d'impazienza. Yuri sorrideva imbarazzato e ringraziava.
“Non è colpa di Fedor, papà Mikail. L'aereo era in ritardo.”
“E come ci arriverebbe, dall'aeroporto a qua, eh? Ringrazia, Fedor.”
“Ringraziato, papà Mikail. Dov'è la mamma?”
“Bravi ragazzi.”
“Sì, certo.”
“Siete così amici”, diceva suo padre.
E Fedor subito rideva, pensando a quando se l'era sbattuto sulla scrivania nel suo studio. In seguito, Yuri gli avrebbe detto che quella risata più volte l'aveva ferito.
Non era la prima volta che gli era stato detto: sembrava destino, per Fedor, ferire le persone. O un talento naturale. Era impressionante la frequenza con cui gli succedeva, senza che ne avesse l'intenzione. Dopo un po' aveva cominciato a pensare che le persone fossero estremamente facili da ferire – troppo per i suoi gusti.
Si ferivano con le armi, con le braccia, con i gesti. Ma soprattutto, scoprì con sua grande sorpresa, con le parole; le parole potevano diventare coltelli, adoperati nella maniera giusta. Il suono della sua voce stesso, a tratti, gli pareva stridente. Senza preavviso; una nota che era tutta vibrazioni, che penetrava nel profondo senza essere inizialmente udita.
Andò avanti di ferita in ferita sinché incontrò il sordo che faceva per lui.
Uno stregone con cui incrociò le mani sopra un libro dimenticato, in fondo a una biblioteca pubblica.

A dire il vero, Fedor era stato mandato in braccio all'infido Occidente perché studiasse matematica e fisica, che la Grande Patria aveva sempre bisogno di scienziati con cui competere con il nemico per il lancio in orbita dei satelliti – l'ennesima gara a chi ce l'aveva più lungo, o così la definiva lui. Non che le premesse rappresentassero un grosso problema: una volta a Londra gli bastò cambiare le carte e frequentare altri corsi. Non ci volle molto. Una cosa tira l'altra, da Manifacturing Engineering Tripos passò a History of Art. Non era il caso di disturbare i suoi per queste piccole formalità: lo fece e basta, spensieratamente. Si immerse nel mondo della simbologia medievale: uno studio che gli sapeva di verità, molto più da cercarsi dentro che fuori.
Ecco, fu per quello che si contese il libro con uno stregone.

Byaku si aggirava fra gli scaffali, silenzioso e altero. Il libro che cercava era lì, in effetti. Un po' nascosto, in un angolo, ma c'era: il Male disponibile al prestito. Lo individuò, scorrendo le dita sulla costa rovinata, e lo sfilò con un unico movimento.
C'era un'altra persona proprio lì accanto, ma seduta sui talloni, che stava cercando più in basso. Quindi non la vide. Non la vide alzare la testa automaticamente, per il movimento vicino, né bloccarsi a leggere il titolo: sfogliò in tutta tranquillità le pagine, ignorando gli esseri umani.
Gli esseri umani non erano granché degni di nota. Non da vivi.
Tranne quelli che gli sfilavano di mano i libri.
Senza perdere il segno, il ladro di volumi guardò la copertina e, sempre sotto i suoi occhi, lo voltò per leggere il retro. E la quarta di copertina. Si servì di tutto punto, insomma. E poi lo guardò facendo scintillare gli occhietti azzurri.
“Ciao. Lo volevi prendere a prestito tu, questo?”
Byaku sbatté le palpebre.
Era inglese solo da quattro mesi ma la faccia
british la sapeva fare di natura.
In effetti, non l'avevo in mano per passare il tempo.”
Ah, se ti serve è tuo! Naturalmente! Però non pensavo che esistessero libri su quest'argomento...” Il ladro si rimise a sfogliare il libro, senza pudore. “Scusa, adesso te lo restituisco.”
Forse, sembrò fare intuire il tono. Un impercettibile stridore, sotto quella voce bassa e maschile. Che strano.
Ti interessa la demonologia dell'Est Europa nel primo Quattrocento?” domandò scettico Byaku.
Gli sembrava perlomeno improbabile. E quello sicuramente non era un collega.
“Se è per questo, anche quella dei primi del Duecento.” Un lampo vagamente malizioso, con gli occhi a malapena sollevati dalle pagine. “I turchi hanno portato diversi ricordini laggiù.”

Sì, si può dire così.” Byaku lo studiò, senza cambiare espressione. “Possiamo fotocopiarlo, se ne hai bisogno ora.”
No, figurati. Sono solo rimasto sorpreso di trovare un libro che ne parli.”
L'intruso diede un'ultima sfogliata, rapida: alle pagine finali, con occhi svelti, prendendo al primo colpo la bibliografia. Intanto, con due dita, non perdeva il segno. Sembrava una persona abituata a maneggiare i libri.
“Mmmmh, ti spiace se mi annoto due titoli? Poi te lo ridò, promesso.”

Fa' pure.”
Era giorno: Byaku dormiva poco e lavorava di notte. Aveva un sacco di tempo libero.
Lo guardò chinarsi sul banco su cui aveva seminato le proprie cose, e tirare a sé carta e penna: annotò titoli e riferimenti senza criterio, in verticale, nel bel mezzo di una pagina in cui stava scrivendo. Poi gli restituì il libro con un sorriso smagliante.

Grazie.”
Che tizio strano.
E per dirlo lui.

Di niente.”
Come mai cercavi quel libro?”
Il tizio si stava rivelando molesto. Un paio di irreprensibili inglesi, già disturbati dal dialogo, intonarono in coro il canto da biblioteca:
shhhhht.
“Disturbiamo.”

Già.”
Byaku si girò, dirigendosi verso i banconi per andare a riempire i moduli di rilascio.
Credeva di essersi congedato dal suo interlocutore, ma come ebbe finito si accorse che quello si era limitato a recuperare la sua sciarpa, estrarre una sigaretta, ficcarsi l'accendino in tasca: si ritrovò arpionato per un braccio, e scortato serenamente verso l'uscita.
“Andiamo fuori”, decise saggiamente la sua bodyguard.
Byaku si domandò se questo caso rientrava tra quelle comunemente dette molestie. Stava venendo molestato? Se lo chiese perché di solito la gente aveva paura. Non aveva propriamente un aspetto rassicurante. Inoltre la gente, certe cose, le sentiva.
Il tizio invece si limitò ad accendersi una sigaretta. Cominciò a chiacchierare, appoggiandosi al muro: “Scusa. Dicevo. Come mai cercavi proprio quel libro?”

Per lavoro”, rispose lui, sintetico fino all'osso. Non aveva intenzione di essere maleducato: era abituato al botta e risposta. Tendeva a non dire bugie, e a rispondere alle domande dirette. Il ragazzo inclinò il capo da una parte, guardandolo attentamente negli occhi.
“È per la redazione di un articolo o cose così? O intendi evocare un demone?”
Sogghignò al suo indirizzo, e Byaku ricambiò lo sguardo, limpidissimo. Allora non aveva i bulbi degli occhi scuri, come l'avrebbero conosciuto le forze infernali: il suo sguardo era grigio, chiaro, e pulito. Non mentiva mai. In più, lo stava studiando.

La seconda che hai detto.”
“Ma sei bravo?” Fu la pacifica domanda.

Sì.” Fu la pacifica risposta.
Seguì un attimo di riflessione.
“Quindi lo fai per lavoro. Allora devi essere bravo per forza, se ti pagano.”

Mh, sì”, sorrise Byaku. “O potrei essere un impostore. O potrebbe davvero servirmi per un articolo, questo libro.”
Accidenti!” Sospirò lui, inspirando e sbuffando fuori il fumo quasi subito, occhi al cielo. “Sarebbe un peccato. Adesso che me lo dici hai più la faccia da esorcista che da reporter.”
Beh. Questo era un complimento.
“Davvero. E a te, perché interessava l'argomento?” Un'affermazione, più che una domanda: “Tu non sei un esorcista.”

No, solo solo un curioso.”
“Non sono affari miei...” Byaku non pareva particolarmente turbato. Si raddrizzò, solo, infilando il libro nella borsa che teneva al suo fianco. “Ma ci sono curiosità meno pericolose.”

Avanti, che male c'è?” Socchiuse gli occhi l'altro, studiandolo a sua volta, divertito. Ancora quel tono malizioso. Una piccola vibrazione, a cui non fece caso. “Starò attento. Molto attento.”
Non si può fare attenzione senza conoscere quello che si deve temere. E per conoscerlo, non si deve fare attenzione.”
Mmh. È interessante.” Si raddrizzò, scrollando la cenere a terra. “Ma non ho intenzione di buttarmici né di praticare. Voglio la conoscenza. Userò giudizio: leggo quel genere di libri da quando ho iniziato a leggere.”
Allora non hai bisogno che ti dica niente.”
No, ma non ho mai conosciuto un esorcista!”
L'atmosfera era cambiata di nuovo, in seguito all'esclamazione entusiasta. Byaku si trattenne ad osservarlo per un attimo, sinceramente incuriosito. Dovette fare una faccia assai strana, perché l'altro rise. Sorrise anche lui, placidamente divertito: “In genere non li si conosce spesso.”

Piacere, allora
rise ancora il ragazzo, staccandosi dal muro e tendendogli la mano. Io sono Fedor.”
L'altro gliela strinse, bollente nella primavera londinese.
“Byaku. E non sono un esorcista.”

Mh?”
Il termine esatto è negromante.”

Byaku.
Una contraddizione vivente.
Si diceva africano, in un corpo da slavo, e portava un nome orientale.
Aveva i capelli bianchi come quelli di un vecchio, eppure era giovane.
Persino il suo nome significava bianco: ma diceva che non era per quello.
Era un rompicapo ed un rebus, una macchia di Rorschach. Un quadro cubista. Un planisfero disegnato dall'altra parte del mondo in una lingua sconosciuta. Da qualunque parte lo rigirasse Fedor non riusciva a risolverlo né a decifrarlo, ed ogni immagine ne nascondeva un'altra rovesciata.
Cominciò a seguirlo dappertutto, per farselo amico: siccome s'incuriosivano a vicenda, lo divennero davvero. Erano una coppia strana, ma funzionava. Passarono i giorni, i mesi, e alla fine gli anni, ed erano sempre lì: Fedor nel suo appartamento da studente dove accumulava libri immagini e simulacri, che si affollavano sulle pareti e sulle mensole, seppellendosi a vicenda; Byaku nel suo studio ad un passo da Regent's Park, che nel suo candore ostentava quanto redditizia fosse la sua attività nel cuore della civiltà.
Byaku era un negromante e uno stregone, Byaku si lasciava scorrere tra le mani sangue di bambino.
Byaku leggeva i tarocchi e le carte non mentivano: al massimo, era chi gli stava di fronte a farlo.
Byaku si sporcava le mani ma era completamente innocente. Obbediva a una volontà superiore.
A volte, gli pareva in attesa di quella volontà. A volte era come se fosse già altrove.
Allora a Fedor veniva da stringere la presa, possessivo: come l'intreccio di radici.
Non se l'immaginava che per entrambi ci sarebbe stato lo stesso destino.
Per Byaku l'avrebbe capito. Byaku aveva le porte spalancate sull'aldilà.
Non si sarebbe stupito, per Byaku.
Solo, non voleva lasciarlo andare.

Venne il momento in cui Fedor urlò.
Fedor non si ricordava di avere mai urlato, prima, in vita sua.
Aveva un carattere forte, alzava la voce, rideva, cantava, provocava. Gemeva, basso e raschiante, nel sesso. Imprecava, quando si faceva male. Ma da che ricordasse, non aveva mai urlato.
Forse c'era un motivo.
Quella nota inudibile, quel piccolo stridore che gli sfuggiva talvolta...
Le persone erano così facili da ferire, con quella voce, che non ci si poteva aspettare altrimenti.
Era in Russia per le vacanze di Natale: fu uno spettacolo come tutti i vetri del palazzo s'infransero, una pioggia, un torrente, una tormenta di cristalli come quella polvere di ghiaccio che soffiava dal cielo. Si conficcarono nel pavimento e nelle pareti, sul suo corpo e negli occhi dei suoi genitori.
L'urlo della Mandragola lacerò i timpani e le vecchie ferite, in un'esplosione di sangue.
Strappò le condutture del gas e tutto esplose in un incendio terrificante.
Dissero di aver visto una figura nera e alata alla finestra, tra le fiamme, ma non poteva essere Fedor perché Fedor non fu ritrovato fra i cadaveri. L'ultima volta che qualcuno disse di averlo visto era a Londra, Luxborough Street, Paddington, proprio accanto a Regent's Park: mezzo bruciato e con un occhio pieno di sangue, rimase a lungo nello studio di Byaku, silenzioso e vuoto, prima di rendersi conto che non era lì che l'avrebbe trovato. Mai più.
Ma che, forse, le sue radici non avevano stretto a vuoto.


Adesso era a Mosca, e c'era talmente freddo che non nevicava nemmeno: dal cielo soffiava una polvere di ghiaccio sconosciuta. Aveva pensato alla morte, mentre ordinava la vodka, e aveva pensato alla vita dopo che l'aveva buttata giù. Ma questa che aveva adesso per le mani non era né morte né vita, e non sapeva come farsela andare giù.
Passerà, Fed, aveva detto Byaku.
Due giorni prima aveva avuto nostalgia di Londra ed era tornato in quello studio con una macchia di sangue rappreso sul tappeto, dove aveva aspettato Byaku tutta una sera con l'occhio zuppo e ferito. Adesso c'era una benda a coprirlo.
Quella volta Byaku c'era, invece, e rivedercelo lì, stupito quanto lui, con gli occhi neri come la pece che ribolliva all'Inferno, gli aveva fatto strano. Ma andava bene, no?
Come pensava mentre andava a morire: andava bene, finché il Signore Hades aveva deciso così.
Andava bene, finché nelle profondità rassicuranti della Terra c'era il suo invitto generale, Rhadamanthys l'inflessibile, che giudicava i morti. E il suo luogotenente, l'uomo su cui aveva posato lo sguardo monco sempre e solo da lontano – mai da vicino, mai. Solo di notte, nei sogni, che, si sa, sono innocenti, no? – e il suo maggiore, il suo fiero maestro.
Andava bene, finché c'era Byaku, che Byaku se non era quello che aveva amato era comunque la cosa che ci andava più vicino al mondo.
Passerà, Fed. Quella morsa allo stomaco, gli aveva detto, in un soffio di voce strano per lui, carezzandogli i capelli. L'aveva detto come se sapesse perfettamente di cosa parlasse. Persino Byaku, che aveva le porte aperte sull'aldilà, che quella chiamata se l'aspettava da sempre: Byaku sapeva affrontare la morte, non la vita.
Erano rimasti su a Londra tutta la notte, che a Londra faceva quel freddo che potevi risolvere con un maglione o con un altro uomo nel letto. Poi senza sapere perché Fedor se ne era tornato in Russia e in Russia faceva un freddo talmente cane che interrompendo ogni pensiero si alzò, sbattendo la sedia indietro, e col petto gonfio di troppe cose pigiate tutte assieme si buttò fuori dal locale per andare a urlare le sue proteste e il suo rancore a quel cielo di merda.
Una folata lo investì in pieno, irrigidendogli la faccia da reduce di guerra. Masticò una bestemmia.
Si buttò in mezzo alla strada, bianca e scivolosa. C'era solo una figura dall'altro capo della strada, che gli dava le spalle. Qualcuno già visto. Strabuzzò l'unico occhio rimasto. Poi lo strinse.
Il vento batteva ancora più gelido di quando era entrato.
Eccola, la polvere di ghiaccio!
Non era dal cielo, no.
Era dal ragazzo.







Angolino della Mandragola Assassina ~ Il grande ritorno! Una fic scritta solo durante i ritagli dallo studio (SIGH)!

In fretta, che devo assolutamente andare fuori a bermi una birra, davvero, non ce la faccio più. Scusate la prolungata assenza: sto annullando la mia esistenza nello studio, che schifo di vita. Non sto scherzando. Quando ritorno rispondo anche alle recensioni che mi avete lasciato perché siete stati molto carini. :* Grazie come sempre per l'affettuosissimo supporto!

Fedor è difficile: è un semi-OC, come ben sappiamo (le premesse alla fic sono quelle che sono). Ci ho messo molto di mio, ed in particolare nutro un sentimento di amore-odio per la sua interiorità e il modo che ha di soffrire: è tutto un gomitolo ingarbugliato, di cui ogni filo che tiro non fa che stringere la matassa, invece di scioglierla. Non posso fare altro che riportarvi alla luce l'intero gomitolo e farvelo vedere. Spero che possa essere carino anche così, da gomitolo ingarbugliato. Ci sono certe persone davvero così. Vogliate loro bene.
...Ma chi sarà quel tizio alla fine?
Boh?

Un grosso ringraziamento a LeFleurDuMal che mi aiuta sempre moltissimo, mi beta e riempie me e Fedor d'amore. Riceverà adeguato fanservice nel prossimo capitolo per compenso.
Uno ancora più grosso a Kijomi giusto perché deve equamente dividerlo con Byaku e Byaku si prende sempre prepotentemente una grossa fetta di... un po' di tutto quello che capita a tiro. Questo Byaku è suo e io gli voglio molto bene. Anche Fedor, specialmente quando fa tiro critico col D20 e va a castigare tutti i troll agitando il suo bastone ricurvo. Oh, Byaku, te l'avevo detto che l'avremmo fatta sino in fondo la quest del drago, ci è voluta una nottata, ma ce l'abbiamo fatta. Il Master non mente. Fatti tutte le pozioni che vuoi, io mi prendo le scaglie per l'armatura.

*** Abbiamo presentato: DUNGEONS & DRAGONS - Le attività della Mandragola e del Negromante che non sono state ritratte nella fic! ***

  
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