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Autore: Terre_del_Nord    13/05/2011    10 recensioni
Sul finire del primo millennio, i quattro più potenti Maghi del tempo, Salazar Slytherin, Rowena Ravenclaw, Godric Gryffindor e Helga Hufflepuff, raggiungono il Regno di Alba per fondare Hogwarts, una scuola in cui insegnare Magia. Attraverso lotte, amori e naufragi, tradimenti e Magia, realizzeranno il loro progetto; per uno di loro, però, ritornare ad Alba significa anche altro: mantenere una promessa mancata e riappropriarsi del proprio passato.
1. Prologo di "THAT LOVE IS ALL THERE IS - SLYTHERIN'S BLOOD" (si può leggere anche senza aver letto l'altra), la storia tratta personaggi e trame in buona parte originali.
2. Con "Nuovo Personaggio" ho indicato la presenza di vari personaggi rilevanti per le vicissitudini dei protagonisti.
3. Ho introdotto l'avvertimento "Violenza/Contenuti forti" per la presenza di scene di guerra e situazioni in linea con la vita dell'epoca.
4. La storia è in corso di revisione
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Corvonero, Godric, Nuovo, personaggio, Priscilla, Corvonero, Salazar, Serpeverde, Serpeverde, Tassorosso, Tosca, Tassorosso
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'That Love is All There is'
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That Love is All There is

Terre_del_Nord

Old Tales

Terre del Nord - I.006 - Il Signore dei Serpenti



Dòmhnall aveva trovato ridotta in cenere la radura in cui era nato e cresciuto. Era rimasto annichilito per lunghi, interminabili secondi, poi, come invasato, si era gettato a terra e aveva scavato a mani nude tra i resti fumanti degli alberi, là dove fino a un paio di ore prima si ergeva la tenda con la Fiamma Verde, per cercare traccia dei suoi familiari, terrorizzato all'idea di trovarsi, prima o poi, di fronte ai loro corpi privi di vita. Sconvolto, gli occhi pieni di lacrime e le mani ridotte a piaghe sanguinanti, aveva pregato gli dei che suo padre e sua madre fossero fuggiti in tempo, finché, lentamente, si rese conto che, nella devastazione del suo mondo, non c'era nulla che testimoniasse un loro scontro con i Babbani: non era stata compiuta alcuna Magia dopo la sua partenza, suo padre non si era dovuto difendere, gli aggressori sembravano aver raggiunto la radura quando la sua famiglia si era già allontanata da lì. Rassicurato, recuperò la calma e trovò infine, tra i rovi, le tracce che cercava, tracce che testimoniavano come suo padre non avesse percorso la strada che gli aveva consigliato per raggiungere la Sorgente, ma avesse scelto l'altra, quella più lunga e meno ripida, forse per confondere gli assalitori, forse per farli dividere e guadagnare tempo, forse nell'estremo tentativo di allontanare quelle bestie dai suoi figli più grandi. In realtà, nessuno dei Babbani aveva trovato o seguito le tracce dei ragazzi: tornando sui suoi passi, Dòmhnall non aveva scorto segni riconducibili al loro passaggio, il che significava che aveva preso la decisione giusta, aveva lasciato suo fratello Cuilén al sicuro, per tornare indietro e aiutare i suoi genitori e il neonato, in pericolo nella boscaglia. Osservò con cura i rametti spezzati, le impronte stranamente leggere nella terra umida, riconobbe i segni appena percettibili con cui suo padre, abitualmente, segnava la strada: non aveva compiuto alcun errore, come sempre, era impossibile capire che quelle lasciate erano tracce umane, non animali; c'erano, però, anche alcune gocce di sangue, di cui non riusciva a capire il significato e, forse, questo aveva indicato la pista ai segugi. Si mise in marcia a sua volta, tenendo la direzione senza difficoltà: gli uomini di Glower-o ‘er-em, infatti, avevano sovrapposto pesantemente le proprie impronte a quelle del Mago, non avevano certo avuto cura di muoversi con cautela e rispetto, addirittura il fuoco di alcune frecce divorava ancora gli arbusti, alimentandosi pericolosamente con le foglie secche del sottobosco; lungo il tragitto, il giovane vide molti animali uccisi dal fumo e dalle fiamme, la vegetazione ovunque calpestata con violenza, il suo bosco recava i segni di una volontà assassina di distruggere e devastare ogni cosa. Suo padre a un certo punto aveva deviato ancora, sicuramente per dirigersi alla grotta lungo il fiume: Dòmhnall immaginò che sua madre, debole per il parto, non potesse arrivare subito al luogo dell'appuntamento e la grotta costituisse il riparo più sicuro, soprattutto di notte; il giovane si animò di coraggio e speranza, conosceva bene il percorso, lui e suo padre passavano settimane intere in quel rifugio, quando andavano a caccia d'inverno, era una roccaforte di rocce facilmente difendibile dalle belve: appena i suoi l'avessero raggiunta, sarebbero stati in salvo.
Aveva deciso: anche se non capiva quanto vantaggio avessero, avrebbe cercato di rallentare la corsa dei Babbani, li avrebbe attaccati alle spalle, così da dar modo ai suoi familiari di arrivare alla grotta, avrebbe potuto spaventarli aggredendoli con qualche semplice Magia innocua, suo padre diceva sempre che erano uomini codardi, superstiziosi, che credevano ad assurdità sugli spiriti della Foresta. Era pericoloso, certo, avrebbe dovuto essere cauto, non sapeva quanti fossero, quanto fossero armati, e, soprattutto, come avrebbero realmente reagito, ma Dòmhnall sapeva essere cauto, quando era necessario: fin da ragazzino, suo padre gli aveva insegnato che non avrebbe mangiato, se non fosse stato in grado di procurarsi da solo il cibo, e nel corso degli anni era diventato abile a muoversi nella foresta, silenzioso come le sue prede, per catturare, anche senza Magia, gli animali con cui doveva sostentarsi. Dòmhnall non era armato e un vecchio patto con i Centauri lo costringeva a non fare del male con la Magia, ciò nonostante aveva già un paio d’idee su come agire e sapeva che, se avesse giocato bene le sue carte, non solo non l'avrebbero visto, ma i Babbani sarebbero rimasti così sconvolti, che non avrebbero mai più violato la foresta. Avanzò circospetto, tenendosi nel fitto della boscaglia, annusò l'aria, sentì l'odore acre di fumo farsi più pungente, vide a terra tracce di sangue ancora fresche, dimostrazione che lo scempio lì era avvenuto abbastanza di recente: suo padre aveva ragione a disprezzare quegli uomini, ovunque andassero portavano distruzione e morte, non capivano che la Natura era una madre dispensatrice di ogni dono, capace di soddisfare qualsiasi necessità, bastava solo obbedirle e assecondarla. No, i Babbani si ponevano come fossero padroni di tutto, come se il Creato dovesse piegarsi al loro volere, come se la Natura fosse una serva da violentare impunemente. Guardò con ribrezzo la carneficina, avanzò, con il cuore gonfio di dolore e di rabbia, si chiese se sarebbe riuscito a portare a termine quanto si era imposto, se sarebbe riuscito a spaventare quegli uomini orribili, con i suoi trucchi innocenti. Sì, ce l'avrebbe fatta, lo sapeva, ce l'avrebbe fatta per l'odio profondo che, per la prima volta, sentiva crescersi nel cuore e nel cervello. Quando vide uno di quei Babbani che avevano popolato per ore la sua immaginazione, la sua forza e il suo coraggio non vacillarono, anzi il suo odio e la sua determinazione, se possibile, si radicarono ancora di più: già da lontano, il fetore di quell'essere, rimasto solo nelle retrovie a far da sentinella, spaventato a morte da qualsiasi rumore provenisse dal fitto della boscaglia, permeava ogni cosa; era solo una bestia immonda, proprio come aveva detto suo padre.
Dòmhnall si sentiva stordito, paura ed esaltazione si fondevano, proprio come quando andava a caccia, e quell'uomo, in quel momento... poteva essere la sua preda. Le voci e le urla squassavano la foresta, i fuochi rendevano l'aria pesante, irrespirabile, il rumore dei passi pesanti, il sibilo delle frecce di fuoco, tutto contribuì ad acuire il turbinio di sensazioni che lo agitavano come una foglia nel vento. Il ragazzo respirò a fondo, recuperando lentamente il controllo di sé: non doveva avere paura e non doveva farsi distrarre dall'odio, l'unica cosa importante era che quegli uomini non arrivassero alla sua famiglia, non doveva ascoltare la voce che, nell'anima, gli urlava che non era sbagliato assalire e straziare, vendicarsi per lo scempio che vedeva intorno a sé, per il terrore che provava, per la fuga cui era costretta la sua famiglia. No, doveva pensare solo ai suoi genitori e ai suoi fratelli. Era convinto che fossero vivi, da qualche parte, nei paraggi, bisognosi del suo aiuto, li avrebbe aiutati, si sarebbe riunito a loro, li avrebbe abbracciati, avrebbe raggiunto la Sorgente e Cuilèn con loro... doveva solo agire, fuggire e salvarsi. Lasciò la sentinella dietro di sé, quello stolto non immaginava nemmeno cosa aveva appena rischiato, continuava a tremare al verso cupo della civetta. Dòmhnall accelerò il passo, si avvicinò di più al grosso degli uomini, notò, a poco a poco, che davanti a sé si levavano sempre meno frecce, che le voci concitate si mischiavano a urla e pianti: si nascose varie volte nella vegetazione più fitta, sentendo giungere di corsa, nella sua direzione, alcuni di quegli uomini. Li osservò incredulo: sconvolti, urlavano arrancando tra gli alberi, le carni delle gambe lacerate e straziate, alcuni si tenevano un braccio che penzolava nel vuoto, ne vide un altro tenersi la pancia e poi crollare a terra, in un tripudio di carne e sangue, il ventre squarciato; quelli che restavano in piedi, impazziti, s’inoltravano nella foresta senza più badare dove fosse il fiume, destinati a cadere in qualche profondo crepaccio o, dispersi nell'intrico degli alberi, morire per il freddo e la fame, pasto delle bestie selvatiche. Dòmhnall non riusciva a capire di cosa avessero paura quegli uomini, né chi li avesse aggrediti in quel modo cruento: i Centauri e le altre creature magiche non agivano così e dovevano essersi già nascoste sentendoli arrivare, gli animali feroci attaccavano singole prede, non gruppi di persone armate e, soprattutto, di fronte al fuoco fuggivano. Che cosa stava accadendo? Forse suo padre, in difficoltà, per difendersi, aveva rotto il patto con i Centauri e aveva affatturato e scatenato i lupi contro i Babbani? Era possibile, anche se, conoscendo il carattere mite di suo padre, poco credibile. Si chinò sul corpo dell'uomo sventrato, turandosi il naso, con un piccolo pezzo di legno gli scostò i lembi della tunica e furtivo osservò la ferita: lupi… Sì, lupi… aveva visto solo i lupi procurare delle lacerazioni simili.
   
    “Ho colpito il cane! Mio signore, ho colpito il cane!”

Una voce agitata si levò tra gli alberi, spaventandolo, in direzione di una piccola radura a pochi metri dalla sua posizione: Dòmhnall, sospettoso, tese l'orecchio, sapeva che non c'erano cani nella foresta di An Monadh, i lupi non lasciavano che i randagi dei villaggi entrassero nei territori e si accoppiassero con le femmine, indebolendo la razza. Eppure la voce aveva detto proprio “cane”, anzi “il cane”, come se lo conoscessero. Che fossero lì per cercare un cane malato, per evitare un'epidemia di rabbia? Il giovane s’immerse nel sottobosco muovendosi lentamente tra i cespugli verso la voce, voleva capire, anche se non poteva avvicinarsi più di tanto, arrivò fino al punto più riparato nei pressi della radura scoperta, rimase fermo, trattenendo quasi il respiro studiando la scena: al primo uomo se ne aggiunse un altro, dal passo imperioso e dal vociare potente, urlava improperi e maledizioni incomprensibili, ma quando fu più vicino, il bosco vibrò di parole che il ragazzo comprese chiaramente, senza possibilità di errore.

    “Ora vengo a prendere anche a te, puttana maledetta!”

Dòmhnall sentì il sangue ribollirgli nelle vene, mosso da paura e odio. Non stavano cercando cani. S’impose calma e coraggio, osservò con attenzione per decidere cosa fare, incuriosito da quegli uomini così diversi da lui: si mosse, si avvicinò ancora un po', quasi strisciando, scostò, un poco, le foglie dei cespugli, per studiare i dettagli, l'uomo che aveva colpito il cane portava un pesante arco a tracolla e una spada al fianco, aveva vesti umili, le calze logore e sporche, i calzari di pelle laceri, il corpo nascosto da una pesante maglia di metallo, al contrario dei disgraziati che correvano nel bosco, con addosso solo la tunica. L'arciere era un soldato e, da quanto riusciva a vedere del suo viso nascosto da lunghe chiome castane impiastrate di polvere e sudore, aveva circa l'età di suo padre. Il secondo era più vecchio, più alto, grasso e flaccido, con le vesti più ricche, anche se ugualmente sporche: al contrario dell'arciere, non indossava la cotta di metallo, la testa era scoperta e quello che restava di una chioma fulva e rada scendeva a ciocche spettinate sulle spalle, fondendosi con la barba biondiccia, inzaccherata di sudore e sporcizia. Aveva il volto segnato da rughe profonde, rabbioso, su cui rilucevano occhi chiari, spiritati, da pazzo assassino: doveva trattarsi del signore di Glower-o ‘er-em, l'uomo che aveva già provato a uccidere suo padre, anni prima, mosso da un odio di cui, oggi come allora, Dòmhnall non riusciva a capire la ragione. Gli sembrava di avere il cuore pressato in un guanto gelido, tremò dalla paura, dall'angoscia, temendo di non riuscire a portare a termine ciò che si era prefisso, senza far uso della Magia: quell'uomo di certo era più forte ed esperto di lui nella lotta, determinato a dargli la morte, almeno quanto Dòmhnall era determinato a salvare se stesso e i suoi cari. D'un tratto, i due Babbani si divisero, il signore di Glower-o ‘er-em si allontanò, portandosi dietro, se ne accorse solo all'ultimo, una terza figura, un vecchio dal capo canuto, un essere fragile, quasi piegato in due dagli anni e dalla fatica, ma il cui sguardo... Dòmhnall rabbrividì di nuovo, questa volta per la sensazione di pericolo che provò, vedendo il vecchio monaco, un uomo che non aveva nulla di minaccioso, anzi... Eppure... ricordò i discorsi di suo padre su Gregorius, il monaco che era riuscito a turbare persino sua madre, perché sembrava conoscere le Rune e la Confraternita di cui, Babbano, non avrebbe dovuto sapere niente. Decise di non perdere altro tempo, osservò l'arciere inoltrarsi nella boscaglia, alla sua sinistra, poteva aggirarlo e affrontarlo, poteva immobilizzarlo con la Magia, scoprire cosa volevano dalla sua famiglia, vedere le sue paure profonde e approfittarne. Si guardò attentamente intorno, in quel punto non si era ancora avventurato nessuno, non c'erano tracce della sua famiglia, eppure era abbastanza vicino al sentiero per la grotta, non capiva se avesse sbagliato strada, o se i suoi, per qualche motivo, avessero deviato ancora, nascondendosi nelle vicinanze. La situazione non era semplice, era necessario trovarli, il più in fretta possibile. Si mosse, rapido e silenzioso, finché non percepì, con la coda dell'occhio, alcune foglie agitarsi alle sue spalle: si acquattò a terra, osservò, con occhi fissi, e, nel grigiore che andava a sostituirsi lentamente al buio della notte, gli parve di scorgere una schiena nuda tra gli alberi e un suono strano, come un pianto, molto simile a quello di un gattino.
Che fosse la voce del bambino? Di suo fratello? La sua famiglia era davvero lì, vicino a lui, da qualche parte? Di chi era quella schiena bruna?
Tese l'orecchio ma il suono non si ripeté, lasciandolo nel dubbio e nell'ansia. Si mosse ancora, sempre lentamente, in quei minuti, che potevano essere pochi o l’eternità intera, aveva perso di vista l'arciere, ma aveva un'idea abbastanza precisa di dove potesse trovarsi; inoltre, i Babbani avevano ormai una rilevanza secondaria, rispetto alla possibilità di ritrovare la sua famiglia e scappare insieme con loro. Quando però la voce affannata del soldato ruppe di nuovo, improvvisa, quel silenzio carico d'attesa, Dòmhnall sentì un brivido gelido lungo la schiena, le gambe si piegarono, tutto si fece oscuro mentre le sue orecchie udivano le parole e il cervello comprendeva lentamente il loro significato.

    “Presto, correte, ho trovato anche la Strega!”

Dòmhnall si sorresse all'albero al suo fianco, il volto, lo sentiva, bruciava per lo scorrere violento del sangue nelle sue vene, deglutì, cercò di fare chiarezza nella mente, senza riuscirci, di raccogliere le idee e prendere una decisione: ascoltò con attenzione l'arciere, concitato, che parlava di un cane che non era un cane ma un uomo, e di una donna, la Strega, stesa a terra, tra gli alberi. Tutto in Dòmhnall si spense: pensieri, speranze, persino la coscienza di se stesso. Il giovane Mago tremò: alcuni ricordi riemersero confusi dal suo passato, le voci di sua madre e di suo padre, attorno al fuoco, riecheggiarono nella sua memoria, si rivide bambino, mentre gli narravano cosa un giorno sarebbe stato capace di fare con la Magia. Glielo aveva fatto vedere, suo padre... e Dòmhnall aveva riso, pieno di entusiasmo. Suo padre sapeva trasformarsi in cane. Lo ricordava chiaramente.

    Il cane… l'unico cane che può vivere nella foresta... Non è un cane, ma un uomo... L'unico cane... può essere... è... solo... Mio padre...
    Allora… L’uomo che mi ha dato la vita... è…
    L’uomo che mi ha insegnato ogni cosa… è...
    L’uomo invincibile, capace di spaventarmi con uno sguardo... è...
   
    “Ho colpito il cane! Mio signore, ho colpito il cane!”

Gli girava la testa, Dòmhnall sentiva di essere sul punto di vomitare. No, non era possibile, non era assolutamente possibile. Sentì il vociare degli altri uomini che tornavano indietro, il giovane continuò a muoversi confuso, assente, come una bestia ferita, tentando di raggiungere la posizione dell'arciere e vedere con i suoi occhi il cane che non era un cane, e la donna stesa sulla fredda terra, la mente gli pulsava: si rifiutava di accettare il significato di quelle parole. Cercava disperato una spiegazione diversa.

    Uccisi... Dòmhnall… te li ha uccisi… Entrambi...
    Non è possibile… Quell'uomo non può averli colpiti... Non entrambi… Non sono loro, non possono essere loro...
    Se non sono loro... dove sono i tuoi?Perché le tracce finiscono qui? Dov'è il bambino?

Dòmhnall, come impazzito, riprese a cercare tracce tra gli alberi, senza trovare più niente, senza vedere più niente, nemmeno a pochi centimetri dai suoi occhi, non vedeva più nemmeno le sue mani, i suoi piedi, le foglie, la terra: tutto era nero, oscuro. Tutto era morte. Aveva paura, Dòmhnall, aveva paura di sapere, paura di vedere. Paura di scoprire la verità. Paura di scoprire che la verità peggiore era ormai anche l'unica possibile.
Si stava abbandonando alla disperazione, al gelo che gli intorpidiva le membra, agiva senza riflettere, non gli importava di essere scoperto, decine d’immagini terrificanti gli balenavano nella mente e lo sconvolgevano tanto da non riuscire a respirare: ricordava quello che suo padre aveva raccontato della prigione, cosa aveva visto fare alle donne nelle segrete del castello, sapeva perché parlava di quegli uomini come di bestie immonde. Si sentiva soffocare... Viva o morta, doveva trovare e nascondere sua madre, non poteva lasciare che quegli esseri ripugnanti la... Cercava, disperato, di aggrapparsi all'idea che fosse tutto un errore, ma non ci credeva già più: desiderava profondamente lanciarsi nella mischia, scatenare tutta la rabbia che sentiva in corpo, vendicarsi su quei miserabili maledetti, ucciderli tutti. O morire... Sì, avrebbe persino desiderato la morte, pur di non vedere, se solo la voce amorevole di sua madre non gli avesse ripetuto, nella mente, un nome, sempre lo stesso, ossessivo, infinito, dolce e  al tempo stesso terribile.

    Cuilén…

L’odio che sentiva dentro lo spingeva a uccidere o morire, ma c'era suo fratello da salvare, quel fratello che suo padre gli aveva affidato, insieme alla Fiamma di Habarcat. Dòmhnall si accucciò alla base di un albero, pianse tutte le lacrime che sentiva dentro di sé, la testa gli sembrava esplodere, mentre non aveva più idea di dove fosse, perso tra le foglie e in se stesso: non capiva cosa stesse facendo, né cosa dovesse fare, cosa fosse giusto e cosa sbagliato, chi dovesse aiutare, chi abbandonare.

    Cosa devo fare?

Spettava a lui ormai proteggere quanto di più prezioso e sacro era nato e cresciuto in seno alla loro famiglia, suo padre gli aveva spiegato il valore di suo fratello, del bambino nato a Oimelc, del custode di Habarcat, la cui vita era tutt'uno con la Fiamma. Aveva commesso un errore, lasciandolo nella foresta: ora, tutto rischiava di finire. Come aveva fatto a non capirlo? Suo padre aveva intuito dall'inizio di non avere scampo, li aveva allontanati per mettere in salvo l'unico che dovesse salvarsi, Cuilèn, glielo aveva affidato perché era ancora troppo piccolo per cavarsela da solo... Suo padre non li aveva spediti alla Sorgente per poi ritrovarsi là, non aveva scelto una strada diversa per raggiungerli, sapeva dall’inizio che non si sarebbero più rivisti… L'aveva spedito alla Sorgente perché era lì che sarebbe apparso il Mago della Confraternita entro pochi giorni, al massimo poche settimane: Dòmhnall sarebbe dovuto ritornare in seno alla Confraternita con Habarcat e il Custode-bambino. Era questa l'unica cosa che suo padre gli aveva chiesto di fare...  L’ultima richiesta, il suo addio, il suo testamento… E Dòmhnall non l'aveva ascoltato: aveva rovinato tutto, aveva privato Cuilén della Fiamma, aveva portato Habarcat in mezzo a una battaglia, da cui, se non se ne fosse andato subito, non sarebbe mai uscito vivo.
Il Mago, però, non poteva permettere che... se i soldati avessero trovato sua madre... non poteva allontanarsi, non poteva lasciare che l'orrore si consumasse pienamente. Si risollevò, deciso a vendere cara la pelle e fare tutto quello che era ancora possibile. La vide, così, tra gli alberi, sulla terra pregna di aghi di pino: era lì, a pochissimi passi da lui, tra le foglie cadute a segnare gli ultimi giorni di quell'estate maledetta. La guardò, da lontano sembrava addormentata. Dòmhnall non capiva cosa stava vedendo, paura e speranza si fondevano, l'aveva trovata, era finita, poteva scappare con lei... non si chiese nemmeno dove fosse il bambino, perché non fosse al suo fianco, o se ci fosse ancora speranza per suo padre... Lieve, si avvicinò, pregando di sentire ancora il suo respiro, la toccò, la annusò, riconobbe l'odore che più amava al mondo, riconobbe il calore che tante volte l'aveva accolto con un abbraccio, ma non osava guardare il suo viso, i suoi occhi, aspettava muto che quelle mani, abbandonate, scomposte, sulla terra, si sollevassero ad accarezzargli il volto, come continuava a fare, anche ora che era quasi un uomo, pronto a vivere la sua vita. Gliene prese una e la portò alle labbra, la baciò, era ancora calda, si avvicinò alla sua testa e le sussurrò piano all’orecchio, chiamandola lieve, “madre”. Non si spaventò del silenzio, sapeva che era stanca, era sfinita dal travaglio, ora ci avrebbe pensato lui a sua madre, l'avrebbe salvata lui, avrebbe fatto ciò che suo padre, sacrificandosi, non era riuscito a portare a compimento... l’avrebbe difesa lui.
Scivolò, timido, con le mani sotto le sue costole, per sollevarla, caricarsela sulle spalle e finalmente allontanarsi da lì, nascondersi, fuggire, raggiungere Cuilèn. Quando tutto fosse finito, quando fosse stata di nuovo a casa, forse... Forse un giorno, l’avrebbe perdonato per non aver salvato il bambino… l’ultimo dono che le aveva fatto suo padre. Tutte le speranze morirono, però, appena Dòmhnall sentì qualcosa di umido e vischioso, ancora caldo, che gli impastava le dita. Rimase pietrificato: ancora caldo… caldo... sangue caldo… tanto sangue, caldo… Che cos'era quel sangue? Da dove veniva tutto quel sangue? Chi l'aveva ferita così?
Il respiro gli si mozzò nei polmoni. La guardò, infine, in volto, vide gli occhi, gli amati occhi, socchiusi, freddi, vuoti di morte, Dòmhnall si sentì morire. Era lì, a pochi passi da lei, com’era possibile? Quei maledetti gliela avevano uccisa, lì, mentre lui era a pochi passi da lei... Com’era possibile? Impazzito, la girò sul fianco e le controllò, nella semioscurità dei cespugli, la schiena, tastandola si accorse che non c'erano ferite, non ce n'erano neppure sul torace, nessuna freccia, nessuna spada aveva trapassato il suo amato corpo. Allora perché? Quel sangue, tutto quel dannato sangue veniva... Quando abbassò lo sguardo sul suo ventre, l'urlo di orrore gli morì in gola. Le gambe, il ventre, la tunica, erano una sola, orrenda, immensa macchia di sangue.
Dòmhnall sapeva come nascono i bambini, ma non conosceva i dettagli e le complicazioni di un parto, suo padre non gli avevano mai spiegato nulla a quel proposito, perché suo figlio non aveva attitudine come Guaritore. Il giovane, perciò, non comprese il vero motivo del sangue e di quella morte. Dòmhnall immaginò, con l’odio e la paura: immaginò le cose più turpi e orribili. Immaginò l'arciere che approfittava della debolezza di sua madre, che la catturava, la profanava e infine la uccideva. Non capì più niente, adagiò orripilato quel corpo a terra, credendolo intriso della bestemmia di quell'uomo miserabile, come se la vergogna della bestia avesse corroso quelle membra amorevoli che tante volte l'avevano baciato, da cui era nato. Sua madre non era più lì, non c'era più, non l'avrebbe guardato più, baciato più. Non avrebbe più sentito la sua voce, accolto le sue carezze. Non avrebbe più concesso il suo abbraccio all’uomo amato, e non sarebbe più stata accolta tra le sue braccia. Le era anzi stato imposto come ultimo, il tocco di una mano sacrilega.
Tremò... Dòmhnall non poteva accettarlo. Non contava più niente per lui. Non gl’importava più di niente, nemmeno delle promesse che aveva fatto, delle responsabilità che aveva assunto. Esisteva solo la vendetta, l'odio, il sangue. Nei suoi occhi e nella sua mente c'era solo il sangue. Bramava il sangue, bramava vendetta, bramava morte. Di quel maledetto Babbano, e di ogni altro Babbano avesse trovato sul suo cammino. Non avrebbe avuto pietà, mai e poi mai, fino all’ultimo dei suoi giorni.
Iniziò a vagare tra gli alberi, gli occhi vuoti e freddi, il corpo tremante, privo di controllo, le sue labbra fremevano, parlavano senza che se ne accorgesse, ripetevano, come un mantra infinito, il nome del lupo che dilania le membra, della serpe che inietta il suo veleno, del rapace che strappa via gli occhi. Infervorato, incatenava i nomi alle antiche formule, legava le formule al suo dolore, consacrava il dolore al desiderio di morte e di vendetta. Non contava nient'altro, non sentiva nient'altro, nemmeno quando, fermo tra i cespugli, vide il signore di Glower-o ‘er-em sollevare la spada tre volte e per tre volte conficcarla nel corpo di suo padre, il sangue nero come la pece che fuoriusciva e scorreva lento a macchiare le Rune del suo petto, mentre l'essere schifoso ghignava e dava ordini all'arciere e al monaco. Dòmhnall era freddo, determinato, deciso. Attese. Attese che l'arciere restasse solo, attese che riprendesse per le gambe suo padre, attese che ricominciasse a trascinarlo come un sacco verso il fiume. Poi chiuse gli occhi.
Concentrò tutto se stesso nelle parole di morte che riempivano il suo cuore, nel dolore e nella rabbia di cui erano cariche, catturò nel fiato il desiderio di vendetta e lo liberò nell'aria, col suo respiro, permeò la natura attorno a sè di quell'odio, di quella fredda frenesia di morte e perdizione, osservò alcuni rami degli alberi, a terra, concentrò la sua mente su di loro, chiese alla natura di trasformarli in serpi velenose, le micidiali serpi con la testa verde, quelle da cui suo padre lo metteva sempre in guardia, d'estate. Con occhi pieni di lacrime, Dòmhnall ricordò come sorrideva della preoccupazione di suo padre, non si era mai accorto che suo figlio era in grado di parlare con i serpenti... Osservò l'uomo cadere mentre i rettili gli si avvinghiavano alle gambe, alle braccia, lo soffocavano attorcigliandosi al suo collo, poi iniziarono a colpire, a strappare, a stringere, impercettibilmente sobillate dal piegarsi e dal distendersi delle sue labbra. Godeva di quella paura e di quel dolore, anche se sapeva che sarebbe sempre stato niente, rispetto a quanto aveva subito sua madre. Nella disperazione folle che lo devastava, veder quell'uomo contorcersi nella sofferenza gli dava appena un poco di sollievo: decise che doveva soffrire di più, ancora di più, doveva rimpiangere fino all’ultimo respiro quello che aveva fatto, voleva sentirlo implorare il suo dio di dargli la morte... Solo per dargli ancora più sofferenza, ancora e ancora: sarebbe stata quella la risposta al levarsi delle sue suppliche. Quando si accorse che quasi non reagiva più e i suoi sussulti si stavano trasformando in rantolo, che non poteva trarre, ancora per molto, soddisfazione dalla morte di quell'uomo, si avvicinò, si chinò a prendere la spada dell'arciere, ammirò da vicino il volto deformato dal dolore, la supplica muta nel suo sguardo ormai quasi cieco, gli squarci provocati dalle serpi, affamate e impazzite, che strappavano le sue carni.

    “Io ti maleico, Kenneth mac Maìl, maledico te e la tua stirpe immonda, tutta la lurida feccia che condivide il tuo sangue sporco e miserabile, lurido essere inferiore, voglio che tu muoia in atroci sofferenze, e che la mia maledizione perseguiti te e tutti i tuoi simili che osino ancora alzare gli occhi e la mano sulle discendenti di Sheira nic a' Thon… da oggi e fino alla fine dei tempi… per la gloria dei Daur…”

Afferrò la spada, gli fece desiderare e sperare il colpo di grazia, quindi soffiò ancora le sue litanie nell'aria, ordinando ai suoi amici dalla testa verde, di non colpire mortalmente, di non iniettare altro veleno, così che si prolungasse il più possibile quella lenta, orribile, inesorabile agonia. Si chinò sul corpo privo di vita di suo padre, osservò lo squarcio dei tre colpi di spada sul suo petto, tremò vedendo che il signore di Glower-o ‘er-em aveva cancellato quasi completamente la Runa che portava sul torace: secondo la legge degli Antichi, una profanazione simile avrebbe rallentato l'ingresso della sua anima nelle Terre della Purificazione. Avrebbe pagato… Quell’essere indegno avrebbe pagato anche per questo. Dòmhnall sollevò la spada, il chiarore del nuovo giorno filtrava tra le fronde, da est, e luccicò sul metallo: sarebbe stato il giorno più onorevole, per quell’antico ferro, strappato dal ventre delle Terre del Nord, per gli stupidi giochi di guerra di quei dannati Babbani. Quel giorno, la spada e la terra sarebbero state consacrate nel sangue e nella vendetta, per la morte dei figli di Daur.

***

Quando Áed vide la Strega riversa a terra, tra le foglie secche e gli aghi degli alberi, tentò di lanciarsi subito su di lei, anche se non aveva ancora deciso cosa farle, sapeva soltanto che aspettava quel momento da quando aveva seppellito suo figlio. E ora la puttana era lì, a terra, alla sua mercé. Gregorius, con difficoltà, riuscì a bloccarlo, non gli era bastato uno sguardo dei suoi, stavolta, quello con cui lo riprendeva ogni volta che gli confessava di aver costretto una giovane ancella a giacere con lui, era dovuto ricorrere alle minacce, gli aveva ricordato quanto doloroso fosse il fuoco dell’inferno e della dannazione eterna. Áed sbuffò, poco convinto, ma si ritrasse, lo guardò: stranamente agile, il vecchio monaco si era avvicinato alla Strega, rapido come un ratto, aveva iniziato a toccarla, voltarla, guardarle tra le vesti, insistere sulle mani e sul collo, un comportamento per lo meno bizzarro, visto che aveva appena ripetuto per l’ennesima volta al suo signore che donne come quella non andavano toccate, che erano pericolose, diaboliche...    
   
    “La Strega è già morta, mio signore... basta solo bruciarla…”
    “Come sarebbe a dire, morta? Morta come? Kenneth me la pagherà, gli avevo detto esplicitamente che volevo essere io a decidere della sua sorte!”
    “Questa donna é morta di parto, mio signore... non dovreste avvicinarvi, qui è pieno di sangue impuro, e... ”

Gregorius non riuscì a finire la frase, Áed si era già lanciato di nuovo su di lui e l'aveva allontanato, si era inginocchiato vicino alla donna, osservandola incredulo: l'aveva sollevata appena un po’ da terra, le aveva dato uno schiaffo, era sicuro che stesse recitando, che fosse tutto un patetico inganno, che avesse preso qualche infuso per fingersi morta e non affrontare la vendetta che, implacabile, stava per scatenarsi su di lei.

    “Che state facendo, mio signore? Non potete profanare un morto, nemmeno se si tratta di una strega! Anzi… soprattutto se si tratta di… la vostra anima…”
    “Taci!”

Áed lo spintonò via per l’ennesima volta, facendolo cadere a terra, era stanco di quella presenza invadente, non sapeva se quella donna fosse viva o veramente morta e nemmeno gli interessava: ora che la rivedeva dopo tanto tempo, così da vicino, con quei capelli corvini sulla pelle di porcellana e il corpo pieno… ora che sentiva il tepore ancora vivo del suo copro... il suo voluttuoso corpo... Era stanco di quel dannato vecchio che gli rammentava sempre il fuoco dell’inferno, lui voleva sfogare i suoi istinti, dopo tutti quei mesi di guerra e dolore ne aveva bisogno: e nulla gli avrebbe impedito, morta o non morta, di prendersi quella donna. Era lì, finalmente, a un passo da quel piacere che inseguiva ormai da quasi venti anni, nessun girone dell’inferno gli faceva paura, il destino glielo doveva, in un modo o nell'altro, alla fine, si sarebbe preso almeno parte di ciò che desiderava. Rapido sotto gli occhi inorriditi del monaco, estrasse il pugnale dalla cintola e, con un colpo secco, aprì completamente la veste della strega, osservò bramoso quel corpo niveo, pieno, materno, distolse rapido lo sguardo dall'oscurità sanguigna che percepiva in basso, per non perdere il coraggio, la lussuria che gli accecava completamente il cervello. Portò le mani ai lembi della propria tunica, se la sollevò sopra i lombi, iniziò a indugiare con decisione sul proprio pube, per accelerare il risveglio del proprio corpo. Gregorius, dietro di lui, iniziò a urlare come un ossesso, impedendogli di concentrarsi e ottenere un qualche risultato, alla fine, esasperato, si girò verso il vecchio per ordinargli di smetterla di infastidirlo, ma quando lo guardò, dal suo volto atterrito si rese conto che il monaco non lo stava implorando di smetterla, quanto di scappare. Áed non capì, fece appena in tempo a voltarsi dall'altra parte, vide appena il lampo del metallo che si abbatteva dall’alto di traverso su di lui, ma il cervello non riuscì a registrare altre l'informazione: Áed  mac Taidg, signore di Glower-o ‘er-em era già morto.
Il monaco, inorridito, vide la testa del suo signore rotolare a terra, accanto ai suoi piedi e finire tra i rovi, il sangue schizzare e macchiare tutto quello che c'era lì attorno, il corpo crollare a terra, a pochi centimetri da quello della Strega, come un sacco vuoto. Si guardò le vesti, lorde di sangue, appena per un secondo, guardò il demonio che era sbucato dagli alberi brandendo la spada, un ragazzino esile, semi nudo, con le dita delle mani, dei piedi e il collo decorati dalle Rune della Confraternita, occhi di acciaio che saettavano sotto la zazzera corvina, le guance sporche di terra e lacrime e sangue. Era senza alcun dubbio il figlio della Strega, un indemoniato. Un indemoniato che aveva appena visto suo padre e sua madre uccisi dalla sua gente, un fascio di dolore, di odio e di desiderio feroce di vendetta. Gregorius deglutì, nascose meglio il contenuto della sua mano nella tasca interna della tonaca e fece un impercettibile passo all’indietro, osservando quella creatura della notte che aveva appena ucciso con una freddezza inumana il padrone di quelle terre, poi, per quanto gli consentivano le membra minate dal tempo, iniziò a correre, gettandosi tra i rovi e i cespugli, invocando aiuto a squarciagola. La sua corsa procedeva confusa, il vecchio cadde e si rialzò più volte, sentiva appena un fruscio dietro di sé, che lo convinse ancora di più di essere inseguito dal diavolo, non da una persona: no, non poteva una persona fare... Gregorius incespicò, cadde, si rialzò, iniziò a recitare le preghiere al Signore nella sua mente, finché non si vide la strada sbarrata da una gigantesca creatura irta e pelosa, provò a deviare, ma dai cespugli, altri occhi gialli, da lupo, sembravano circondarlo.

    “Nel nome del Signore della Croce, io ti ordino... “.
   
Gregorius si sentì raggiungere dal ragazzo, si guardò intorno, atterrito, gli parve di vedere un varco, si buttò in quella direzione, cercò di riprendere la fuga, ma qualcosa lo fece cadere di nuovo a terra e lo trascinò all’indietro per alcuni metri, tra le foglie. Urlò, le unghie del vecchio affondarono negli aghi di pino, mentre Dòmhnall, brandendo la spada, gli balzava sopra, deciso a chiudere quella faccenda una volta per tutte, occuparsi finalmente dei corpi dei suoi genitori e ritornare indietro da Cuilèn. Il vecchio si voltò, avvicinò rapido il pugno alla mano e soffiò con forza, Dòmhnall respirò una specie di farina di pino e non vide più niente, incespicò e cadde a sua volta, sentì il vecchio muoversi tra le foglie e riprendere, stranamente agile, la fuga. Si rialzò e ricominciò la caccia, riprese a parlare al vento, aizzò i lupi contro il vecchio monaco: aveva visto tutto, molto bene, mentre quel maledetto maiale cercava di approfittarsi di sua madre, il vecchio, con la scusa di verificarne la morte, le aveva sottratto l'anello con la pietra verde, l’anello che suo padre aveva fatto per lei e che sua madre teneva sempre alla mano destra. Era di nuovo quasi addosso al vecchio, i lupi lo stavano costringendo verso una piccola radura lì a pochi passi, da cui non c’era possibilità di scampo: anche se era un vecchio, Dòmhnall non avrebbe avuto pietà, era stato il cappellano di Glower-o ‘er-em a far imprigionare e condannare alla forca suo padre… era il momento della resa dei conti. Dòmnhall brandì di nuovo la spada e si preparò ad assaltare il vecchio, intrappolato nella radura. Sentì un sibilo e poi un altro, all’altezza del suo orecchio, si voltò, un dardo centrò in pieno il suo braccio destro, passandolo da parte a parte, e gli fece cadere la spada. Il Mago scrutò tra gli alberi, sicuro di veder apparire uno degli ultimi uomini di Glower-o ‘er-em, ma un intenso scalpiccio riempì rapidamente tutto il bosco intorno a lui: i Centauri, almeno una dozzina di Centauri l’avevano accerchiato, i volti contratti in un’espressione bellicosa.



*continua*



NdA:
Innanzitutto mi scuso per la presenza di molti pezzi abbastanza pesanti, ma volevo giustificare la caratterizzazione che darò al personaggio. Credo ormai sia chiaro che cosa ho deciso di fare con questa ff... almeno per chi ha letto That Love, il discorso della maledizione dovrebbe aver dato un indizio decisivo sull'identità finale di Domhnall (insieme al discorso dei serpenti, della lingua dei serpenti, dell'odio per i Babbani... la questione del nome... per quello occorrerà aspettare qualche altro capitolo, invece). L'idea può lasciare interdetti ma non è estemporanea, come può apparire in questo momento, ne avevo già messo le basi in That Love quando Mirzam dice a Rodolphus :
    RL: “... io sono un Lestrange, ho anche delle responsabilità verso la mia famiglia. Per questo, non posso permettermi… interferenze… o Maghi del Nord imboscati nel Norfolk…”
    MS: “Non so se fa più ridere pensare a Bella come a una donnetta qualsiasi o ai Maghi del Nord imboscati nel Norfolk. Salazar!…”
    RL:“... Sai benissimo di cosa sto parlando!”
    MS: “No, Rodolphus, mi spiace, ma non ne ho idea: non ci sono Maghi del Nord nel Norfolk da quando Salazar Slytherin ha lasciato quelle paludi per raggiungere la Scozia…”

Bon, non mi resta che r
ingraziare tutti coloro che hanno letto, aggiunto alle liste e/o commentato. A presto.
Valeria



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