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Autore: samek    07/06/2011    2 recensioni
Rivisitazione di Doctor Who 5x01 – The Eleventh Our; Nella camera dei piccoli Dean e Sam c’è una strana crepa sul muro, attraverso la quale il primo sente sempre una voce. Una cabina blu precipiterà nel loro giardino ed uno strano tizio che si fa chiamare l’Angelo risolverà il problema… forse.
Genere: Avventura, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, Yaoi | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Sam Winchester
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Quarta stagione
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Il vento soffiava forte sul giardino di una piccola villetta di Lawrence, in Kansas, piegava l’erba e faceva dondolare le altalene cigolanti

Fandom: Doctor Who/Supernatural.

Pairing/Personaggi: TimeLord!Castiel/companion!Dean, Chuck, Sam, Zhacariah.

Rating: Pg-15.

Beta: Koorime (dovere coniugale ♥)

Genere: Comico, Introspettivo, Romantico.

Warning: DW!AU, Crossover, Slash.

Words: 9316 (fiumidiparole).

Summary: Rivisitazione di Doctor Who 5x01 – The Eleventh Our; Nella camera dei piccoli Dean e Sam c’è una strana crepa sul muro, attraverso la quale il primo sente sempre una voce. Una cabina blu precipiterà nel loro giardino ed uno strano tizio che si fa chiamare l’Angelo risolverà il problema… forse.

Note: Scritta su questo prompt richiesto da momocas per il Festival del Crossover di destiel_italia.

 

DISCLAIMER: Non mi appartengono, non ci guadagno nulla ù_ù

 

Angel Who – L’Undicesima Ora

 

Mi riconosci?

Ho le scarpe piene di passi,

la faccia piena di schiaffi,

il cuore pieno di battiti,

e gli occhi pieni di te. ¹

 

Il vento soffiava forte sul giardino di una piccola villetta di Lawrence, in Kansas, piegava l’erba e faceva dondolare le altalene cigolanti. Per il piccolo Dean Winchester, inginocchiato ai piedi del proprio letto, il suono era confortante quasi quanto quello del respiro del suo fratellino, che dormiva nel materasso accanto.

«Caro Babbo Natale…» pregò sottovoce, dando le spalle alla finestra «Grazie per l’elicottero e la Condor. So che ora siamo a Marzo e probabilmente ti avrò svegliato, ma… ho un problema. C’è un crepa nel mio muro» spiegò, lanciando uno sguardo inquieto alla parete in questione. «Lo zio Bobby dice che non è niente, però io sento quella voce. Potresti mandare qualcuno a sistemarla? Un poliziotto, o un…» angelo, magariconcluse tra sé, ma all’improvviso sentì un rumore ritmico ed uno schianto fortissimo provenire dal giardino. «Aspetta un attimo» mormorò riaprendo gli occhi ed affacciandosi alla finestra.

C’era qualcosa di fumante riverso sull’erba: una cabina blu. Strizzò le palpebre per vedere meglio e scorse una luminosa scritta Polizia in cima alla cabina telefonica.

Un sorriso da monello si affacciò sul suo visetto lentigginoso. «Grazie» sussurrò alzando gli occhi al soffitto. Poi afferrò una giacca, una pila e la sua pistola giocattolo, e si precipitò fuori.

Una volta lì, osservò meglio quello strano oggetto; non aveva mai visto una cabina della polizia, prima d’ora. Ma proprio mentre la scrutava, le porte – che in quel momento davano al cielo – si aprirono di colpo, una corda saltò fuori, impigliandosi alla prima cosa che incontrò, poi degli strani rumori si sentirono provenire dall’interno della cabina. Infine, due mani si aggrapparono al bordo ed una testa le seguì, spuntando fuori ed affacciandosi all’esterno con espressione perplessa.

La testa, arruffata e gocciolante, apparteneva ad un uomo sulla trentina, che si accigliò nell’osservarlo. «Ciao» esordì incerto.

Istintivamente, Dean gli aveva puntato la pistola addosso, ma la sua presa vacillò per la sorpresa. «Stai bene?» gli domandò confuso.

«Sì. Ero finito in libreria» spiegò quello, issandosi sul bordo e guardando verso l’interno della cabina. «È stata una lunga scalata».

«Sei bagnato fradicio» gli fece presente il bambino.

«Sono caduto in piscina» spiegò l’uomo, riportando lo sguardo serio su di lui. Indossava una camicia e dei pantaloni dal taglio classico strappati e bruciacchiati, la cravatta gli pendeva lasca e storta dal collo, aveva capelli scuri e scarmigliati, e due grandi occhi blu dal malinconico taglio all’ingiù.

«Ma hai detto che eri in libreria» obbiettò il più piccolo.

«La piscina è nella libreria» chiarì lo sconosciuto, e non sembrava affatto scherzare.

«Sei un poliziotto?» lo interrogò Dean seccato, incrociando le braccia al petto, stanco di perdere tempo.

«Hai chiamato un poliziotto?» domandò quello di rimando.

«Sei qui per la crepa nel mio muro?» sbuffò quindi il bambino con sguardo indagatore.

«Quale crepa?» ribatté l’altro, inclinando il capo in una posa innocente quanto quella del suo fratellino, però poi gemette e perse l’equilibrio, crollando a terra.

«Tutto okay?» chiese per la seconda volta il ragazzino e si avvicinò allo strano tizio, che nel mentre si tirò sulle ginocchia.

«No. Ma non preoccuparti…» tossì e una strana nuvola dorata evaporò dalla sua bocca. «Succede sempre. Tra poco starò bene» lo rassicurò fissandosi le mani, dalle quali s’innalzò altro vapore luminescente.

«Bizzarro» osservò Dean. «Chi sei?» Non sembrava pericoloso, ragionò.

«L’Angelo» rispose lo sconosciuto, ricevendo in cambio un’occhiata stranita, poi il bambino aggrottò la fronte, infastidito.

«Non prendermi in giro. Gli angeli non esistono, sono solo storie. E poi quale angelo? Non ce n’è mica solo uno»

«Solo l’Angelo» replicò lui. «Hai una mela? Credo di averne una voglia matta. Ed è strano, non ho mai avuto una voglia matta, prima d’ora» continuò come se nulla fosse.

Confuso, ma sotto sotto divertito, Dean guidò l’uomo dentro casa. «Se sei un angelo, perché sulla tua cabina c’è scritto Polizia?» lo interrogò offrendogli il frutto richiesto.

Questi lo afferrò e lo morse, salvo poi sgranare gli occhi e mandare giù il boccone con l’aria di aver appena inghiottito una medicina amara. «Che cos’è?» replicò tossicchiando.

«Una mela» rispose il bambino con tono d’ovvietà.

«Spiacevole. Assolutamente spiacevole» concluse l’Angelo, gettandola nel cestino lì vicino.

«Sei stato tu a volerla» s’indispettì il più piccolo.

«Bocca nuova. Non so più quello che voglio» asserì l’uomo, guardandosi attorno con attenzione. «Friggi qualcosa. Sai farlo?»

«Certo che so farlo, ma parla a voce più bassa o sveglierai Sammy» lo rimproverò il bambino.

«Chi è Sammy?» chiese l’Angelo, mentre il ragazzino iniziava a cuocere del bacon.

«Il mio fratellino» rispose spiccio quest’ultimo, servendogli la pietanza qualche minuto dopo.

Con espressione curiosa, il suo nuovo amico ne assaggiò un pezzettino, masticò con entusiasmo… e lo sputò nel fazzoletto un attimo dopo. «Disgustoso» biascicò con un smorfia.

«Fagioli» sussurrò attento, alle spalle di Dean, sorvegliando la cottura mentre lui li bolliva in pentola. Il ragazzino, infastidito dal sentirselo tanto appiccicato addosso, fu vicino a rimproverarlo; gli metteva ansia sentirsi sorvegliato così.

Inutile dire che, dalla bocca di quello strano tizio, i fagioli finirono nel lavandino pochi minuti dopo. «Cattivi, fagioli cattivi» biascicò, guardando il bambino a mo’ di ammonimento.

«Pane e burro…» occhieggiò poi Dean con fare fiducioso, spalmandone una generosa dose su una fetta di pancarré, ma lui gli restituì una sguardo scettico. E non si era sbagliato.

Mezzo minuto dopo, infatti, l’adulto sibilò al panetto di burro: «Non tornare più!» gettandolo fuori di casa insieme a pagnotta e piattino.

«Abbiamo… delle carote» tentò il suo piccolo amico, controllando il frigo.

«Vuoi avvelenarmi?» replicò l’Angelo serio.

«Senti un po’, perché non ti arrangi?» sbuffò Dean seccato.

«Okay » asserì lui prendendo il suo posto davanti al refrigeratore, e poco più tardi si trovava di nuovo al tavolo ad immergere bastoncini di pesce soffritti in una terrina piena di crema pasticcera, con un accenno di sorriso soddisfatto ad incurvargli le labbra morbide.

«Buffo» commentò Dean, facendogli compagnia mangiando del gelato direttamente dalla scatola.

«Buffo…» ripete l’uomo. «Buffo è buono. Come ti chiami?» gli chiese finalmente.

«Dean Winchester» si presentò il bambino.

«Dean Winchester… è un nome da duro» considerò, facendo sorridere il suo piccolo amico. «E dove sono i tuoi genitori? Li avremmo svegliati a quest’ora, anche se abbiamo cercato di fare piano» osservò poi, alzando lo sguardo verso il soffitto, oltre il quale doveva trovarsi la zona notte.

«Sammy ed io non abbiamo più dei genitori. Solo lo zio Bobby» spiegò Dean.

«Io nemmeno quello» confidò l’uomo.

«Zio Bobby è okay, è forte» replicò il bambino.

«E dov’è, allora?» chiese l’Angelo.

«Fuori» rispose Dean scrollando le spalle.

«E vi lascia qui da soli?» replicò l’adulto, inclinando la testa in quel modo che Dean comprese essere un suo tratto distintivo.

«Non ho paura» si accigliò lui.

«Certo che no. Una cabina blu precipita nel tuo giardino, uno sconosciuto salta fuori e mangia pesce con la crema, ma tu sei lì, imperturbabile. Quindi, sai cosa penso?» ribatté l’Angelo.

«Cosa?» gli diede corda il ragazzino.

«Che quella crepa deve essere davvero spaventosa» concluse serissimo e un’ombra di terrore attraversò per la prima volta i grandi occhi verdi di Dean.

Poco dopo, quando salirono di sopra, il bambino si mise un indice davanti alla bocca intimandogli il silenzio, prima di schiudere la porta della camera, rischiarata da un abat-jour. Si avvicinò ad uno dei lettini, dove sotto le coperte s’intravedeva un piccolo fagotto, e l’Angelo lo seguì per vedere una piccola testolina bionda posata sul cuscino.

Il ragazzino sistemò meglio la coperta, dopo essersi assicurato che il fratellino dormisse sereno. «Facciamo piano» mormorò in raccomandazione all’adulto, prima di tirarlo dall’altra parte della stanza, dov’era la crepa.

L’uomo la scrutò, ma Dean gli tirò la manica per richiamare di nuovo la sua attenzione. «Quand’ero piccolo…» sussurrò, tirandolo giù per potergli parlare all’orecchio «non mi piacevano le mele, così la mia mamma ci disegnava sopra una faccina per farmele mangiare» raccontò, mettendone una in mano all’amico, accovacciato davanti a lui per essere alla sua stessa altezza.

L’Angelo osservò gli occhietti e la bocca sorridente scavati nella buccia del frutto, e posò gentilmente un palmo sulla sua spalla. «La tua sembra proprio una brava mamma» asserì «Lo conservo per dopo» aggiunse, infilandoselo in tasca, prima di rimettersi in piedi con un movimento fluido ed elegante, ed esaminare la crepa, sondandola con una strana bacchetta metallica ronzante.

«Che cos’è?» bisbigliò Dean, lanciando uno sguardo apprensivo al lettino occupato da Sammy, preoccupato che il rumore infastidisse il suo sonno. Ma il bimbo continuò a dormire sereno, con il tipico sonno pesante della sua età.

«Un cacciavite sonico» spiegò l’adulto, controllando qualcosa segnata sulla bacchetta. «Interessante» sentenziò poi.

«Cosa?» lo interrogò Dean.

«Il muro è solido» dichiarò bussando lievemente sopra e sotto la spaccatura che lo attraversava. «Se anche lo buttassimo giù, la crepa resterebbe, perché non è qui».

«E allora dov’è?» chiese il maggiore dei Winchester confuso.

«Ovunque» mormorò l’Angelo nascondendo uno sguardo allarmato. «È uno strappo nel tessuto del tempo. Due realtà che s’incontrano e spingono l’una contro l’altra».

«Non ho capito» ammise il bambino.

«Non importa, non lo capisco nemmeno io» gli assicurò l’amico distrattamente. Poi prese un bicchiere d’acqua dal comodino, bevve quella che era rimasta e lo posò capovolto contro la parete, avvicinando l’orecchio per ascoltare.

«Il Prigioniero Zero è fuggito» udì una voce metallica provenire dall’altra parte.

«Il “Prigioniero Zero”?» ripeté perplesso l’uomo.

«“Il Prigioniero Zero è fuggito”. È quello che sento sempre, ma che vuol dire?» intervenne Dean.

«Che oltre questa crepa c’è una prigione spaziale e hanno perso un detenuto. Vogliamo dare un’occhiata?» propose.

«Cosa succederà?» replicò Dean, con la classica intuitività dei bambini.

«Dovrebbe richiudersi, se va tutto per il verso giusto».

«Altrimenti?»

«Gli adulti spesso dicono che andrà tutto bene, ma tu sai che mentono, vero?» ribatté l’Angelo.

«Sì» sbuffò il piccolo imbronciato.

«Andrà tutto bene, Dean» sussurrò allora l’altro, offrendogli la mano ed un accenno di sorriso. Il ragazzino la strinse, poi l’amico puntò il cacciavite verso la spaccatura e questa si aprì, pochi secondi dopo un occhio enorme si affacciò da essa, sondandoli con attenzione. Qualcosa di luminoso uscì dalla crepa, poi questa semplicemente si richiuse. Senza lasciare traccia.

«Cos’è successo?» chiese Dean, cercando di non sembrare spaventato, anche se lo era e tanto. «Cos’era quello, il Prigioniero Zero?»

«La sua guardia. Ci ha lasciato un messaggio sulla mia Carta Psichica» spiegò l’Angelo, estraendo da una tasca qualcosa che somigliava ad un distintivo da poliziotto, ma bianca. «Il Prigioniero Zero è fuggito» lesse. «Perché lo dice a noi? Pensa che sia scappato qui, ma se così fosse, ci saremo accorti della sua presenza. Ho visto qualcosa…» ragionò, cercando di vedere quel qualcosa con la coda dell’occhio, come se fosse al margine del suo campo visivo «… ma cosa?»

Tuttavia, la sua concentrazione venne spezzata da un rumore ritmico ed ansimante, che lo fece sussultare. «No-no-no» sussurrò precipitandosi fuori dalla stanza e poi giù per le scale.

Il bambino lo seguì più veloce che poté e frenò bruscamente mentre lui recuperava la corda e si arrampicava sulla cabina rovesciata.

«È ancora in fase critica. Se non sistemo i motori, brucerà» spiegò, rimanendo a cavalcioni sull’orlo.

«Ma è solo una cabina!» obbiettò Dean.

«È una macchina del tempo» spiegò l’Angelo.

«Sul serio?» chiese sorpreso e, quando l’uomo annuì con quella sua faccia monoespressiva, domandò: «Posso… possiamo – Sammy ed io – venire con te?»

«Non ancora, sarebbe troppo pericoloso. Tra cinque minuti» replicò l’amico. «Torno presto» gli assicurò, ma il ragazzino s’incupì.

«Dicono tutti così, ma non lo fanno mai» asserì con uno sguardo troppo adulto per la sua giovanissima età.

«Io ti sembro tutti?» replicò l’Angelo accigliato, inclinando di nuovo il capo in quel modo a cui Dean iniziava ad affezionarsi. «Cinque minuti» ripeté, prima di lasciarsi cadere di nuovo all’interno.

Il ragazzino percepì un rumore di spruzzi, come se si fosse tuffato in acqua, poi girò sui tacchi e corse in casa, fermandosi davanti al lettino del fratello con una lunga scivolata. «Sammy… Sammy!» chiamò, scuotendolo gentilmente per svegliarlo. «Alzati, andiamo via!» esclamò entusiasta quando il piccolo aprì due occhioni verdi gemelli dei suoi.

«Dove?» chiese quest’ultimo, stropicciandosi le palpebre, mentre il fratello maggiore prendeva una valigetta da sotto il proprio letto e v’infilava un cambio d’abiti per entrambi.

«Metti la giacca» ordinò, aiutandolo ad infilarla sopra il pigiamino, prima di chinarsi ad allacciargli le scarpe. Poi afferrò la sua manina e la valigia e scese di nuovo giù, raggiungendo il punto davanti al quale era atterrata la cabina, e poggiando la valigia a terra per sedersi su di essa.

«Cos’è successo al capanno?» chiese Sammy, osservando la piccola costruzione che era stata distrutta dall’astronave precipitata.

Quindi Dean, con un sorriso smagliante, gli raccontò cos’era accaduto, guardando i suoi occhi riempirsi di meraviglia.

«Dici davvero?» domandò il più piccolo estasiato.

«Ti mentirei mai?» replicò lui.

«Perché non mi hai svegliato?» s’imbronciò allora il fratellino.

«Perché diventi lagnoso, se non ti lascio dormire» rispose il maggiore.

«Non è vero!» si lamentò Sammy.

«Ecco appunto» concluse Dean con un ghigno da monello, facendo accentuare il suo broncio, poi se lo tirò vicino, lasciandogli spazio sulla valigia. «Cinque minuti. Ha promesso» sussurrò fiducioso. Ma passarono quei cinque, poi altri dieci, e mezz’ora dopo l’Angelo non era ancora tornato.

«Dean, ho freddo» biascicò il bambino con la testa ciondolante di sonno.

Lui gli passò un braccio attorno alle spalle, portandolo più vicino e coprendolo un po’ con la propria giacca. Sammy si addormentò sul suo petto, mentre lui aspettava, aspettava, aspettava.

 

*°*°*°*°*

 

Il giardino della villetta di Lawrence era tranquillo ed assolato, quando la cabina blu vi atterrò di nuovo. L’Angelo spalancò le porte della nave, quasi senza notare che fosse ormai giorno, e raggiunse la porta di casa, aprendola con il suo cacciavite sonico e correndo su per le scale.

«Dean! Dean Winchester!» chiamò, preoccupato «Ho capito cos’era. Devi uscire subito da qui. Porta Sammy fuori da qui!» continuò una volta raggiunta la cameretta dei bambini, cercando di aprire anche quella, ma non ebbe la fortuna sperata. Fece a malapena in tempo a percepire una presenza dietro di sé, poi venne abbattuto da un deciso colpo di mazza da cricket.

 

*°*°*°*°*

 

L’infermiere osservò il dottore controllare i parametri del paziente e, subito dopo che questi constatò che era tutto regolare, si vide rivolgere un’occhiata sarcastica.

«Mi ricordi in che reparto siamo, signor Winchester» lo sollecitò l’uomo di mezz’età.

Lui lo detestava, davvero. Zhacariah il Viscido, così lo chiamava tutto il personale, e per un buon motivo.

«Reparto comatosi, signore» rispose il ragazzo, mordendo le parole tra i denti.

«Allora mi spieghi come, in nome del cielo, lei può sostenere che quest’uomo abbia parlato. Si diverte a farmi perdere tempo?»

«No, signore» replicò conciso. «Ma l’ha fatto. E io l’ho visto fuori di qui».

«Lei è un bravo infermiere, Sam Winchester, ma ora sta esagerando. La sorveglianza dell’ospedale è ottima e in nessun modo una di queste persone avrebbe potuto lasciare l’edificio».

«Guardi» ritentò Sam porgendogli il proprio cellulare.

«Ora perché mi sta dando il suo telefono?» domandò il Viscido seccato.

«È anche un videofonino, signore» spiegò il ragazzo, cercando di mantenere la pazienza.

«Angelo…» intervenne una terza voce.

«Come ha detto?» domandò il dottore.

«Non sono stato io, signore» ribatté l’infermiere, voltandosi verso l’uomo steso sul letto e percependo un brivido gelido inerpicarsi su per la propria schiena.

«Angelo…» ripeté la donna nel materasso accanto, facendoli sussultare entrambi.

Un attimo dopo tutti i pazienti del reparto chiamavano quel nome: «Angelo… Angelo… Angelo…»

Il Viscido si affrettò a ricontrollare i parametri, ma nulla era cambiato, a parte le bocche che si muovevano.

«Signore…» tentò ancora Sam, indicandogli di nuovo il proprio cellulare, ma in quel momento il cercapersone del medico squillò e questi fece una smorfia irritata.

«Si prenda una vacanza, signor Winchester» ordinò.

«Ma…» cercò d’obbiettare il ragazzo.

«Ora!» concluse il dottore infastidito, lasciando il reparto ed affrettandosi verso il suo prossimo impegno.

 

*°*°*°*°*

 

La luce gli pugnalò gli occhi quando socchiuse le palpebre, rinvenendo dopo un tempo indefinito. L’Angelo scosse il capo, frastornato, e una fitta lancinante gli trapassò la testa.

Aveva l’impressione che qualcuno l’avesse chiamato con insistenza e ci mise quasi un minuto a ricordare dove fosse e perché si trovasse lì, poi tentò di alzarsi con un scatto fulmineo, ma ricadde indietro, trascinato da un contraccolpo, a causa del proprio polso ammanettato ad un termosifone.

«Ma cosa…» mugugnò, ricordando solo in quel momento – quando una fitta gli trapanò una tempia – di essere stato steso da una mazza da cricket.

«Richiedo rinforzi. Uomo bianco, sulla trentina, statura media. Si è al 22 di Amelia Street» asserì una voce e l’Angelo riuscì a distinguere davanti a sé la figura di un poliziotto che parlava in una ricetrasmittente. «Fossi in te non mi muoverei, amico» gli intimò quest’ultimo.

«Cos’è successo? Dov’è Dean?» domandò lui, ancora confuso.

«Dean?» replicò l’agente, accigliandosi.

«Sì, Dean Winchester, il ragazzino. Devo avvisarlo, dobbiamo uscire subito di qui» spiegò il Signore del Tempo.

«Non abita più qui, se n’è andato sei mesi fa» asserì l’agente.

«Sei mesi? No, non è possibile. Gli avevo promesso cinque minuti, non posso essere in ritardo di sei mesi» asserì lui con aria quasi minacciosa. «Liberami» ordinò poi.

«Non penso proprio. Ti sei introdotto in casa mia» replicò l’altro.

«Ma tu sei un poliziotto» constatò l’Angelo perplesso.

«Sì, e abito qui. Problemi?» replicò quello in tono di sfida.

«Ascoltami, non c’è tempo da perdere. Siamo in pericolo. Quante porte ci sono qui?» domandò spiccio.

«Cosa?!» ghignò quello incredulo.

«Avanti, contale per me» lo incitò l’alieno.

«Cinque» asserì il poliziotto «Uno, due, tre, quattro, cinqu…» iniziò a contarle, indicandole una per una, ma venne interrotto.

«Sei» asserì l’Angelo.

«Non dire stronzate. Sei cieco? Ci sono solo cinque stanze, qui» sbuffò l’agente.

«Sono sei. Guarda meglio».

«Dove?»

«Alle tue spalle, proprio dove non vuoi vedere. Usa la coda dell’occhio» suggerì serissimo, tanto che il ragazzo si sentì costretto a dargli ascolto.

«Ma… ma cosa diavolo…» boccheggiò quando vide finalmente la sesta porta.

«C’è un filtro di percezione che ti impedisce di vederla, anche se è sempre stata lì» spiegò il Signore del Tempo. «Fermati!» sbottò, quando lo vide avvicinarsi all’uscio “appena apparso”.

«Non è possibile, abito qui da sempre…» lo sentì borbottare.

«Ho detto: fermati. È pericoloso!» cercò di richiamarlo. «Dov’è il mio cacciavite?» si domandò poi, frugandosi nelle tasche con la mano libera e strattonando furiosamente le manette quando non lo trovò. «Liberami!» comandò di nuovo.

«Ho perso la chiave…» mormorò quello distratto, mentre apriva e oltrepassava la porta.

«Dov’è finito? È argentato, con la punta blu» il ragazzo udì l’intruso da lontano, ma lo stava ascoltando a malapena, troppo intento ad osservare quella stanza cadente e semi-vuota che non aveva mai visto prima. Poi notò qualcosa in cima all’unico mobile che occupava la stanza.

«D’argento, punta blu, hai detto?» gridò all’indirizzo dell’altro uomo.

«Sì!» esclamò quello di rimando.

«È qui» asserì allora.

«Sarà rotolato sotto la porta» considerò l’intruso.

«Sì, e poi ha fatto un salto sul tavolino» ironizzò il poliziotto teso.

L’Angelo si sentì ghiacciare. «Esci! Esci subito da lì!» urlò.

L’agente si allungò a prendere il cacciavite e ritrasse istintivamente le dita. Era ricoperto da una sostanza viscida. Reprimendo il disgusto, lo afferrò usando solo i polpastrelli, poi avvertì una presenza alle proprie spalle e rabbrividì. Ma quando si voltò non vide nulla.

«Cosa diavolo c’è qui?» ringhiò voltandosi da una parte all’altra, continuando a sentire quella sensazione spiacevole.

«Non guardarlo! Se si accorge che l’hai visto ti ucciderà!» lo avvertì il Signore del Tempo.

«Dove accidenti è?» sbottò lui.

«Con la coda dell’occhio» gli ricordò l’uomo.

Contro ogni buon senso, il ragazzo seguì il suo consiglio e lo vide: un lungo, enorme e disgustoso serpente d’argento, che sfoderò una chiostra di denti affilatissimi. Sopprimendo un urlo e sibilando un’imprecazione corse più veloce che poté e si chiuse la porta alle spalle, lanciando il cacciavite all’Angelo quando questo lo richiamò con un cenno. 

Subito lui si affrettò a chiudere la porta a chiave, poi cercò di liberarsi.

«Lo fermerà?» domandò il poliziotto.

«Gli alieni mutaforma non sono famosi per aver paura del legno» replicò l’altro atono, tentando di aprire le manette, ma il cacciavite aveva qualcosa che non andava.

«Alieno? È di questo che si tratta?» replicò l’agente incredulo.

Lui non si sprecò a rispondere, troppo occupato a sorvegliare la porta e a tentare di far funzionare quell’aggeggio. «Scappa. I rinforzi stanno arrivando» gli ricordò.

«No, non sta arrivando un bel niente» ringhiò il ragazzo.

«Ti ho sentito chiamarli» obbiettò l’altro, portando lo sguardo su di lui.

«Sono uno spogliarellista!» sbottò quest’ultimo, spalancando le braccia e mostrandogli il manganello che… be’, non era affatto un manganello. Gettò via il berretto del costume, mostrando una zazzera di capelli castano chiaro, quasi biondi, che insieme a quegli occhi incredibilmente verdi e alla spruzzata di lentiggini sulle guance ricordarono all’Angelo qualcuno. Ma chi?

Non ebbe tempo di pensarci, però, perché la porta di spalancò e ne uscì… un uomo con un cane.

«Ma è…» iniziò il giovane incerto.

«No. Guarda bene i loro volti» lo indirizzò l’intruso e solo allora il padrone di casa si accorse che l’animale era zitto, mentre a ringhiare era quel tizio.

«Che diavolo…?» riprese in un ansito.

«È un’unica entità in due corpi» spiegò l’Angelo a bassa voce, poi si rivolse all’alieno: «Ottimo costume. Ma hai confuso la voce. Dove l’hai preso? Serve un collegamento psichico costante, per una cosa del genere».

Ma il mutaforma non ebbe tempo di rispondere, perché una voce metallica, proveniente dall’esterno, li distrasse: «Il Prigioniero Zero deve lasciare la residenza umana, o la residenza umana verrà incenerita».

«Cosa?!» sbottò lo spogliarellista.

«Il Prigioniero Zero deve lasciare la residenza umana, o la residenza umana verrà incenerita» ripeté quella voce.

Intanto l’Angelo continuò a scuotere il cacciavite, mentre l’alieno si diresse ad una delle finestre delle camere per controllare l’esterno. Finalmente l’aggeggio riprese a funzionare e l’uomo riuscì a liberarsi, quindi afferrò il polso del ragazzo e ordinò: «Corri!» tirandolo via con sé.

Riuscirono a raggiungere il TARDIS, ma quando cercò di aprire le porte le trovò bloccate. «No, per favore!» sbottò, battendo i pugni contro i pannelli della cabina. «Si sta ancora ricostruendo, non ci fa entrare» dichiarò frustrato.

«Che cazzo succede?!»

«C’è un alieno in casa tua e la sua guardia vuole bruciarla per essere certo che non scappi ancora» spiegò servizievole.

«Il Prigioniero Zero deve lasciare la residenza umana, o la residenza umana verrà incenerita» tornò ad avvisarli quella voce metallica, come a dargli conferma.

«Muoviti!» esclamò il ragazzo e stavolta fu lui ad afferrarlo per un braccio e trascinarlo via, prendendo in mano la situazione, ma l’Angelo notò qualcosa.

«Aspetta un attimo. Il capanno, lo avevo distrutto» osservò gelandosi.

«Ora ce n’è uno nuovo» replicò il ragazzo spiccio.

«No, non è possibile, deve avere almeno quindici anni» stimò, poi lo scansionò con il cacciavite sonico. «Diciotto. Sono passati diciotto anni. Perché hai detto sei mesi?» concluse, quasi come un accusa.

«Il Prigioniero Zero deve lasciare la residenza umana, o la residenza umana verrà incenerita».

«Sbrigati!» sbuffò quello, cercando di portarlo via.

«Questo è importante. Rispondi! Perché hai detto sei mesi?» ripeté.

«E tu perché cazzo hai detto cinque minuti?!» urlò il ragazzo esasperato, pietrificandolo.

«Cosa?» ansò l’Angelo sconvolto e lui riuscì finalmente a trascinarlo via.

Rallentarono solo dopo aver corso per un bel pezzo.

«Tu sei Dean. Dean Winchester» asserì ancora allibito.

«E tu sei in ritardo» replicò quello, continuando a camminare a passo sostenuto.

«Mi hai colpito con una mazza da cricket» osservò poi.

«E tu sei in ritardo di diciotto anni» ribatté, senza voltarsi.

«Una mazza da cricket» ripeté l’Angelo in tono duro.

«Diciotto anni e quattro psicologi» ringhiò il giovane.

«Quattro?» domandò lui stupito.

«Continuavo a picchiarli» sogghignò il ragazzo.

«Perché?» chiese perplesso l’Angelo, raggiungendolo ed inclinando la testa in quel modo che… Dean si fermò e deglutì pesantemente.

«Continuavano a dire che tu non esistevi» ammise, sviando lo sguardo con imbarazzo. Ci aveva creduto, oh, ci aveva creduto con tanta intensità e per così tanto tempo che…

L’altro si avvicinò di un altro passo, fissandolo in silenzio, contemplandolo. Era alto, molto alto, in effetti era più alto di lui. E muscoloso, aveva proprio l’aria da duro, come suggeriva il suo nome. Le lentiggini c’erano ancora, seppur sbiadire, e gli occhi verdi comunicavano tenacia e grande fiducia in sé.

Il ragazzo finalmente incontrò le sue iridi blu, restituendogli quelle attenzioni, senza più finzioni. L’Angelo fece per dire qualcosa, ma non ne ebbe il tempo.

«Il Prigioniero Zero deve lasciare la residenza umana, o la residenza umana verrà incenerita».

Accigliati, si voltarono a cercare la fonte della voce: l’altoparlante di un camioncino dei gelati.

«No, andiamo! Mi prendi in giro?» sbottò Dean a nessuno in particolare, mentre l’amico raggiungeva il gelataio.

«Perché lo sta trasmettendo?» lo interrogò serio.

«Dovrebbe essere Claire de lune» rispose quello perplesso. Allora si guardarono intorno, rendendosi conto che tutti gli oggetti elettronici – cellulari, i-pode, autoradio, perfino il telefono della cabina pubblica! – stavano trasmettendo senza sosta quel comunicato.

«Il Prigioniero Zero deve lasciare la residenza umana, o la residenza umana verrà incenerita».

L’Angelo entrò in azione e si diresse verso la casa più vicina e, quando lo strambo proprietario aprì la porta, Dean desiderò tanto – ma davvero tanto – che non avesse scelto proprio quella.

«Ciao, Chuck» lo salutò rassegnato, quando il suo vecchio compagno di scuola li occhieggiò perplesso.

Era ancora in vestaglia, benché fossero ormai passate le undici e mezzo, e aveva l’aria di stare smaltendo dei pensanti postumi di sbornia. «Ehilà, Dean» borbottò blando «Ora fai il poliziotto?» chiese confuso.

«Qualcosa del genere» rispose vago, seguendo l’amico che intanto si era introdotto all’interno dell’abitazione e stava facendo zapping sul televisore; tutti i canali trasmettevano la stessa frase e l’immagine di un enorme occhio, che a lui risultò inquietantemente familiare.

«Credevo fossi un meccanico» replicò Chuck. «Stavo giusto per chiamare il servizio clienti. Non capisco che diavolo succede» aggiunse poi.

«Doppio lavoro» si arrabattò l’altro ragazzo.

Ma l’uomo replicò duro: «Soddisfa le fantasie perverse delle giovani… donne, suppongo» senza nemmeno voltarsi.

«Che vuol dire suppongo? Certo che sono donne. E, ehi!, è divertente» si difese Dean.

«Eri un bambino fino a cinque minuti fa» asserì lui.

«Sei peggio di mio zio» sbuffò il ragazzo.

«Sono l’Angelo, sono peggio di qualunque zio» convenne l’interpellato, afferrando la radiosveglia. La sondò diverse volte con il cacciavite e quella trasmise sempre la stessa voce, cambiando solo lingua. «Quindi lo stanno trasmettendo in tutto il mondo» dedusse.

«Ci siamo già visti?» lo interruppe il padrone di casa. «Ho l’impressione di conoscerti».

«Impossibile. Sono… nuovo di queste parti» rispose lui, poi quello strano tizio in vestaglia e con l’aspetto da ubriacone s’illuminò.

«L’Angelo, ma certo! Lui è l’Angelo Stropicciato, vero Dean? Quello che disegnavi sempre quando eravamo alle elementari» esclamò.

«Sta zitto, Chuck» ringhiò questi.

Tuttavia quello continuò imperterrito. «Mi sei stato utile per produrre il mio primo personaggio» confessò al diretto interessato «Sono uno scrittore» spiegò.

«Che vuol dire in tutto il mondo?» lo interruppe Dean, prima che potesse spiattellare altro.

«Lo stanno trasmettendo ovunque. La residenza umana non è riferito a casa tua. Parlano dell’intero pianeta. Stanno per incenerire la Terra» asserì l’Angelo, e – Cristo! – con quel volto inespressivo sembrava maledettamente serio e faceva una paura fottuta. «Un pianeta come questo… due poli, classico nucleo fuso» rifletté a voce alta «Potrebbero volerci… venti minuti. Venti minuti alla fine del mondo» concluse incolore.

Poco dopo, precipitosamente quanto vi erano irrotti, lasciarono la casa dello scrittore e s’incamminarono a passo svelto tra le stradine della città. Erano quasi giunti in centro, dove campeggiava un enorme parco, quando l’alieno si piegò in due come se l’avessero colpito e quasi si accasciò a terra. Sarebbe di certo caduto se Dean non l’avesse sostenuto con prontezza.

«Che succede?» domandò preoccupato.

«È troppo presto» ansò lui «Non ho ancora finito».

«Finito cosa?» replicò il ragazzo.

«Di rigenerarmi. Ero morto qualche ora fa. È complicato» smozzicò, poggiando la fronte contro la spalla di Dean.

Questi si accigliò, stringendolo meglio contro di sé senza saper bene cosa replicare. «Chi diavolo sei, Highlander? “Ne resterà solo uno”?» recitò stranito.

«Sono rimasto solo io, in effetti» sospirò l’Angelo rialzando il capo. «Venti minuti, niente TARDIS e tutto quello che ho è… un ufficio postale» mormorò mesto guardandosi attorno.

Il ragazzo fece per replicare qualcosa, ma all’improvviso calò il buio ed alzò lo sguardo per vedere il cielo oscurarsi ed il sole tingersi di rosso. «Che diavolo è successo?»

«È un campo magnetico. Si stanno preparando a bollire la terra» spiegò l’amico, mentre la gente si riversava in strada e prendeva a fotografare il cielo con il cellulare. «Umani, eccoli qui: il mondo sta per finire e loro riprendono con il videofonino» sbuffò.

«Quindi tu che cosa saresti?» inarcò un sopracciglio Dean.

«Aspetta, ho visto qualcosa» riflette l’alieno, inclinando il capo. Poi, come un cane che ha fiutato la preda, si voltò a guardare l’unica persona lì vicino – un ragazzo vestito da infermiere – che anziché fotografare il cielo riprendeva un uomo con un rottweiler. «Venti minuti. Posso farcela» asserì dunque, facendo per riprendere a camminare, ma l’altro lo fermò.

«No!» sbottò, ghermendolo per un braccio e spingendolo contro un lampione un attimo dopo, afferrandolo per il collo della camicia e quasi sollevandolo di peso. «Ho detto: cosa sei

«Sono l’Angelo. Appartengo ad una razza chiamata Signori del Tempo, e viaggio nello spazio» rispose lui tranquillo, quasi non fosse stato appena attaccato ad un palo come una locandina.

«Non ti credo» ringhiò Dean esasperato.

«Lo facevi, quand’eri bambino. Cos’è cambiato?» domandò l’alieno perplesso, inclinando di nuovo il capo in quella sua posa stupidamente innocente.

«Sono cresciuto» asserì il ragazzo, facendolo accigliare.

Fu allora che l’Angelo tirò fuori qualcosa dalla tasca dei pantaloni e gliela porse: una mela con una faccina scavata nella buccia.

«Guardala. Bella e fresca come quando me l’hai regalata, cinque minuti fa» lo incitò. «È la stessa. Lo sai che è la stessa» sottolineò, mentre lui la fissava allibito.

«Non è possibile» soffiò.

«Venti minuti, Dean. Fidati di me per venti minuti» lo pregò allora, poggiando una mano sulla sua spalla, proprio come aveva fatto quando gli aveva donato quel frutto.

Il ragazzo cercò di non cedere, ma si ritrovò ad affogare in quei grandi occhi blu, antichi e sinceri, e ricordò quello stesso sguardo ed una mano ferma tesa verso di lui, quando era solo un bambino, prima che la crepa che lo terrorizzava tanto si chiudesse.

Si leccò le labbra in un gesto nervoso, attirando – senza nemmeno accorgersene – l’attenzione dell’amico sulla sua bocca. «Venti minuti, d’accordo» concesse infine. «Cosa facciamo

L’Angelo accenno un sorriso. «Fermiamo quell’infermiere» dichiarò poi, liberandosi gentilmente dalla sua presa e raggiungendo il tizio che aveva notato poco prima.

Era incredibilmente alto, perfino più alto di Dean, ma l’alieno gli strappò il cellulare di mano senza tante cerimonie.

«Ehi!» esclamò quello oltraggiato.

«Il sole sta scomparendo e tu riprendi un uomo con un cane. Perché?» gli domandò serio.

«Perché…» iniziò l’infermiere, quando l’altro ragazzo li raggiunse. «Ciao, Dean» lo salutò sorpreso.

«Ciao, Sam» replicò lui teso. «Lui è Sam, un amico» spiegò poi all’Angelo.

«Fratello» lo corresse l’altro.

«Sì, be’, potevi evitare di dirglielo» sibilò il maggiore.

«Perché…?» cominciò il più piccolo poi si voltò a guardare meglio l’Angelo e sgranò gli occhi verdi. «Sei tu! L’Angelo Stropicciato!» boccheggiò e Dean si coprì la faccia con una mano.

«Tu sei Sammy» comprese allora l’altro. «Cosa vi dava da mangiare vostro zio? Nemmeno il pesce con la crema ha questi effetti» osservò perplesso, inclinando il capo a destra.

«Sam» lo corresse. «Non è possibile, era una favola. Te lo eri inventato, Dean!» obbiettò esterrefatto.

«Cos’ha Sammy che non va? È un bellissimo nome» replicò l’alieno.

«È da bambino» sbuffò il minore dei Winchester.

«Lo eri, fino a cinque minuti fa» osservo l’Angelo.

«Sono passati diciotto anni!» si accigliò Sam «Diciotto anni, una notte all’aperto, e quattro psicologi per Dean!» continuò a mo’ d’accusa.

«Venti minutisbottò questi, ricordando all’Angelo perché fossero lì.

«Perché fotografavi quell’uomo?» domandò di nuovo lui.

«Perché non dovrebbe essere qui, ma…» iniziò Sammy.

«… in ospedale, in coma» lo anticipò il Signore del Tempo. «Lo sapevo. Gli serve un collegamento psichico con una mente viva ma dormiente» spiegò.

Grida sorprese si alzarono intorno a loro e, sollevando gli sguardi, videro un’astronave circolare e puntuta come un riccio di mare azzurro sorvolare gli edifici e scansionarli tutti con un enorme occhio dello stesso colore; l’occhio del televisore, l’occhio della crepa.

«Cristo!» si lasciò sfuggire Dean.

«Sono arrivati» constatò semplicemente l’Angelo, sollevando il braccio che reggeva il cacciavite e cercando di nuovo il Prigioniero Zero. «Sono qui alla ricerca di tecnologia aliena e non c’è niente di meno terrestre di un cacciavite sonico» asserì iniziando a farlo ronzare.

I ragazzi sussultarono quando diversi oggetti attorno a loro scoppiarono. I lampioni della luce esplosero, i clacson delle macchine cominciarono a suonare, la carrozzella elettrica di un’anziana signora iniziò a muoversi in circolo, facendo urlare la vecchietta atterrita, l’autopompa dei vigili del fuoco si mise in moto da sola, accendendo la sirena e costringendo due poveri pompieri a corrergli dietro. E in mezzo a tutto quel baccano stava fermo l’Angelo, con il suo cacciavite ronzante e lo sguardo serio fisso sull’uomo con il cane, che si guardava attorno nervosamente, ringhiando dalla bocca umana.

Il ronzio aumentò di volume ed i vetri della cabina telefonica esplosero, ma a quanto pareva fu troppo per il povero cacciavite malandato, che scoppiò a sua volta, costringendo l’alieno a buttarlo a terra ed il chiasso a cessare.

«No, no, no, no. Non anche tu. Non adesso» ringhiò, raccogliendo l’oggetto bruciato e lanciando un’occhiataccia all’astronave, che nel frattempo si era avvicinata, ma ora si stava nuovamente allontanando. «È qui!» sbottò indicandolo «Il Prigioniero Zero è qui!»

«Cosa?! Anche il Prigioniero Zero è reale?» domandò Sammy al fratello.

Dean non gli rispose, intento a tenere d’occhio il mutaforma, che sotto il suo sguardo si sciolse e colò in un tombino. «Angelo!» esclamò allora «Il Prigioniero Zero è scomparso! Si è come… liquefatto ed è sparito nella fogna».

«Certo che l’ha fatto» ansò questi sfinito, portandosi una mano al petto dolorante.

Il maggiore dei Winchester gli fu subito accanto, gli posò con gentilezza una mano nell’incavo della schiena, pronto a sorreggerlo se fosse crollato di nuovo, ed inclinò il capo per cercare il suo viso e controllare che stesse bene.

«Niente TARDIS, niente cacciavite e diciotto minuti alla fine del mondo» riepilogò stancamente l’alieno.

«Cosa possiamo fare? Dove sarà andato il Prigioniero Zero?» domandò il ragazzo, pronto ad aiutarlo.

«In ospedale. È lì che si trovano le persone con cui ha il collegamento psichico» ragionò l’Angelo. «Il tuo amico! Non lui, quello in vestaglia» gli sovvenne poi, scivolando con lo sguardo su Sam, che si era accostato a loro «È uno scrittore, deve avere un computer, no?» domandò retorico e Dean annuì per puro riflesso condizionato. «Bene, prendete una macchina, andate in ospedale. Io vi raggiungerò tra poco» ordinò.

«Cosa faremo una volta lì?» domandò il minore dei Winchester perplesso.

«Rallentatelo, trattenetelo. Non lasciatelo fuggire» spiegò il Signore del Tempo, mentre già iniziava a correre.

«Andiamo, Sammy» lo sollecitò il maggiore, correndo verso una Chevy Impala nera parcheggiata lì vicino. La sua bambina; l’aveva lasciata al suo fratellino per andare a lavoro, quella mattina.

 

*°*°*°*°*

 

L’Angelo raggiunse la casa dove lui e Dean erano stati poco prima e suonò il campanello, facendo di nuovo irruzione all’interno, non appena il padrone di casa aprì la porta.

«Mi serve il tuo computer» spiegò, individuandolo sul divano ed impossessandosene senza tanti complimenti.

«No, no, no! Aspetta!» tentò di fermarlo lo scrittore, ma non fece in tempo.

I grandi occhioni blu di quell’essere vecchio novecentosette anni divennero enormi, quando vide la pagina a cui era aperto internet. Pieni di innocenza tradita, si puntarono quindi sul ragazzo. «Chuck, trovati una ragazza» consigliò allibito, facendo venire voglia di sotterrarsi all’interpellato. Poi, dopo qualche secondo di shock, l’alieno riuscì a ricomporsi e si mise in azione.

«Che stai facendo?» domandò lo scrittore, affiancandolo sul divano.

«La Terra sta per essere incenerita. Da qualche parte, su una rete protetta, deve essere in atto una conferenza diplomatica» spiegò, rintracciandola in pochi secondi. «Eccoli qua» confermò, facendo comparire una schermata a cui partecipavano tutte le potenze mondiali, che cominciarono a chiedergli d’identificarsi non appena lui si immise nella conversazione. «Salve. Voi non mi conoscete, ma sono di certo un genio» spiegò loro con l’arroganza della pura verità, inviando in prova a tutti loro una formula complicatissima e futuristica che avrebbero impiegato un altro secolo a scoprire «E sono l’unico che può risolvere questa situazione» spiegò conciso, prendendo poi in mano il cellulare sottratto a Sammy e cominciando a trafficarci. «Vi sto inviando un semplice virus. Azzererà ogni contatore, sveglia, orologio o oggetto elettrico che riporti l’orario. Voi dovrete trasmetterlo ovunque» ordinò. «Dovete fidarvi di me. Ci penserà il mio amico a spiegarvi perché» si fermò e aspettò, ma Chuck accanto a lui rimase immobile, anche lui in attesa. Allora l’Angelo abbassò il coperchio del laptop e lo fissò serio. «Parlo di te, Chuck. Sei tu che devi occupartene».

«I-io? Cosa… come?» smozzicò questi nervoso.

«Stammi bene a sentire: tra dieci minuti sarai l’uomo più famoso sul pianeta, tutti vorranno conoscerti ed acquistare i tuoi libri. Ma solo se ti dimostrerai degno. Qui e ora tu sei l’uomo più importante del mondo» asserì con sguardo fiero e incrollabile.

«P-perché io?» domandò lo scrittore sopraffatto.

«Il computer è tuo» spiegò semplicemente il Signore del Tempo, mettendoglielo sulle ginocchia e rialzandosi in piedi, dirigendosi con passo deciso alla porta di casa. «E… Chuck? Cancella la cronologia» gli raccomandò serio, prima di richiudersi l’uscio alle spalle, lasciandolo lì a boccheggiare in un mare d’imbarazzo.

 

*°*°*°*°*

 

Dean si guardò nervosamente attorno. L’ospedale era in fermento e non erano ancora riusciti a raggiungere il reparto comatosi.

«Non ci permettono di salire. È successo qualcosa, lassù» spiegò suo fratello, tornando verso di lui dopo aver chiesto informazioni.

Con un imprecazione soffocata, il maggiore impugnò il cellulare e telefonò a quello di Sam, sapendo che era l’Angelo ad averlo. «Abbiamo un problema» spiegò, non appena questi accettò la chiamata. «Non ci lasciano passare» concluse. Poi, quando l’amico rispose, inarcò un sopracciglio con espressione confusa.

«Cos’ha detto?» domandò Sammy.

«Di guardarmi allo specchio» rispose Dean stranito, fissandosi nel riflesso della finestra. «A-ah! La divisa!» esclamò con un sogghigno, ricordandosi solo in quel momento di essere ancora travestito da poliziotto. «Dove sei?» domandò poi all’alieno.

«Sto arrivando» lo rassicurò questi.

«Ti servirà una macchina» osservò il ragazzo.

«Non preoccuparti. Ho requisito un mezzo» spiegò l’alieno, accendendo la sirena dell’autopompa dei vigili del fuoco che aveva preso in prestito.

Dean sentì il suono attraverso l’etere e sorrise, iniziando a correre verso la meta con il cellulare ancora attaccato all’orecchio, seguito dal fratello. Non appena varcarono le porte del reparto, incontrarono una donna che teneva due bambine per mano.

«C’era un uomo con un cane, aveva dei denti affilati. Ci ha attaccato, è stato spaventoso, siamo fuggite giusto in tempo» raccontò la donna agitata, credendo che fossero li per risolvere la situazione, visto il modo in cui erano vestiti.

«È qui, Angelo. Il Prigioniero Zero è qui» dichiarò allora il maggiore dei Winchester, parlando nel cellulare.

«Che sta succedendo? Non capisco. Chi era quello?» continuò la signora, ma stavolta la sua bocca era ferma, la voce – assolutamente adulta! – proveniva dalla bocca della bambina. I due ragazzi sgranarono gli occhi e cominciarono ad indietreggiare con circospezione. «Oh, ho sbagliato di nuovo, vero?» domandò quindi il mutaforma, attraverso le labbra della donna. «Troppe bocche» concluse seccato, storcendo il viso in una smorfia, poi spalancò tutte e tre le succitate bocche, mostrando altrettante chiostre di denti appuntiti.

Sammy sussultò e Dean lo tirò per una manica, voltandosi e fuggendo il più in fretta possibile. Riuscirono a barricarsi nella sala del reparto e sbarrarono la porta con delle scope, ma sentirono il Prigioniero Zero ruggire e scuotere i pannelli dall’altra parte.

«Dean? DEAN?! Che succede? Stai bene?» gridò l’Angelo dal cellulare.

«Siamo intrappolati nel reparto comatosi» spiegò il ragazzo teso.

«Quale finestra?» domandò l’amico.

«Come?!» esclamò lui confuso.

«Contale. Quale finestra?» ripeté il Signore del Tempo.

«La quarta da destra» rispose Dean, proprio mentre il mutaforma riusciva a far saltare la porta.

«Eccoci qui: Dean e Sam Winchester» osservò il Prigioniero Zero «Siete così stupidi. Diciotto anni accanto a voi e non vi siete mai accorti di me» continuò derisorio.

«Belle parole, dette da un serpente strisciante» replicò il maggiore nello sesso tono. Andiamo, Angelo, dove cazzo sei?, pensava intanto.

E, in quel momento, sentì una sirena avvicinarsi e ricevette un sms: Abbassati, lesse. Così afferrò il fratello per un braccio e lo tirò giù con sé, mentre i vetri della finestra andavano in frantumi, urtati da una scala.

L’Angelo si inerpicò su di essa e si introdusse nella sala, raggiungendo finalmente i due ragazzi e puntando uno sguardo minaccioso sull’altro alieno. «Sono due minuti in anticipo. Bene» constatò quindi, occhieggiando un orologio alle spalle del mutaforma. «Togliti quel travestimento, ti troveranno in un attimo. Nessuno morirà» gli intimò infine.

La donna sorrise in modo sgradevole. «Stavolta gli Atraxi mi uccideranno e, se devo morire, intendo farlo in grande stile» dichiarò sprezzante.

«D’accordo. Sei arrivato qui aprendo una crepa nello spazio e nel tempo. Rifallo. Vattene» lo esortò.

«Non ho aperto io la crepa» ammise il Prigioniero Zero.

«Qualcuno l’ha fatto» si limitò ad osservare il Signore del Tempo, accigliandosi appena.

Il sorriso dell’altro alieno si allargò ancora di più, fino a diventare una curva che spaccava a metà il volto spigoloso della signora. «Le crepe sulla superficie dell’universo... Non sai da dove vengono? Non lo sai, vero?» dedusse, poi cambiò irrisoriamente voce, sfruttando quella di una delle bambine, ma continuando a parlare con la bocca della madre: «L’Angelo nel TARDIS non lo sa. Non lo sa, non lo sa!» cantilenò beffardo. «L’universo è pieno di crepe. Si aprirà la Pandorica. Cadrà il Silenzio» rivelò enigmaticamente, con un sogghigno finale.

«Figlio di puttana!» si lasciò sfuggire Dean, incassando una gomitata nelle costole da parte del fratello. «Che c’è? È irritante, okay? Voglio prenderlo a calci in culo!» sbottò.

Poi si udì un piccolo scatto sommesso e l’Angelo sorrise appena, forse anche in parte divertito dalla reazione del ragazzo. «È finita» dichiarò quindi, tornando impassibile. «Guarda dietro di te» suggerì al Prigioniero Zero, indicando l’orologio alle sue spalle, che al momento segnava le 0:00. «È solo un orologio, sì, ma non molto lontano da qui la mia squadra è al lavoro: Chuck ed il resto del mondo. Spargono la voce alla velocità della luce, in tutto il pianeta. La voce sta girando. E dice sempre la stessa cosa: Zero» lo informò. «Gli Atraxi stanno monitorando tutte le informazioni della Terra dalla loro flotta. Quanto pensi ci metteranno per trovare la fonte di un vecchio virus informatico?» domandò retorico, mostrandogli il cellulare di Sam, da cui era partito. «Meno di un minuto?»

All’improvviso una luce irruppe dalla finestra, proiettandosi su di loro.

«Eccoli. Ci hanno trovati» concluse l’Angelo.

«Gli Atraxi sono limitati, non possono riconoscermi in questa forma. Hanno rintracciato un cellulare, non me» replicò il mutaforma, ma sembrava comunque innervosito.

«Hai ragione. Per questo mi sono servito del cellulare di Sammy. È un ragazzo intelligente, ha fotografato ogni tuo travestimento e sono tutti qui» ribatté il Signore del Tempo, inviando le foto alle navi da guerra.

«Allora basterà che assuma una nuova forma» osservò il Prigioniero Zero.

«Impossibile. Servono mesi per quel tipo di collegamento» lo liquidò lui.

«E io ho avuto anni» sogghignò l’alieno, spostando lo sguardo sui Winchester e d’un tratto Dean collassò a terra, privo di sensi. Il fratello minore riuscì ad afferrarlo ed accompagnare la caduta appena un attimo prima che battesse la testa.

«Dean!» gridò l’Angelo inorridito, precipitandosi da loro. «No, no Dean, devi resistere! Non dormire, resta sveglio! Ti pregò…»  sussurrò chinandosi su di lui e scostandogli i capelli dalla fronte.

«Angelo…!» lo riscosse Sam, indicando il punto in cui si trovava il Prigioniero Zero.

Ora, al posto della donna e delle bambine vi era un uomo sulla trentina, con corti capelli castani scompigliati, camicia e pantaloni strappati e bruciacchiati, e grandi occhi blu.

«Chi dovrebbe essere quello?» domandò il Signore del Tempo, inclinando il capo con perplessità.

«Sei tu» rispose il minore dei Winchester inarcando le sopracciglia «Non lo sai?»

«Giornata pesante» sospirò l’interpellato, poi si rivolse al mutaforma. «Perché copi me? Sei collegato a Dean».

«Non sto copiando te» replicò una voce più sottile, che non aveva nulla a che fare con la sua e un bambino dai corti capelli biondo scuro, brillanti iridi verdi ed una spruzzata di lentiggini sulle guance spuntò dalle spalle della sua copia, tenendolo per mano. «Povero Dean Winchester. È ancora tanto infantile dentro. Sogna il suo Angelo custode sperando che tornerà a salvarlo» spiegò «Che delusione sei stato» concluse fissandolo con occhi innocenti ed accusatori.

Il Signore del Tempo serrò la mascella, furioso. «No, lui sogna me perché mi sente» lo contraddisse, chinandosi di nuovo sul ragazzo. «Dean, non sognarmi soltanto, ascoltami» bisbigliò al suo orecchio, incorniciandogli il viso tra le mani. «Ricordi la stanza, la camera che non avevi mai notato? Sei entrato, ho cercato di fermarti, ma non mi hai dato ascolto. Sogna quello che hai visto» lo sollecitò, guidandolo tra i ricordi.

«No, no, NO!» gemette il piccolo Dean, trasformandosi nel serpente argentato – la sua vera forma – senza poter fare nulla per impedirlo.

L’Angelo si rialzò in piedi, rivolgendogli uno sguardo contemplativo. «Complimenti, Prigioniero Zero. Una perfetta imitazione di te stesso» osservò, mentre la luce proveniente dall’astronave tornava ad investirlo.

«Il Prigioniero Zero è stato localizzato. Il Prigioniero Zero è bloccato» dichiarò la voce metallica degli Atraxi.

«Il Silenzio, Angelo. Cadrà il Silenzio» sibilò minaccioso il mutaforma, usando finalmente la sua voce autentica, prima di venire teletrasportato.

«Il sole è tornato normale» comunicò Sammy, sbirciando fuori dalla finestra. «È un bene, vero? È finita?» domandò, mentre il fratello maggiore si risvegliava tra le sue braccia. «Dean! Dean, stai bene?» aggiunse preoccupato.

«Cos’è successo?» biascicò lui sfregandosi le palpebre.

«L’Angelo ce l’ha fatta, ci è riuscito» rivelò con un sorriso.

«Non ancora» obbiettò questi, componendo un numero sul cellulare.

«Che stai facendo?» chiese il ragazzo più giovane, perplesso.

«Rintraccio il segnale. Chiedo scusa in anticipo per la bolletta» rispose, ignorando il gemito afflitto del padrone del videofonino. «Non ho detto che potevate andare» asserì duro non appena la chiamata venne accettata «Articolo cinquantasette della Dichiarazione Ombra: questo è un pianeta di Livello Cinque, in pieno sviluppo. E voi volevate bruciarlo. Pensavate che nessuno stesse osservando? Tornate qui. Ora» ordinò, chiudendo la comunicazione e restituendo il cellulare a Sam, prima di spalancare le porte della corsia ed allontanarsi.

I ragazzi gli corsero dietro, allibiti.

«Li stai riportando indietro? Te ne sei appena liberato e ora li fai tornare?!» esclamò il minore.

«Dove stai andando?» domandò invece l’altro, affiancandolo curioso.

«Sul tetto» rispose conciso l’amico, poi si fermò e cambiò strada «Oppure no» continuò, irrompendo negli spogliatoi ed iniziando a frugare tra i vestiti.

«E adesso che fai?» chiese Sam, sempre più scioccato, osservandolo selezionare gli abiti.

«Ho appena salvato il pianeta e sto per avere una conferenza. Mi serve una camicia pulita. Basta con lo Stropicciato» asserì l’Angelo, iniziando a liberarsi di ciò che aveva addosso.

«E ora ti stai spogliando…» biascicò ancora.

«Voltati, se ti imbarazza» suggerì il Signore del Tempo e Sammy pensò bene di seguire il consiglio, dandogli le spalle ed occhieggiando incuriosito il fratello maggiore.

«Non ti giri?» gli domandò.

«No» rispose semplicemente questi, osservando il profilo di quella schiena sottile e forte che emergeva dalla camicia bruciacchiata e le gambe pallide e tornite che abbandonavano i pantaloni stracciati. C’era una volontà d’acciaio sotto quella pelle liscia, chiusa in quella bocca innocente, e una saggezza secolare nascosta dietro gli occhi blu.

L’Angelo gli lanciò addosso un paio d’abiti, mentre si allacciava una camicia candida e fresca, poi riprese a camminare. Poco dopo uscirono sul tetto, sopra il quale veleggiava la nave degli Atraxi.

«Sei certo che sia una buona idea? Se ne stavano andando» osservò Dean.

«“Andarsene” è bene, “non tornare più” è meglio» rispose semplicemente l’alieno, infilandosi una giacca nera come i pantaloni. «Sono pronto a ricevervi» dichiarò poi, lasciandosi scansionare dall’occhio degli Atraxi.

«Tu non sei di questo mondo» dichiarò la voce metallica ormai familiare.

«No, ma sono qui da molto tempo» confermò l’Angelo, mentre si passava attorno al collo la cravatta già annodata, lasciandola lasca.

«Questo mondo è importante?» chiesero gli altri alieni.

«Importante?» replicò lui inclinando il capo «Sei milioni di persone vivono su questo pianeta» rispose, come se il resto fosse ovvio. «La vera domanda è: questo pianeta è un pericolo per gli Atraxi? L’avete monitorato costantemente. Rispondete» li incitò.

Loro scansionarono come suggerito, infine dichiararono: «No».

«Gli abitanti di questo mondo sono colpevoli di qualche crimine secondo le Leggi Atraxi?» continuò quindi.

«No» ammisero questi, dopo un nuovo monitoraggio.

«Bene. L’ultima: questo mondo è protetto?» li interrogò, strappando dalle braccia di Dean un altro capo di vestiario. «Non siete i primi a venire, ce ne sono stati molti. Quindi chiedetevi: cosa è successo loro?»

Gli Atraxi controllarono, scorgendo immagini di altri extraterresti sbarcati sulla Terra per conquistarla e poi i volti di diversi uomini, solo all’apparenza differenti.

Incurante, l’Angelo oltrepassò l’ologramma della scansione, aggiustandosi meglio un trench beige sulle spalle. «Salve, sono l’Angelo. Sparite» concluse con sguardo minaccioso e la nave Atraxi prese a roteare su se stessa, volando via a tutta velocità, lasciandosi alle spalle solo il silenzio.

«Wow!» esclamò il maggiore dei Winchester, mentre l’amico si frugava in tasca e ne tirava fuori una chiave, divenuta incandescente. «E finita, ora? Chi erano?» domandò, seguendo con lo sguardo la scia dell’astronave, ma quando si voltò a cercare il Signore del Tempo, questi era già scomparso.

 

*°*°*°*°*

 

La cabina blu riposava placida e splendente nel giardino di casa Winchester. L’Angelo le girò lentamente attorno, accarezzandola con la punta delle dita e con occhi affettuosi.

«Cos’hai per me, stavolta?» mormorò con la confidenza di un amante, infilando la chiave ancora tiepida nella toppa e sbirciando all’interno con sguardo pieno di meraviglia. «Sei bellissima» sospirò, richiudendosi la porta alle spalle.

Dean e Sam lo raggiunsero proprio mentre il TARDIS scompariva con il suo rumore distintivo e si fermarono lì davanti con una brusca scivolata sulle foglie autunnali. Il più giovane distolse lo sguardo dal fratello, quando i suoi occhi si offuscarono, abbassandosi delusi.

 

*°*°*°*°*

 

Dean la ricordava ancora quella notte, la ricordava come se fosse ancora lì, seduto sopra quella valigia, con il corpicino caldo di Sammy addormentato sotto la giacca, rabbrividendo mentre il cielo si rischiarava ad oriente. Poi un suono, quel suono che aveva aspettato tanto a lungo, tornò ed il ragazzo riaprì gli occhi, portandosi seduto sul letto.

Si affacciò alla finestra, con addosso solo un paio di boxer ed una maglietta dei Led Zeppelin che aveva visto giorni migliori, e scandagliò il giardino con lo sguardo. La cabina blu era laggiù.

Sì precipitò da basso senza nemmeno infilare un paio di pantofole, calpestando l’erba fresca sotto i piedi nudi, ed eccolo il suo Angelo, poggiato contro le porte della nave, con il trench beige ancora addosso e la testa inclinata ad osservare intensamente le sue gambe scoperte.

«Mi spiace essere sparito in quel modo» esordì, quando Dean gli fu infine di fronte. «Un TARDIS nuovo di zecca è… incredibile» sospirò a mo’ di giustificazione. «Ho fatto un salto sulla Luna e ritorno, per rodarlo. Ora è pronto» concluse sorridendo appena.

«Sei tu. Sei tornato» boccheggiò il ragazzo, ancora incredulo e si aggrappò ad una manica del soprabito, come se avesse paura che l’amico potesse volare di nuovo via.

«Torno sempre» replicò questi sereno.

«E ti sei tenuto i vestiti» notò Dean.

«Ho appena salvato il mondo per l’ennesima volta. E non chiedo mai nulla in cambio. Puoi farmi causa» suggerì tranquillo, come se gli stesse dando un consiglio sincero e non stesse, in realtà, vantandosi e sfidandolo.

«Compreso il trench» continuò il ragazzo con un sorriso storto, ignorando le sue parole.

L’Angelo si lisciò la stoffa sul petto, soppesando il soprabito. «Mi piace» ammise.

«Sì, ti si addice, molto stropicciato» convenne Dean, accarezzando tra pollice ed indice il bavero di quel capo. «Vieni da un altro pianeta?» gli domandò poi.

«Sì» confermò l’amico.

«Okay» annuì lui.

«Allora, che ne pensi?» gli chiese l’Angelo, inclinando interrogativamente la testa.

«Di cosa?» replicò l’altro perplesso.

«Dell’universo. Vuoi vederlo?»

«Cosa intendi?» si accigliò Dean, quasi impaurito.

«Vieni con me» propose il Signore del Tempo senza mezzi termini, lasciandolo senza fiato.

«Dove?» soffiò quindi.

«Ovunque tu voglia» asserì l’alieno.

«Tutta quella roba… l’ospedale, le astronavi, il Prigioniero Zero…» iniziò Dean.

«È solo l’inizio, c’è molto altro ancora» lo precedette l’amico.

«Sì, ma quelle cose, quelle fantastiche cose... Sono successe DUE anni fa!» sbottò infine.

In risposta, gli occhi dell’Angelo si sgranarono per la sorpresa, divenendo enormi come piattini da caffè; a quanto pareva, no, non se n’era proprio accorto. «Quindi sono passati...» cominciò.

«Vent’anni!» concluse per lui il ragazzo.

«Vent’anni dal pesce alla crema. Dean Winchester, il ragazzo che ha aspettato. Hai atteso fin troppo» ammise contrito.

«Quando ero piccolo, hai detto che c’era una piscina e una biblioteca» mormorò, osservando assorto i pannelli della cabina «E che la piscina era dentro la biblioteca» rammentò stranito. Diamine, se lo ricordava davvero bene.

«Non ho ancora controllato. Potrebbe rispuntare da qualche parte» ponderò lui. «Andiamo?»

«No» rispose secco Dean.

«Vent’anni fa volevi venire» osservò l’Angelo deluso.

«Sono cresciuto» sbuffò il ragazzo.

«Capisco» rispose semplicemente il Signore del Tempo. «Dovrò rimediare» dedusse, schioccando poi le dita e facendo così aprire le porte della nave.

Il ragazzo rimase per qualche momento sulla soglia, indugiando a bocca aperta, poi mosse un passo ed entrò, girando su se stesso per cercare di cogliere tutto. Era molto – davvero molto – più grande all’interno che all’esterno!

L’Angelo lo seguì, aspettandosi che commentasse in qualche modo, ma tutto ciò che Dean riuscì a dire fu: «Sono in mutande» rischiando quasi – quasi! – di farlo scoppiare a ridere.

«Non è un problema. Il guardaroba è ben fornito» lo rassicurò, lasciando scivolare un’altra volta lo sguardo lungo le sue gambe nude. «Forse c’è perfino una piscina. Dimmi, dove vuoi andare?»

«Sei così certo che verrò con te?» replicò lui, inarcando un sopracciglio.

«Sì» rispose con semplicità l’alieno.

«Perché?» domandò giustamente il ragazzo.

«Perché sei uno spirito libero costretto in un paesino del Kansas. So come ci si sente» rispose «Non è la vita che fa per te».

«Oh, ma davvero?» ribatté Dean, facendo il sostenuto.

«Vent’anni e non mi hai mai dimenticato» asserì l’Angelo invadendo il suo spazio personale in un modo che gli fece saltare il cuore in gola.

«Sei un tipo difficile da dimenticare» ammise lui, leccandosi nervosamente le labbra, e se ne accorse – oh, se ne accorse eccome! – quando lo sguardo dell’altro scivolò su di esse, mettendolo ancor più in agitazione.

Si schiarì la voce, cercando di non farsi distrarre. «Puoi riportarmi a casa per domani mattina?» lo interrogò quindi.

«È una macchina del tempo, posso riportarti a cinque minuti fa» lo rassicurò l’amico, riportando gli occhi nei suoi. «Perché, cosa devi fare domattina?»

«Delle cose» rispose lui vago. Sammy lo avrebbe ucciso se fosse mancato al suo matrimonio, tanto più che era il testimone.

«D’accordo, ti riaccompagnerò a casa per il coprifuoco» promise.

«Non sono Cenerentola, Fata Madrina» replicò il ragazzo seccato, ma sussultò quando l’altro si sporse verso di lui, allungandosi per prendere qualcosa alle sue spalle. Un nuovo cacciavite sonico, scoprì, quando l’Angelo ritirò il braccio.

«Grazie, cara» sussurrò questi con affetto, all’indirizzo della nave.

«Perché io?» gli venne fuori dalla bocca, prima di riuscire a trattenersi. «Mi stai chiedendo di scappare nel cuore della notte, mi sembra una domanda legittima».

Il Signore del Tempo lo fissò in silenzio per diversi secondi, poi distolse lo sguardo, fuggendo dal verde dei suoi occhi. «È da un po’ che non ho un compagno di viaggio. Per mia scelta» confessò.

«Ti senti solo» arguì Dean e notò una delle sue mani, abbandonate lungo i fianchi come prive di vite, contrarsi nervosamente. «Va bene» accettò quindi, sentendo l’insano bisogno di rassicurarlo, perfino di arruffargli i capelli, come faceva con Sammy quand’era bambino.

«Sei sicuro? Questo posto, a volte… spaventa un po’ tutti» sospirò l’Angelo dopo un momento d’esitazione.

«Io ti sembro tutti?» sogghignò Dean, restituendogli una domanda retorica che quello strano tipo gli aveva posto vent’anni prima. «È okay» gli assicurò guardandosi di nuovo attorno. «È proprio come avevi detto: c’è un intero mondo qui dentro. Avevo iniziato a pensare che… tu fossi solo un pazzo con una cabina» sbuffò sarcastico.

«C’è una cosa che devi assolutamente sapere, Dean Winchester. Un giorno la tua vita potrebbe dipendere da questo…» sussurrò, accostandosi di nuovo a lui come se stesse per rivelargli un enorme segreto «Io sono un pazzo con una cabina» concluse, sorridendo contro il suo orecchio ed il ragazzo soppresse un accenno di risata voltandosi appena verso di lui per incontrare il suo sguardo. Socchiudere gli occhi e catturare quelle labbra pallide e piene con le sue fu un tutt’uno, e l’Angelo soffocò un sussulto nella sua bocca, mentre lui se lo tirava contro, stringendo tra le dita la stoffa del trench. Dean quasi ridacchiò quando il Signore del Tempo fece scorrere una mano lungo la sua coscia, delineandone il profilo. Al contempo, l’alieno si allungò a spingere una leva accanto a loro, facendo partire i motori della nave.

«Addio Lawrence…» bisbigliò, mentre il ragazzo gli mordeva le labbra «Salve Tutto» ansò nella sua bocca.

«Mi dirai mai chi sei?» mormorò Dean, lasciandosi spingere sulla piattaforma dei comandi e attaccando il suo collo, lasciato esposto dalla cravatta lasca.

«L’Angelo» rispose lui quasi senza voce, socchiudendo gli occhi blu.

«Il tuo vero nome» precisò il suo compagno… di viaggio?

«Castiel» confessò il Signore del Tempo dopo bollenti minuti infiniti. «Una volta mi chiamavo Castiel».

«Castiel…» ripeté Dean, lasciando che il nome gli rotolasse morbido sulla lingua, come una caramella. «Vedrò di usarlo solo in privato, Cas» concluse divertito, ricevendo un’occhiata smarrita al nuovo nomignolo.

Salve Tutto, ripeté tra sé.

 

FINE.

 

¹. Le Tasche Piene di SassiJavanotti.

². Highlander – L’Ultimo immortale (1986).

   
 
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