Film > Megamind
Ricorda la storia  |      
Autore: Lucenera88    08/06/2011    8 recensioni
Ho voluto analizzare meglio la relazione tra Megamind e Warden attraverso una serie di ricordi. Spero apprezziate!
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

There is no place like Evil Lair.

A dir la verità, nessun posto è come casa.

Lui mi guarda con quell’espressione delusa. Beh, ci sono abituato.
E più lui è indispettito, più ci provo gusto. Mi piace la faccia che fa.
Mi fa sentire di aver raggiunto il mio obiettivo.

“Warden, posso chiederti una cosa?”
“Certo, dimmi”.
“Cos’è un papò?”
Lui inarcò le sopracciglia. “Un che?”
“Guarda qua” puntai il mio piccolo indice blu ad una strana figura sul mio testo shuolastico di prima elementare. C’era un bambino che sorrideva beato con due adulti, un uomo ed una donna, e la parola papà era stampata in verde su di loro.
“Ah, un papà” mi corresse con un sorriso.
“Sì… cos’è, Warden?”
Devo sembrargli così patetico; mi guardò triste e disse:
“Un papà e l’uomo che, assieme alla mamma, ti dà la vita e ti cresce con affetto”.
Ero estremamente curioso di ciò, poiché non avevano fatto altro che cantare una canzone che diceva papino papino papino tutto il giorno alla shuola, mentre io ero in punizione e mi rigiravo i pollici non avendo nulla da fare: la maestra mi aveva confiscato Minion, perché parlavo con lui e davo fastidio.
Eravamo nel suo ufficio, io ero seduto educatamente sul suo sedile marrone in pelle e stavo facendo i compiti – non ci avrei messo più di cinque minuti, calcolai mentre scrivevo le soluzioni di ogni singolo problema ci fosse nell’intero libro di matematica – mentre lui era seduto sulla scrivania, ad osservarmi.
“Quella è sbagliata, signorino!” si fece sentire Minion dalla sua boccia, a pochi centimetri dal mio gomito.
“Uh, è vero! Ho dimenticato di scrivere un numero!”
“E’ sempre il solito sbadato” commentò con leggerezza, nuotando in tondo.
In effetti non stavo prestando molta attenzione a che cosa stavo facendo. Quella cosa del papò mi stava ancora girando in testa.
“Tu ce l’hai un papò?” chiesi a Warden, mentre tenevo gli occhi incollati al libro di matematica.
“Ce l’avevo” disse lui con aria malinconica. “Tutti nell’universo hanno o hanno avuto un papà”.
“Non io” replicai prontamente, interrompendo il mio scrivere meccanico. “Me ne sarei accorto”.
Lui stava per dire qualcosa, ma a quanto pare aveva deciso di tenere i suoi pensieri per sé.
“Certo che ha avuto un papà, signorino” confermò Minion. “Ed anche una mamma. Forse non se li ricorda, ma io sì”.
“Già, credo di ricordare quei due…” dissi confuso, grattandomi il testone, “… erano blu come me”.
Sebbene abbia pochi ricordi dei miei primi otto giorni di vita, non ho mai dimenticato le loro facce di quando mi spararono fuori dal pianeta per il mio bene. All’epoca ero troppo piccolo per conoscere le parole “madre, padre, famiglia”, eppure sapevo che loro erano in qualche modo importanti per me.
“Aspetta, ma non ha senso!” obiettai. “Se erano veramente mia mamma e mio papò, perché non mi hanno cresciuto?”
Warden parve ancora più senza parole. “Non lo so, piccolo”.
“Ne deduco che la tua spiegazione è incompleta”.
Lasciai cadere la matita con un broncio e balzai nervoso giù dalla sedia.
Il giorno dopo tutti i padri sarebbero venuti alla shuola, e i bambini avrebbero dato al proprio papò regali e cartoline colorate. Non mi avevano nemmeno lasciato farne una. Il che era sufficiente per farmi capire che non avrei preso parte alla loro Festa.
“Non hanno potuto, signorino”.
Ero troppo piccolo per capire perché. Al di là del mio cervello oltremisura, ero pur sempre un bambino.
“Sai, a volte i genitori non sono solo quelli che ti fanno nascere” Warden si alzò, mentre io stavo cercando disperatamente di non scoppiare in lacrime. “A volte, si tratta solo di chi si prende cura di te”.
“Minion si prende molta cura di me” dissi. “Vero, Minion?”
Warden parve perplesso, poi annuì.
Io sorrisi debolmente, tornai a posto e guardai Minion. Era sempre stato lì, ogni secondo terrestre della mia breve vita.
Ma chissà perché sentivo che Minion non era il tipo che si potesse chiamare “papò”.

“I miei genitori saranno delusi di me adesso” borbotto, come uso fare ad ogni sconfitta.
“No che non lo sono, signore” Minion mi tira immediatamente su. “Sanno che sta facendo del suo meglio”.
“Lo spero” replico, mentre cambio il mio completo malvagio rovinato con la solita divisa arancione.
“Hai finito?” Warden appare impaziente, cammina avanti e indietro fuori dalle sbarre. Minion è rinchiuso nella cella accanto, ma sappiamo entrambi che sarebbe fuggito non appena avrebbe fatto buio.
“Sì, Warden, non avere fretta!”
Lui sbuffa.
“Che spasso, quel Warden!” dico a Minion ridendo.
“Eccome, signore!” concorda lui, “sembra un padre preso per i fondelli dal proprio ragazzo!”
Non mi piace tanto quell’affermazione.

Mi sollevò sulle spalle, mentre diversi uomini in tute bianche – facce che non avevo mai visto prima – entrarono nella mia stanza portando scalette, secchi ed altri strani utensili.
Ero spaventato, non avevo mai avuto così tante persone nel mio spazio e mi sentivo violato ciò che era mio.
Tenni stretta a me la boccia di Minion, con una mano fermamente aggrappata al suo collo.
“Non preoccuparti, stanno sono facendo dei lavori di routine qui” mi rassicurò. “Dormirai con zio Joe stanotte”.
Zio Joe era un simpaticone pelato che puzzava di pesce e che mi divertiva molto con i suoi trucchi di carte e le sue storie dei bassifondi. Era uno delle poche persone che non stava ad evitarmi o ad appiopparmi nomignoli come “pallone blu”, “canaglia” o semplicemente “tu”… forse perché gli altri detenuti evitavano anche lui. Continuava ad entrare e uscire di prigione a causa delle sue truffe mal architettate.
“Perché non segui i miei consigli, zio Joe?” gli chiesi quella notte, prima di addentare un enorme barrito messicano. “Se lo facessi, non verresti mai più preso”.
“Sei molto utile, piccolo” rise facendo rotolare disgustosamente alcuni pezzi di cibo dalla sua bocca fino al pavimento. “Ma lascia che ti dica una cosa: io ho molti amici qui  - ok, diciamo pochi amici, m-ma ad ogni modo, tu sei un amico, no? – inoltre, c’è sempre un letto che mi aspetta” spiegò. “Qui siamo tutti uguali” additò la sua lurida uniforme. “Io non so cosa hai fatto e perché sei qui, nessuno può giudicarti perché gli altri non sono meglio. Capito?”
Allora capii perché continuasse a tornare.
“Ok, è ora di tornare nella tua cella” lui disse il giorno dopo, e mi scortò alla mia stanza.
Se avevo trascorso una bella serata con quel buffo grassone, non appena i miei occhi incontrarono quelli di Warden pregai di venire incenerito da qualcosa come un mega Raggio della Morte.
Stavamo percorrendo il lungo corridoio che conduceva alla mia cella. Warden non era il tipo di persona con cui si può chiacchierare, difficilmente sprecava più parole del necessario – a differenza mia. Io avrei sempre blaterato, soprattutto quando ero piccolo. Peccato che nessuno avesse tempo o interesse nel fermarsi ad ascoltare le grandiosità che avevo da dire.
“Ti sei divertito con zio Joe?” disse improvvisamente, senza mutare quella sua aria seriosa.
“Oh, sì, eccome!” dissi con entusiasmo, grato per la domanda. “Mi ha insegnato un gioco con le carte e poi siamo sgattaiolati in cucina e mi ha preparato dei barritos con salsa chully, e poi…”
“Lui che?” sulla sua faccia nota si dipinse incredulità.
Ops, forse non avrei dovuto dirlo.
“Oh, lascia perdere” disse subito dopo, ed aprì la mia stanza. “Entra, ora”.
Mi sentii male. Aveva installato dei nuovi sistemi e complicati di monitoraggio o di restrizione? Dopo tutto, vivevo nella cella di massima sicurezza. Sapevo, comunque, che era troppo tardi per chiedere scusa per cosa avevo fatto a quella shuola.
Nella mia divisa da otto anni, tenendo stretto il mio Minion di otto anni, presi a due mani tutto il coraggio di cui disponevo ed entrai.
Cavoli, questa sì che era una sorpresa.
“Allora, non parli?” Warden entrò dopo di me.
Ero così stupefatto da non credere ai miei stessi occhi verdi, e mi guardai intorno.
“E’… bellissimo!” gridai, lasciando la presa su Minion e correndo all’arcobaleno gigante dipinto in colori brillanti sulla parete assieme agli animaletti più adorabili che potessi immaginare: coniglietti, un unicorno, orsacchiotti e così via. “E guarda qua, Minion!”
Nella cella c’erano giocattoli -  non avevo mai avuto dei veri giocattoli prima. Mi sentii così fuori di me che presi un bambolotto e lo scossi timorosamente, senza avere idea alcuna di come giocare con quel coso. “E ci sono libri!”
Ce n’erano in gran quantità: fumetti, racconti, ma anche l’enciclopedia astrologica che desideravo così tanto consultare, per trovare quel quadrante Blaupunkt da cui pareva che fossi venuto fuori.
Ero così felice e confuso che non mi accorsi nemmeno che Warden aveva lasciato la stanza.

Warden mi scorta con due guardie alla mia stanza, mi spinge dentro e chiude personalmente la porta.
“Ah, ah, bravo, ben fatto, Warden!” gli rido contro, ma questo non gli sortisce alcun effetto. “Tutto quello che devi fare ora è starmi a guardare fino alla mia prossima evasione”.
“Non uscirai di prigione”.
“Questo è quello che credi tu”.
Warden non risponde, ma si limita a voltarsi e ad andarsene.
L’oblò si chiude, lasciandomi solo.
Annuso la mia divisa. Appena lavata, quel Warden non dimenticava mai di farmi trovare la mia uniforme personale bell’e pronta a darmi il bentornato. Potrebbe suonare strano, ma sapete, ci si sente davvero meglio in camicia e pantaloni arancioni dopo aver indossato un completo malvagio tutto il giorno, con le mani oppresse in guanti di pelle.

“Avrai 21 anni fra non molto” mi disse. “Sai che non potrò continuare a coprirti a lungo”.
“Non voglio che tu mi copra, Warden”.
Lui sospirò.
La porta blindata era l’eterna barriera tra di noi. Io stavo seduto sulla mia sedia girevole e lo fissavo, senza ridere né ghignare questa volta, piuttosto cercando di sembrare quanto più cattivo possibile.
“Se non ti decidi a cambiare saranno guai” mi avvertì. “Rischi di essere accusato di tutti i crimini commessi, e non avrai nessuna riduzione di pena”.
“Ok… Chi se ne importa?” dissi, quanto più scontrosamente potei. “Da quando in qua tieni a me? C’è già Minion che mi fa da balia”.
Mi alzai e gli voltai le spalle.
Lui aprì la porta ed entrò.
“Ti avverto”.
“Risparmia il fiato, non devi avvertirmi” dissi, tenendogli le spalle. “So che cosa sto facendo, e certamente non sarai tu a fermarmi”.
“Senti, Warden…”
“E’ Megamind! ME-GA-MIND!” mi girai e gli gridai in faccia con quanta voce avessi in corpo.
Lui teneva la stessa monotona espressione.
“Tieni quel disgustoso nome per te, misero insetto! Io sarò il Signore Oscuro di questa Metrocity e non cambierò idea! Ascoltami, Warden! Quel Metro Mahn cadrà sotto il mio Perfido Potere, e tu ed i cittadini di questa città vi prostrerete dinanzi alla mia intelligenza superiore! Hai capito, Warden?”.
Stavo gridando alla porta mentre guardavo Warden di spalle che se ne andava ancora una volta, fino a quando anche l’oblò si chiuse.

Mi guardo intorno. Solo le buone vecchie pareti colorate, la sedia girevole e la Tv. Oh, giusto, e anche la mia divisa arancione su misura.
Niente letto, niente libri, niente giochi.
Solo le buone, amare vecchie e note parole.

Pensieri Felici Fanno Persone Felici.

Credo che mi farò un pisolino. Di certo non è come avere indosso il mio pigiama malvagio blu e le mie babbucce a forma di pipistrello, ma in un certo senso mi va meglio così.
Ci sono abituato.
Penso a Warden, e chissà perché, mi chiedo come sia la sua vita privata. Se abbia mai avuto un figlio. So che era sposato una volta.
Nota a me stesso: devo usare lui come ostaggio, almeno una volta nella vita. Questo sì che lo farebbe uscire fuori dai gangheri e lo costringerebbe a cambiare quella faccia permanente da “tu sei un caso perso”.
Ma chi diavolo se ne frega di quel vecchio?
Non mi meraviglia che tenga sempre quella cera: ha a che fare con me da così tanti anni.
Mi odia, in fondo. No, mi detesta.
E il sentimento è reciproco.
Mentre mi addormento, sto già pensando al mio prossimo piano geniale. Al diavolo Warden! Rapirò la signorina Ritchi, già, lei sta sempre azzeccata a quel Mr. Perfettino tutto muscoli, sarà un’esca perfetta.
Ma lasciamo i dettagli ad un momento più propizio.
Per ora resto a casa, a recuperare le energie per la battaglia in arrivo.

 

 
Oh, dimenticavo.

                     A quella festa del Papò,

                                                   Warden

                                                            Fu insuperabile.

 

 
2011, June 05th.

 

Salve… questa ff è stata scritta prima in inglese e poi l’ho tradotta in italiano (strano direte voi… è che ho visto Megamind in inglese così tante volte che ormai ho dimenticato le battute in italiano, e poi l’ispirazione mi è venuta in inglese :-/) A dir la verità ho trovato migliore la versione originale della sua traduzione, ho dovuto abbellirla per renderla più sorbibile, ma spero vi sia piaciuta comunque.

Internet è pieno di ff che parlano di Megamind che deve affrontare la paternità come padre, ma io invece ho deciso di analizzarla da un altro punto di vista. Certo, Minion basta molto a lui, ma è più una specie di migliore amico/madre (pulisce, lo rimprovera, lo avverte – e forse anche troppo, cmq senza molto successo), mentre dev’esserci stata una specie di figura paterna per un bambino che è cresciuto circondato da uomini in una prigione. E allora mi è venuto in mente: chi gli è sempre stato appresso, fin dal suo arrivo?

C’è un rapporto abbastanza familiare tra i due come si può evincere dal film: Megamind lo prende bellamente in giro, lui si sente ferito nell’orgoglio del poliziotto imbrogliato dal delinquente ma alla fine è contento che Megamind vada a salvare la situazione degenerata con Titan. Bel cambiamento da “tu sei un cattivo, e sarai sempre un cattivo. Non cambierai mai” a “Buona fortuna, ragazzi!”

Io credo che Warden si sia effettivamente preso cura di Megamind, più di quanto Megamind stesso ammetterebbe (ditemi cosa ammetterebbe che non sia frutto del suo genio!)

Quell’espressione mi ricorda molto mio padre quanto è arrabbiato con noi… Warden non odia Megamind – lo conosce da tropo tempo per odiarlo – ma piuttosto sembra che in passato si sia illuso che potesse cambiare, fin quando non si è reso conto che questo cambiamento era solo la speranza di un povero illuso.

Per quanto riguarda il titolo: “there is no place like Evil Lair”, ovvero “non c’è nessun posto come la Tana Malvagia”, è così che Megamind esordisce quando giunge al suo nascondiglio. Ma è in prigione che decide di andare quando afferma: “vado a casa”, una volta scoperto che Metroman è vivo. Come si dice, “non c’è nessun posto come casa” o “casa dolce casa”. Bé, Megamind non chiama la tua tana malvagia Casa, il che dà molto da pensare.

Sembra che questo non sia altro che un enorme gioco per lui: fare casino, deludere tutti – questo è l’unico modo per essere notato per quello che è e non per le sue caratteristiche fisiche – e poi essere sbattuto dietro le sbarre, sebbene sia consapevole di essere libero di entrare e uscire a suo piacimento.

Inizialmente non avevo inserito la Festa del Papà, ma poi mi sono resa conto che fra poco è Father’s Day in America – anche in questo periodo i bambini non vanno a scuola, contrariamente a quanto ho scritto nella ff – e quindi ho pensato che fosse opportuno.

Ps. La frase dipinta sulle pareti colorate della cella di Megamind (visibile nella prima inquadratura della cella di massima sicurezza) è: “Happy Thoughts Make Happy People.”

Se volete vedere la versione inglese, eccola qui: à http://www.fanfiction.net/s/7053197/1/There_is_no_place_like_home

 
Vi prego, fatemi sapere che ne pensate :-)

Lucenera.



   
 
Leggi le 8 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Megamind / Vai alla pagina dell'autore: Lucenera88