There is
no place like Evil Lair.
Lui mi
guarda con quell’espressione delusa. Beh, ci sono abituato.
E più lui
è indispettito, più ci provo gusto. Mi piace la
faccia che fa.
Mi fa
sentire di aver raggiunto il mio obiettivo.
“Warden,
posso chiederti una cosa?”
“Certo,
dimmi”.
“Cos’è un papò?”
Lui inarcò
le sopracciglia. “Un che?”
“Guarda
qua” puntai il mio piccolo indice blu ad una strana figura
sul mio testo shuolastico di prima
elementare. C’era
un bambino che sorrideva beato con due adulti, un uomo ed una donna, e
la
parola papà era stampata
in verde su
di loro.
“Ah, un papà”
mi corresse con un sorriso.
“Sì…
cos’è, Warden?”
Devo sembrargli
così patetico; mi guardò triste e disse:
“Un papà e
l’uomo che, assieme alla mamma, ti dà la vita e ti
cresce con affetto”.
Ero
estremamente curioso di ciò, poiché non avevano
fatto altro che cantare una
canzone che diceva papino papino papino
tutto il giorno alla shuola, mentre
io ero in punizione e mi rigiravo i pollici non avendo nulla da fare:
la maestra
mi aveva confiscato Minion, perché parlavo con lui e davo
fastidio.
Eravamo
nel suo ufficio, io ero seduto educatamente sul suo sedile marrone in
pelle e
stavo facendo i compiti – non ci avrei messo più
di cinque minuti, calcolai
mentre scrivevo le soluzioni di ogni singolo problema ci fosse
nell’intero libro
di matematica – mentre lui era seduto sulla scrivania, ad
osservarmi.
“Quella è
sbagliata, signorino!” si fece sentire Minion dalla sua
boccia, a pochi centimetri
dal mio gomito.
“Uh, è
vero! Ho dimenticato di scrivere un numero!”
“E’ sempre
il solito sbadato” commentò con leggerezza,
nuotando in tondo.
In effetti
non stavo prestando molta attenzione a che cosa stavo facendo. Quella
cosa del papò mi stava
ancora girando in testa.
“Tu ce
l’hai un papò?”
chiesi a Warden,
mentre tenevo gli occhi incollati al libro di matematica.
“Ce
l’avevo” disse lui con aria malinconica.
“Tutti nell’universo hanno o hanno
avuto un papà”.
“Non io” replicai
prontamente, interrompendo il mio scrivere meccanico. “Me ne
sarei accorto”.
Lui stava
per dire qualcosa, ma a quanto pare aveva deciso di tenere i suoi
pensieri per
sé.
“Certo che
ha avuto un papà, signorino” confermò
Minion. “Ed anche una mamma. Forse non se
li ricorda, ma io sì”.
“Già, credo
di ricordare quei due…” dissi confuso, grattandomi
il testone, “… erano blu
come me”.
Sebbene
abbia pochi ricordi dei miei primi otto giorni di vita, non ho mai
dimenticato
le loro facce di quando mi spararono fuori dal pianeta per il mio bene.
All’epoca
ero troppo piccolo per conoscere le parole “madre, padre,
famiglia”, eppure
sapevo che loro erano in qualche modo importanti per me.
“Aspetta,
ma non ha senso!” obiettai. “Se erano veramente mia
mamma e mio papò,
perché non mi hanno cresciuto?”
Warden parve
ancora più senza parole. “Non lo so,
piccolo”.
“Ne deduco
che la tua spiegazione è incompleta”.
Lasciai
cadere la matita con un broncio e balzai nervoso giù dalla
sedia.
Il giorno
dopo tutti i padri sarebbero venuti alla shuola,
e i bambini avrebbero dato al proprio papò
regali e cartoline colorate. Non mi avevano nemmeno lasciato farne una.
Il che
era sufficiente per farmi capire che non avrei preso parte alla loro
Festa.
“Non hanno
potuto, signorino”.
Ero troppo
piccolo per capire perché. Al di là del mio
cervello oltremisura, ero pur
sempre un bambino.
“Sai, a
volte i genitori non sono solo quelli che ti fanno nascere”
Warden si alzò,
mentre io stavo cercando disperatamente di non scoppiare in lacrime.
“A volte,
si tratta solo di chi si prende cura di te”.
“Minion si
prende molta cura di me” dissi. “Vero,
Minion?”
Warden
parve perplesso, poi annuì.
Io sorrisi
debolmente, tornai a posto e guardai Minion. Era sempre stato
lì, ogni secondo
terrestre della mia breve vita.
Ma chissà
perché sentivo che Minion non era il tipo che si potesse
chiamare “papò”.
“I
miei
genitori saranno delusi di me adesso” borbotto, come uso fare
ad ogni
sconfitta.
“No che
non lo sono, signore” Minion mi tira immediatamente su.
“Sanno che sta facendo
del suo meglio”.
“Lo spero”
replico, mentre cambio il mio completo malvagio rovinato con la solita
divisa
arancione.
“Hai
finito?” Warden appare impaziente, cammina avanti e indietro
fuori dalle
sbarre. Minion è rinchiuso nella cella accanto, ma sappiamo
entrambi che
sarebbe fuggito non appena avrebbe fatto buio.
“Sì,
Warden, non avere fretta!”
Lui sbuffa.
“Che
spasso, quel Warden!” dico a Minion ridendo.
“Eccome,
signore!” concorda lui, “sembra un padre preso per
i fondelli dal proprio
ragazzo!”
Non mi
piace tanto quell’affermazione.
Mi
sollevò
sulle spalle, mentre diversi uomini in tute bianche – facce
che non avevo mai
visto prima – entrarono nella mia stanza portando scalette,
secchi ed altri
strani utensili.
Ero
spaventato, non avevo mai avuto così tante persone nel mio
spazio e mi sentivo violato
ciò che era mio.
Tenni
stretta a me la boccia di Minion, con una mano fermamente aggrappata al
suo
collo.
“Non
preoccuparti, stanno sono facendo dei lavori di routine qui”
mi rassicurò.
“Dormirai con zio Joe stanotte”.
Zio Joe
era un simpaticone pelato che puzzava di pesce e che mi divertiva molto
con i
suoi trucchi di carte e le sue storie dei bassifondi. Era uno delle
poche
persone che non stava ad evitarmi o ad appiopparmi nomignoli come
“pallone
blu”, “canaglia” o semplicemente
“tu”…
forse perché gli altri detenuti evitavano anche lui.
Continuava ad entrare e
uscire di prigione a causa delle sue truffe mal architettate.
“Perché
non segui i miei consigli, zio Joe?” gli chiesi quella notte,
prima di
addentare un enorme barrito
messicano.
“Se lo facessi, non verresti mai più
preso”.
“Sei molto
utile, piccolo” rise facendo rotolare disgustosamente alcuni
pezzi di cibo
dalla sua bocca fino al pavimento. “Ma lascia che ti dica una
cosa: io ho molti
amici qui - ok,
diciamo pochi amici,
m-ma ad ogni modo, tu sei un amico, no? – inoltre,
c’è sempre un letto che mi
aspetta” spiegò. “Qui siamo tutti
uguali” additò la sua lurida uniforme.
“Io
non so cosa hai fatto e perché sei qui, nessuno
può giudicarti perché gli altri
non sono meglio. Capito?”
Allora
capii perché continuasse a tornare.
“Ok, è ora
di tornare nella tua cella” lui disse il giorno dopo, e mi
scortò alla mia
stanza.
Se avevo
trascorso una bella serata con quel buffo grassone, non appena i miei
occhi
incontrarono quelli di Warden pregai di venire incenerito da qualcosa
come un mega
Raggio della Morte.
Stavamo
percorrendo il lungo corridoio che conduceva alla mia cella. Warden non
era il
tipo di persona con cui si può chiacchierare, difficilmente
sprecava più parole
del necessario – a differenza mia. Io avrei sempre blaterato,
soprattutto
quando ero piccolo. Peccato che nessuno avesse tempo o interesse nel
fermarsi
ad ascoltare le grandiosità che avevo da dire.
“Ti sei
divertito con zio Joe?” disse improvvisamente, senza mutare
quella sua aria
seriosa.
“Oh, sì,
eccome!” dissi con entusiasmo, grato per la domanda.
“Mi ha insegnato un gioco
con le carte e poi siamo sgattaiolati in cucina e mi ha preparato dei barritos con salsa chully,
e poi…”
“Lui che?”
sulla sua faccia nota si dipinse
incredulità.
Ops, forse
non avrei dovuto dirlo.
“Oh,
lascia perdere” disse subito dopo, ed aprì la mia
stanza. “Entra, ora”.
Mi sentii
male. Aveva installato dei nuovi sistemi e complicati di monitoraggio o
di
restrizione? Dopo tutto, vivevo nella cella di massima sicurezza.
Sapevo,
comunque, che era troppo tardi per chiedere scusa per cosa avevo fatto
a quella
shuola.
Nella mia divisa
da otto anni, tenendo stretto il mio Minion di otto anni, presi a due
mani
tutto il coraggio di cui disponevo ed entrai.
Cavoli,
questa sì che era una sorpresa.
“Allora,
non parli?” Warden entrò dopo di me.
Ero così
stupefatto da non credere ai miei stessi occhi verdi, e mi guardai
intorno.
“E’…
bellissimo!” gridai, lasciando la presa su Minion e correndo
all’arcobaleno
gigante dipinto in colori brillanti sulla parete assieme agli
animaletti più
adorabili che potessi immaginare: coniglietti, un unicorno,
orsacchiotti e così
via. “E guarda qua, Minion!”
Nella
cella c’erano giocattoli -
non avevo mai
avuto dei veri giocattoli prima. Mi sentii così fuori di me
che presi un
bambolotto e lo scossi timorosamente, senza avere idea alcuna di come
giocare
con quel coso. “E ci sono libri!”
Ce n’erano
in gran quantità: fumetti, racconti, ma anche
l’enciclopedia astrologica che
desideravo così tanto consultare, per trovare quel quadrante
Blaupunkt da cui
pareva che fossi venuto fuori.
Ero così felice
e confuso che non mi accorsi nemmeno che Warden aveva lasciato la
stanza.
Warden mi
scorta con due guardie alla mia stanza, mi spinge dentro e chiude
personalmente
la porta.
“Ah, ah, bravo,
ben fatto, Warden!” gli rido contro, ma questo non gli
sortisce alcun effetto.
“Tutto quello che devi fare ora è starmi a
guardare fino alla mia prossima
evasione”.
“Non
uscirai di prigione”.
“Questo è
quello che credi tu”.
Warden non
risponde, ma si limita a voltarsi e ad andarsene.
L’oblò si
chiude, lasciandomi solo.
Annuso la
mia divisa. Appena lavata, quel Warden non dimenticava mai di farmi
trovare la
mia uniforme personale bell’e pronta a darmi il bentornato.
Potrebbe suonare
strano, ma sapete, ci si sente davvero meglio in camicia e pantaloni
arancioni
dopo aver indossato un completo malvagio tutto il giorno, con le mani
oppresse
in guanti di pelle.
“Non
voglio che tu mi copra, Warden”.
Lui
sospirò.
La porta
blindata era l’eterna barriera tra di noi. Io stavo seduto
sulla mia sedia
girevole e lo fissavo, senza ridere né ghignare questa
volta, piuttosto
cercando di sembrare quanto più cattivo possibile.
“Se non ti
decidi a cambiare saranno guai” mi avvertì.
“Rischi di essere accusato di tutti
i crimini commessi, e non avrai nessuna riduzione di pena”.
“Ok… Chi
se ne importa?” dissi, quanto più scontrosamente
potei. “Da quando in qua tieni
a me? C’è già Minion che mi fa da
balia”.
Mi alzai e
gli voltai le spalle.
Lui aprì
la porta ed entrò.
“Ti
avverto”.
“Risparmia
il fiato, non devi avvertirmi” dissi, tenendogli le spalle.
“So che cosa sto
facendo, e certamente non sarai tu a fermarmi”.
“Senti,
Warden…”
“E’ Megamind!
ME-GA-MIND!” mi girai e gli
gridai in faccia con quanta voce avessi in corpo.
Lui teneva
la stessa monotona espressione.
“Tieni quel
disgustoso nome per te, misero insetto! Io sarò il Signore
Oscuro di questa
Metrocity e non cambierò idea! Ascoltami, Warden! Quel Metro
Mahn cadrà sotto
il mio Perfido Potere, e tu ed i cittadini di questa città
vi prostrerete
dinanzi alla mia intelligenza superiore! Hai capito, Warden?”.
Stavo
gridando alla porta mentre guardavo Warden di spalle che se ne andava
ancora
una volta, fino a quando anche l’oblò si chiuse.
Mi guardo
intorno. Solo le buone vecchie pareti colorate, la sedia girevole e
Niente
letto, niente libri, niente giochi.
Solo le
buone, amare vecchie e note parole.
Pensieri
Felici Fanno Persone Felici.
Credo che
mi farò un pisolino. Di certo non è come avere
indosso il mio pigiama malvagio blu
e le mie babbucce a forma di pipistrello, ma in un certo senso mi va
meglio
così.
Ci sono
abituato.
Penso a
Warden, e chissà perché, mi chiedo come sia la
sua vita privata. Se abbia mai
avuto un figlio. So che era sposato una volta.
Nota a me
stesso: devo usare lui come ostaggio, almeno una volta nella vita.
Questo sì
che lo farebbe uscire fuori dai gangheri e lo costringerebbe a cambiare
quella
faccia permanente da “tu sei un caso perso”.
Ma chi
diavolo se ne frega di quel vecchio?
Non mi
meraviglia che tenga sempre quella cera: ha a che fare con me da
così tanti
anni.
Mi odia,
in fondo. No, mi detesta.
E il
sentimento è reciproco.
Mentre mi
addormento, sto già pensando al mio prossimo piano geniale.
Al diavolo Warden! Rapirò
la signorina Ritchi, già, lei sta sempre azzeccata a quel
Mr. Perfettino tutto
muscoli, sarà un’esca perfetta.
Ma
lasciamo i dettagli ad un momento più propizio.
Per ora
resto a casa, a recuperare le energie per la battaglia in arrivo.
Oh,
dimenticavo.
A
quella festa del Papò,
Warden
Fu
insuperabile.
2011, June
05th.
Salve…
questa ff è stata scritta prima in inglese e poi
l’ho tradotta in italiano
(strano direte voi… è che ho visto Megamind in
inglese così tante volte che
ormai ho dimenticato le battute in italiano, e poi
l’ispirazione mi è venuta in
inglese :-/) A dir la verità ho trovato migliore la versione
originale della
sua traduzione, ho dovuto abbellirla per renderla più
sorbibile, ma spero vi
sia piaciuta comunque.
Internet
è
pieno di ff che parlano di Megamind che deve affrontare la
paternità come
padre, ma io invece ho deciso di analizzarla da un altro punto di
vista. Certo,
Minion basta molto a lui, ma è più una specie di
migliore amico/madre (pulisce,
lo rimprovera, lo avverte – e forse anche troppo, cmq senza
molto successo),
mentre dev’esserci stata una specie di figura paterna per un
bambino che è
cresciuto circondato da uomini in una prigione. E allora mi
è venuto in mente:
chi gli è sempre stato appresso, fin dal suo arrivo?
C’è
un
rapporto abbastanza familiare tra i due come si può evincere
dal film: Megamind
lo prende bellamente in giro, lui si sente ferito
nell’orgoglio del poliziotto
imbrogliato dal delinquente ma alla fine è contento che
Megamind vada a salvare
la situazione degenerata con Titan. Bel cambiamento da “tu
sei un cattivo, e
sarai sempre un cattivo. Non cambierai mai” a
“Buona fortuna, ragazzi!”
Io
credo
che Warden si sia effettivamente preso cura di Megamind, più
di quanto Megamind
stesso ammetterebbe (ditemi cosa ammetterebbe che non sia frutto del
suo
genio!)
Quell’espressione
mi ricorda molto mio padre quanto è arrabbiato con
noi… Warden non odia
Megamind – lo conosce da tropo tempo per odiarlo –
ma piuttosto sembra che in
passato si sia illuso che potesse cambiare, fin quando non si
è reso conto che
questo cambiamento era solo la speranza di un povero illuso.
Per
quanto
riguarda il titolo: “there is no place like Evil
Lair”, ovvero “non c’è nessun
posto come
Sembra
che
questo non sia altro che un enorme gioco per lui: fare casino, deludere
tutti –
questo è l’unico modo per essere notato per quello
che è e non per le sue
caratteristiche fisiche – e poi essere sbattuto dietro le
sbarre, sebbene sia
consapevole di essere libero di entrare e uscire a suo piacimento.
Inizialmente
non avevo inserito
Ps.
La
frase dipinta sulle pareti colorate della cella di Megamind (visibile
nella
prima inquadratura della cella di massima sicurezza) è:
“Happy Thoughts Make
Happy People.”
Se volete
vedere la versione inglese, eccola qui: à http://www.fanfiction.net/s/7053197/1/There_is_no_place_like_home
Vi prego,
fatemi sapere che ne pensate :-)
Lucenera.