Buona lettura e... buona estate a tuttiiii!!!! :D
Una lettera e un caffè in compagnia
Ogni mattina, ogni sacrosanta
mattina direi, la prima cosa che facevo era quella di lanciare un’occhiata al
calendario appeso di fianco al mio letto.
La mia era ormai un’abitudine
probabilmente dettata dall’istinto o forse dal timore di deludere le sue
aspettative; già, perché ogni giorno che passava si avvicinava quel fatidico
giorno, il 21 settembre.
La data mi era stata
confermata dalla signora Ramìrez, che parecchie volte veniva a farmi visita
nonostante Alina le dicesse di non preoccuparsi per me. Mi aveva tirato da
parte, sussurrandomi qualcosa del tipo: “Pronta per il 21 settembre? Il signor
Alvarez mi ha detto tutto”.
Oh, porca paletta! Molte volte
rimpiangevo di non aver declinato la sua proposta, perché non mi sentivo
assolutamente pronta.
Comunque sia, quel pomeriggio
mi trovavo nella mia stanza. Succhiavo con passione il tappo di una penna,
intenta a fare alcune ricerche con il mio vecchio portatile. Scorrevo le
diverse finestre che aprivo e, se non mi interessavano, le chiudevo
immediatamente.
- Non pensavo fosse così famoso
– mi dissi, inclinando un poco il capo. – Cioè, famoso sì, ma non così tanto -
.
Perfetto,
farai la figura della completa idiota...
E più cercavo informazioni su
Shura, più mi sentivo piccola ed insignificante. C’era qualcosa oltre a quegli
elenchi di vittorie, c’era qualcosa oltre la biografia... eppure non riuscivo a
coglierla.
Mi
pare di conoscerlo da una vita, a dire il vero, o comunque di averlo già
incontrato in qualche altra circostanza...
Era la verità. Nei suoi modi
di fare c’era qualcosa che richiamava ad una persona già vista, sperimentata.
Dovetti abbandonare i miei
pensieri quando qualcuno bussò. Chiusi immediatamente il portatile e quel botto
secco precedette lo scostarsi della porta.
- Sei qui, Pamy? - .
- Uhm uhm! – annuii
accompagnandomi con un veloce movimento della testa.
Vidi la testa di Alina sbucare
da dietro l’entrata. – Esco un momento. Se hai bisogno sai che numero fare - .
- Certo, tranquilla - .
L’uscio si chiuse di nuovo.
Restai in silenzio ad ascoltare i passetti di quella megera che si dirigevano
verso l’atrio; la porta che sbatte, il liberatorio giro della chiave nella
serratura.
Sospirai sollevata, non mi
dispiaceva rimanere a casa da sola per un po’. Anzi, mi faceva parecchio
piacere: potevo rilassarmi, mangiare quello che volevo, fare cose che in
presenza di Alina preferivo non fare.
Come,
per esempio...
Aspettavo con ansia il momento
che Alina uscisse di casa, a dire il vero. Già quella mattina aveva
incominciato a dirmi che nel pomeriggio sarebbe uscita e sarebbe rimasta via
per almeno due, tre orette.
Mi misi a sedere e poi scesi
dal letto, infilandomi subito le ciabatte zebrate. Forse non era giusto nei
suoi confronti, forse non se lo meritava; ma accipicchia, non riuscivo a
contenere la mia curiosità.
Volevo andare a frugare nella sua
camera: non avrebbe fatto male a nessuno anche se non era certo una bella cosa...
La sua camera si trovava
proprio di fianco alla mia. Era un poco più spaziosa e dall’arredamento dava
l’idea di una stanza più “adulta” della mia. Non c’erano piccoli peluche,
poster di artisti, cuscini pomposi e cose varie. Era essenziale e molto easy,
oltre ad essere sicuramente più ordinata della mia.
Chiusi la porta a chiave e mi
sedetti sul suo letto. Lo trovai più basso del mio, ma non per questo meno
comodo.
Decisi di partire dal
comodino. Quasi mi stupii nell’aprirlo, perché non mi aspettavo così tante
spille per capelli, cerchietti, elastici... ed era molto strano che questi non
si trovassero nei cassetti del comò con lo specchio, dall’altra parte della
stanza. Forse aveva l’abitudine di sistemarsi i capelli appena sveglia,
ipotizzai.
Di certo la mia spedizione non
voleva assolutamente mettere a soqquadro la sua stanza per scoprire cose di
così esigua importanza: la verità era che mi aveva così tanto stupito il
racconto della sua “love-story” con Shura che pensavo di trovare qualche
indizio in più.
Solitamente ogni donna, di
qualsiasi età, fa della sua camera da letto il nascondiglio per le cose più
preziose.
Mettici
un po’ di testa, Pamela. Alina dove potrebbe nascondere...?
Era difficile ragionare allo
stesso modo della megera. Già il fatto che era stata capace di lasciarsi
scappare un uomo come Shura la catalogava come una ritardata mentale o, che ne
so!, una che vive con il cervello spento senza mai accenderlo.
Stavo ben attenta a rimettere
tutto dove avevo trovato appena il mio intuito mi diceva che continuando a
frugare in quel posto non avrei trovato nulla. Passai ben presto al comò,
lasciando così da parte i comodini ai fianchi del letto. Non mi soffermai molto
sulla biancheria intima e su quei capi d’abbigliamento così perversi che trovai: a ognuno la sua
privacy, mi ripetevo,
Suvvia
Pamela, non farti opinioni sulla gente in questo modo, lascia stare
mentre ancora frugavo tra i
cassetti.
Solamente quando le mie dita
accarezzarono quella che mi parve carta affilai lo sguardo e misi da parte
mutandine e reggicalze fino a raggiungere l’angolo più remoto di quel cassetto.
Una cartolina, fu il mio primo
pensiero. Invece no: si trattava di una piccola lettera, piccola perché più
minuta rispetto alla normale conformazione delle buste. La presi tra le mani
con la delicatezza e l’attenzione con le quali si fa roteare per aria un
bicchiere di cristallo e la inquadrai con lo sguardo; o meglio, inquadrai la scritta
che dominava a bordo busta.
A
Leandro Shura Alvarez
...Una lettera che Alina non
era mai riuscita a mandargli, per timore o per semplice ripensamento?
Mi adoperai per leggerne il
contenuto e, sedendomi sul letto, afferrai saldamente la lettera non appena
ebbi messo da parte la busta.
Cannes,
12
agosto
Caro Shura,
qui a Cannes il tempo è
favoloso. E’ da due settimane che si muore di caldo e sinceramente mi manca il
clima di Siviglia. Mi sto divertendo molto, ogni giorno la guida turistica ci
porta in posti nuovi e stupendi, vorrei molto poter condividere tutto questo
con te e il bambino.
Prima di partire ho sentito
che hai deciso di riprendere con le lezioni di danza, come facevi qualche
annetto fa. In merito alla tua proposta, quella di farti da “vice” durante il
periodo di insegnamento, sarei molto felice di tenere dei corsi con te.
Davvero.
Come sta il piccolo, gli è
passata quella brutta tosse? Spero proprio sia migliorato. Vorrei anche
approfittare di questa lettera per ringraziarti di tutto. Nonostante i
nostri... chiamiamoli conflitti, mi sento rassicurata al pensiero che Francisco
si trovi con te e non con qualche tutore; non ho mai dubitato delle tue buone
doti di padre, sul serio.
Un abbraccio (e un bacio ad
entrambi!),
Alina
Restai per qualche secondo a
fissare quelle righe, quelle parole così semplici, fluide, ma dense di
significato.
12
agosto. Quasi un anno fa
Angelina mi aveva
ripetutamente detto che i rapporti tra Leandro ed Alina non fossero affatto
migliorati da quando lui aveva scoperto del tradimento. Eppure quella lettera
pareva spontanea, quasi il suo contenuto non fosse stato assolutamente pensato.
Sincera.
La cascata dei pensieri di
Alina in quel momento, mi saltò in testa. E allora perché non l’aveva inviata?
Qualcosa forse glielo aveva impedito? Non lo riteneva necessario, le pareva una
lettera inutile? Non riuscii a trovare una risposta decente a nessuno dei
quesiti che la mia mente partorii.
Dalla fretta slittai sul
tappeto rischiando di schiantarmi contro il divano. Afferrai d’istinto il
cordless che squillava, me lo portai all’orecchio:
- P-pronto? - .
Un sospiro divertito, una
sottile risata. – Pamela - .
Artigliai il bracciolo
dell’altro divano: - S-signor Alvarez? - .
- Leandro– mi corresse con
gentilezza.
- Leandro, sì - .
- Ha il fiatone, Pamela. L’ho
fatta correre per casa, era occupata? - .
Semplicemente
sono scattata fuori dalla stanza di Alina pensando fosse il citofono...
- No, no!, ma si figuri! Ha
bisogno di qualcosa? - .
- Avrei bisogno di parlare con
Alina. E’ in casa? - .
- Oh, Alina – mi sfuggii. Mi
venne spontaneo abbozzare un sorriso compiaciuto: - Uhm, è uscita un’oretta fa.
Ha provato a chiamarla sul cellulare? - .
- Non ancora, ma lo farò - .
Per un attimo calò il silenzio
tra di noi, un silenzio opprimente. A spazzarlo via, fortunatamente, la voce di
Leandro:
- E lei, Pamela? Si trova in
casa da sola? - .
- Sì. Vuole...? – Mi bloccai.
Che diavolo stavo dicendo?
Sentii Leandro allungare un
leggero sorriso, una di quelle sue espressioni enigmaticamente amichevoli. –
Sì? - .
- No, nulla, mi chiedevo se...
– Mi grattai la nuca, impacciata, - ...se per caso volesse venire a prendere un
caffè qui da-da me... se non è troppo impegnato, naturalmente! - .
Insomma
Pamela, si fa così no? Per cortesia si chiede, poi se...
- Con piacere. Posso portare
anche mio figlio? - .
- Suo... sì, certo! - .
E fu così che il mondo mi
capitombolò addosso. Da una parte mi sentii una stupida, (insomma, casa sua
distava poco ed io dovevo ancora riordinare la stanza della megera!) dall’altra
invece ringraziai Iddio per aver fatto sì che Leandro avesse accettato
l’invito.
- Bene – mi scappò un’altra
volta, ma ora ero più sciolta. – Allora... ci vediamo - .
- Tra mezzora va bene? - .
- Ve benissimo - .
- A dopo, Pamela. Grazie
ancora - .
- Grazie a lei - .
Tu-tu-tu
Fui io a riattaccare per
prima. Quella discussione si era protratta anche per troppo tempo.
Ritornai nella stanza di
Alina, rimisi a posto quella lettera (l’unico indizio che avevo trovato, per
mio sfortuna) e poi mi decisi a mettere un poco in ordine anche il resto della
casa. Dovevo ammetterlo, non avevo mai fatto leva sulle mie capacità
casalinghe, in effetti non ero mai stata abituata a fare le pulizie. Ero
proprio un disastro.
Ma, forse perché spinta dal
bisogno impellente di vedere almeno il salotto splendere, dopo qualche veloce
spolverata qua e là l’ambiente domestico mi parve più accogliente e soprattutto
più presentabile.
Il campanello mi trapanò i
timpani prima del previsto. Buttai in un cassetto della cucina il panno della
polvere, mi sfregai le mani ed aprii l’uscio.
- Buon pomeriggio, Pamela –
Shura e Francisco erano lì davanti, il primo a tenere stretto al petto il
secondo, forse troppo grande per permettersi il lusso di restare ancora in
braccio al papà.
- Buon pomeriggio a lei,
Leandro – Rivolsi un’occhiata anche al piccolo ospite, regalandogli un buffetto
sulla guancia con estrema scioltezza. – Ciao - .
- Uhm? – Inclinò il capo in
un’occhiata tremendamente incuriosita, quasi impacciata.
Per la prima volta sentii
Leandro azzardare una risata. – Su, non essere timido - .
Allora il bambino, incoraggiato
dal padre, mi rivolse uno sguardo più deciso. – S-salve! - .
Che bella voce, mi venne da
dire. Ora che lo guardavo meglio mi ricordava sorprendentemente la fisionomia
di Alina: a parte gli occhi, dello stesso colore di quelli del padre, il naso e
la bocca sottile richiamavano i tratti della megera; megera che, ahimè, era una
bella ragazza, e Francisco era proprio un bambino grazioso, in tutti i sensi.
Sorvolando tali pensieri, mi
scostai dall’uscio per permettere loro di entrare. – Prego - .
- Grazie, Pamela - .
Appena dentro, Leandro lasciò
Francisco libero di scorrazzare per la casa e, sempre vigilandolo con occhio
attento (era proprio un padre responsabile, allora!), mi strinse la mano con l’atteggiamento
di un caro, vecchio amico che non si vede da molto tempo. – Come sta? - .
- Io... io sto benissimo,
grazie. Lei? -.
- Anch’io. Spero si stia
esercitando sui passi che le ho insegnato la volta scorsa... - .
- Oh, certo, non si preoccupi
- .
Ci dirigemmo in salotto.
Francisco era già lì, appallottolato sul divano, a studiare alcuni giornali con
fare interessatissimo. Probabilmente, pensai, sia lui sia Leandro erano già
entrati nella casa di Alina, ma dato che Leandro non poteva sapere che io lo
sospettavo, mi accinsi a chiedere se volesse fare il giro della casa.
- No, grazie – I miei sospetti
vennero così saziati: - Sono già stato qui... Alina quando dovrebbe tornare? -
.
Mi strinsi nelle spalle. – Ha detto
che sarebbe stata via per due, massimo tre ore - .
Con mia sorpresa, nei minuti
successivi, mentre preparavo il caffè, mi trovai molto bene sapendo di avere
Leandro e suo figlio come ospiti. Li sentivo parlare del più e del meno in
salotto e, quando stavo versando il caffè, Francisco correndo mi raggiunse e si
aggrappò alla mia gamba.
- Ehi, furfante – Gli scompigliai
amorevolmente i capelli.
- Posso avere un po’ di succo?
– .
- Certo - .
- All’albicocca - .
- Sì, tranquillo. Però, uhm...
– Mi ero già allungata per afferrare il succo e versarlo in un bicchiere. – Non
berlo troppo in fretta perché è freddo - .
- Sì sì! - .
Gli diedi la bevanda ed in
quel preciso momento alla cucina si affacciò Leandro: - Scusi, Pamela, non ho
potuto trattenerlo - .
Mi ritrovai a ridere,
divertita dalle sue parole. – Si figuri. Quanto... quanto zucchero vuole? - .
- Niente zucchero, grazie - .
Francisco, prosciugato il
bicchiere e poggiatolo lì sul bancone, corse via farfugliando un veloce “grazie”
e ritornò a rifugiarsi in salotto; poco dopo io e Leandro lo seguimmo, ognuno
con la nostra tazza di caffè. L’atmosfera sapeva di sincera spontaneità.
Passammo almeno un’ora a
parlare uno davanti all’altra, accomodati sui divani mentre Francisco
giocherellava con delle formine lì sul tappeto.
Leandro, chissà perché, mi
raccontò della sua vicenda con Alina e dell’evolversi del loro rapporto, cosa
che finsi cogliermi impreparata. Il suo parlare era sciolto, quasi
inespressivo, ma in quell’inespressività si coglieva il carattere di un uomo
ormai completamente maturo, serio e responsabile. Lo si poteva notare anche dal
modo in cui, a volte, guardava il figlio, un’occhiata carica di tenerezza mista
ad un profondo legame affettivo. Mi parvero, più e più volte, legatissimi.
E così, tra un caffè e l’altro,
ci scambiammo esperienze di vita. Io gli parlai della signora Ramìrez, dei
ricordi che avevo di mia madre e di mio padre, ed accennai timidamente a mio
fratello.
- La signora Ramìrez, è bene
che lei sappia... – mi fermò di punto in bianco, poggiando la tazza ormai
vuota, - mi ha raccontato molte cose su di lei. Non voglio farla sentire
psicologicamente oppressa, posso immaginare quanto possa essere difficile - .
Gli regalai un dolce sorriso. -
Non si preoccupi – Era bello notare l’attenzione con la quale mi prendeva,
senza essere troppo invadente o avido di sapere. Mi faceva sentire bene.
– Non ora che suo fratello...
Diego si chiama, giusto? - .
- ...Sì - .
- Ho sentito che è stato
scarcerato - .
- Da molto tempo - .
- In confidenza, Pamela – Si sporse
leggermente verso di me, lanciando un’occhiata a Francisco, troppo impegnato a
giocare alle formine per percepire la tensione che ora si era venuta a creare.
Arricciai il naso, confusa:
che Leandro sapesse qualcosa che io non sapevo?
- Non so quanto potrà durare
ancora la sua custodia vigilata. Almeno, la signora Ramìrez mi ha rivelato che
tra poco potrebbe essere libero di venirla a cercare, Pamela - .
Mi si conficcarono un paio di
aghi nel cuore. Fu come percepire un dolore intenso. – E perché non ne sono
stata informata? – mi precipitai.
- La signora Ramìrez non
voleva spaventarla, ma mi sembra giusto avvisarla - .
- Ma... - .
- Non si agiti – Leandro tornò
ad appoggiarsi allo schienale del divano. – Anche se così fosse, lei non
correrebbe pericolo - .
La cosa non mi rincuorava
affatto. Conoscevo bene mio fratello, conoscevo la sua determinazione.
- Pamela, quante probabilità
ci sono che suo fratello Diego venga a cercarla in questa parte di mondo? - .
Lo guardai fugace, ma non
seppi rispondergli ed annegai ogni proposito di aprir bocca nel nero dei suoi
occhi.
Et voilà! *Ultimo tocco di tastiera* u.u"
Nel prossimo capitolo vi racconterò tutto quello che dovete sapere su Pamela e il suo amatissimo fratellone Diego, tranquilli ^^
Grazie per la lettura, come sempre risponderò a tutte le recensioni in forma privata °W°
A settimana prossima!
Gio