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Autore: DaughterOfDawn    17/06/2011    6 recensioni
Ogni mille anni sulla terra compare un tipo particolare di anima per ottenere la quale sia i demoni che gli shinigami sono disposti a fare di tutto.
Kyler aveva una vita forse un po’ diversa da quella dei molti, ma comunque niente di particolare. Almeno fino a quando non si troverà coinvolto in una contesa tra la sua nuova guardia del corpo, un ragazzino dagli inquietanti occhi cremisi comparso dal nulla, e due tizi non meno strani, uno dai capelli rosso fuoco, scatenato e vestito quasi come una donna, l’altro moro, sempre gelido e controllato, che sembrano determinati a rapirlo. E la sua “guardia del corpo” sembra conoscere molto bene uno dei due, con il quale ha un certo conto in sospeso…
[Ambientata nei due anni che precedono l’inizio del manga. Possibile OOC (io ci provo a tenere i personaggi, ma non è detto che ci riesca!), shonen-ai (WillxGrell / OCxOC)].
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Grell Sutcliff, Nuovo personaggio, William T. Spears
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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CS - Chap 1
Ciao a tutti! Questa è la prima fic che scrivo su Kuroshitsuji e quindi spero davvero di non combinare un disastro! Questa storia è dedicata a una mia amica, doc11, ma soprattutto è un esperimento che mi ha permesso di inserire un personaggio che avevo sviluppato un po’ di tempo fa. Spero di non offendere inavvertitamente qualcuno con il contenuto di queste pagine…Ho sempre questo terrore quando posto qualcosa di nuovo!! ^^”

La storia è ambientata nei due anni che seguono l’incontro tra Sebastian e Ciel e che precedono l’inizio del manga. Ho dato per scontato che Grell stesse già lavorando per Madame Red in quel periodo, anche se non ne sono sicura…Tutti i personaggi a parte Grell e Will sono di mia invenzione. Questo primo capitolo serve a introdurre nella vicenda e a presentare i quattro personaggi principali.
Farò del mio meglio per tenere i personaggi, ma per piacere se vedete che la cosa non mi riesce, sarei felice se me lo faceste notare! Ripeto brevemente gli avvertimenti: questa storia contiene dello shonen-ai (WillxGrell, e forse anche una coppia OCxOC), potrebbe darsi che la sottoscritta vada OOC come si è detto, potrebbe anche darsi (molto improbabile) che ci sia qualche spoiler. Altra cosa, non sono molto sicura del titolo, quindi potrei anche decidere di cambiarlo!!

Perdonatemi se vi ho annoiati! Spero che possiate apprezzare il mio lavoro! I commenti e le critiche sono ben accetti, quindi fatemi avere il vostro parere se vi va! Sarebbe molto costruttivo per me.
Grazie mille a chi leggerà!
MysticAsters
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Una figura camminava lentamente tra le rocce dell’antro, schivando gli ostacoli con facilità, come se ne conoscesse ogni centimetro. Come sempre le torce dovevano essersi spente, di sicuro a causa di qualche combattimento violento che si era tenuto lì, e nessuno si era ovviamente premurato di riaccenderle, lasciando così la caverna immersa nell’oscurità più totale. Il silenzio era turbato solo dal gocciolare dell’acqua che cadeva in piccoli rivoli dalle immense stalattiti che ricoprivano l’alto soffitto, reso invisibile dal velo di buio che avvolgeva tutto lo spazio circostante. Sbuffò irritato. Possibile che non potesse concedersi mai neanche un attimo di pace? C’era sempre un motivo che lo costringeva ad abbandonare quello che stava facendo. Ma, d’altra parte, non poteva certo rifiutarsi di obbedire quando lui lo chiamava, soprattutto dopo quello che aveva combinato durante il suo ultimo viaggio. Era già tanto se al suo ritorno non era stato costretto a combattere per salvarsi la pelle. Aveva deciso di risparmiarlo solo perché lui era l’unico sempre disposto ad aiutarlo nei suoi piani, ad eseguire i suoi ordini, e quella scusa lo aveva tirato fuori dai guai molte volte. Troppe forse. Quindi non poteva permettersi di fare un altro passo falso. Soprattutto visto che l’unica persona che avrebbe potuto proteggerlo dall’ira del suo “datore di lavoro” al momento era lontana da lui e non sarebbe tornata molto presto. Accelerò il passo. Prima sentiva cosa voleva quello da lui, prima avrebbe potuto levarseli dai piedi e riprendere a programmare con calma il suo prossimo gioco.
Le sue pupille a mandorla si contrassero per mettere meglio a fuoco per le ombre. Bene, ora avrebbe scoperto il motivo della fretta del suo “superiore”. Quando fu più vicino si bloccò e chinò, seppure con riluttanza mal celata di proposito, il capo in segno di rispetto.
“Hai fatto presto. Molto bene. E così sei venuto davvero. Non avevo dubbi. D’altronde non avevi altra scelta, a meno che tu non fossi pronto a dire addio alla vita” lo accolse sarcastica l’ombra posta al centro. Sul volto delle altre tre comparve un ghigno divertito e i loro denti appuntiti brillarono nel buio minacciosi.
“Cosa posso fare per te questa volta?” domandò lui, senza badare alla presa in giro, incurante anche degli sguardi fissi su di lui, che non promettevano nulla di buono.
“Una missione molto delicata e seria. Devi recuperare un’anima e portarla da noi” fu la risposta.
“Un’anima?” ripeté lui, sorpreso. C’era solo un motivo perché lui potesse chiedergli una cosa del genere. Ed ecco spiegata l’urgenza con cui era stato chiamato. “Quel tipo di anima, vero?”.
“Esatto. Ne è nata un’altra e noi non vogliamo che la ottengano i nostri avversari. Non possiamo permetterlo, la scorsa volta se la sono presa con troppa facilità. Sai bene quanto sono preziose e soprattutto rare”.
“Era stato mandato un imbecille probabilmente. Dovreste imparare a scegliere meglio i vostri agenti” commentò lui con voce innocente che nascondeva però un tono decisamente sarcastico. “Davvero una perdita insanabile. Ne nasce una ogni mille anni, se non vado errato”.
“Vedo che te ne intendi. Quindi capirai anche perché sei stato scelto per questo compito. Non abbiamo intenzione di ripetere l’errore dell’altra volta, non sei d’accordo?”. La voce della figura si fece minacciosa anche se quella continuò a sorridere in modo inquietante. “Sei uno dei pochi che sa ambientarsi tra gli umani senza dare troppo nell’occhio e poi anche l’obiettivo è un moccioso come te. È la tua occasione per riscattarti. Fa’ quello che ti chiedo e potremmo dire che gli ultimi problemi che hai causato sono acqua passata”.
“Immagino di non avere altra scelta. Comunque stavo giusto pensando di farmi un giretto sulla terra” fece lui mentre un sorrisetto gli si allargava sul viso. “Potrei anche divertirmi”.
Gli occhi rossi del suo interlocutore lampeggiarono. “Attento, questa sarà la tua ultima possibilità. Prenditi gioco di me o tradisci i miei ordini di nuovo e per te non ci sarà scampo in nessun luogo. Nessuno potrà proteggerti da me, ricordatelo bene”.
“Ricevuto. Trova il bersaglio, togli di mezzo gli eventuali rompiscatole, prendi l’anima e rientra alla base. Niente di più semplice” sogghignò lui in apparenza per nulla spaventato dalla minaccia, anche se in realtà l’idea di dover combattere contro di lui lo impensieriva e non poco. E questa volta sarebbe stato da solo. “O almeno, facile per me, salvo imprevisti”.
“Sei stato avvertito” disse ancora l’ombra. “Ora va’ e vedi di non perdere tempo in cosa inutili come tuo solito. Sicuramente a quest’ora l’informazione sarà arrivata anche ai nostri avversari” ordinò la figura, quasi irritata dal suo comportamento così ostinatamente poco serio. Affidare una missione del genere a quel moccioso. Aveva un pessimo presentimento. Ma d’altra parte era uno dei migliori tra quelli disponibili al momento. E anche tra quelli che non lo erano.
Lui chinò nuovamente il capo. “Quell’anima è già qui”. Si voltò. “Ci sarà da divertirsi, poco ma sicuro” mormorò poi tra sé e sé allontanandosi. Chissà se il suo avversario sarebbe stato di nuovo quel tipo. In fondo di solito mandavano sempre lui quando la situazione era critica e vitale. Come in quel caso. Il ghigno sul suo volto si allargò. Ci sperava perché allora sì che la faccenda sarebbe stata davvero interessante.


William fissava con aria assorta il fascicolo che aveva appena finito di leggere e che ora giaceva aperto sulla sua scrivania di fronte a lui. Quella missione lo aveva preso davvero alla sprovvista, il che non era una cosa che capitava spesso. A quanto pareva sulla terra era comparsa un’altra di quelle anime e, com’era ovvio, il dipartimento voleva recuperarla a tutti i costi prima che lo facessero i demoni. E ovviamente per quella missione tanto delicata aveva scelto uno dei loro uomini migliori. Tutto come al solito. E infatti non era tanto la missione in sé ad impensierirlo. Ciò che lo preoccupava, o meglio, che lo irritava era il fatto che per compagno gli avessero affidato quell’imbecille di Grell Sutcliff che di sicuro avrebbe reso le cose molto più difficili, a partire dal non farsi scoprire dal loro avversario. Certo che chiunque avesse pensato di mandare lo shinigami rosso a compiere quella missione doveva essere un emerito imbecille, anche se ovviamente non glielo avrebbe mai detto in faccia: era una faccenda di primaria importanza, che richiedeva tatto, scrupolosa attenzione, serietà assoluta. Tutte doti che Sutcliff decisamente non possedeva.
Ma forse più della presenza di Grell lo turbava quello che quasi sicuramente sarebbe stato il demone con cui avrebbero dovuto scontrarsi. Abbassò lo sguardo sulla faccia purtroppo fin troppo nota che lo fissava divertita e strafottente dalla foto segnaletica della pagina del rapporto. Si fece scuro in volto e la sua mano corse istintivamente alla montatura degli occhiali. Quel mocciosetto infernale era una delle pochissime creature che potevano fargli perdere la calma. E di certo non poteva biasimarsi dopo quello che gli aveva combinato quel bastardo circa un secolo prima. Sospirò rassegnato. Avrebbe svolto quella missione come aveva fatto con tutte le altre, che ci fosse quel moccioso di mezzo o meno. E questa volta non gli avrebbe permesso di metterlo in ridicolo. In fondo se gli avevano affidato quel compito era perché i suoi superiori conoscevano bene le sue capacità. Anche se aveva il sospetto che qualcuno dei piani alti, per fargli uno scherzo a suo parere di pessimo gusto, avesse proposto lui proprio perché era coinvolto quel particolare demone. A quel pensiero fece una smorfia. E forse sapeva anche chi avrebbe potuto giocargli un tiro del genere.
Si alzò e prese la giacca. Per prima cosa doveva recuperare quell'idiota di Sutcliff che era sulla terra a fare quello che gli usciva meglio: combinare guai. Magari gliene avrebbe anche dette quattro già che c’era. Almeno avrebbe potuto sfogare il suo malumore su qualcuno. E Grell era la persona che più di tutte poteva offrirgli gratuitamente tutti i pretesti del mondo per raggiungere quello scopo.

Kyler guardava distrattamente fuori dalla finestra. Nella strada oltre il giardino la gente camminava in fretta, indaffarata. C’erano donne del popolo che trasportavano ceste con la biancheria da lavare, altre che tiravano per la mano i propri figli per evitare che si perdessero nella folla, nobildonne che passavano in carrozza con i loro mariti o che passeggiavano sui marciapiedi con le loro dame di compagnia, uomini che correvano verso il loro posto di lavoro o che si fermavano a parlottare tra loro agli angoli degli edifici, mocciosi di strada che giocavano rischiando spesso di venire investiti dalle vetture in corsa. Avrebbe tanto voluto essere là in mezzo a loro, a sporcarsi di fango e a strapparsi i vestiti, piuttosto che stare in quella sala linda e grande insieme al suo insegnante privato. Avrebbe tanto scambiato la noia con la fame, con il dolore fisico, con la fatica, perché la sua comoda vita lo stava conducendo pian piano alla disperazione più nera.
Da quando anche suo padre era morto, la sua vita sembrava aver perso significato. Sua madre era morta di parto ma lui non ne aveva sentito troppo la mancanza perché Victor Bysse, suo padre, aveva tentato di sostituirla in tutti i modi, crescendolo con tutto l’affetto che lui necessitava. L’aveva istruito personalmente, lasciandogli però la libertà di scegliere la strada che preferiva senza mai fargli mancare il suo appoggio e senza mettergli fretta o fargli pressione. Quindi la sua vita era trascorsa serena, tra gli agi seppure spartani che il lavoro di mercanti permetteva loro. Kyler imparava con rapidità tutto quello che gli veniva insegnato, con particolare predilezione per la letteratura. Era bravo a scrivere, veramente bravo, e l’alta società in cui era stato introdotto dagli amici di suo padre apprezzava molto i suoi lavori, per quanto strani fossero. Infatti la maggior parte dei suoi racconti trattavano di soprannaturale, in particolare di angeli e demoni per i quali il ragazzo aveva sviluppato una passione dopo aver letto le opere di Milton e l’Inferno di Dante. Inutile dire che suo padre era orgogliosissimo del suo successo e glielo dimostrava ogni volta che poteva.
Sebbene la sua famiglia fosse abbastanza ricca da permetterselo, non avevano mai comprato il titolo nobiliare: erano più che fieri delle loro origini borghesi. Victor compiva spesso viaggi per mare per curare in prima persona i suoi affari e stare accanto ai suoi lavoratori e collaboratori. Era un uomo solare, di anima decisamente popolare, e un idealista dell’uguaglianza sociale. Kyler era fiero di essere suo figlio e sosteneva gli ideali paterni con la stessa bruciante passione che metteva nei suoi scritti. Erano felici di quello che avevano, la loro vita sembrava, per quanto possibile, perfetta. Poi, proprio durante uno di quei viaggi di lavoro, era accaduto. La ciurma si era ammutinata e durante il tragitto suo padre era stato ucciso per aver tentato di difendere un mozzo che si rifiutava di tradire la parola data al capitano della nave. La notizia dell’ammutinamento era giunta in fretta e la marina inglese si era mossa velocemente, ma non abbastanza per salvare Victor.
La notizia gli era giunta in un pomeriggio di primavera come quello, due anni prima. Una giornata normale. Che si era tramutata in un Inferno. Dopo era successo tutto in fretta, troppo in fretta. Kyler era stato adottato da Sir Francis Barret, un conte amico di suo padre, la cui moglie non poteva avere figli e che per questo era stato assai felice di prendere con sé il figlio del suo carissimo amico defunto. Il nobile e sua moglie aveva tentato di non fargli mancare nulla, restituendogli addirittura la figura materna che gli era sempre mancata, ma la vita di Kyler era irrimediabilmente cambiata per sempre. Non solo aveva perso la persona che sosteneva la sua esistenza e le dava senso, ma con lui se n’erano andate anche la sua libertà di scelta e la sua felicità. Il conte lo aveva costretto a prendere lezioni da vari insegnanti privati che gli insegnavano tutto quello che un nobile doveva sapere, senza curarsi delle doti artistiche del ragazzo. Gli avevano impedito di continuare i suoi racconti assurdi e lo avevano indirizzato verso temi più classici, più convenienti al figlio adottivo di un conte. I suoi scritti piacevano ancora, più di prima forse, ma non soddisfacevano lui che ormai scriveva solo per far piacere al suo tutore. Inoltre il suo sogno di diventare uno scrittore errante era andato in frantumi quando gli avevano annunciato che era destinato a prendere il posto di presidente nell’attività commerciale del conte di Barret. Lui si era sottomesso con rassegnazione al suo destino deciso dagli altri senza consultarlo. Tanto la sua voglia di vivere davvero se n’era andata con suo padre. Era rimasto uno studente brillante, ma ormai non metteva passione in nessuna delle cose che apprendeva e che studiava. Lo faceva solo perché doveva. Se fosse dipeso da lui avrebbe preso la prima nave e sarebbe salpato verso una destinazione sconosciuta. Ma ovviamente non poteva. Era destinato ad altro. Gli avevano anche già trovato una fidanzata, una duchessa figlia di un importante latifondista, e presto avrebbe dovuto sposarla, anche se non aveva ancora diciassette anni. Lui l’aveva conosciuta. Era una brava ragazza, capiva la sua sofferenza, ma nonostante ciò lui non riusciva ad amarla. E non l’avrebbe mai fatto. Ma avrebbe seguito senza lamentarsi il corso determinato della sua inutile esistenza.
“Signorino? Mi sta ascoltando?”. La voce del maestro lo riportò al presente. “Qualcosa non va?”.
“No, è tutto ok, vada pure avanti. Mi perdoni, mi ero incantato”rispose il ragazzo, tornando a volgere i suoi occhi verso l’uomo. Le sue iridi avevano un colore davvero insolito: erano di un viola intenso, striate di verde. I diversi esperti che lo avevano esaminato avevano affermato di non aver mai visto occhi del genere. Lui comunque non presentava nessun problema di vista e la colpa era stata data a qualche malformazione genetica innocua. Meglio così. Perché andava fiero dei suoi occhi. Lo distinguevano dagli altri. E lo etichettavano come figlio di suo padre.
“Signorino, non dovrebbe dare del “lei” ai servitori, quante volte glielo devo ripetere?”gli fece notare paziente l’insegnate.
“Non mi interessa. Lei è una persona ed è più grande di me. Quindi io le devo portare rispetto. Non importa la classe sociale. Mio padre ha dato la vita per un mozzo. E io, suo figlio, non ho intenzione di mancare la base del rispetto civile verso le persone che mi circondano”fu la risposta convinta.
Il maestro sospirò, sconfitto, e riprese la lezione. Quel ragazzo sapeva essere testardo. Non dava problemi a nessuno però su quelle piccole cose era irremovibile. In un certo senso era contento. Non erano tanti i nobili rampolli che ti trattavano da persona e non come se fossi una bestia.
Terminati i corsi per quel giorno, Kyler scese la scalinata diretto al portone di uscita dove sicuramente lo stava aspettando il maggiordomo del suo tutore per riaccompagnarlo alla villa di campagna. Il conte infatti era con la moglie in viaggio per affari in Francia e aveva dato ordine che il figlio adottivo abitasse nel villino lontano dalla città, per sicurezza. Londra era una capitale caotica, dove la malavita prosperava anche in pieno giorno, e quindi il nobile non aveva nessuna intenzione di lasciare il suo erede così esposto ai pericoli. Kyler, da parte sua, aveva come sempre accettato quella scelta passivamente, anche se era contrario. A lui Londra piaceva, anche con tutto il suo rumore e la sua confusione, perché gli dava quell’idea di vitalità che mancava del tutto nella tranquillità monotona della villa. Aveva ottenuto però dai genitori adottivi di poter continuare a compiere i suoi studi in città, risparmiando così lunghi e scomodi viaggi ai suoi maestri e ottenendo anche di poter passare qualche ora a pochi passi dalla vita vivace della capitale.
Percorse il vialetto che attraversava il giardino con la cartella contenente i suoi libri a tracolla. Si era rifiutato di farla portare al servo che in quel momento gli si indaffarava intorno, sistemandogli i vestiti e cercando di convincerlo che non era decoroso che un conte portasse da sé il proprio bagaglio. Ma lui lo ignorò ostinatamente per tutto il tragitto e, una volta giunto al cancello, congedò gentilmente l’uomo che, rassegnandosi come il maestro ai desideri e al comportamento anticonvenzionale del suo signorino, si inchinò lievemente e rientrò in casa.
Il ragazzo si prese un attimo per respirare ed assorbire i rumori che gli giungevano dalla strada prima di spalancare il cancello. Ma prima che potesse muovere anche un solo passo fuori dalla recinzione un braccio gli sbarrò la strada, costringendolo a bloccarsi. Kyler, preso alla sprovvista, alzò i suoi occhi viola che ne incontrarono un paio cremisi con la pupilla stranamente a mandorla. Davanti a lui si era parato un ragazzo che non poteva avere più anni di lui, vestito con una divisa che ricordava vagamente quella dei soldati semplici dell’esercito, ma priva di contrassegni e completamente nera, e con ai piedi degli stivali stringati con la suola spessa. Aveva i lineamenti affilati, quasi felini, ma al tempo stesso sinuosi, e sulla pelle candida del viso gli ricadevano ciuffi disordinati di capelli blu elettrico. I suoi denti erano vagamente appuntiti. Lo sconosciuto gli sorrideva divertito e il suo sguardo rosso sangue era fisso su di lui, ipnotico.
“Kyler Bysse, figlio adottivo del conte Barret, immagino”disse con sicurezza lo sconosciuto senza smettere di sorridere in quel modo inquietante.
Kyler annuì, sempre più sorpreso. Chi diamine era quel tizio? E come faceva a conoscerlo?! Sperò che non fosse uno di quei malavitosi da cui il suo tutore voleva proteggerlo. “Sono io. E tu saresti?”rispose cercando di mostrarsi calmo anche se l’ansia aveva iniziato a salirgli.
“Sono la sua nuova guardia del corpo, signorino. Il suo tutore ha scritto una lettera all’agenzia per cui lavoro per richiedere qualcuno che la proteggesse ventiquattr’ore su ventiquattro”spiegò lo sconosciuto mostrandogli una lettera in apparenza comparsa dal nulla. “In fondo, nella sua situazione, è normale che il signor conte voglia i migliori per proteggerla”.
Il ragazzo esaminò la lettera con attenzione, sospettoso. Sembrava proprio la calligrafia del conte ed era rivolta al capo di un’impresa che non aveva mai sentito nominare. Probabilmente era una di quelle agenzie segrete di cui i nobili si servivano per curare la parte losca dei loro affari. Nello scritto si accennava a un probabile attentato alla sua vita che sarebbe dovuto accadere nei giorni seguenti, ma non si diceva nulla su chi avrebbe dovuto compierlo e perché e si richiedeva immediatamente l’uomo migliore di cui l’agenzia disponeva. Però nella lettera c’erano dei riferimenti a una corrispondenza precedente dove il conte aveva sicuramente dato al capo dell’organizzazione tutte le informazioni necessarie. Comunque, lui potè constatare che la firma era autentica e quindi decise che poteva rischiare di fidarsi. Alzò lo sguardo sul suo interlocutore e gli rese il foglio. “Un attentato alla mia vita? Che significa?”chiese cercando di mostrarsi calmo, anche se in realtà tutta quella faccenda lo innervosiva e non poco.
“Il suo tutore non le aveva detto nulla?”chiese l’altro, in apparenza sorpreso. “Probabilmente non voleva impensierirla prima di aver compiuto le opportune indagini. Ma ormai è certo. Stanno venendo a prenderla. Anzi, potrebbero essere già qui a guardarci”. I suoi occhi lampeggiarono pericolosamente. “Ma non si deve preoccupare, io sono qui per proteggerla. E quando ci sono io non muore nessuno se non chi voglio che muoia”.
Kyler annuì incerto, per nulla rassicurato da quelle parole. E se quel tizio fosse stato uno dei criminali che lo cercavano, che aveva preso il posto della sua vera guardia del corpo per arrivare a lui? Poteva davvero fidarsi? Insomma, era giovane per essere l’uomo migliore di quel tipo di agenzie. Troppo giovane. E poi il suo aspetto e il suo sguardo in particolare erano inquietanti. Se mai avesse dovuto scrivere di un demone in forma umana, l’avrebbe descritto esattamente come si presentava lo sconosciuto. A quel pensiero rabbrividì. Possibile che quello strano ragazzo fosse davvero una di quelle creature infernali che popolavano la sua fantasia? Quasi a rispondergli quello gli rivolse un altro dei suoi sorrisetti che però era molto più simile ad un ghigno soddisfatto, mentre nei suoi occhi cremisi si accendeva un altro lampo. Il ragazzo ebbe la sgradevole impressione che quell’essere, qualunque cosa fosse, potesse leggergli nella mente e la cosa lo inquietò ancora di più. Doveva prendere una decisione. “Va bene, mi fido della tua parola e verrò con te”mormorò con voce incerta dopo qualche attimo di silenzio.
Il sorriso parve allargarsi sul volto della creatura. “Bene, signorino. Se vuole seguirmi…La carrozza ci aspetta più avanti in un vicolo laterale. Ho preferito non farla venire qui, sarebbe stata un bersaglio troppo facile”disse voltandosi.
“Aspetta un attimo prima di andare!”lo bloccò il ragazzo. “Visto che dovremmo passare ogni minuto del nostro tempo insieme da adesso a non si sa bene quando, posso almeno sapere il tuo nome? Voglio sapere a chi sto affidando la mia vita”.
Il demone lo fissò serio. Quel ragazzino non si prospettava niente male come compagno di avventure dopo tutto. Era rimasto quasi calmo anche se aveva appena scoperto che c'era qualcuno che voleva la sua vita. Inoltre aveva scelto di fidarsi di uno sconosciuto, ma non l'aveva fatto ingenuamente bensì solo dopo aver esaminato le prove che potevano dimostrare che poteva dargli fiducia. Peccato che in realtà fossero false. Ma questo ovviamente quell'umano non poteva saperlo. Così come non poteva sapere che chi gli stava dando la caccia erano demoni e shinigami che volevano molto di più della sua vita. Iniziava a piacergli quella missione. Magari dopo avergli preso l’anima avrebbe potuto tenerlo con sé. “Il mio nome? Puoi chiamarmi Zachary”fece con calma. Un nuovo ghigno gli illuminò il volto. Avrebbe potuto usare quel nome, tanto, visto il loro legame, era più che legittimo. “Zachary Michealis”.
  
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