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Autore: Graine    19/06/2011    5 recensioni
Sulle righe di una delle fiabe della nostra infanzia, vi presento Emily, una giovane ragazza con un segreto, un dono che se svelato potrebbe costarle la vita; e Adam, lo Spirito dei sogni - come lo chiama lei - con lo strano tatuaggio di una rosa sul volto, che viene a farle visita nel mondo onirico ogni anno la notte del suo compleanno, da quando lei aveva cinque anni. C'è qualcosa di reale, in quei sogni? Oppure è tutto solo frutto dell'immaginazione di Emily? Che cosa accadrà quando nei giorni della Festa d'inverno celebrata ogni anno al villaggio, Emily riceverà le prime risposte?
Be', da quel momento la sua vita cambierà per sempre.
*IL CAPITOLO 3 è SOLO UN AVVISO INERENTE I FUTURI AGGIORNAMENTI E LE MODIFICHE CHE SUBIRANNO I PRIMI DUE GIà POSTATI*
Genere: Fantasy, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Come una rosa

 

Capitolo 1

 
Pioveva, quella notte.
Aveva iniziato a cadere una pioggerella leggera già nel pomeriggio e col calare della sera era aumentata, arrivando a scrosciare con violenza contro le mura di pietra delle case del villaggio ad ogni furiosa folata di quel vento che si era alzato all'improvviso, dopo che il sole era tramontato e una fredda oscurità aveva appena iniziato ad inglobare la valle alle pendici del Monte Shadow-Caster. Ed era stata un'oscurità cupa, a causa delle nuvole che celavano il plenilunio e il chiarore del cielo stellato all'occhio umano.
L'inverno era sempre freddo in quella regione, eppure ogni anno che passava sembrava farsi ancora più rigido, vanificando, puntualmente, qualunque sforzo per riscaldarsi da quel freddo pungente come la lama di un coltello che entrava fin nelle ossa, tanto che nemmeno la lana degli abiti o delle coperte riusciva a combatterlo.
Emily pensava a questo, mentre si sfregava le mani e poi allungava i palmi verso il fuoco del camino, con la fronte aggrottata e lo sguardo sconsolato rivolto alla finestra sui cui vetri la pioggia si abbatteva con sferzate aggressive. La furia del vento era resa ancora più fastidiosa dai continui spifferi che penetravano, fischiando, dagli infissi un po' sconnessi della casa. Sbuffò e rabbrividì, stringendosi ancora di più nella coperta; non perché avesse avvertito davvero uno di quei soffi gelidi colpirla, ma perché consapevole che, soprattutto con quel tempo, il camino fosse l'unico punto della stanza in cui si potesse trovare un po' di tepore e che quel benessere sarebbe svanito all'istante, nel momento in cui se ne fosse allontanata per andare a letto. Era questo il motivo per cui era ancora sveglia, a quell'ora di notte, attardandosi davanti al bagliore rosso delle fiamme crepitanti.
La porta si aprì e sua madre entrò nella stanza, in silenzio, reggendo un lumino nella mano e delle coperte arrotolate fra le braccia. Probabilmente era venuta e portarle ad Emily e Annabelle nel tentativo di ripararle dal freddo dell'ennesima tempesta invernale che si era abbattuta sulla valle, convinta di trovarle entrambe addormentate.
La donna sussultò appena, sorpresa, quando vide la figlia maggiore accovacciata sul tappeto di fronte al caminetto ancora acceso.
<< Tesoro, che ci fai ancora sveglia? E' tardi, dovresti dormire >>, le bisbigliò con tono affettuoso, posando poi il lumino sulla cassettiera accanto alla porta.
Emily si strinse di nuovo nella pesante coperta, << Fa freddo >>, rispose semplicemente, senza distogliere lo sguardo dagli scrosci d'acqua che colpivano la finestra. << Lo so, tesoro, ma non puoi stare tutta la notte vicino al fuoco. Hai bisogno di dormire >> le disse la donna.
La ragazzina spostò finalmente gli occhi su sua madre, osservandola mentre stendeva una delle due coperte che aveva portato su Annabelle, che intanto dormiva beata, rannicchiata nel letto. Come ci riuscisse rimaneva un mistero, per Emily, la quale tollerava davvero poco il freddo, tanto da avere quasi costantemente mani e piedi ghiacciati e da non riuscire spesso a dormire, a causa di ciò. Era stato proprio per questo motivo che Annabelle aveva avuto l'idea di unire i loro due letti, così da potersi riscaldare a vicenda, grazie alla vicinanza.
Sua madre si chinò a posare un bacio sulla fronte della figlia più piccola che dormiva serena ed Emily le osservò entrambe attentamente, poggiando le testa di lato sulle ginocchia raccolte al petto e circondate dalle braccia esili, gli occhi colmi di affetto e un sorriso a dipingerle le labbra.
Seguì con lo sguardo il profilo del corpo di sua madre avvolto nella camicia da notte bianca, lo scialle di lana verde che portava sempre, in quel momento scivolato sulla schiena, e i piedi scalzi perché – ne era certa – la donna doveva essersi alzata dal letto apposta per portare quelle coperte in più alle sue bambine e ripararle dal gelo di quella nottata, incurante del freddo che lei stessa avrebbe sentito non coprendosi a sufficienza. In fine, i lunghi boccoli biondi raccolti di lato in una treccia disordinata – quei boccoli biondi identici a quelli di Annabelle, quei boccoli che Emily invidiava loro ogni volta che doveva combattere coi propri capelli, privi di forma perché né ricci né lisci.
Osservò con attenzione il volto di sua madre, mentre fissava Annabelle e le carezzava una guancia liscia, con delicatezza per non svegliarla – timore superfluo, commentò Emily fra sé, considerando la capacità della sua sorellina di dormire ovunque e in qualunque condizione.
Eireen Wright, moglie di Gregory Wright e madre di due bambine, si era sposata a vent'anni col giovane di cui era innamorata e, dopo un anno di matrimonio, era rimasta finalmente incinta della sua primogenita, coronando così il desiderio di diventare madre. Circa due anni e tre mesi dopo la nascita di Emily, sarebbe arrivata la piccola Annabelle.
Coi suoi trentacinque anni e non più l'aspetto della ragazzina ingenua e sognatrice che era stata, Eireen era ancora considerata una delle donne più belle dei dodici villaggi principali della regione. La sua era un'avvenenza naturale, priva di qualunque artifizio; un'avvenenza delicata che stupiva e affascinava chiunque la incontrasse per quel corpo asciutto ma dalla curve floride e il portamento di un'eleganza innata; per quella pelle così chiara, le bionde sopracciglia inarcate sempre da quell'espressione pregna di una gioia di vivere che portava dipinta sul viso, indiscutibile ritratto di bontà e dolcezza. Un'avvenenza che le sue figlie promettevano di aver ereditato, soprattutto la più piccola.
Emily sperava spesso di poter diventare come sua madre, quando fosse stata più grande. Sperava che, un giorno, avrebbe avuto la sua stessa delicatezza e al contempo fermezza nei gesti, quel modo di fare che trasmetteva una sicurezza immediata, che donava un istintivo senso di protezione. Che faceva sentire al sicuro. Sperava di poter sviluppare quella capacità di vedere i problemi per quello che erano e di saperli affrontare con una lucidità disarmante, fino a farli sembrare semplici inezie di poco conto, proprio come faceva Eireen.
Erano quelle, le caratteristiche che sperava di aver preso dalla madre più che l'aspetto fisico in sé, in quanto, da quel punto di vista, Emily aveva senz'altro preso molto più da suo padre: aveva ereditato la stessa carnagione olivastra che non si scottava facilmente al sole, gambe lunghe e veloci e la morbida chioma di capelli castani. E aveva, inoltre, ereditato lo stesso carattere energico ed impulsivo che la portava a cacciarsi spesso nei guai, litigando con alcuni degli altri bambini del villaggio o accettando le sfide lanciate per gioco che li portavano ad avventurarsi da soli nel bosco che circondava la valle, dove non avrebbero dovuto recarsi senza la presenza dei genitori.
Gli occhi, però – quegli occhi verdi, brillanti e sfrontati, quegli occhi curiosi e limpidi, profondi, che le erano valsi il nomignolo di Pixie, folletto, quando ancora era in fasce –... quegli occhi erano esattamente come quelli della madre.
Eireen si avvicinò ad Emily e si chinò alla sua altezza, piegandosi sulle ginocchia. << Che ne dici di andare a letto? >> Le chiese spostandole una ciocca castana dietro l'orecchio e lasciandole poi una carezza sul viso. <>, continuò.
<< Non possiamo tenere il camino acceso? >>
Eireen sorrise, << No, lo sai che è pericoloso >>. Ed Emily sbuffò, tornando a fissare le fiamme. << Papà non è ancora tornato? >>
<< No, non ancora. Ma domani mattina sarà qui, vedrai. Ti farà gli auguri prima di andare alla bottega, come sempre, non preoccuparti. Lo sai che ci tiene >>. Certo che lo sapeva, suo padre non sarebbe mai mancato da casa il giorno del suo compleanno, né per quello di Annabelle o di sua madre. In realtà, Emily stava solo temporeggiando per poter stare ancora qualche minuto accanto al fuoco e godere del calore che emanava.
<< Emily >> la chiamò Eireen. La giovane sbuffò ma continuò ostinatamente a fissare quelle lingue rosse.
<< E va bene, vedo che non mi lasci altra scelta >> affermò quindi la donna, con una nota ilare ma minacciosa al contempo nella voce; l'attimo dopo, Emily si ritrovò a contorcersi cercando di reprimere le risate per non svegliare la sorella, mentre la madre le faceva il solletico. << D'accordo, d'accordo! Basta, ti prego, – la supplicò ridendo – vado a letto! >>.
<< Finalmente! Con te si deve sempre arrivare alle maniere forti >> scherzò Eireen, aiutandola ad alzarsi e lasciandole un bacio fra i capelli.
Emily sbuffò di nuovo, fingendosi contrariata, mentre si toglieva di dosso la pesante coperta di lana e, rabbrividendo, si cacciava in fretta sotto le coperte tirandosele fin sugli occhi. << Bari sempre >>, l'accusò.
Eireen, nel frattempo, era intenta a spegnere il fuoco del camino allontanando le braci con l'attizzatoio, in modo che le fiamme  si consumassero più in fretta.
<< Ovvio che baro. Sono una madre e, in quanto tale, posso farlo >> le rispose con ovvietà, tornando poi verso il letto nella poca penombra che le ultime fiammelle davano ancora.
<< Tiranna >> ridacchiò Emily.
<< Shh. Ora dormi e non svegliare Anna >>. Le depositò un bacio in fronte e le stese le altre due coperte addosso, ben consapevole di quanto sua figlia più grande fosse freddolosa. Poi si diresse alla porta, recuperando il lumicino che aveva lasciato sopra la cassettiera e fermandosi un istante davanti alla soglia, con la luce della cucina che le illuminava da dietro i capelli biondi.
<< Ah, Emily? >>, la chiamò.
<< Sì, mamma? >>
<< Ormai è passata la mezzanotte: buon compleanno, amore mio >> e sparì, chiudendosi silenziosamente la porta alle spalle e portandosi quell'ultima fonte di luce via con sé.
Circa mezz'ora dopo, nell'oscurità della stanza, Emily tentava di addormentarsi ma senza successo.
Si rigirava nel letto e agitava i piedi, tentando di riscaldare il lenzuolo gelido. Sbuffando ripetutamente.
Intanto, fuori né il vento né la pioggia sembravano voler concedere tregua alla notte. Anzi, pareva addirittura che, se possibile, avessero aumentato la loro violenza, quasi gli agenti atmosferici avessero voluto farle uno scherzo di cattivo gusto e si stessero burlando di lei.
Lanciò più volte occhiate incerte verso Annabelle, che continuava – ostinatamente – a dormire come nulla fosse, e domandandosi per l'ennesima volta come ci riuscisse, mentre fuori imperversava una bufera di quel genere; e invidiandola un po', come sempre in quelle occasioni.
Pensò a suo padre. Si domandò dove fosse, se si trovava sulla via del ritorno sotto la pioggia proprio in quel momento. Sperò avesse trovato riparo da qualche parte, magari nella casa di una delle tante famiglie che abitavano poco fuori dal centro abitato, sulle vie commerciali principali, e che conoscevano bene Gregory Wright, il mercante che passava per quelle vie frequentemente, durante l'anno, spostandosi per almeno tre settimane al mese per tutta la regione, di villaggio in villaggio, col suo carro, durante la primavera e l'estate, e che si recava in quelli più vicini almeno due volte ogni mese nella stagione invernale.
In quel momento, distesa nel letto a combattere contro l'insonnia che il freddo e il brutto tempo le procuravano, sua figlia maggiore sperò ardentemente avesse trovato accoglienza e riparo prima che la bufera scoppiasse con quella furia tremenda.
Poi un rumore: il tonfo di qualcosa che, all'esterno, era caduto al suolo rimbalzando e rotolando per qualche metro – un secchio lasciato fuori nella bufera d'acqua che infuriava, probabilmente –, e l'ennesimo ululo minaccioso del vento, reso sempre più molesto dai continui fischi acuti e lamentosi degli spifferi che entravano dagli infissi della finestra, ed Emily sussultò, dandosi subito dopo della stupida. Sbuffò indispettita rigirandosi fra le lenzuola per l'ennesima volta. Detestava il vento. Soprattutto, detestava il vento di notte, con la camera al buio – quel buio che sembrava il rifugio ideale d'innumerevoli creature mostruose.
Sapeva bene che, in realtà, non ci fosse proprio nulla nella stanza di cui temere; ormai era grande – quella era la notte del suo quattordicesimo compleanno –, non era più una bambina. Aveva superato da tempo la paura dell'oscurità – l'aveva superata anche un po' per forza di cose, dopo tutte le volte che l'avevano sfidata, quando era più piccola, ad attraversare un tratto del bosco da sola e nel buio più totale, in quelle notti d'estate in cui i bambini del villaggio sgattaiolavano fuori dalle case per sfidarsi a vicenda e mettere alla prova il proprio coraggio; gareggiando contro le proprie paure.
No, non era il buio in sé a farle paura. Era l'ululare continuo e frenetico del vento che la faceva sentire inquieta e la portava a temere anche dell'oscurità ovattata della sua stanza.
Odiava il vento poiché il suo suono le faceva sempre venire in mente l'inquietante grido delle Banshee: gli spiriti urlanti dalle fattezze di donne che vagavano, piangendo e singhiozzando, per le brughiere e le campagne della lontana terra d'Irlanda, nel cuore della notte, e il cui pianto presagiva la morte di un familiare a colore che l'udivano; quegli spiriti di morte che si attardavano fuori dalle finestre dei malati, attendendo che essi li raggiungessero e diffondendo, spesso, una musica melodiosa nell'aria per rendere il loro trapasso più piacevole e, al contempo, avvisare così i parenti di quanto sarebbe accaduto a breve. Emily aveva letto di loro una volta, in uno dei tanti libri che i suoi genitori le regalavano ogni volta che potevano – quei libri che divorava avidamente, giorno dopo giorno, fin da quando sua madre le aveva insegnato a leggere e che, ancor prima, le aveva letto lei ogni sera, per farla addormentare col suono della sua voce dolce e rassicurante nelle orecchie e le immagini di terre e mondi lontani dietro le palpebre chiuse. Terre e mondi lontani che popolavano di continuo i suoi sogni.
Fu concentrandosi su quei luoghi tanto distanti da lei e sulle leggende che tramandavano – posti che anelava di poter visitare un giorno –, e su quei mondi fantastici che avevano alimentato le sue fantasie di bambina, che finalmente si addormentò. Riuscendo ad escludere il rombo continuo del vento e accoccolandosi in un bozzolo di calore in cui il torpore del sonno l'accolse con gioia.
La sua mente vagò lieta e serena per le dune del Sahara, tra i boschi irlandesi e i fiordi norvegesi; penetrò nelle terre del mondo dei Fairy – in cui ormai si sentiva come a casa per tutte le volte che le aveva sognate da bambina –, danzando con la loro sovrana e festeggiando col Piccolo Popolo il sorgere del sole e della luna.
Nei suoi sogni, Emily poteva viaggiare e andare in tutti quei posti che aveva sempre desiderato vedere e vivere direttamente. Erano solo immagini prodotte dalla sua mente, nulla era reale, ma per lei erano preziose come il più ricco dei tesori.
Nulla era reale... O forse no.
Perché fu proprio mentre era immersa in uno di quegli scenari onirici che accadde, puntuale come ogni anno.
Da principio, intravide la sua sagoma da lontano e l'attimo dopo era già sparito.
Dove guardi, Emily?
La sua voce le giunse all'orecchio trasportata dalla brezza, canzonandola bonariamente. Lei si guardò attorno, cercandolo ma senza ancora riuscire a scorgerlo, finché le sue parole la raggiunsero di nuovo, sempre con quel tono allegro e ilare e seguite, un istante dopo, dalla sua risata argentina: Non ci siamo proprio, Emily – le disse – Diventi ogni anno più lenta, lo sai? Da questa parte!
E finalmente, voltandosi di scatto alla sua destra, lo vide: se ne stava placidamente seduto sul grosso masso al centro del prato verde del suo sogno, a una decina di metri da lei, un ginocchio alzato e il braccio poggiato sopra di esso mentre l'altra gamba penzolava mollemente dal margine del masso. Il perfetto ritratto di una rilassata sfrontatezza ma anche della più completa serenità. E le sorrideva, con quel sorriso caldo e aperto che le riservava ogni volta, fissandola con la solita espressione arrogante e divertita.
Emily adorava il suo sorriso. Ne era rimasta incantata sin dalla prima volta che lo aveva visto, parecchi anni prima, quando lui le era giunto in sogno per la prima volta che lei era ancora una bambina di soli cinque anni. Lo adorava perché era un sorriso sincero, il sorriso che si riserva al più caro degli amici; uno di quei sorrisi pieni che coinvolgono anche gli occhi e che riempie il cuore di colui a cui viene rivolto. In effetti, in lui il sorriso nasceva proprio dagli occhi ed Emily fu rapita e ammaliata per alcuni lunghi secondi da quelle pozze castano scuro, come ogni volta. Erano occhi tremendamente magnetici, quelli; quando li fissava aveva la sensazione di potervisi perdere, per quanto erano profondi. Quelle due iridi scure la conoscevano probabilmente meglio di quanto si conoscesse lei stessa. Era strano, eppure erano sempre riuscite a leggerle dentro. Ogni volta che lo incontrava, lui sapeva sempre tutto, perennemente consapevole e al corrente di ciò che la turbasse o rendesse felice o, semplicemente, le passasse per la testa. Anticipava i suoi pensieri, finiva le sue frasi... A volte chiacchieravano proprio di quello che lei pensava; lui tirava fuori un argomento, già inspiegabilmente a conoscenza di cosa o come lei la pensasse a riguardo e la riempiva di domande, proponendole scenari ipotetici, mettendola alla prova, bevendo le risposte che lei gli dava, a volte sorpreso e scuotendo la testa, a volte con uno strano sorrisetto sulle labbra, quasi fosse compiaciuto di ciò che le sentiva dire.
Era sempre stato così, tra di loro.
Il ricordo della prima volta che lo aveva visto, la prima volta che lui le era apparso in sogno, esattamente nove anni prima, era impresso a fuoco nella sua mente: immersa nei suoi sogni di bambina, rincorreva uno scoiattolo che avrebbe dovuta condurla alla corte della Regina delle Fate quando, ad un certo punto, aveva sentito come una presenza, la sensazione di essere osservata. Si era voltata e aveva visto un uomo, con uno strano segno nero sulla parte destra del volto, fissarla da lontano.
Era stato solo un istante e subito dopo era sparito; quando si era voltata, cercandolo, aveva visto un bambino più o meno della sua stessa età scrutarla, con quei grandi occhi scuri e profondi, dai rami non troppo alti di un albero quasi di fronte a lei ed era stato in quel momento che era riuscita a distinguere con più chiarezza come il segno nero che prima aveva appena intravisto non fosse una macchia indistinta ma, bensì, il tatuaggio di una rosa, raffigurata solo con dei contorni neri non troppo spessi, che occupava la zona della tempia destra e dello zigomo compresa parte della palpebra e che continuava, poi, lungo tutto il profilo della guancia, seguendo i contorni del disegno dello stelo, per terminare nel lembo di pelle del collo vicino all'orecchio, appena sotto la mascella.
Era stata la notte del suo quinto compleanno e, da allora, lui era tornato ogni anno nei suoi sogni in quella stessa data.
Non le era sfuggito, però, un particolare in tutte quelle visite oniriche: ogni volta, lui sembrava essere sempre più grande di un anno rispetto all'ultima - nell'altezza, nella muscolatura, nei tratti del viso che perdevano poco a poco ogni fattezza infantile, perfino nella voce –, come se crescesse anche lui, proprio come lei – proprio come se crescesse insieme a lei.
Non la sorprese, quindi, constatare che adesso aveva esattamente l'aspetto di un quattordicenne.
Emily si concesse pochi secondi a fissare i suoi occhi scuri, prima di ricambiare felice il sorriso che lui le rivolgeva e corrergli incontro.
<< Sei in ritardo >> lo accusò scherzando.
<< Non ti decidevi ad addormentarti >> ribatté quello, i capelli scuri mossi appena dalla brezza lieve.
<< Non è colpa mia, prova tu a dormire con questo freddo! >>. Lui rise per quella lamentela, inarcando le sopracciglia come faceva sempre e diffondendo nell'aria l'eco della sua allegria. << Tu e la tua scarsa sopportazione del freddo >> commentò scuotendo il capo.
<< Dì pure inesistente! >>.
Era bello poter scherzare con lui, lo era sempre stato. Emily non era mai stata certa che lui fosse reale, non aveva la certezza che ciò che viveva ogni volta non fosse semplicemente parto della propria immaginazione ma non aveva nemmeno le prove del contrario così, negli anni, aveva preferito credere che lui venisse davvero a farle visita. Per questo motivo aspettava sempre con impazienza la notte del suo compleanno, l'unica occasione all'anno che avesse per vederlo. C'era qualcosa, in lui, che l'affascinava; lo aveva sempre fatto. Era come avvolto da un'ammaliante aura di magia che Emily non era mai riuscita a spiegarsi ma che l'aveva sempre affascinata e incuriosita tremendamente.
E il modo in cui si muoveva... Fin da bambino aveva sempre avuto una gestualità e delle movenze particolari, eleganti, quasi aristocratiche eppure mai forzate; ogni gesto, ogni movimento aveva una fluidità da togliere il fiato eppure era compiuto con la più completa naturalezza. Per questo motivo, quando era più piccola, aveva ipotizzato potesse trattarsi di un membro del popolo fatato. Aveva anche cominciato a pensarlo come lo Spirito dei sogni e lui era sembrato divertito da quel nomignolo; gli era piaciuto. Non l'aveva canzonata per quell'associazione infantile, al contrario ne era rimasto colpito, come sempre da ciò che faceva o diceva, o pensava lei. E quell'ipotesi veniva quasi automaticamente avvalorata ogni volta che lui le appariva improvvisamente vicino, muovendosi senza che lei se ne accorgesse. Un istante era seduto sul ramo alto di un albero e quello dopo se lo ritrovava alle spalle o accanto.
Certo, il suo aspetto non coincideva con nessuna delle descrizioni di fate ed elfi che Emily aveva letto nei suoi libri di leggende; non aveva la pelle chiara, né i capelli biondi o rossi o, benché meno, gli occhi chiari. La sua pelle era olivastra, appena abbronzata, e i capelli, che portava lunghi fino a poco sopra le spalle e che gli cadevano sulla fronte, quei capelli sempre perennemente spettinati, erano di un castano intenso appena di un tono più chiaro del nero.
Una volta, quando aveva dieci anni, glielo aveva chiesto.
Lui l'aveva chiamata Pixie, usando il nomignolo che suo padre le aveva dato che ancora gattonava – e che, crescendo, non l'aveva abbandonata perché quasi tutti al villaggio, ormai, la chiamavano in quel modo – e lei era scoppiata a ridere.
<< E' buffo che proprio tu mi chiami così >> gli aveva detto e lui l'aveva fissata un secondo, non capendo. << Perché? >>
<< Beh, perché tu per primo sembri uscito da un racconto di fate e folletti >>. E avevano riso insieme, dopo quella risposta. Ma Emily ne aveva approfittato, mossa dalla curiosità non aveva desistito: << Chi sei, in realtà? >> aveva domandato quindi.
Lui le aveva sorriso di nuovo, << Chiunque tu vuoi che io sia >> aveva detto con ovvietà, ma lei non vi era cascata. Non si era fatta incantare dal tono suadente della sua voce.
<< Dico sul serio. Da dove vieni? Come fai a venire nei miei sogni e perché sempre nella stessa notte? Chi sei, in realtà? >>
<< Sai benissimo chi sono, Emily: il tuo Spirito dei sogni >> ed era sembrato voler chiudere lì il discorso ma poi l'espressione improvvisamente imbronciata che aveva visto comparirle in volto gli aveva fatto cambiare idea, spingendolo a rivelarle qualcosa in più: << Mangio e dormo come tutte le persone normali, se è questo che vuoi sapere. Ho anche io una casa in cui vivo, non molto lontano da qui a dire la verità, e trascorro il mio tempo come chiunque altro. Non sono un sogno e non sono una creatura fantastica >> aveva risposto sincero. Forse per la prima volta, parlando di sé.
<< Non hai ancora risposto a tutte le domande >> aveva però insistito Emily, facendolo sorridere e scuotere il capo.
<< Sapevo che prima o poi avresti voluto sapere. Non sono poi così diverso da te, in realtà, Emily. Vengo nei tuoi sogni perché posso farlo e perché mi piace; all'inizio lo facevo perché m'incuriosivi >> le aveva detto e, per l'ennesima volta in quegli anni, lei aveva costatato come il suo aspetto potesse anche essere quello di un bambino, ma il suo modo di parlare era senza dubbio quello di un adulto.
<< M'incuriosiva la tua mente e il fatto che fossi simile a me >> Aveva ripreso dopo qualche secondo, fissandola negli occhi e piegando di lato il capo, come per scrutarla meglio << Sei la prima persona che incontro dopo tanto tempo con un dono uguale al mio >>.
E a quell'affermazione, il cuore di Emily aveva perso un battito e lei era sbiancata. << Dono? Di che stai parlando? >> aveva cercato di fingere, dimentica per un istante del fatto che lui le leggesse dentro.
<< Parlo del modo in cui stamattina sapevi che tua madre voleva che andassi a prendere l'acqua al pozzo senza che te lo avesse chiesto, o del modo in cui sapevi cosa tuo padre avesse portato a te e ad Annabelle dall'ultimo viaggio commerciale per la regione, prima ancora che scartaste i pacchetti: anche tu riesci a leggere nelle menti altrui, proprio come me >>
<< Io... >> per un attimo, un solo momento, aveva pensato di negare, mentire per proteggersi. Ma a che pro?, si era chiesta. Non avrebbe comunque mai potuto nascondergli nulla, così aveva desistito, sentendo che, dopotutto, non vi era motivo di temere alcunché perché lui non le avrebbe mai fatto del male. Nonostante tutto, si fidava di lui che vedeva solo una volta all'anno ma che la conosceva così profondamente. E aveva optato per la verità.
<< E' diverso, – gli aveva risposto, fissando il suolo – io non ci riesco sempre e non ci riesco con tutti >>
<< Ma ci riusciresti se ti esercitassi >>
<< Non posso, se qualcuno lo scoprisse mi ucciderebbero >> aveva risposto con un filo di voce.
E, in fine, c'era quella sensazione che provava ogni volta che lo vedeva, come uno strano formicolio alla base del cervello: l'impressione di conoscerlo da sempre. D'altro canto, lui era forse la persona che la conosceva meglio al mondo ed Emily doveva ammettere che lei stessa imparava a conoscersi un po' di più ogni volta anche grazie alla valanga di domande che lui le poneva. E il sorriso di sorpresa e soddisfazione che lei non riusciva a spiegarsi ma che, puntualmente, gli vedeva dipinto in volto ogni volta che gli dava delle risposte che lui non si aspettava, era qualcosa in grado di gratificarla e donarle un insolito senso di benessere.
Lui saltò giù dalla roccia con agilità ed eleganza al contempo e le si piantò davanti con una mano nascosta dietro la schiena, << Beh, - disse - sbaglio o oggi sono quattordici? >>. Emily fece un segno di assenso con la testa trattenendo a stento una risata, poiché aveva capito immediatamente cosa avrebbe comportato quella domanda. L'istante dopo lo osservò aprirsi in un sorriso radioso e porgerle ciò che aveva tenuto celato dietro di sé, << Buon compleanno, Pixie >>.
Una rosa rossa dallo stelo lungo.
I petali erano di un cremisi intenso e lo stelo e le foglie di un verde brillante e smeraldino, senza dubbio il più bel fiore che lei avesse mai visto.
Emily gliela prese dalla mano, con delicatezza, poggiando le dita appena al di sotto di alcune foglie, evitando di pungersi con le spine. Era una loro tradizione, lui le portava sempre una rosa come regalo di compleanno. Se l'avvicinò al viso e ne respiro il profumo; era un'illusione, ovviamente, qualcosa che esisteva solo in quella realtà onirica, non l'avrebbe avuta con sé il mattino successivo, al risveglio, eppure ne distinse perfettamente ogni sfumatura olfattiva, beandosi di quell'odore. Proprio come avrebbe fatto con una rosa vera, con la differenza che la fragranza dei fiori che lui le portava era sempre più intensa di quelle di qualunque altra rosa che avesse mai annusato.
Quel regalo poteva anche essere un illusione, ma per lei era prezioso come poche altre cose al mondo – i suoi amati libri, per esempio, dono dei suoi genitori nel corso degli anni, o il braccialetto che Annabelle le aveva fatto per il suo dodicesimo compleanno, identico ad uno che la sua sorellina portava al polso, Così avremo sempre con noi qualcosa che ci ricordi l'altra anche se saremo lontane, le aveva detto quando aveva scartato il pacchetto –, perché gliel'aveva donata lui. << Comunque, devo dire che cominci ad essere prevedibile, oh mio Spirito dei sogni >> scherzò alzando gli occhi su di lui e immergendo lo sguardo nelle sue iridi scure. Poi, i suoi occhi si spostarono sul tatuaggio che aveva sul volto e, senza che quasi accorgersene, sollevò una mano e vi posò delicatamente i polpastrelli sopra, a seguirne il profilo. Con l'indice tracciò quelle linee nere per tutta la lunghezza del disegno, perfetta riproduzione del fiore che teneva nell'altra mano, e lui la lasciò fare, come ogni volta. Poi la giovane si sollevò lentamente sulle punte e gli depositò un leggero bacio sulla guancia, << Grazie, Adam >> sussurrò staccandosi da lui e sorridendogli felice.
Adam la fissò per alcuni secondi prima di sparire alla sua vista, ricomparendo un istante dopo sopra il solito ramo e con un filo d'erba in bocca. Emily scosse il capo sorridendo e si arrampico sul masso su cui lui era stato poco prima.
<< Ah, dimenticavo: tuo padre è dagli Hill >> le disse a quel punto, il corpo in una posa rilassata e le braccia dietro la testa. << Ha raggiunto la loro fattoria al tramonto e Lukas gli ha offerto la cena e un letto per dormire quando poi è scoppiata la bufera. Gregory voleva tornare a casa stasera – la cocciutaggine di voi Wright a volte è esasperante – ma Hill non gli ha permesso di andarsene, con questo tempo. Sarà a casa domattina >>.
Lukas Hill era il migliore amico di suo padre, quindi la rincuorò sapere che Gregory avesse trovato ospitalità presso la sua famiglia, con quel tempo, ma in quel momento fu qualcos'altro ad attirare l'attenzione di Emily, tanto da non farle ribattere piccata al commento di Adam. << E tu come lo sai? >> chiese sorpresa, corrugando la fronte.
<< Nello stesso modo in cui lo sapresti anche tu, se solo ti sforzassi di provare >> le rispose quello con ovvietà.
E in quel momento, Emily roteò gli occhi al cielo, sbuffando. << Adam, non ricominciare con questa storia. – Gli disse sorridendo ma sollevando le sopracciglia in modo eloquente – Ci ho provato ma non ne sono in grado >>.
<< Che cosa sta sognando Annabelle, in questo momento? >>
<< Di andare con papà nel solito giro commerciale la prossima primavera, ma non è questo il punto >>
<< Hai ragione, il punto è la cocciutaggine dei Wright che elogiavo giusto poco fa >> commentò sarcastico.
<< Innanzitutto, noi Wright non siamo cocciuti ma ostinati, e in secondo... >>
<< Oh, no. Mi dispiace contraddirti ma voi Wright siete testardi oltre ogni dire >>, la interruppe ricevendo uno sguardo di fuoco in risposta.
<< In secondo luogo – riprese Emily –: sai bene che con la mia famiglia è diverso. Con loro è abbastanza facile nonostante non senta alla perfezione ogni cosa passi loro per la testa; hanno il mio stesso sangue, non devo sforzarmi per sapere cosa stiano pensando, ma con gli altri è difficile >>
<< Solo perché... >> ma stavolta fu lei ad interromperlo: << Adam, ci ho provato ma non è qualcosa che riesca a fare a comando. La maggior parte delle volte mi succede per caso e già così risulto abbastanza strana, al villaggio, e Padre John non mi vede di buon occhio; non mi sembra il caso di rischiare attirando di più l'attenzione >>. Concluse e non le sfuggì la smorfia di Adam nel momento in cui aveva nominato il prete della loro chiesa. Quella notte, però, lui sembrava più deciso del solito a farle cambiare idea; lo capì da come la fissava, dalla luce di ferma ostinazione che gli vedeva negli occhi. Chissà perché, si chiese.
<< Se però ti esercitassi davvero e ogni giorno riusciresti a farlo a comando >> riprese lui, ignorando palesemente ciò che lei gli aveva appena detto.
<< Perché tiri fuori questo argomento ogni volta, quando sai che le mie capacità non sono come le tue? >> sbottò Emily esasperata. Perché, diamine, quella volta era così determinato a non lasciar cadere la questione? E perché, diamine, lei non era mai in grado di tenere a freno la propria curiosità? Se l'avesse fatto, almeno per una volta si sarebbe evitata l'ennesima discussione su quell'argomento.
<< Chi ti ha detto che le tua capacità sono inferiori alle mie? Tu l'hai nel sangue, Emily, proprio come ce l'ho io. L'unica differenza fra noi due è che io ho avuto più tempo per sviluppare le mie capacità mentre tu ti ostini a non provarci nemmeno >>
<< Adam, non posso rischiare è troppo pericoloso! Lo sai che i telepati sono considerati alla stregua di criminali. Siamo dei fuorilegge, se lo scoprissero mi accuserebbero di stregoneria e verrei condannata a morte. Se riguardasse solo me tenterei, ma sai bene che se qualcuno mi denunciasse la cosa non finirebbe con me ma ne pagherebbe le conseguenze anche la mia famiglia. E' già difficile così, non posso esercitarmi col rischio di... finire col leggere i pensieri delle persone senza accorgermene! >>. Aveva parlato tentando di mantenere la calma ma l'idea che qualcuno potesse fare del male alla sua famiglia a causa sua le era insopportabile. Per quanto l'idea di provarci la stuzzicasse, non avrebbe mai fatto nulla che potesse mettere i suoi genitori e Annabelle in pericolo.
Adam saltò giù dal ramo con rapidità incredibile e in un attimo le fu davanti, i palmi poggiati sul masso e il corpo proteso verso di lei.
<< Emily, tu non capisci: anno dopo anno questa capacità si acuirà naturalmente e se non imparerai a controllarla fin da ora allora rischierai davvero di essere scoperta e messa al rogo o impiccata >> le disse. Il volto era il ritratto della calma eppure la sua voce tradiva una mal celata preoccupazione. In quel momento, Emily comprese che la risoluta ostinazione che leggeva nei suoi occhi scuri nascondeva, in realtà, una profonda inquietudine e questo la colpì perché non lo aveva mai visto così.
<< E' per questo che insisto ogni anno, perché non voglio ti accada nulla di male. – Riprese lui – La capacità di leggere nelle menti altrui è qualcosa che fa parte di te, della tua famiglia, non puoi fingere che non esista ed è un potere grande che può anche diventare doloroso. Rischi di arrivare ad un punto in cui sarai capace di sentire ogni voce e ogni pensiero, in cui la mente di chiunque si dischiuderà davanti alla tua e tu non sarai in grado di escludere quel vociare confuso; non sarai capace di lasciarlo fuori e il rumore sarà assordante. Desidererai il silenzio senza riuscire ad averlo e ogni istante sentirai di essere sul punto di esplodere. Fidati, Pixie, io lo so; l'ho visto accadere troppe volte per lasciare che succeda anche a te quando posso impedirlo. Quanto credi che ci metterebbero a scoprirti, se ti ridurrai in quello stato? >>. Terminò con un tono di voce che era quasi implorante. La stava supplicando di dargli ascolto.
E la decisione di Emily vacillò. Si fidava di lui e lo conosceva – e non solo per la sensazione che provava sempre in sua compagnia –, adesso non era più sicura che ignorare il tutto fosse la cosa giusta da fare, non quando lo vedeva preoccupato a quel modo. Ritenne rischioso sottovalutare un suo avvertimento se la metteva in guardia con quella veemenza, però Emily sapeva anche che per prendere una decisione accorta aveva bisogno di sapere quante più informazioni possibili e c'era ancora qualcosa che lui doveva dirle. << Aspetta, cosa vuol dire fa parte della mia famiglia? >> domandò quindi, la fronte corrugata nel tentativo di capire.
<< Chiedi a tua madre, lei saprà darti delle risposte >>
<< Mia madre? Anche lei è una telepate? >> insistette.
<< No, ma devi comunque parlarne con lei. Ci sono cose che non sai ed è giusto che tu, invece, sappia >>
<< E tu non puoi dirmele? >>
<< Emily, dammi retta: è giusto che te ne parli Eireen >>.
Gli occhi verdi della giovane si fissarono nel vuoto, pensierosi. Come aveva fatto a credere che il suo dono fosse nato con lei? Che non lo avesse ereditato da qualcuno? Era la cosa più logica e lei non ci aveva mai pensato, come aveva fatto ad essere così ingenua? E perché sua madre non gliene aveva mai parlato? Doveva aver intuito qualcosa, in tutti quegli anni; Emily non era in grado di leggere nemmeno sua madre alla perfezione, non era capace di selezionare i ricordi o cercare dei pensieri nella mente di qualcuno, quindi non la stupiva che non fosse mai riuscita a sentire qualcosa in quel senso, da Eireen, se lei aveva voluto nasconderglielo, ma perché sua madre aveva taciuto per tutto quel tempo?
A cosa stai pensando?, la voce di Adam la distrasse dai quei ragionamenti riportandola al presente. Sollevò gli occhi su di lui e lo fissò.
A cosa stai pensando?, le chiese di nuovo lui, senza però che le sue labbra si muovessero. Non la stupì: lui alternava spesso la comunicazione mentale a quella normale.
<< Come, non riesci a leggermi? >> scherzò, ma dalla sua espressione comprese di aver indovinato.
<< Aspetta, davvero non sai a cosa sto pensando in questo momento? >> domandò incredula.
No, le rispose secco e ad Emily non sfuggì l'espressione di palese fastidio che gli induriva i tratti del viso.
A volte, quando sei così assorta è come se la tua mente si chiudesse.– Le spiegò – Non è sempre stato così, ha cominciato a succedere solo negli ultimi anni. Te l'ho detto: più il tempo passa e più le tue capacità diventano forti. E lei non poté nascondere la sorpresa per quella rivelazione inaspettata.
Rimase in silenzio, non sapendo cosa dire e spostò di nuovo lo sguardo fissandolo nel vuoto per alcuni secondi, per metabolizzare il tutto e facendo sbuffare Adam, sempre più indispettito per non aver ancora ricevuto una risposta.
<< Quindi, secondo te, se io cominciassi a esercitarmi fin da ora, riuscirei a controllarlo quando diverrà più potente? >> gli chiese all'improvviso. Adesso era il turno di Adam di essere sorpreso; continuava a fissarla, a tratti cauto, come non si fidasse del tutto della conclusione a cui lei sarebbe potuta giungere di lì a breve. Evidentemente, il non riuscire a leggerla lo infastidiva molto più di quanto lei avesse supposto.
Se non lo farai, la telepatia diverrà incontrollabile, le rispose.
In quell'istante, Emily sollevò finalmente lo sguardo e lo fissò negli occhi.
<< D'accordo, lo farò >> disse semplicemente e quella risposta lo spiazzò. Adam non si aspettava certo che lei avrebbe ceduto con una tale facilità, che gli avrebbe dato retta senza opporre altre rimostranze. Gli sembrò quasi troppo facile che lei si dimostrasse così accondiscendente e la fissò serio, dubbioso, continuando a non fidarsi.
Dici sul serio?
Emily trattenne a stento una risata. Il modo in cui la stava guardando era quanto di più buffo avesse mai visto.
<< Hai intenzione di fissarmi in quel modo ancora per molto? – lo canzonò – Se non mi credi allora verifica tu stesso. Ho preso la mia decisione, non sono più assorta; la mia mente dovrebbe essere di nuovo aperta ad una tua intrusione >> e ridacchiò. Adam sollevò un sopracciglio e immerse lo sguardo nei suoi limpidi occhi verdi; durò appena pochi secondi ma, di colpo, il suo corpo si rilassò abbandonando la tensione che prima lo aveva attraversato e finalmente si aprì in un sorriso raggiante.
<< Prometti? >> le domandò e lei rise, non riuscendo più a trattenersi. << Sì, te lo prometto. Come vedi, alla fine noi Wright non siamo poi così testardi! >>
<< L’eccezione che conferma la regola >> ironizzò lui, ricevendo una linguaccia in risposta.
Mentre ridevano, ad un certo punto Adam si voltò guardando lontano, come avesse sentito un rumore. << Devi andare, è quasi ora che tu ti svegli >> le disse ed Emily perse all’istante ogni motivo per ridere ancora.
<< Di già? >> si lamentò. Adam la fissò e sorrise, << Sì, tua madre sta venendo a svegliarti. Mi dispiace, Pixie >>.
La giovane sospirò, << Dovevi venire prima >> lo rimproverò.
<< E tu dovevi addormentarti prima >>
<< Ma faceva freddo! >> replicò in propria difesa ed Adam non riuscì a trattenersi dallo scoppiare a ridere ancora, trascinando un istante dopo Emily con sé.
<< Ci vediamo fra un anno, Pixie >> le disse mentre la osservava saltare giù dal masso. << Sì, fra un anno >> ripeté lei come per farsi coraggio e lo abbracciò.
L'istante dopo correva verso il limitare degli alberi, ma quando raggiunse il margine della radura si fermò, rammentando in quel momento qualcosa che la discussione di poco prima le aveva fatto dimenticare.
<< Ah, Adam! >> lo chiamò voltandosi verso di lui, seduto di nuovo sopra la roccia a fissarla. << Sì? >>
<< Non mi hai mai detto perché ogni anno me ne porti una >>, disse indicando il fiore che teneva fra le mani.
Adam sorrise, scuotendo appena il capo.
<< Semplice, Emily: perché tu sei proprio come una rosa >> 









Angolo autrice:
Salve a tutti! Un bacione a chi mi conosce e benvenuti a chi ignora chi io sia - tranquilli, siete in tanti!!!
Innanzitutto, mi scuso con quelle autrici che dovrei recensire, invece di scrivere io, ma in questo periodo, tra connessione ad minchiam - come diciamo in Sicilia - e poco tempo non ce l'ho fatta. Però non temete: leggerete le mie minchiate appena possibile! xD
Questa storia non sarebbe dovuta nascere adesso, non con la sessione estiva a stressarmi l'anima e il manuale a fissarmi con profonda disapprovazione ogni volta che l'ho mollato per scrivere, in questi giorni, quindi prendetevela con la mia forza di volontà che non ha saputo opporre un no fermo ma ha  miseramente ceduto agli occhioni dolci che 'ste due facce di culo di Emily e Adam (no, gioie mie, non è vero! Scherzo!) mi hanno fatto per giorni, finché non mi hanno costretta a scrivere di loro!
Cè, tranquilli, eh, non soffro di alcun disturbo clinico a parte una coglionaggine acuta ma quella non miete vittime a parte i miei neuroni! xD

Andando a cose serie, non sarà una storia particolarmente lunga, penso non supererà i cinque capitoli ma non ne ho la certezza. Spero di poter aggiornare un capitolo a settimana, tempo, esami e ispirazione permettendo. In caso non dovesse andare così, mi scuso in anticipo.
Per quanto riguarda la storia, mi è stata ispirata principalmente dall'episodio "Esilio" della terza stagione della stupenda serie tv "Star Trek: Enterprise", - rivista in queste sere per la milionesima volta - che mi ha fornito l'idea di base. Poi c'è stato un bel mix per cui la colpa va alla mia testa bacata e agli effetti su di essa causati dalle musiche/canzoni giuste e BAM!, non ho avuto scampo. Altra cosa importante, sarà un po' una rivisitazione di una fiaba (profia, se ho sgarrato non spadellarmi, lo farò da sola e sai che ci metterò impegno) parecchio nota e che, almeno grazie alla Disney, dovremmo conoscere tutti ma non vi dirò qual è! xD indovinatelo voi, su su! (No, ok, non dico immediatamente, eh. Magari aspettate il secondo o terzo capitolo, in questo ci sono davvero pochi elementi che lo possano far capire!)
Per quanto riguarda il capitolo in sé, invece: ci tengo, innanzitutto, a ringraziare poison spring  che ha trovato il nome al Monte Shadow-Caster, evitando così che mi sbattessi la testa sullo spigolo più vicino - che poi magari sarebbe anche stato meglio, ma va be'! -, non fosse stato per lei si sarebbe chiamato, con molta fantasia, "Montagna Maledetta" xD In secondo luogo, siccome non vorrei che qualcuno si offendesse, ci tengo a chiarire una cosa: Eireen ha trentacinque anni e lungi da me intendere che sia vecchia! Assolutamente, non spadellatemi preventivamente. Dovete però tener conto che l'ambientazione della mia storia non è moderna o contemporanea, ma che, al contrario, gli aventi si svolgeranno in un'epoca del passato anche se non ho fornito indicazioni precise, e in secoli parecchio precedenti al nostro una donna di trentacinque anni era considerata già donna vissuta xD
Poi... Per quanto, invece, riguarda le Banshee, gli spiriti irlandesi di cui ho parlato all'inizio, sono davvero un elemento del folklore irlandese. Non ho inventato nulla, tolta l'associazione vento-urlo delle Banshee che è mia in quanto ha tolto spesso il sonno a me quando ero piccola, quindi è storia vera -.- qualcuno di voi, magari, le conoscerà tramite il tf "Streghe" (avete presente quando Phoebe ci si trasforma nella, mi pare, quarta serie? E ha i capelli lunghi bianchi, gli occhi azzurri e non fa altro che urlare? Ecco), io le ho conosciute grazie al delizioso film disney "Derby O' Gill e il Re dei Folletti" mentre la descrizione del loro modo di agire l'ho presa dal libro "Fiabe e leggende d'Irlanda", raccolta di storie del folklore irlandese di Jane Wilde, madre del più celebre Oscar, e che consiglio vivamente a tutti di leggere perché sono semplicemente deliziose.
In fine, ringrazio quel tesoro di Emily Alexandre - che non lo sa, ma il nome della mia Emily è dedicato a lei - e quell'altro tesoro zuccheroso di fallsofarc, che mi hanno incoraggiata mentre scrivevo e a postare. E ovviamente un grazie al Paese, perché è composto da donne meravigliose, oltre che Miryavigliose! xD Ultimo grazie alla mia Corazòn che forse non lo leggerà mai ma io glielo dico lo stesso, e lei sa perché - Irè, te lo scrivo ovunque che ti adoro, dopo quindici e rotti anni mi sa che ormai dovresti averlo capito xD
Ora mi eclisso, che queste note papiriche rischiano di essere più lunghe del capitolo in sé!
Baci e - spero, se non vi ho spaventati con questo angolo autrice - al prossimo capitolo! :*



Graine


P.s.Ah, dimenticavo! La canzone che ho linkato all'inizio è quella che mi ha ispirata la scenda del sogno, quindi se vorrete ascoltarla durante la lettura potrà farmi soltanto piacere! :)
IAngolo 

   
 
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