Strana storia di una ragazza normale
Se avesse dovuto scrivere la storia della sua vita, Molly Weasley avrebbe
saputo benissimo da dove iniziare.
Non dalla sua nascita, anche se le avevano detto che era stata un avvenimento
interessante, a suo modo: sua madre aveva avuto le doglie in volo, e non aveva
detto nulla a suo padre, per non turbarlo; Molly era nata due ore dopo alla
Tana, invece che al San Mungo come tutti i suoi cugini. Per quello portava il
nome di sua nonna.
Non avrebbe nemmeno iniziato dai nebulosi ricordi della sua infanzia, troppo
confusi e vaghi per essere la base di un buon racconto, e allo stesso tempo
tanto intrisi dell'affetto per la sua famiglia, e dell'infinita ammirazione che
aveva sempre provato per suo padre.
No; dovendo raccontare la sua vita, Molly avrebbe iniziato senza dubbio da un
primo Settembre, quello dei suoi undici anni. E da se stessa, chiusa in camera,
stesa sul letto con le cuffie nelle orecchie, a piangere e a sentirsi
incredibilmente delusa ed inadeguata.
Avrebbe dovuto ricordare quel giorno come quello del suo primo viaggio ad
Hogwarts. Aveva accompagnato alla stazione tutti i suoi cugini più grandi, uno
dopo l'altro, e li aveva visti partire verso meravigliose avventure, salutandola
dal finestrino mentre il treno si allontanava.
-Papà- aveva chiesto, moltissime volte, -perché non posso andare anch'io?-
Percy Weasley le aveva sempre stretto la mano a quelle parole; perché, anche se
era un papà meraviglioso, non era il tipo da eccessive dimostrazioni di affetto,
come del resto non lo era lei.
-Quando avrai undici anni- le aveva sempre risposto. Sorridendo, le prime volte;
ma, mano che gli anni passavano, sempre un po' più esitante e preoccupato.
Alla fine i fatidici undici anni Molly li aveva compiuti, all'inizio
dell'estate. Ma le settimane erano passate, e nessuna lettera era arrivata via
gufo, nessun messaggio da Hogwarts. Come del resto non era mai arrivato, per
tutta la sua infanzia, nessun segno della magia spontanea tipica dei bambini.
Il primo Settembre, quando aveva undici anni, Molly aveva capito di essere una
Maganò.
Era stato veramente sconvolgente.
Sua cugina Roxanne, appena qualche mese più grande di lei, era partita con il
suo baule, la sua bacchetta nuova di zecca e il vecchio calderone ereditato da
Victoire, praticamente come nuovo. E senza di lei.
Molly non se l'era nemmeno sentita di andare a salutarla sul binario, e sapeva
che Roxanne c'era rimasta male; ma non avrebbe sopportato di vedere per
l'ennesima volta tutte le meraviglie del mondo magico, senza poterle
raggiungere. Sua madre aveva cercato di consolarla e di spronarla ad andare
comunque a salutare Roxanne, che era sempre stata la sua migliore amica. Ma suo
padre si era intromesso, e le aveva detto di lasciar perdere.
E Molly aveva passato quella che avrebbe dovuto essere la giornata migliore
della sua vita di undicenne sul letto a piangere, sola e lontana da tutti.
Anni dopo sarebbe sembrato molto drammatico e infantile dirlo, ma quel giorno la
sua vita era cambiata per sempre, al di là di quanto fosse possibile immaginare.
Audrey Weasley e sua figlia Molly non avevano mai avuto un rapporto
idilliaco; dopo aver scoperto che Molly era una Maganò, poi, le cose erano
peggiorate piuttosto in fretta, tra loro. Audrey era nata in una famiglia
babbana, sebbene suo nonno fosse un mago; per contro, quando aveva scoperto di
essere una strega, aveva preso a fare qualsiasi cosa con la magia, in casa.
Cucinava e puliva con la magia, lavorava a Diagon Alley e lì faceva le sue
spese; viveva completamente immersa nel mondo magico e non amava particolarmente
che le sue figlie avessero passatempi babbani. Molly, dal canto suo, sembrava
accusare le origini di sua madre per la sua sfortuna.
Con gli anni si sarebbe creata una certa distanza, tra Molly e sua madre. Si
volevano bene, ma non si capivano davvero, e le loro conversazioni erano sempre
accuratamente lontane dalle questioni più delicate.
Comunque, quello che Molly adorava davvero era suo padre.
Era un uomo molto impegnato, che lavorava praticamente tutto il giorno; ma
Molly, che andava a scuola e studiava per la maggior parte della giornata, non
ne sentiva la mancanza, perché quando arrivava la sera aveva sempre, per qualche
ora, il suo eroe tutto per sé. Percy Weasley non era un padre espansivo o
particolarmente affettuoso; ma aveva tante storie da raccontare, e Molly amava
ascoltarle. Le sue preferite erano sempre state quelle di Hogwarts e degli anni
felici che Percy aveva trascorso a scuola con i suoi fratelli; con molto tatto,
dopo quel fatidico primo settembre, quelle storie erano sparite dai momenti che
padre e figlia passavano insieme, sostituite da altre più neutre che parlavano
di fatti accaduti durante la guerra, per lo più.
Molly ammirava tantissimo suo padre; sapeva che lui non si considerava un eroe,
e che aveva un'opinione molto negativa del proprio comportamento durante la
resistenza a Voldemort. Tuttavia a sua figlia non importava. Non le interessava
sapere delle battaglie e delle fughe dai Mangiamorte, che erano l'argomento
preferito delle vanterie di zio Ron. A lei piaceva il racconto di come suo padre
aveva aiutato di nascosto maghi e streghe di origine babbana a fuggire dalla
Gran Bretagna, quando il Ministero era sotto il controllo di Voldemort. Suo
padre si imbarazzava a raccontare di quei momenti, dei suoi tentativi, non
sempre riusciti, di cancellare i documenti che potevano sporcare lo stato di
sangue di una famiglia, per salvare quante più donne, uomini e bambini
possibile.
A lei piaceva persino il racconto di come si erano incontrati i suoi genitori,
proprio durante uno di quegli atti di resistenza che Percy sembrava non
considerare importanti o significativi.
Molly aveva sempre pensato di avere in famiglia fin troppi eroi da bacchette
spianate e incantesimi a raffica; lei preferiva pensare che, al posto di suo
padre, avrebbe agito assolutamente allo stesso modo. E anche, dentro di sé, che
forse c'era qualcosa di più eroico persino del duello tra zio Harry e Voldemort,
che tutti sembravano considerare il racconto avvincente per eccellenza.
Percy Weasley non aveva mostrato nessun segno di tristezza o di delusione
quando aveva scoperto che la sua figlia maggiore era una Maganò. Non aveva
cercato, quel primo Settembre, di entrare nella sua stanza e parlare con lei, né
di consolarla.
Quando Molly era uscita, ben oltre mezzanotte, con gli occhi gonfi e pesti per
le lacrime e lo stomaco vuoto che si lamentava, impietoso, aveva trovato suo
padre seduto al tavolo della cucina, che leggeva tranquillamente la Gazzetta del
Profeta in pigiama.
Si era seduta di fianco a lui, e Percy aveva abbassato il giornale per
guardarla, senza fare commenti.
-Ho fame- aveva detto Molly.
Percy aveva annuito e le aveva preparato un panino ed un bicchiere di latte,
senza nemmeno toccare la bacchetta.
Non avevano parlato, quella sera. Molly aveva mangiato in silenzio e suo padre
le aveva fatto compagnia, e alla fine lei era tornata a letto inspiegabilmente
meno triste di quando si era alzata.
Circa un mese dopo, suo padre l'aveva portata per la prima volta ad
Hogsmeade.
Nessuno dei suoi cugini c'era stato, prima del terzo anno ad Hogwarts; era
opinione diffusa tra gli zii Weasley che avere familiarità con il paesino magico
rovinasse la sorpresa e l'emozione della prima esperienza di gita scolastica.
Percy non aveva fatto commenti quando erano usciti di casa; ma quando gli occhi
di Molly si erano spalancati alla vista del villaggio e di tutte le stranezze
che costellavano la via principale, aveva sorriso e si era chinato a darle un
bacio sulla testa.
-Roxanne non ci verrà per altri due anni- aveva detto, il più casualmente
possibile. -Ho pensato che tu ed io ci meritiamo un piccolo vantaggio-.
Molly aveva annuito, tirando su col naso. Non sapeva bene perché le venisse da
piangere: se per il tono triste di suo padre, o per l'idea di Roxanne poco
distante, ad Hogwarts. Percy le aveva accarezzato i capelli.
Poi le aveva fatto fare un giro turistico del piccolo paese; l'aveva portata
alla Stamberga Strillante e le aveva raccontato il segreto di quella casa ormai
muta da anni. Avevano praticamente speso un capitale da Mielandia, e si erano
fermati a guardare i gufi dell'ufficio postale, cercando di riconoscere la
specie di ciascuno. Poi avevano pranzato ai Tre Manici di Scopa, e Molly avrebbe
sempre ricordato, in futuro, la conversazione di quel giorno come la prima
discussione da adulta che aveva avuto con suo padre.
Avevano parlato a lungo del futuro di Molly.
-Come Maganò- le aveva detto Percy, e lei si era sentita stranamente
rinfrancata all'idea che suo padre usasse finalmente quel termine, che tutti
cercavano di evitare, -hai due scelte. Non devi decidere adesso, ma devi
cominciare a pensarci. Puoi costruirti una vita nel nostro mondo: ci sono
tantissime cose che puoi fare anche senza una bacchetta. Oppure puoi scegliere
di lavorare nel mondo dei Babbani. Lì le tue possibilità sono molte di più-.
Molly si era sentita spaesata. -Non devo decidere adesso?- aveva chiesto. Suo
padre le aveva sorriso.
-Naturalmente no. Voglio solo che tu sappia che io sarò felice qualsiasi cosa tu
scelga- aveva detto.
Allora Molly non aveva capito quel discorso; solo anni dopo, quando aveva
conosciuto davvero la storia di suo padre e di quello che era successo negli
anni della guerra, aveva cominciato a sospettare che Percy Weasley fosse
diventato il genitore meraviglioso che era attraverso momenti difficili e
tristi; e aveva capito che quel giorno, ad Hogsmeade, suo padre aveva voluto che
sapesse di avere il suo sostegno, qualsiasi cosa desiderasse fare, proprio
perché ricordava quanto era duro sentirsi lontani ed isolati dalla propria
famiglia.
Le gite ad Hogsmeade erano diventate un po' un'abitudine, per Molly e Percy;
e, con grande soddisfazione di Molly, per quanto Lucy facesse capricci e facesse
scoppiare le lampadine di casa con la magia, quelle giornate erano rimaste per
sette anni un suo esclusivo privilegio.
Percy non la portava mai nei fine settimana, quando era facile imbattersi negli
studenti con le loro divise scintillanti; in genere si prendeva un giorno di
riposo dal lavoro, scriveva una giustificazione per la scuola di Molly, e si
godevano insieme la gita, passeggiando per le strade assolate o innevate;
qualche volta, addirittura, inerpicandosi per i vicini sentieri di montagna, in
cerca di un luogo adatto ad un picnic con un panorama mozzafiato.
Molly amava Hogsmeade; amava il mondo della magia, nonostante la sua amarezza
non fosse svanita, crescendo.
Durante uno dei loro picnic aveva chiesto a suo padre perché lei vedesse il
castello di Hogwarts, in lontananza, nonostante le misure anti-Babbani. Percy si
era mostrato stupito di quella domanda.
-Ma tu non sei una Babbana- le aveva detto.
Molly, quindicenne in piena ribellione, aveva sbuffato.
-Per quello che posso fare con una bacchetta, è come se lo fossi- aveva
risposto.
Percy si era seduto sull'erba vicino a lei, senza offendersi quando lei si era
scostata.
-Tu appartieni a questo mondo, Molly- le aveva detto. -Sei magica quanto me e
tua madre, quanto Lucy, quanto Roxanne e gli altri-.
-Solo che esserlo non mi serve a niente- aveva ribattuto Molly. Non aveva voglia
di ascoltare le parole di suo padre, quel giorno, nonostante in genere le
risollevasse il morale. -Perché io, papà?- aveva chiesto.
Era la domanda che l'aveva tormentata continuamente, da quando aveva undici
anni, e non l'aveva mai fatta ad alta voce. Con rabbia e stizza si era asciugata
una lacrima, scrutando il profilo lontano del castello, così vicino ed
inaccessibile.
-Io non lo so- aveva risposto Percy, sinceramente. L'aveva colpita realizzare
che suo padre era sempre stato sincero, in quella faccenda, più di chiunque
altro. Quel bisogno di onestà era un'altra delle cose che avrebbe capito solo
più tardi, arrivando a comprendere quanto fosse fondamentale, per Percy, non
mentire agli altri, e soprattutto a se stesso.
Ma quel giorno quella ammissione l'aveva colpita.
-Mi dispiace- aveva continuato Percy.
-Non è colpa tua- aveva ammesso Molly a denti stretti.
-Ma io sono tuo padre- aveva detto Percy, aggiustandosi nervosamente gli
occhiali sul naso. -Vorrei poterti rispondere. Forse c'è un motivo; forse farai
grandi cose, che non avresti potuto fare se non appartenendo a questo mondo,
senza esservi completamente dentro-.
Molly aveva stretto le labbra. Le sembrava una versione della storia molto
comoda e troppo facile. Ma aveva annuito, un poco, per non scontentare suo padre
che si era impegnato a consolarla.
Aveva ripreso a guardare il castello, continuando a ripetersi ossessivamente
quel perché nella mente, finché non si era fatta ora di rientrare e si era
accorta che suo padre era ancora seduto vicino a lei, immobile, e osservava la
Hogwarts che aveva tanto amato da ragazzo con la sua stessa rabbia impressa sul
volto.
Eppure con il passare degli anni quella conversazione si era rivelata
incredibilmente profetica.
Finita la scuola le cose erano cambiate. Man mano che i cugini tornavano da
Hogwarts, la distanza che negli anni si era creata tra loro e Molly si appianava
nel ritmo delle riunioni di famiglia; con la maturità era più facile sentirsi
vicini, perché Roxanne, James, Louis e gli altri non erano più tutti in un solo
posto, a fare le stesse cose, mentre Molly conduceva una vita completamente
diversa.
Molly aveva fatto studi babbani, e si era trovata sempre molto a suo agio a
scuola, nonostante all'inizio le sembrasse impossibile adattarsi ad un ambiente
così diverso da quello a cui era abituata. Nel mondo dei Babbani aveva imparato
a sentirsi brava, abile, intelligente e capace di fare tutto quello che
desiderava.
E per il resto, affetto, sostegno e completa comprensione, aveva la sua magica
famiglia.
Era stata una strada piuttosto difficile da percorrere, la sua.
Ma suo padre aveva avuto ragione, quel giorno, sulle montagne attorno ad
Hogsmeade: appartenere a due mondi le aveva aperto alcune possibilità che non
avrebbe avuto altrimenti.
L'aveva fatta diventare quella che era. E finalmente, il primo Settembre dell'anno in cui aveva compiuto ventisette anni, Molly trovò la risposta che aveva tanto cercato da ragazzina.
Molly sorrise, sedendosi alla scrivania e ripensando alla frase che l'aveva
condotta in quel viaggio tra i ricordi.
Mentre il computer si avviava con un ronzio ormai familiare, pensò che sì,
decisamente essere una Maganò aveva influenzato la sua vita, e sì, se avesse
dovuto scrivere la propria biografia avrebbe iniziato con l'undicenne spaurita,
diversa da tutti quelli che conosceva, che piangeva nella sua stanza.
Ma non era quello che doveva fare quella sera.
Molly Weasley aprì il suo programma di scrittura preferito, diede una veloce
scorsa alla lista dei files e aprì quello che aveva chiuso solo qualche ora
prima. Un muro di testo la accolse, familiare, perché erano parole che aveva
scritto lei stessa, quel pomeriggio e nei giorni precedenti.
Non era alla sua biografia che Molly lavorava. Era al suo secondo romanzo, che
l'editore aspettava di lì ad un paio di mesi, dopo il successo del primo.
Molly ne era molto fiera; il misto di fantasia e realtà, appena aggiustato per
non darle problemi con lo Statuto di Segretezza, aveva incantato i suoi lettori,
che sembravano apprezzare anche l'avvincente storia di guerra ed avventura,
nonostante l'azzardo di un protagonista molto lontano dai canoni del tipico eroe
da battaglia.
Sedendosi più comoda, Molly appoggiò le dita sulla tastiera e si rilassò;
sgombrò la mente da qualsiasi distrazione, lasciando che la storia prendesse la
consistenza della realtà, per immergervisi meglio. Poi cominciò a scrivere.
"Percy sapeva di avere poche possibilità di riuscire a salvare tutti coloro
che erano in pericolo; eppure doveva provare. Era quello che doveva fare, quello
che sapeva fare. E in definitiva, era quello che faceva ogni giorno..."
Questa storia è stata scritta per il 24h Contest = 12+12, indetto da Roe_Rory Hattori su forum di EFP. Il contest prevedeva dodici ore per l'iscrizione e per scegliere un numero, seguite dalla rivelazione di un personaggio nascosto sotto quel numero, e da dodici ore esatte per la stesura e la consegna delle fic. A me è capitata Molly Weasley Jr. All'inizio mi ero piuttosto spaventata all'idea di dove usare un personaggio sconosciuto della nuova generazione, tanto che avevo chiesto il personaggio di riserva (che era Severus Piton, di male in peggio. XD); poi però mi è venuta l'idea di fare di Molly una Maganò e di stare a vedere come l'avrebbe presa Percy una cosa del genere. XD E devo dire che, oltre ad essermi divertita con questa cosa veloce, mi sono anche affezionata decisamente a questo personaggio. Evidentemente questo si è visto; seguono la posizione in classifica ed il giudizio per questa storia.
Prima classificata: Strana storia di una ragazza normale di miki_tr
Grammatica e ortografia: 10/10
Stile e lessico: 10/10
Caratterizzazione dei personaggi: 10/10
Originalità: 10/10
Gradimento personale: 10/10
Totale 50/50
Media: 10
Roe sta ancora piangendo mentre scrive questo commento. Giuro, ho le lacrime
agli occhi e non ci vedo. Sto piangendo perché mi sono commossa, tanto. La
storia di Molly è la mia storia, mi sono immedesimata tanto in lei e mi domando
come tu sia riuscita a tirar fuori da un personaggio solo che ti ho dato io
un’idea del genere. Confessa, tu mi conosci. Ok, a parte gli scherzi, credo che
il giudizio numerico parli da solo, che non debba spiegarti che ti ho messo il
massimo in grammatica perché non c’erano errori di alcun genere, che lo stile è
scorrevole e il carattere che hai delineato a Molly ti ha fatto schizzare la
caratterizzazione al massimo e che l’idea che hai avuto è... fantastica,
strepitosa, mitica, eccezionale, sviluppata bene e mi fermo qui.
Tutti questi elementi hanno contribuito a far salire il gradimento personale, e...
e... non potevo non mettere un dieci in gradimento a una storia così. No, non me
lo sarei mai perdonato se non l’avessi fatto.
Beh, ora visto che se hai letto tutti i commenti avrai capito che io non so mai
che dire in questi casi o hai letto solo comunque ti stai ancora domandando che
campo a fare, io ti saluto lasciandoti i miei complimenti per questa favolosa
fanfiction! **