Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Callie_Stephanides    26/07/2011    10 recensioni
Leya di Trier ha sette anni, la notte in cui il Destino le regala un fratello: ha le pupille verticali e la coda di un rettile; nelle sue vene scorre il sangue degli uomini-drago. Due decadi più tardi, quando l’armata dei liocorni neri è ormai a un passo dallo stringere d’assedio la Capitale, l’inevitabile scontro tra gli ultimi discendenti di una stirpe perduta è solo l’inizio di un profetico riscatto.
(...) Per questo ora scrivo, in uno studio pieno d’ombra e all’ombra della mia memoria.
Scrivo perché nessuno possa celebrarmi per quello che mai sono stata: coraggiosa e nobile e bella.
Scrivo perché nessuno dimentichi di noi l’essenziale: che l’ho odiato di un amore dolcissimo e amato di un odio divorante.
Come un drago (...)
Genere: Avventura, Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
 <<    >>
Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

P A R T E S E C O N D A
(GIORNI DI POLVERE)
1.
Il cuore è la chiave di tutto

Se è vero che l’uomo ti possiede seminando il tuo ventre, divenni la donna di Vinus molto prima che la nostra carne si unisse.
Per quasi un lustro scivolai sulla vita appesantita da un feto mostruoso e bicefalo: il figlio che il Drago Nero mi aveva piantato dentro aveva due capi e due nomi.
Odio e Vendetta.
Chiudevo gli occhi e masticavo rabbiosa la mia maledizione. Mi svegliavo e quella sensazione straziante era la prima amica che salutava il mio mattino. La rabbia mi aveva come prosciugata, distruggendo le rare grazie di un corpo che nessuno avrebbe più trovato attraente.
Non esiste sentimento peggiore dell’odio, perché non conosce fondo. Il dolore si attenua; l’amore si estingue. L’odio, no: t’invade come un’infezione e ti mangia tutto.
Ti trasforma.
La Leya che Lukas amava aveva la pelle di luna e il tramonto sulle spalle. Il suo viso irregolare era quasi bello, quando sorrideva – e sorrideva spesso, quella Leya.
La Makemagistra di Trier, la donna uccello, era un osso di seppia.
Gli stessi membri del Collegio mi guardavano con un misto di rispetto e di ripulsa: la novità del mio sesso era poca cosa rispetto alla mia ferocia. Ero una belva. Bastava guardarmi negli occhi per scoprire come avessi limato le macerie della mia felicità per farne pugnali.
Parlavo poco e solo per vomitare ordini.
Lungo i bastioni di Trier, il rumore dei miei passi suonava secco e intimidatorio. Indossavo la corazza di glythanium dei soldati, una ruvida cotta di maglia e stivali di cuoio alti fino alle cosce. I capelli mi erano ricresciuti e scivolavano nel vento come nastri di sangue, ma non erano la bandiera di una ritrovata femminilità, quanto un vessillo di guerra.
Dormivo poco e non sognavo più Lukas.
A pochi mesi dalla sua scomparsa, ancora mi svegliavo umida di voglia e di nostalgia. La sensazione della sua pelle contro la mia, delle sue braccia e del suo calore mi rassicurava fin quando non realizzavo ch’era ormai polvere. Ch’era passato.
A quel punto mordevo il pugno sino a far sanguinare le nocche, per impedirmi di urlare nel buio quel dolore senza rimedio.
 
Perché è successo a me?
Perché ho perso tutto?
 
Se vi dicono che la sofferenza fa maturare, ch’è il prezzo da pagare per essere migliori, ridete. Sarà un suono tragico ma onesto.
Il dolore abbrutisce, perché riduce ogni anelito allo sforzo d’evitarlo.
Davanti al dolore non si cresce, ma si regredisce. Sei carne viva, puro terrore e istinto. Dietro la gelida maschera di Ygeia, ero proprio quel che Vinus mi avrebbe sputato in faccia: una patetica donnetta ferita.

*

La sconfitta subita dall’esercito di Eleutheria sull’Eisenthar fu solo la prima di una serie di drammatiche disfatte; con la lentezza strisciante dei morbi divoranti e un’altrettanta, terribile capacità invasiva, Koiros penetrò l’Eumene in profondità, ferendo la più radicata delle nostre certezze: che saremmo stati sempre liberi.
Gli eleutheridi non erano abituati a pensare la vita come una catena alimentare. L’oligarchia intellettuale cui spettava la reggenza di una federazione satellitare di città stato, era, di fatto, un’entità priva di corpo e di sostanza. L’amministrazione del Bene Comune era coincisa per generazioni con la fissazione dei giorni di mercato, con la mediazione diplomatica e con la composizione pubblica dei rari conflitti.
La pace armata del Primo Evo – quella in cui ero cresciuta – era un compromesso ipocrita, che tuttavia aveva fornito valide basi alla nostra capacità di vivere e d’illuderci.
Non credevamo di doverci preoccupare di quel che capitava oltre i confini di Eleutheria, e questo fu il primo errore: Vinus di Venusya apparteneva al mondo che il nostro egoismo aveva abbandonato.

*

Nella mia cronaca fatta più d’emozioni che non di eventi, il suo nome ricorre spesso, ma non ha autentica sostanza. Ho detto di lui per raccontare di me, come spesso accade nelle ballate per voce sola.
Della sua tristezza, della sua rabbia, del suo coraggio, tuttavia, devo ora parlare per forza, perché è di quella tristezza, di quella rabbia, di quel coraggio che mi sono innamorata; perché è in quella tristezza, in quella rabbia e in quel coraggio che ho ritrovato me stessa: che sono tornata intera. Sono tornata Leya.
Ho lasciato Vinus bambino, davanti a una spada e a un massacro; ho detto della sua deportazione e del grande freddo che lo avvolse.
Non ho detto abbastanza, invece, di come crebbe e sopravvisse all’inferno – perché quello fu la sua vita per vent’anni: un inferno.

*

Vinus era l’ultimo cucciolo di una razza morta. Per Gordon e i pochi maschi sopravvissuti all’olocausto di Lephtys, una bandiera, nonché l’unica, valida ragione per strappare al Destino un altro giorno: questa consapevolezza gli scivolò dentro e fece maturare in lui, negli anni, il carisma del capo, l’arroganza feroce di chi sa d’essere sangue di re.
Koiros, che l’aveva risparmiato per un capriccio e poi allevato quasi fosse figlio suo – dove ‘allevato’ vuol dire battuto come una bestia – negli anni arrivò a temerlo. Era mille volte più forte, era la creatura più potente dell’Eumene, eppure c’era qualcosa, in quegli occhi affamati, che gli inoculava una paura folle.
Davanti all’esercito schierato, in cui Vinus non era che uno dei tanti, il tiranno lo apostrofava sprezzante ‘principe’, quasi a rammentargli ogni volta che governava sulla memoria di una strage, sulle ossa dei suoi fratelli e sulla polvere del deserto che aveva inghiottito Venusya.
Koiros godeva della sua umiliazione, poiché era astuto, perverso, implacabile: e lo conosceva.
 
“Vorresti uccidermi, vero?”
 
Gli accarezzava il viso con la cuspide avvelenata della coda, gli solleticava la gola quasi vezzeggiasse un gattino.
“Confessalo a tuo padre, Vinus… Liberati da questo fardello.”
Vinus chiudeva gli occhi e scuoteva il capo.
“Io vi sono fedele, grande Koiros. Morirò per voi.”
Koiros gli latrava in faccia l’ilarità cattiva del vincitore, godendo della tensione che l’attraversava e moriva nella pressione con cui le sue dita cercavano la carne del palmo.
 
Nei giorni in cui cominciai ad amarlo per quello che era – un uomo solo, amaro e spietato – le sue mani erano un tappeto di cicatrici.
“È stata la spada?” gli chiesi.
Vinus mi rivolse uno dei suoi orribili, sarcastici sorrisi. “No. Il non poterla usare.”
 
È su risposte come questa che ho ricostruito quegli anni, sulla laconica essenzialità di una tristezza inemendabile.
Come me, Vinus chiudeva gli occhi sognando di ammazzare qualcuno; a dividerci, tuttavia, restava un dettaglio essenziale: io ero già donna, quando avevo permesso all’odio d’infettarmi. Lui, in quel terribile sentimento, c’era cresciuto dentro.
E come cresci odiando?
 
Se in mio fratello Rael l’istinto della guerra era stato addomesticato dall’amore con cui l’avevamo allevato, in Vinus la corrente più distruttiva dei dracomanni si sviluppò senza incontrare limiti.
Persino il suo modo di ridere divenne, negli anni, sempre più simile al latrare di una bestia – lo so per esperienza: era agghiacciante.
 
 
Oltre a Gordon, che finì con l’insegnargli ben poco, poiché il principe era molto più dotato del maestro, l’unico suo affetto era Niktos, un superbo esemplare di liocorno nero. L’aveva domato che aveva una ventina d’anni, e ne aveva fatto un’arma non meno micidiale della sua spada.
I liocorni, come le viverne, sono fiere autoctone del Nord estremo. Al garrese possiedono l’altezza di un cavallo e, sulla distanza, ricordano abbastanza un equide; poi, se sei davvero sfortunato, te ne trovi uno davanti e sei costretto a cambiare idea.
Quando domandai a mio padre di descrivermi le mitiche cavalcature dei dracomanni, Leonar si accarezzò la barba e tentò di rispondermi con uno schizzo. All’epoca – ero sui dieci anni – pensai che mio padre non sapesse disegnare. Due decadi dopo, le froge frementi di quella bestia oscena mi si piantarono davanti agli occhi e capii ch’ero piuttosto io ad avere poca immaginazione.
Il liocorno ha senz’altro il corpo di un robusto cavallo da guerra ma, dove ti aspetteresti di trovare lo zoccolo, scalpita una zampaccia rostrata.
Il muso equino sfoggia una doppia chiostra di denti acuminati. Al centro del capo, negli esemplari adulti, spicca un micidiale corno eburneo.
L’aspetto grottesco, d’altra parte, è poca cosa rispetto a un’indole che definire ‘selvatica’ sarebbe ancora eufemistico. I liocorni si muovono in branchi numerosi, ma sono bestie solitarie: se non si accoppiano o si massacrano per il territorio, cacciano soli, battendo in corsa anche miglia e miglia. Sono predatori carnivori e spietati, intelligenti e implacabili: i compagni di vita perfetti per i Signori della Guerra delle Midlands.
Koiros scelse di mantenere il costume dei dracomanni e ne fece catturare molti capi, destinando all’uso dei liocorni l’omonimo corpo d’armata. A guidarne le fila, il migliore dei suoi cavalieri: Vinus di Venusya.
 
Dall’età di quindici anni, il principe di Lephtys condusse la vita nomade dei mercenari: macinava miglia in sella, senza accusare la fatica, cacciava per sé e per la propria cavalcatura, dormiva con un occhio solo, le dita strette all’elsa della spada.
Gordon non era un gran conversatore, ma di notte, davanti al fuoco che avrebbe dovuto salvarli da un nemico ben più feroce dei lupi – il freddo delle grandi solitudini del Nord – gli regalava i miti di un mondo morto. Raccontava le gesta di Rigel l’Implacabile, di come avesse domato le tribù dei dracomanni e imposto il sangue dei principi di Lephtys. Raccontava dei giorni di Zauror, di quando Venusya era il regno più potente del Nord.
Raccontava degli anni della pace, quando la faglia dell’Icengard era solo un confine da immolare all’infinita ambizione dei Signori della Guerra del Primo Evo.
Tra le leggende, tuttavia, ve n’era una che Vinus domandava ogni volta, perché non sapeva della malinconia sconfitta di un passato irripetibile, ma del futuro che pretendeva di vivere.
Era un soldato, era un mietitore, un conquistatore e un assassino; eppure, oltre l’innocenza che gli avevano rubato, c’era anche un ragazzo che chiedeva di sognare – che voleva sperare.
Quel mito, d’altra parte, era lo stesso che Freil, spirando, avrebbe regalato a mio padre, mentre gli affidava il piccolo Rael.
 
Qualcuno divorerà il cuore dell’ultimo drago e vendicherà la mia gente.

*

I draghi abbandonarono l’Eumene eoni prima che io nascessi.
Né mio padre Leonar, né il padre di suo padre ne aveva mai visto uno.
Qualche vecchione, rievocando racconti di anziani altrettanto decrepiti, si divertiva a terrorizzare i bambini con il ritratto di bestie orribili, scagliose come serpi e più alte delle torri di Trier; secondo l’estro del momento, o della sensibilità dell’uditorio, comparivano anche ali membranose, alito mefitico e fiamme da cauterizzarti in un istante.
Più che l’orrore, vinceva la meraviglia: a otto, nove anni ero avida di dettagli ed ebbra della vertigine che mi apriva dentro anche solo immaginare un serpente grosso come l’Accademia. Per noi eleutheridi, tuttavia, i draghi erano soprattutto una metafora della conoscenza: tale era il ruolo che assegnava loro il mito della Genesi, e tale, dunque, la convinzione con cui crebbi.
Non c’erano né draghi, né mostri; era il Sapere, nella sua accezione più ampia, che doveva misurarsi con l’esistenza del limite e non valicarlo mai. Il Sapere poteva essere meraviglioso o terribile: tutto dipendeva dall’uso.
A Venusya, invece, i draghi erano tenuti in conto di dei; creature d’aria e di fuoco, custodivano un potere di cui gli ophelidi erano appena una pallida eco. Nella loro tradizione, i dracomanni non nascevano da una guerra scellerata, ma da una scelta d’amore, perché per possedere una fanciulla, Dendre dai capelli d’oro, Amon, il primo drago, si era fatto uomo, rinunciando all’immortalità e al fuoco sacro della sua nobile stirpe.
Una leggenda tanto poetica, nondimeno, conteneva una morale spietata, adatta a un popolo di guerrieri: se vuoi essere il più forte sul campo di battaglia, non puoi avere un cuore, perché è il sentimento che perde. È il sentimento che ti rende debole.
Forse proprio perché il primo a esserne tradito era stato il dio dei dracomanni, il cuore assunse una valenza sempre più forte nel loro immaginario. Colpire l’avversario al cuore o strappare quest’ultimo dal petto del nemico erano un costume di guerra tanto caratteristico degli ophelidi che io stessa, quando progettai le corazze di glythanium, volli una speciale protezione per il pettorale sinistro.
Il cuore entrava tuttavia in conto anche in un altro mito, lo stesso cui si deve questa lunga digressione.
Secondo una leggenda popolare tra i soldati, nei fatti, mangiando il cuore di un drago, il dracomanno avrebbe percorso a ritroso il gran fiume della Storia e sarebbe divenuto un dio.
Quel potere divenne ben presto l’ossessione di Vinus.
Sul campo di battaglia era un cane da caccia, ma dentro cullava una sola speranza: trovare l’ultimo drago superstite e ricongiungersi al sangue degli avi. Era dunque la malinconica poesia di un’illusione infantile ad accompagnare la ferocia della sua mano.
 
Voglio essere un drago. Voglio essere un drago. Voglio essere un drago.
 
Cominciò a combattere con nuova energia, perché quante più terre divorava, tanto più si avvicinava a una conoscenza compiuta dell’Eumene.
Quando avrò esplorato tutte le Terre Cognite, si diceva, saprò dove si nasconde la Bestia.
 
Era il sogno ingenuo di un bambino violentato mille volte: mio fratello Rael, cui pure Leonar aveva raccontato il mito, non chiese mai di valicare i confini del mondo per conquistare la libertà.
Ma Rael non aveva un anello di ferro a stringerlo alla gola.

*

Dall’alto del terrapieno che difendeva Trier, aspettavo il nemico ogni giorno.
La sua marcia era il tarlo che rodeva le mie notti e mi consegnava al mattino esausta e isterilita.
 
Ecco, ora ha oltrepassato la cinta dei Lytha. Domani conquisterà la piana di Mizar.
Tra una settimana sarà…
Lo odiavo, ma una voce dentro di me ululava di giubilo, quando si affacciava all’orizzonte: i capelli d’argento a coprirgli le spalle, unica nota di colore nella tetraggine della sua livrea.
E mi guardava, lui, e mi sfidava: coraggio, donna uccello, come mi respingerai?
Ogni sette, otto mesi l’assalto si ripeteva e ogni volta si faceva più violento; ogni volta si avvicinava al limite oltre il quale – lo sapevo – avrei avuto ragione di temere per la mia vita. Eppure ero là: per Lukas e per quel che restava di me, oltre un pugno di ciocche ramate e la desolazione d’occhi spenti. Avevo consacrato la mia vita a un altro uomo, e non lo sapevo: per lui passavo la notte studiando.
Per lui marciavo tra i soldati, a testa alta e a labbra strette.
 
“Magistra, abbiamo disposto gli Specula.”
“Magistra, i carri coperti sono pronti.”
“Magistra, abbiamo caricato l’argano.”
 
Nessuno mi chiamava più Leya, se non Rael; lui, che era ora il capitano dell’esercito ai miei ordini, era il solo a volgermi occhiate colme di un qualche sentimento.
Scetticismo e pena, per lo più: ma io ero la Magistra e doveva obbedirmi.
Forse.

   
 
Leggi le 10 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Callie_Stephanides