Alessandro: il nero si spezza nel bianco.
Sveglia. Sogno nero che improvvisamente mi scoppia davanti in una miriade di frammenti bianchi (come può il nero spezzarsi nel bianco? Mi chiedo per l’ennesima volta mentre resto nel letto e respiro).
Poi improvvisamente salto in piedi, le lenzuola per terra.
Cazzo. È il primo giorno e sono già in ritardo.
Non ho tempo per fare colazione… non che in casa qualcuno
se ne stupisca, sia chiaro. Anzi. Avrebbero considerato più strano vedermi
seduto a tavola davanti a un caffè insieme a loro, piuttosto che sfrecciare
alle loro spalle, strappando una sorsata alla tazza di mio fratello e
afferrando dalla credenza una brioches, prima di infilare la giacca le scarpe e
precipitarmi fuori di casa.
Come faccio, nell’ordine, dal 15 settembre al 8 giugno,
salvo cambiamenti nel calendario ministeriale.
Non posso cambiare me stesso. Il risveglio per me è sempre
quello. Precipitarmi in strada con i Blink a palla nelle orecchie e lo sguardo
torvo rivolto al cielo.
Dio, quanto odio questa vita. E quanto la amo.
La scuola è chiara in fondo alla strada. E la classe è
chiara in fondo al corridoio.
Il mio banco. In seconda fila, vicino alla finestra. Per
poter parlare con il cielo, quando il momento lo richiede. Per poter guardare
gli uccelli, quando c’è bisogno di respirare.
Il prof non c’è ancora. Ma io sono l’ultimo tra i miei
compagni.
Mentre camminavo mi è venuta una strana incazzatura, così
non saluto nessuno e getto lo zaino sul banco, mi siedo senza staccare l’mp3.
Attraverso le pause della canzone, li sento parlare. Commentano me. Il mio
ritardo. E la mia aria scazzata.
Poi. La sua voce.
-Figuratevi ci riusciva anche a Napoli.
-Cosa hai detto?- ringhio, voltandomi a guardarlo. Sorriso
da schiaffi, ho voglia di baciarlo.
Basta! Non puoi cominciare così l’anno!
-Perché? Non è forse vero che l’ingrato compito di
trascinarti fuori dal letto in vacanza spettava al sottoscritto?
Sì, certo, e a me spettava quello di tenere le mani a
posto e non trascinartici dentro, stronzo!
Ma è inutile, Fra è un idiota, non saprebbe leggere i miei
occhi neanche se gli regalassi un traduttore simultaneo di sguardi. Posso
divorarmelo quando voglio, e lui al massimo mi chiede se ho la febbre. Quante
volte è successo, quest’estate, a Napoli?
Rimetto l’auricolare e mi volto. Non ho voglia di
parlargli. Non questa mattina. Non in questo momento.
Ma l’idiota non la capisce. Sento il suo braccio sulla mia
spalla, mi volto, il suo viso è a pochi centimetri dal mio. Per un attimo resto
a guardarlo, senza far caso a cosa dice. Poi, attivo l’impianto uditivo.
-Allora, ci stai?
-A cosa?
Sospira. –Il concerto, cretino! Il concerto! Stasera. Alle
10. Ci sei?
-Il concerto di chi?
Lui mi tira uno schiaffo sulla nuca. Mi abbasso. –Come di
chi? Ma ci fai o ci sei? Il mio! E ti ricordo che con me ci saranno anche tuo
fratello e tuo cugino, quindi ti conviene presentarti…
Non faccio in tempo a rispondere, viene spinto via.
–Smamma Fra, questo è il mio posto. Torna dalla tua bella, che ad Ale ci penso
io.
Francesco mette su una faccia offesa, poi si allontana. Io
guardo rassegnato Martino prendere possesso del banco accanto al mio.
-Allora come ti butta?
Gemo. –Come vuoi che sia? Mi sono strozzato per strada con
il cornetto, arrivo qui per sentire quello stronzo di Fra blaterare del suo
concerto… tutto contento…
-E dagli torto! Guardatelo, con quella meraviglia… anche
io sarei contento c’avessi una come Vale vicino…- s’interrompe, accorgendosi di
avere fatto una gaffe. Ma neanche lui, neanche Martino sa cosa davvero mi
brucia di quella storia.
Non rispondo. La ferita è ancora troppo fresca. Non riesco
neanche a trovare la forza di voltare la testa per vederli seduti vicini.
Se ripenso a quella sera, la prima sera in cui li ho visti
insieme…
E l’idiota che pensava fosse perché ero geloso di lei! Mi
ha inseguito dieci minuti, prima che io trovassi il buon senso di fermarmi.
–Ale…Ale aspetta! Ale…- afferrato per il braccio,
strattonato, sbattuto contro il muro. Fissato negli occhi. –Scusa. Ma pensavo
ti fosse passata ormai… sono due anni!
Avrei dovuto rispondergli la verità in quel momento?
Invertire le posizioni e baciarlo e poi dirgli sulle labbra che non era per
Vale che stavo così, ma per lui?
Forse. Adesso almeno non mi starebbe intorno preoccupato
come una chioccia e non pretenderebbe di trascinarmi ai suoi concerti la sera.
Ma non sarebbe neanche lì per farmi ridere con le sue
cazzate, o per ascoltare i miei rimescolamenti interiori, per chiedermi confuso
“cosa ho fatto di male?” e telefonarmi di notte esaltato per una nuova canzone
appena sognata.
E questo non me lo sarei mai perdonato.
Così, ringrazio il Dio in cui non credo di essermi
trattenuto, e aver sorriso invece, spettinandogli i capelli (quei meravigliosi
capelli di rame), sussurrando –No, no Fra… è solo che non me l’aspettavo e ci
sono rimasto un po’ di merda. Ma va bene, sul serio… lei non mi importa più.
Cazzo, ancora adesso il ricordo del suo sguardo mi fa
rabbrividire. Serissimo di colpo, scuro, mentre la sua mano posava sulla mia
spalla, sulla clavicola… -Dimmi la verità Ale… basta che me lo dici e tra me e
lei finisce tutto qui. Tu sei più importante di Vale.
Mi scuoto. –Dicevi?
-Cazzo Ale ma dove c’hai la testa? A volte credo abbia
ragione Fra…
-Marti che vuoi? Lo sai che al mattino non carburo…
Lui posa la testa sul polso, mi guarda. –Certo che sei
strano… comunque, chiedevo… stasera ci vai al concerto di Fra?
Volto uno sguardo truce sul muro. –E come potrei
scamparla? Con Alberto e Nico nel gruppo…
Non fraintendetemi. Di solito adoro ascoltare i DarkSun
suonare… ma questa sera l’idea di Fra sul palco con quel cazzo di basso in
mano, e gli occhi chiusi perso nella musica è troppo da sopportare.
Non è facile essere gay, dice qualcuno. Verissimo. Ma vi
assicuro che essere gay in incognito, per di più innamorato del tuo migliore
amico, è ancora più difficile.
Ricordo quando per la prima volta mi accorsi che qualcosa
non andava. Fu proprio così… come se all’improvviso la lastra di luce che
circondava la mia esistenza si spezzasse in mille frammenti di buio. E ognuno
di questi frammenti neri, a sua volta, si divideva in mille, minuscole schegge
di bianco.
Da allora, è come se ogni volta che apro gli occhi, quando
mi sveglio, quando sto sotto un albero o ascolto una canzone, quando piove e
sento le gocce baciarmi la pelle, il nero si spezzasse in bianco. E lasciate
che ve lo dica. Non è uno spettacolo cui col tempo fai l’abitudine.