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Autore: Remedios la Bella    08/08/2011    11 recensioni
Un ragazzo tedesco che tollera gli ebrei e trova misera la loro condizione. Max.
Una ragazza Ebrea dallo sguardo vuoto e dal passato e presente tormentati e angustiati. Deborah.
Due nomi, un'unica storia. 15674 è solo il numero sul braccio di lei, ma diverrà il simbolo di questa storia.
In un'epoca di odio, nasce l'amore.
E si spera che quest'amore rimanga intatto per lungo tempo, e sradichi i pregiudizi.
Enjoy!
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Storia puramente inventata! Godetevela e recensite tutti!
Remedios la Bella



 Capitolo 1
 
" Lei è 15674. La nuova donna delle pulizie." Fu così che mio padre, il tenente - colonnello Frank Schubert, presentò la nuova serva.
La teneva stretta al braccio, vestiva con un camice logoro e da sotto il camice si poteva scorgere la divisa da prigioniera del campo.
Ciò che mi sorprese di lei non era tanto l'aspetto fisico, infatti era come tutti i prigionieri: magra pelle e ossa, viso scavato, occhi infossati, capelli unti e sporchi. No, non furono neanche quegli occhi neri come la notte, ma che non balenavano di nessuna emozione, tanto ne avevano viste. Erano vuoti e senza fondo, non avevano espressione alcuna. Non fu quello a sorprendermi, neanche la cascata di capelli neri che le ricadeva sulle spalle ossute. Fu il suo portamento; rigida, dritta, come in posa militare. Teneva lo sguardo fisso su mia madre, che glielo ricambiava indifferentemente.
" Su, 15674, saluta." fece mio padre, stringendo crudelmente la presa al braccio della ragazza, che più o meno poteva avere la mia età. Lei non emise gemiti di dolore, strizzò gli occhi soltanto e mugolò qualcosa di incomprensibile. Mia sorella Roberta la squadrava con gli occhi, leggermente disgustata. Aveva una smorfia stampata in viso come di ripugnanza. La nuova arrivata non faceva segni di offesa. Perlustrava con lo sguardo ciò che la circondava e basta. E poi il suo sguardo si volse su di me. Incontrai quegli occhi, neri e senza espressione. E un brivido mi percorse la schiena. Mi faceva impressione, tanto che sobbalzai.
"Max ... che ti prende?" mia madre mi scrollò per farmi riprendere dal lieve spavento. Io scossi la testa e continuai a fissare la ragazza.
La domestica di prima, la numero 65878, non era resistita per più di un mese. Mio padre dovette licenziarla, e io sapevo ormai la sorte che toccava ai malati. Il giorno in cui la donna venne tolta dal servizio, quell'anziana donna incapace di pelare una misera patata, la ciminiera vomitò fumo nero, e l'aria venne impregnata di uno strano odore, e aleggiava la morte.
Io, Max Schubert, figlio del tenente colonnello dell'esercito nazista della Germania del Sud Karl Schubert, ero uno dei pochissimi tedeschi in questo mondo e in questo periodo della storia a non capacitarmi di che peccato avessero commesso gli Ebrei. Ogni volta ci ragionavo e mi chiedevo:Ma che avranno mai fatto di male? Perchè devono finire in atroci sofferenze le loro già misere vite? Me lo chiedevo da così tanto tempo che ormai la notte venivo perseguitato dagli incubi.
Avevo ereditato due grandi occhi verdi come quelli della nonna, che una volta scoprii essere per metà Ebrea. Da allora i miei dubbi furono ancora più angoscianti, e capelli nerissimi a dispetto del biondo immacolato del resto della mia famiglia, e dei loro specchi d'acqua cristallina negli occhi. Nonostante mio padre avesse tentato diverse volte di farmi cambiare partito e di inculcarmi l'idea che quella "razza" andava odiata e sterminata, io avevo desistito da tutti i suoi tentativi di persuasione e continuato a restare neutro alla questione, quasi dalla parte delle evidenti vittime. In Famiglia ero leggermente emarginato per ciò, mia sorella mi ignorava, mia madre tentava di farmi ragionare gentilmente ma senza risultato. Avevo ormai sedici anni, ma nessuno mi aveva tolto dalla testa i miei propositi.
Tornando all'arrivo della giovane Ebrea .. lei non fiatò per quegli infiniti dieci minuti in cui restò impalata all'entrata della sala da pranzo di casa mia, una villa in campagna, non a caso vicina proprio a un campo di lavoro. Odiavo definirli " di concentramento" .. mi faceva venire i brividi.
Dopo dieci minuti comunque, mio padre diede uno spintone alla nuova arrivata facendola cadere in ginocchio sul pavimento di piastrelle bianche. Come prima non emise segni di dolore. Mia sorella sghignazzò divertita, mia madre distolse lo sguardo, io restai allibito. Ebbi la tentazione di aiutarla ad alzarsi, e il mio corpo reagì prima. Mi alzai di botto dalla sedia, oltrepassai la sedia di mia madre e mi avvicinai alla ragazza. Tesi la braccia per poterle afferrare le sue e darle una mano. Fu in quel momento che mio padre mi fulminò con lo sguardo.
" Max, non toccarla!" mi tuonò ferocemente. Mi spaventai da quel brusco rimprovero e ritrassi le mani. Lei alzò piano la testa e mi fissò. Mi sembrò di vedere delle lacrime, i suoi occhi erano lucidi. Piangeva! Silenziosamente, ma lo stava facendo. Mi alzai riluttante e tornai a sedermi. Lei si rialzò da sola e si sistemò il grembiulino.
" Ora al lavoro!" le disse mio padre. Lei tenne la testa china e corse vicino al camino spento, dove stavano un secchio di patate da sbucciare, un coltello e il ramazzo. Si sedette china sul secchio, afferrò una patata e iniziò a pelarla. Aveva mani affusolate e dita sottili, nonostante questo riuscì a pelare la patata abbastanza veloce e bene. Controllò il tubero e lo mise in un vassoio vuotò. Poi continuò.
Nel mentre mio padre era rientrato nel suo studio, mia sorella nella sua stanza, mia madre restò seduta con me, china sulla rivista che stava leggendo prima dell'arrivo di papà.
E io? Io continuai a fissare il numero 15674 ... o chiunque essa fosse. E mi sentivo un peso dentro lo stomaco davanti a quello spettacolo a dir poco deprimente. 


Lo so, è corto ... ma spero vi sia piaciuto come inizio! Al prossimo capitolo!
   
 
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