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Autore: sawadee    11/08/2011    1 recensioni
Una donna al volante.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Elena guidava.

E lasciava i pensieri salire alla mente, come se rimescolasse un tea in una tazzina.

Amava la matematica perché era universale e univoca. Non c'era bisogno di ricorrere a lusinghe, ma solo al raziocinio ed alla fantasia per capirla, perché non c'è materia più ricca di creatività e fantasia della matematica, e, proprio per questo, equa e unica.

Amava la matematica perché era rigorosa e, nonostante questo, creativa e in grado di creare un nuovo punto di vista.

Amava l'astrazione e l'esattezza e la fantasia.

Amava creare, risolvere problemi che astraessero e non fossero toccati dalla mancanza di onestà ed imprecisione. Soprattutto, si sorprendeva a pensare, era al tempo stesso la cosa più umana e fantasiosa esistesse e la più perfetta. Apprezzava l'eleganza di una teoria, la delicata bellezza di una funzione e la raffinata semplicità di un teorema.

Amava la matematica perché era pulita ed era così e poche storie, la soluzione diventava univoca una volta trovata la più lineare ed elegante.

Si era infilata nel percorso più lungo, con le sue prime storie sbagliate, come se la prima lezione data dalla scienza non l'avesse appresa, nonostante tutto, e fosse un hobby da sviluppare da sola, un conforto e un'isola di cui nessuno sospettava.

 Suo fratello, lui che era un genio matematico, le diceva che amava la matematica perché era rassicurante. Lei rispondeva che l'amava perché era onesta. Era quella e poche balle, anzi, nessuna. Solo verità e onestà.

Ed era libera, libera e entusiasmante e creativa, come solo la ricerca può essere. Era come esplorare un territorio vergine, qualcosa di nuovo.  Era lei, e solo se stessa, con un linguaggio perfetto.  Un linguaggio in cui ogni sovrainsieme spiegava il contenuto, quasi in un gioco di scatole cinesi. L'affascinava l'idea di qualcosa senza fine, in cui non c'era possibilità di altro che non fosse infinito, che non fosse perfetto.

Era come essere fidanzati, ma senza il rischio di essere traditi, era come essere ubriachi, ma senza il rischio di fare incidenti in macchina. Era essere completi.

E' difficile spiegare cosa voglia dire, ma fare ricerca è qualcosa che riempie l'animo del tutto e non lo lascia andare via. E' buffo dirlo, perché è una vocazione, ma è una vocazione più strana di quella del prete o del medico. Ed è strano, perché è anche come un innamoramento per tutta la vita.

Era buffo pensarlo, ora che insegnava al liceo, tutte le mattine la sveglia alle sei per raggiungere quella scuola ai confini del mondo, per quella supplenza annuale in quel liceo classico, convinta che un giorno o l'altro sarebbe finita fuori strada mentre raggiungeva la sede, persa in qualche riflessione.

Era strano vedere quei ragazzi, con le loro vite brulicanti, con i loro sogni ancora in boccio, le vocazioni, le famigli assenti o presenti individuabili solo da uno sguardo. La intenerivano, quando non risolvevano i semplici programmi di matematica della scuola o li sentiva lamentarsi delle versioni di greco (e riflettere che una laurea in lettere classiche e un dottorato li aveva raccolti anche lei, tanto tempo prima, prima di quello, prima di capire la lezione e finire per volere solo chiarezza nella sua vita, per tornare alle linee pulite e perfette, per capire che importa solo studiare, non la materia, perché è gioia e vita allo stato puro).

Ed era strano inerpicarsi su quelle colline, tra le pecore tranquille, i pascoli verdi e gli alberi, ricordare le ambizioni e i sogni, sfioriti con la primavera della vita. Perché nulla aveva trattenuto i sogni che aveva nutrito, cullato in seno, i sogni di diventare famosa e importante, una grande studiosa, un'accademica ammirata, prima che tutto crollasse in un giorno solo, e la semplicità la tentasse, l'amore per la ricerca le impedisse di prenderla come la sconfitta che non era. Perché studiare e fare ricerca non potevano portarglielo via, non potevano impedirglielo, perché era parte di lei, lo sarebbe sempre stata. E, quindi, un lavoro, perché non si vive di sogni e libri, ma anche di pane, e quegli studi di matematica, da capo, quasi come a voler affrontare altro. Era lì, ora a guidare, a lasciar vagare i pensieri, a ricordare le sue lauree, una trentacinquenne che viveva con i genitori, che aveva sempre lavorato, fin da giovane, brillante, prima della classe che inanellava borse alle prime delusioni.

E rifletteva su quanto fosse stata strana la vita con lei, con un senso di ammissione su se stessa, su quel matrimonio perfetto finito con un incidente in macchina, e su quei teoremi che aveva risolto e che non pubblicava, perché non aveva senso pubblicarli, dato che aveva abbandonato l'ambizione quando era morto suo marito.

Ed Elena guidava, continuava a guidare, lasciando libero il pensiero di spiegarsi. E guidava, perché, per quanto la vita fosse dura e sarcastica, aveva un grande amore e poteva definirsi "libera".

 

 

 

   
 
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