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Autore: AryYuna    13/08/2011    5 recensioni
“Mi chiamo Maria Assunta Guglielmini, Marissù per la mamma e le amiche, Mary Sue Williams per il pubblico, perché il mio agente dice che i nomi esotici fanno più presa sul pubblico.”
Mary Sue. Tutti la conosciamo, ne leggiamo ovunque… ma chi è davvero Mary Sue?
Genere: Comico, Parodia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La mia prima esperienza col comico e originale. Ridere fa bene XD    

Mary Sue

   
    Mi chiamo Maria Assunta Guglielmini, Marissù per la mamma e le amiche, Mary Sue Williams per il pubblico, perché il mio agente dice che i nomi esotici fanno più presa sul pubblico.
   Ma partiamo dall’inizio.
   Mi chiamo Maria Assunta Guglielmini, e sono nata a metà degli anni ’80 in un paesino in provincia di Benevento. Un paesino poco conosciuto di una provincia che appare poco al tg, il mio agente ha storto il naso quando gliel’ho detto e ha deciso che è meglio non divulgare certe notizie, meglio dire che sono nata a Halmahera. Non chiedetemi dove si trova, non ne ho idea, ma secondo il mio agente suona bene. Attualmente, dovrei avere venticinque anni e qualche mese, ma le principali fruitrici dei miei servizi sono adolescenti, per cui la mia età ufficiale è di diciassette anni: abbastanza grande per avere la patente negli States, non abbastanza per poter votare, e soprattutto, per aver finito il liceo. Altrimenti come potrei interpretare l’adolescente alla prima cotta?
   A questo punto credo che vi stiate tutti chiedendo come e soprattutto perché sono arrivata a questo punto, al punto di avere un agente e vedermi stravolgere la vita da lui. Beh, miei cari, ma bisogna pur mangiare! In un mondo in cui avere un cervello è superfluo, una laurea ancor di più e i vampiri luccicano al sole, la sottoscritta ha avuto la fortuna di nascere con le tette grandi - e le ossa piccole, cosicché è davvero un incubo per me cercare un reggiseno della taglia giusta, ma questa è un’altra storia, per dirla come Michael Ende… cazzo, non devo fare citazioni colte, ne va dell’immagine costruitami dal mio agente! - e cadere per le scale nel momento sbagliato, raccolta da un ragazzo. Non un bel ragazzo, ma un ragazzo. E tanto è bastato perché un tizio mi notasse e si avvicinasse con un biglietto da visita.
   « Sono un agente di stelle dello spettacolo » mi ha detto. « Hai la faccia giusta per lavorare con me ».
   Lusingata dai complimenti, l’ho portato a casa mia e ho discusso della sua proposta coi miei genitori.
   Stupidi tutti e tre, ci siamo cascati, ingannati dalle belle parole: sono cinque anni che ho diciassette anni e non dormo la notte per lavorare! E per di più vengo anche pesantemente insultata dalle altre ragazze, le cosiddette anti-Mary-Sue. Farei a cambio con loro in ogni momento.
   Giunto a casa mia, dopo essersi accomodato sul divano insieme a me, di fronte ai miei genitori, è partito, come in una tipica puntata di “Plain Jane”, dall’elencare i miei pregi, mettendoci ogni tanto un piccolo difetto per farlo apparire di poco conto.
   « È una bellissima ragazza » ha iniziato. « Non ci sono più ragazze così oggi ».
   Poi, dopo varie sviolinate, è passato al mio nome, « un po’ troppo italiano, troppo del sud, poco esotico - l’esotico fa più presa, sapete? - dobbiamo pensare a qualcosa ». Ha subito aggiunto che a lui “Maria Assunta” piaceva moltissimo, per non offendere i miei, ma che purtroppo era necessario. A quel punto, mia madre mi ha chiesto di aiutarla col caffè e i biscotti, e mi ha chiamata “Marissù”, mio soprannome da quando ero molto piccola. Il mio agente si è illuminato all’istante.
   « Questo è un nome fantastico! » ha detto. « Dobbiamo solo renderlo più esotico… che ne dite di “Mary Sue”? Suona bene, no? E per il cognome… potremmo tradurlo, “Guglielimini” diverrebbe “Williams”, suona molto bene, non trovate? »
   Poco importava che noi trovassimo o no, lui era partito. Ma a me poco interessava, prometteva di rendermi ricca e famosa, mi aveva detto che ero bellissima… cambiare il mio nome e cognome era problema di poco al confronto. Col senno di poi avrei preferito fare di cognome “Gargiulo”, almeno non può essere tradotto in inglese.
   Alla fine della visita, ho firmato il contratto.
   
   Nei giorni successivi, l’iniziale collegamento che avevo fatto con “Plain Jane” è divenuto qualcosa di più che mai giusto. Il mio caro agente ha iniziato a suggerirmi dei cambiamenti, inizialmente poco invasivi - « Prova questo rossetto, credo ti starebbe bene » - poi via via sempre più visibili - « Tesoro, dove credi di andare con quella gonna? Accorcia, accorcia! » fino a diventare un incubo - « Palestra o chirurgia, decidi! ».
   Tempo un mese e mi sono ritrovata in un salone di bellezza, con una giornalista in tailleur attillatissimo che mi fissava avida.
   « Chi è? »
   « Rita? Oh, è solo una mia vecchia conoscente, ci aiuterà a renderti popolare ».
   “Rendermi popolare”, come ho scoperto mentre la truccatrice mi impiastricciava la faccia con tonnellate di fondotinta, significava far scrivere sul suo giornale - giornalino, in realtà - le informazioni costruite su di me dal mio agente. È stato durante quell’intervista, alla quale ha risposto sempre e solo il mio agente - e meno male, perché io avevo tanto di quel trucco sul viso che non riuscivo a muoverne i muscoli - che ho scoperto di essere nata a Halmahera, di essere nel pieno dell’adolescenza, e di essere…
   « Orfana. Un tragico incidente. Poverina, vero? Vive coi genitori adottivi » stava dicendo il mio agente alla giornalista.
   Mi sono voltata di scatto verso di lui, con risultato di accecarmi un occhio con l’applicatore del mascara.
   « Orfana? »
   « Tesoro » è stata la tranquillissima risposta del mio agente con un sorriso intenerito, « lo so che non vuoi che se ne parli, ma è giusto che i tuoi fan sappiano la verità su di te. Ti amano già, e ti saranno vicini nel tuo dolore ».
   Credo sia stato a quel punto che ho iniziato a dubitare della mia scelta. Ma purtroppo, pena noie legali di ogni genere, non potevo rescindere il contratto per almeno dieci anni. La prossima volta che firmo qualcosa mi porto dietro mio cugino avvocato.
   Dopo quell’intervista, ho rincontrato Rita in occasione del set fotografico organizzatomi dal mio agente.
   « Una buona intervista deve avere delle belle foto » mi ha detto lui mentre vagliava gli abiti da farmi indossare. La prima scelta è stata un quadrato di stoffa lucida verde evidenziatore, secondo il mio agente un “miniabito con scollo a barca e senza maniche”.
   Mi stava da schifo. Ma il mio agente non si è perso d’animo.
   « Scollatura, ci vuole una scollatura! » ha detto passando all’abito successivo, stessa lunghezza - cortezza - ma più aderente. E scollato.
   « Mi si vede il reggiseno! »
   « Ma tesoro, devi toglierlo, il reggiseno! »
   Toglierlo.
   Bene, dovete sapere che io non levo mai il reggiseno, perché ho troppo seno. E so che molte di voi penseranno “troppo è impossibile, non è mai troppo”, ma purtroppo lo è. Perché la vostra cara Mary Sue, per essere la Mary Sue che tutti conoscete, non poteva avere una taglia normale, altrimenti l’agente non l’avrebbe mai notata, per cui si ritrova due palloni su un petto dalle ossa piccole. E due palloni del genere strabordano se hai le ossa piccole, a meno che tu non li schiacci in un reggiseno.
   Fortunatamente il mio agente si è accorto del problema, e ha deciso di eliminare l’idea del miniabito.
   « Biancheria. Così il giornale lo compreranno anche gli uomini ».
   Dopo quattro tentativi andati a vuoto - la biancheria in cui voleva infilarmi era talmente piccola da risultare ridicola più che sexy - siamo approdati all’idea definitiva.
   « Stenditi su quel divano rosso. Portatemi dei petali, presto, petali di rosa rossa! Ne voglio almeno una tonnellata! Ti copriremo con quelli »
   « Mi… cosa? »
   « Non preoccuparti, terrai la tua oscena biancheria sotto, anche perchè dovremo appiccicarci i petali sopra, non si manterrebbero soltanto poggiati sulla pelle, e sei ancora troppo poco conosciuta per il nudo integrale ».
   « Ufficialmente sono minorenne! »
   La risposta del mio agente è stata un’alzata di spalle, poi è passato ad incollare personalmente i petali sulle mie mutandine bianche con gli orsetti rosa.
   
   Se pensavo che la preparazione fosse assurda, ho scoperto poco dopo che il lavoro lo era ancora di più.
   “Mary Sue è una ragazza bellissima, con tutte le curve al posto giusto” è la mia tipica descrizione. E questa è la parte più sopportabile: si parte dall’abito, di solito di almeno una o due taglie in meno rispetto alla mia, e dai tacchi, che ho dovuto imparare a portare perché prima vivevo di ballerine; poi mi truccano, chili e chili di fondotinta bianchissimo - « Tesoro, non puoi conservare il tuo colore mediterraneo, non è di moda, vanno di moda le persone pallide! » - rossetto rossissimo, eye-liner, ciglia finte e mascara nero per definire i miei occhi - « E anche per rimpicciolirli, troppo grandi, mia cara, non sono sexy! »; poi passo al parrucchiere, all’inizio mi tingevano i capelli a seconda della scena che dovevo girare - di solito con lo stesso colore dell’autrice dell’opera, chissà perché… - ma i miei capelli si stavano rovinando, così siamo passati alle parrucche. Solo che avendo i capelli molto folti, è difficile nasconderli per bene sotto alla parrucca, così finisco per sudare e doverli comunque lavare ogni sera, a causa delle retine e le calotte che mi mettono per fissare i capelli finti.
   Ma qui finisce la parte facile e inizia la tortura.
   “Mary Sue è una ragazza sicura di sé, ma umile, ed è terribilmente popolare”. Il “terribilmente è una mia aggiunta. Devo camminare per i corridoi di un liceo - che sia Hogwarts, la Forks High School, il liceo di Sunnydale o quello di Capeside poco cambia - sorridendo a tutto e tutti, mostrando quanto naturale mi riesca camminare coi tacchi e la microgonna senza mostrare la mia biancheria - ho insistito per tenere le mie mutande comode, almeno in queste scene - e salutando tutti. E poi… aspettare lo stupro. Beh, no, magari non proprio lo stupro, ma devo aspettare che qualche bel tipo mi noti. Gary - di solito la parte è affidata a lui - a quel punto mi si avvicina e la scena si può svolgere in due modi: o lui è un teppistello alla Step di “Tre metri sopra il cielo”, o comunque un bastardello, e allora mi appostrofa in qualche modo poco gentile, o è un ragazzo dolce e premuroso come non ne esistono in natura, e quindi mi fa qualche complimento. Se l’autrice è insicura, di solito a me cadono i libri e lui me li raccoglie. Nel primo caso, novanta su cento io rispondo male e mi allontano, mentre lui ride coi suoi amici; nel secondo, ed è il peggiore, le riprese vengono interrotte e noi dobbiamo rimanere fermi come ci troviamo, senza battere ciglio, mentre la truccatrice entra armata di phard e pennellone e mi fa arrossire.
   Ora, permettetemi di spendere due parole su Gary, perché merita. È un ragazzo simpatico, estremamente imbranato fuori dal set, direi al limite del ridicolo, ma carino e divertente. Mi ha confessato, in un momento in cui eravamo soli, che il suo vero nome è Gennaro Stendardo, e che l’idea del nome esotico è stata del suo agente: Gary, che richiama il nome, Stewart - perché un secondo nome fa più figo - da Stendardo… e Anderson, perché serviva un cognome, e il suo agente ha pensato suonasse bene. Non ha voluto dirmi di dov’è, ma la versione ufficiale è che sia newyorkese - il figo yankee va di moda. Credo sia mio coetaneo, almeno è chiaro che ha più dei diciassette anni che gli attribuiscono le riviste. Passiamo le pause tra una ripresa e l’altra a lamentarci degli abiti di scena o a commentare quanto faccia prudere il fondotinta bianco. Non ho idea di quale sia la sua vera carnagione perché non l’ho mai visto al naturale, ma sospetto sia simile alla mia, altrimenti non mi spiego l’uso del fondotinta. Anche per quanto riguarda i suoi occhi e capelli non so che colore abbia, perché lo vedo ogni giorno con una parrucca diversa e le lentine colorate - piaga che io mi sono risparmiata, a quanto pare il mio agente ha pensato che il nero sia abbastanza figo, « e poi va con tutto». Mi piace passare il tempo con lui, mi ha confidato di essere un appassionato di giochi di ruolo, di amare Tolkien e di essere un tipo tranquillo. Non ama le scene che deve girare, quelle in cui deve fare il figo del football o - da quando è tornato di moda grazie a Twilight - del baseball. Mi ha anche detto di avere dei lividi a causa di quelle scene, ma sono coperti dal fondotinta. Mi sono sentita sollevata a sapere tutto questo, perché anche io amo i giochi di ruolo, e ho i piedi pieni di vesciche per quei maledetti tacchi a stiletto che sono costretta a portare. È stato anche appassionante discutere con lui delle differenze tra i libri e i film del “Signore degli Anelli”, peccato lui trovi simpatico Barbalbero.
   I nostri agenti non hanno ancora deciso se sia un bene che Mary Sue e Gary Stu si mostrino in pubblico insieme, così hanno deciso di seguirci sempre, con la scusa delle scene da discutere, e controllarci. Così possono anche assicurarsi che a mensa mangiamo « piatti adatti alle nostre figure », il che significa insalate scondite con pezzi di ananas e frutto della passione per me e quintali di carne per lui. Fortuna che la mia adorata mamma biologica mi prepara la pasta una volta tornata a casa!
   Tornando alla scena, dopo esserci rivolti per la prima volta la parola, che sia in modo sgarbato o in modo dolce, di solito io e Gary giriamo qualche scena con gli amici o i genitori dei nostri personaggi, scambiandoci soltanto occhiate da lontano, e solo verso metà film avviene il nostro secondo contatto, quello che prelude a qualcosa di più.
   Questo qualcosa di più, di solito, quando abbiamo la fortuna di trovarci un’autrice sana di mente, si limita a qualche bacio, poi finiamo in qualche camera da letto, o al massimo in un salotto, e ci sbottoniamo le reciproche camicie. Inizialmente, i truccatori avevano il compito di riempirci completamente di vernice - pardon, fondotinta - bianco latte, ma a furia di strusciarci l’uno contro l’altra si rovinava, così recentemente abbiamo la fortuna di girare le scene con la pelle quasi al naturale, e il compito di farci apparire pallidi è affidato ad una lampada azzurrina accanto al letto o al divano. Di solito in queste scene io sono inquadrata di spalle, per cui il massimo che si vede di me è la mia schiena quando Gary sgancia il reggiseno. Poi il regista grida stop e nella ripresa successiva siamo stesi tra le lenzuola bianche in posizione strategica.
   Quando però l’autrice è più sadica, dopo esserci strusciati ed essere giunti alla rimozione completa del reggiseno, ci stendiamo entrambi sul letto, sospirando - i nostri agenti non hanno mai compreso che è un sospiro di rassegnazione, sono convinti che ci siamo seriamente calati nella parte - e ci diamo da fare. Fortunatamente, nell’immaginario di queste autrici, io devo sempre stare sotto, e in più mi vengono dedicate solo “romantiche” inquadrature al viso sofferente e alle mani strette sulle lenzuola, per cui mi si vede abbastanza poco. A Gary va molto peggio, perché lo inquadrano da tutte le angolazioni. Poverino, è così timido che a scena finita scappa via coprendosi con le lenzuola di scena.
   Al termine della giornata lavorativa, i nostri agenti ci consegnano la paga del giorno, che - credetemi - non è mai abbastanza per ciò che abbiamo dovuto sopportare, ho persino bolle dappertutto dovute al fondotinta, al quale a quando pare sono allergica. Poi ci riaccompagnano a casa, dove finalmente riprendo ad essere Maria Assunta Guglielmini, venticinque anni, pigiamone a disegni rosa e cena a base di pasta con i miei meravigliosi genitori naturali.
   
   Fino al giorno successivo, in cui ricomincia la routine.
   
   
   
   Questa cosa è nata alla fermata del pullman dell’università, e si è evoluta di fermata in fermata fino alla stazione della metropolitana, giovedì scorso. È una cosina senza pretese, nata per ridere e prendere in giro l’improvvisa abbondanza di bonazze in tacchi a spillo e pelle “di latte” che popola i licei delle fanfiction.
   I nomi dei luoghi citati sono esistenti, Halmahera è stata trovata tramite google e si trova in Indonesia, Benevento è in Campania, e se non la conoscete avete un grave problema di ignoranza geografica, anche peggiore del mio che continuo a confondere i nomi delle Alpi XD I nomi dei personaggi sono di mia invenzione, situazioni proposte sono inventate o liberamente ispirate al mio essere mediterranea in un momento in cui vanno di moda i cadaveri ambulanti. Le scuole citate sono prese da “Harry Potter”, “Twilight”, “Buffy l’ammazzavampiri” e “Dawson’s creek” e sono protette dai rispettivi copyright, idem per “The Metri sopra il cielo”; “Plain Jane” è un programma di Mtv che trovo estremamente stupido ma divertente, perché la tizia lì crede davvero che un paio di tacchi e un boa di piume bastino a risolvere i problemi di una ragazza insicura. Anche questo, copyright non mio.
   Mancato qualcosa? Credo di no, nel caso fatemelo notare.
   Spero vi piaccia, grazie di aver letto ^^
   AryYuna
   

   
 
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