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Autore: xlairef    15/08/2011    0 recensioni
Dicembre 2012: da mesi le notti di Delia sono turbate da incubi inspiegabili e sinistri. Poi le cose precipitano, troppe persone si interessano a lei, come Anatol, un amico di cui non ci si può fidare, come Paul, l’affascinante padrone di una vecchissima drogheria, come Anna, la psicologa preferita di Delia…Ma perché Claudia, la sua migliore amica, è scomparsa? E a chi appartiene il gatto mostruoso che ogni notte monta la guardia al balcone di Delia? Qual è il segreto del talismano al collo della ragazza? Tante domande a cui solo quattro esseri vincolati da un inganno e pronti a tutto in cambio della libertà saprebbero rispondere…Ma potrebbe essere troppo tardi per fermare il corso della prossima apocalisse…
Genere: Fantasy, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La sera della festa d’Inverno Delia era sola in casa: sua madre era tornata ad occuparsi dei suoi clienti, come sempre, ma aveva lasciato in frigo un po’ di cena per la figlia, ignara che i programmi per la serata di quest’ultima non prevedevano certo una tranquilla  cena riscaldata davanti alla televisione.
Alle otto e mezza Delia trovò Anatol che l’aspettava sul marciapiede sotto casa.
Lui la squadrò da sotto in su: “Beh, dai, potevi fare di peggio.” Delia indossava un paio di jeans neri e un cappotto grigio sopra una felpa senza maniche, anche questa di colore indefinibile. Non l’abbigliamento ideale per una festa, probabilmente.
 “Se non ti vado bene, puoi pure andartene…” replicò la ragazza seccata.
“Ho detto che non sei tanto male, no? Forza, salta su!” e indicò l’auto rossa parcheggiata all’angolo della strada.
Delia non si sforzò nemmeno di domandargli dove l’avesse trovata.
 
Una grande folla di ragazzi di ogni età era ammassata alle porte, impazienti di entrare a scuola per la prima volta nella loro vita: il vecchio arco sull’entrata era stato decorato da luci e carta argentata, il che lo rendeva alquanto curioso, agli occhi di Delia.
Una volta oltrepassato il portone, scoprirono che il chiostro era stato invaso da tavoli e tavolini su cui erano disposte le più varie e strane quantità di cibo, dalla pasta e fagioli agli involtini primavera, passando per la torta di mele e lo sformato di melanzane. Delia riconobbe alcune compagne di scuola, intente a mangiare e a chiacchierare allegramente, ma non si avvicinò: sapeva che l’ombra di Claudia l’accompagnava ancora.
Inoltre Anatol provvedeva a farla avanzare tra i vestiti colorati, tenendola saldamente per mano: sembrava avere una destinazione ben precisa. Superarono il tavolo degli alcolici, sorvegliato da alcuni professori dall’aria un po’ brilla, il tavolo dei dolci e una fila di panche da dove ci si poteva sedere per ammirare gli alberi e le piante del chiostro, fino a che non furono arrivati alla meta: i gradini di pietra smussata dagli anni che davano accesso alle cantine sotterranee del liceo.
“Cosa c’è in cantina?” domandò Delia, vedendo un gran numero di ragazzi scendere di sotto.
“La discoteca, no?” Anatol la guardò come se la risposta fosse stata ovvia. Stavano per avviarsi quando Delia notò una ragazza che parlava ad un uomo in un angolo appartato: la brunetta pareva particolarmente su di giri, e l’uomo le stava permettendo di spingersi un po’ troppo oltre, e fin qui nulla di anormale. Il problema era che l’uomo in questione era Paul. Vestito di nero dalla testa ai piedi, aveva un aspetto talmente…diverso dal solito, che Delia rimase senza parole. Come se avesse sentito lo sguardo di lei penetrargli la nuca, Paul si girò e incrociò il suo sguardo. Il blu dei suoi occhi era spettacolare, e Delia non l’aveva mai notato prima, sembrava più giovane e….
Cosa mi succede? Cosa sto pensando? La ragazza non capiva, le girava la testa, e voleva solo avvicinarsi di più a quegli occhi…
Anatol le artigliò un braccio: “Ma che fai? Si scende di qui!” e la strattonò giù per le scale; per un istante il ragazzo dai capelli fiammeggianti e l’uomo in blu si fissarono, e se Delia non fosse già scesa si sarebbe spaventata per lo sguardo di sfida che i due si stavano lanciando.
Nella cantina, un locale basso e molto ampio, erano state installate casse e luci stroboscopiche: da un palco di fortuna una band formata da studenti dell’istituto cantava i brani dei cantanti più famosi del momento, mentre studenti e ragazzi di altre scuole si dimenavano a ritmo di musica.
“Ti va di ballare?” Anatol non le lasciò il tempo di rifiutare e si diresse verso il centro della sala.
“Ehi aspetta! Non ho mai detto che…”
Una polvere dorata scendeva dal soffitto e volteggiava sopra le teste dei ragazzi che si divertivano nella quasi oscurità della cantina.
A Claudia sarebbe piaciuta, pensò Delia sentendo una morsa al cuore: la polizia non aveva ancora trovato l’amica.
“Non pensare alle cose tristi: balla e divertiti” le sussurrò Anatol mentre si muovevano tra la folla.
La musica stordiva Delia, sentiva tutto il corpo vibrare al ritmo della batteria…e ad un ritmo più lento e più profondo, che proveniva dalla terra sotto le piastrelle di cotto scheggiate e polverose.
Il sangue le pulsava, chiedeva di spillare e sgorgare fuori dalle sue vene, per unirsi alla danza del sottosuolo. “Lo senti anche tu?” chiese ad Anatol, ma il ragazzo aveva già iniziato a ballare. Delia notò però che alcuni ragazzi si muovevano a scatti, come incapaci di scegliere il ritmo secondo il quale muoversi. Ben presto il loro numero aumentò: Delia si era persa tra le gambe e le braccia che si piegavano all’improvviso, non riusciva a vedere dove fosse finito Anatol. Decise di tornare in superficie, ma non vedeva nemmeno l’uscita. Infine il ritmo sotterraneo prese il sopravvento.
Tutti iniziarono a danzare strane coreografie, sensuali eppure inquietanti, porgendosi l’un l’altro le vene del collo e dei polsi con inchini lenti e voluttuosi, del tutto inconsciamente: i loro occhi erano lattei, svuotati di ogni emozione.
Solo Delia sembrava immune a quella frenesia: terrorizzata, la ragazza scorse ad un tratto le scale e cercò di raggiungerle, ma il talismano che aveva al collo sembrava essersi fatto pesante, ad ogni passo pareva che una mano le serrasse il collo impedendole di respirare.
Mentre raggiungeva con fatica il primo gradino delle scale, la danza degenerò: all’improvviso i volti privi di espressione si raggrinzirono, le loro gambe cedettero e portandosi le mani alla testa le loro bocche si spalancarono per emettere un urlo che esprimeva una sofferenza inimmaginabile, un urlo che si mescolò a quello di Delia, che con uno sforzo terribile riuscì ad salire le scale e ad uscire nel chiostro, dove gli altri gruppi di persone la fissarono stupiti dalla sua faccia sconvolta. La ragazza non riuscì ad aprire bocca che il corteo di danzatori stregati fece irruzione dietro di lei: i loro visi erano completamente sfigurati per la paura di qualcosa che solo essi potevano vedere, e si aggredivano l’un l’altro come per difendersi da misteriosi nemici. Alcuni dei sani per lo shock strillavano a squarciagola, altri, riconoscendo amici o fidanzati tra il gruppo impazzito, correvano loro incontro per portarli via, e venivano coinvolti così nella lotta; i più in sé scappavano velocemente verso il portone d’ingresso, ma questo era stato chiuso a chiave.
Delia si era rannicchiata in un angolo del chiostro, dietro ad una colonna, coperta dalle siepi del giardino ornamentale infangato per le continue piogge, e osservava la scena tremando. Si domandava cosa avesse potuto provocare quella follia collettiva: forse la polvere dorata era una droga, ma allora perché lei sembrava essere immune? E perché per quanti sforzi facesse non riusciva a sfilarsi dal collo il talismano, più pesante ad ogni secondo che passava?
“Delia!” Il sussurro la fece sobbalzare, ma alzando la testa vide il viso familiare di Anatol, anche lui a carponi nel giardino. “Presto, vieni con me! Dobbiamo andarcene da qui!”
Quegli occhi… vere calamite per Delia. Tutto sfociava nel nulla: paure, pensieri venivano subito ridotti all’impotenza, perché nulla poteva accaderle in quei momenti. E rivestita di nuova forza, di nuovo coraggio, nessun rischio era troppo elevato, nessun argomento poteva farla desistere.
Ah, quegli occhi…
Sgattaiolando tra le colonne immacolate Delia seguì Anatol tra i ragazzi impazziti, fino a raggiungere di nuovo le scale delle cantine da cui tutti erano usciti.
“Lo sapevi che da queste cantine” disse Anatol scendendo le scale, “ danno accesso ad una serie di gallerie sotto la città? I monaci le usavano durante le guerre per mettersi al sicuro.”.
Questo cosa c’entra?E tu come hai fatto a saperlo? Pensò Delia, anche se affascinata dalla storia.
“Dalle gallerie si può arrivare sotto ai principali edifici di un tempo: le basiliche, il palazzo di giustizia, il cimitero maggiore… per cui chiunque conosca il modo per entrarvi potrebbe essere arrivato fin qui questa sera a far impazzire i tuoi amici.”
“Ma chi può…chi è in grado di fare una cosa simile, perché?” chiese Delia; Anatol intanto si diresse sulla parete di fondo, coperta dal palco, e armeggiò per pochi istanti con i mattoni rossi del muro.
“La domanda non è chi…ma cosa…” rispose ritraendosi dalla parete: con un cigolio il muro si aprì, mostrando un lungo e buio tunnel scavato nella pietra. “Tu credi ai vampiri?”
“Come?” fece Delia confusa.
“Perché quella che sto per raccontarti è una storia di vampiri.” Il ragazzo prese da chissà dove una torcia elettrica, l’accese, e si inoltrò nella galleria. “Vieni?” domandò tendendo una mano alla ragazza pallidissima, che l’afferrò con forza.
Il talismano pulsò e divenne bollente; Delia cadde nell’oscurità.
 
Un corridoio stretto e caldo, un buco denso di sabbia e sangue, urla: non ha mai provato un dolore simile in tutta la sua vita, nemmeno nella morte: inarca la schiena spezzata, rotola sul pavimento imbrattandosi completamente con il suo stesso sangue, i capelli sono un intrico infangato di sudore e polvere, il volto è una maschera delirante per l’agonia. Maledice chi l’ha ridotta in questo stato, maledice chi l’ha messa al mondo per soffrire, maledice il mondo, Dio, gli uomini e le donne, sé stessa, e la sua mente si spezza.
Dopo un tempo infinito avverte qualcosa, un fremito, e a poco a poco il dolore lascia il posto ad altro: è esaltazione, è ebbrezza, è la consapevolezza di essere cambiata in qualcosa di enormemente più potente. L’agonia è finita: senza sforzo si risolleva da terra, flette gli arti più per abitudine che per accertarsi che siano in buono stato, dato che sa di non aver mai posseduto arti migliori finora.
Raddrizza il collo, lo riporta in asse con la colonna vertebrale, e ride istericamente mentre spezza le pietre che rivestono la tomba vuota. Si ritrova all’aperto, una figura spettrale avvolta in vesti insanguinate e strappate, anche l’aria della notte ha paura di avvicinarsi a lei. Sente un rumore: si tratta del sussurro di due tombaroli all’altro capo della valle dei morti, ma lei è in grado di sentirlo come se i due fossero alle sue spalle. Il pensiero di esseri umani la eccita: sente nelle vene aride e nella gola un tremito, i denti le dolgono per l’appetito, la saliva le lubrifica la bocca e i canini scesi sulle sue labbra. Con una risata folle si getta giù dalla collina.
 
Non può più passeggiare sotto il sole: ora comprende perché le visite di Paul non avvenivano che di sera o di notte. Il pensiero di lui, unito al pensiero di sua madre, è sufficiente a farle digrignare i denti affilati mentre tortura uno dei camerieri dell’albergo dove fino a pochi giorni fa soggiornava la madre. Dopo aver giocato con i lembi lacerati della pelle dell’uomo, una volta ottenute le informazioni che desiderava, morde alla gola la figlia di costui e la moglie, dissanguandole fino alla morte. Infine gli squarcia la gola.
Sta per uscire dalla casa sudicia e povera quando una voce la ferma: “A quale clan appartieni, sorella di sangue?” Una vecchia zingara, dagli occhi duri e  luminosi quanto quelli del gatto da incubo appollaiato sulla sua spalla la sta guardando sospettosa.
“Io non appartengo a nessuno.” Risponde Hannah, preparandosi ad attaccare.
La zingara dal viso felino e stranamente bellissimo non è convinta: “Chi ti ha reso così?” le domanda trafiggendola con lo sguardo, così che lei non può fare a meno di dirglielo. “Paul…Lord Ravenscroft…” mormora nella notte.
A questo nome il viso della vecchia si rischiara, i suoi occhi brillano: “Allora verrai con me, figlia mia…” E Hannah non può fare altro che seguirla.
 
A Messina sono iniziati i preparativi per il Natale. Balli e soiree si susseguono ogni notte, senza che i cittadini siano a conoscenza dell’orrore che li sta per travolgere e che si sta preparando sotto ai loro piedi, nel tempio abbandonato, dove Hannah sta pronunciando il suo giuramento.
Nefris, la zingara che guida il clan della Luna, le versa sulla pelle nuda il sangue ancora caldo di una bambina che si è allontanata troppo dalla mamma.
“Giuri di servire il tuo clan oltre le porte dell’eternità e di compiere la missione a cui io ti destino?” La voce di Nefris echeggia tra le volte in rovina.
“Giuro.” Hannah non ha esitazioni.
Una mano le getta un mantello nero sul corpo: è Lord Ravenscroft, che le sorride con la sua solita espressione ironica. Hannah se ne va con lui, devono ancora appianare le loro questioni…
 
Un messaggio consegnato alla madre: ad  un così piccolo pezzo di carta è dovuta la rovina di una città.
La madre: non avrebbe mai creduto che si sarebbe fatta convincere così facilmente; d’altronde quella donna ha bisogno di essere certa della morte della figlia per sposare Paul. O almeno crede.
Non si aspettava di trovare, invece del ricattatore che intendeva pagare per evitare di rivedere la figlia perduta, proprio la figlia in persona. O quel che restava di umano di lei.
Hannah, ma quel nome non aveva più significato, nel mondo nuovo e spietato in cui ora viveva, estrasse dalle carni ancora pulsanti di colei che era stata sua madre il talismano: aveva compiuto la sua missione. Lo consegnò alla mano tesa di Nefris alle sue spalle, poi affondò i canini lucidi nella gola fumante del cadavere. Accanto a lei Paul la imitò.
 
E infine la nebbia che rendeva opaco il volto di Hannah si dissolse, e Delia urlò, urlò disperata, perché il volto di Hannah  era quello di Anna e al contempo era il  suo stesso volto.
 
 
La melodia dell’organo risvegliò i sensi addormentati di Delia; da sotto le palpebre scorse poco o niente, solo il buio e sagome indistinte che si muovevano attorno al suo corpo disteso. Con un fruscio qualcosa di soffice si strusciò contro il suo braccio destro. Un paio di luci verdi e oro abbagliarono le sue pupille.
“E’ sveglia.” La voce aveva un che di familiare… Delia aprì gli occhi e trovò davanti a sé la vecchia zingara che le aveva venduto il talismano: portando istintivamente le mani al collo non vi trovò più il ciondolo.
“Cercavi questo?” La vecchia aveva tra le mani il talismano, non più ocra ma rosso, un rosso sinistro. “Al momento giusto lo riavrai, non preoccuparti.” Si girò e si rivolse ad alcune sagome nere in attesa nella galleria. Delia non era ancora in grado di mettere a fuoco tutti i particolari, ma capì di trovarsi in una sala lunga e stretta, probabilmente priva di finestre o collocata sottoterra: allungò le gambe e urtò una fredda scalinata, consumata dal tempo. Un aroma dolciastro di fiori morti e incenso impregnava l’aria gelida. Deve essere questo l’odore della morte.
Non capiva cosa la zingara stesse dicendo alle figure incappucciate, ma non stavano badando a lei, per cui la ragazza strisciando cercò di allontanarsi e di confondersi nell’ombra. Due mani sulle sue spalle la fecero desistere dai suoi propositi: “Vuoi davvero andartene?” Il tintinnio di quella voce aveva conservato il suo fascino. Anna la avvolse in un abbraccio stretto, impedendole di fare il minimo movimento, e la sollevò senza difficoltà. “Senza sapere a cosa sei stata destinata?” La risata della donna aveva note di follia, e si mescolò al suono lontano dell’organo, una cascata di echi irreali che penetrava nelle meningi di Delia e la lasciava senza forze.
Anna la posò in una nicchia, che altro non era che un sottile altare: dunque si trovavano in una cappella, ma Delia non ebbe il tempo di pensare a come servirsi di quell’informazione, perché la zingara si voltò nuovamente verso di lei. “Tu sei un caso curioso, ragazza” disse fissandola con le sue pupille verticali, “Non sei una di noi, eppure il talismano ti ha scelto per compiere l’Ecatombe di questo secolo.” A queste parole le visioni di Delia turbinarono dietro ai suoi occhi: No no no no…Non può essere vero!
La zingara continuò, mentre Anna si appoggiava languidamente all’altare: “Perciò non puoi opporti: tu diventerai l’Officiante del Rito, dopodiché uno di noi, che tu conosci bene, provvederà a trasformarti, così che tu possa essere per sempre parte del nostro clan della Luna.”
“Ogni cento anni il clan deve riaffermare il proprio dominio su ogni altra creatura…diversa dai mortali:” Anna prese la parola, “ il talismano è stato forgiato in tempi remoti: quattro essenze di quattro entità dagli enormi poteri sono state assoggettate con l’inganno ai voleri dei fabbricanti e confinate nella dimensione di Maaya, un luogo in cui le regole dell’universo non hanno valore. Il talismano è il sigillo che impedisce loro di liberarsi dai nostri vincoli e di tornare a devastare la terra. Per poter sfruttare l’energia di queste creature- gli umani le chiamano dei- è necessario un sacrificio, con cui esse possano tornare nel mondo per una notte per assorbire l’energia vitale di migliaia di esseri viventi, meglio se umani. In cambio la forza dei quattro esseri leggendari sarà nostra per un secolo. Questo è il patto che si ripete ogni cento anni.” Dicendo questo si leccò le labbra scarlatte.
“Con il passare dei millenni il talismano ha sviluppato una propria individualità: esso sceglie la persona che dovrà attivare il suo potere, la persona che dovrà recidere di propria mano uno dei vincoli più sacri che esistano nell’universo” Ad un cenno della zingara l’assemblea incappucciata si aprì, formando un corridoio in cui una di loro avanzò disinvolta nonostante il carico che aveva sulle spalle e che posò ai piedi dell’altare.
“Come va, Delia?” Le domandò Anatol posando il corpo inerte della madre della ragazza ai suoi piedi con una smorfia divertita.
Delia lo fissò con la mente obnubilata dall’orrore. No, non poteva, ci doveva essere un errore, non era Paul che le visioni…
“E’ incredibile quello che può fare questo gatto, lo sai? Addirittura inserirsi nei sogni provocati da un manufatto così antico e modificarli…” Osservò distrattamente Anatol, come se le avesse letto nel pensiero, chinandosi ad accarezzare il felino.
“Allora ... il Lord, eri tu…?” balbettò la ragazza.
“No, non proprio…” e sogghignò mentre si alzava. “Io sono Hannah.”
Un lampo attraversò gli occhi di Delia: in un istante il voto e il corpo di Anatol cambiarono aspetto, del ragazzo rimase solo l’espressione insolente e gli occhi azzurri chiarissimi e ipnotici.
“Sorpresa…” Hannah rise follemente e gli scrosci delle sue risate riecheggiarono tra le volte della cripta, e ognuna era un colpo mortale alla mente e al cuore di Delia.
“Le visioni non ti hanno detto tutto” un’altra voce sconvolse Delia: Paul apparve all’improvviso premendole le mani sulle spalle. “Avevamo deciso fin dall’inizio di trasformare Hannah in una di noi, ma questo poteva avvenire solo se lei avesse bevuto il sangue del capoclan, o dell’erede…ovvero Anna… Una volta trasformata, Hannah è stata lieta di collaborare al rito di cento anni fa…”
“Poteri oltre l’immaginazione uniti al dolce sapore della vendetta: cosa desiderare di più?” sorrise Hannah, e portò il suo volto vicino a quello di Delia: “E’ stato un giochetto ingannare voi umani con una semplice aura di fascino…ma ancora più semplice è stato importi il sigillo…”
“Che sigillo?” domandò fievolmente Delia.
“Il sigillo che ti obbliga a scegliere: compiere il rito, o morire, in modo da diventare tu stessa il sacrificio designato”. Rispose Nefris.
“Ma come…?”
“Cos’è un bacio, dopotutto?” canterellò Hannah. Delia si coprì la bocca con le mani, in preda all’orrore. “Era tutto programmato, ragazza mia” disse Paul “Fin dal momento in cui hai preso il talismano, un anno fa, ti abbiamo seguito: se ti ho assunto, è stato per controllarti meglio, e sottoporti all’effetto di alcune spezie che hanno attivato la capacità del talismano di provocarti le visioni…Per un colpo di fortuna Anna era già la tua psicologa…”
Delia sapeva più dove voltarsi per sfuggire a quel delirio: abbasso la testa e guardò il corpo di sua madre a terra. “Lei che c’entra?” chiese debolmente.
“Il legame più sacro sarà spezzato“sussurrò Anna: “Il vincolo che lega madre e figlia deve essere reciso, così come Hannah ha fatto cento anni fa. Solo così la Terra si rivolterà contro i suoi abitanti, le linee di potere che scorrono tra il magma si frantumeranno e cambieranno corso, e in un solo attimo migliaia di vite si spegneranno tra le scosse e la distruzione del terremoto provocato da tutto questo. Le loro anime nutriranno la fame degli esseri rinchiusi nella dimensione di Maaya, il loro sangue…non andrà sprecato…” concluse mostrando i canini scintillanti.
 
Delia si ritrasse: “No!” esclamò d’istinto.
Anatol, o meglio Hannah, le si fece più vicina: “Ma come, non eri tu quella che odiava sua madre con tutta sé stessa? Che fine ha fatto il tuo odio?”
“Cosa a fatto tua madre per meritarsi la tua pietà? Non ti conosce, non conosce i tuoi problemi, si preoccupa solo di sé stessa…come tutte le madri, del resto.” Mormorò Anna con la sua voce incantata.
“Devi solo incidere il suo cuore e porvi il talismano all’interno: poi sarai libera dalla sua ombra, dal mondo degli umani che ti disprezza, dal vuoto della tua vita inutile…Sarai una di noi, Delia, per l’eternità…” Gli occhi di fuoco verde della zingara bruciavano l’anima della ragazza confusa. Come sarebbe stato, vivere un’esistenza simile?
Allungò una mano verso il talismano, che la vecchia le lasciò cadere tra le dita: dal coro dei presenti si levò una litania in una lingua dimenticata da secoli.
Qualcosa dentro di lei si ribellò, ed esitò per parecchi attimi, prima di indietreggiare atterrita.
“Non posso farlo.”
Il volto di Anna si contorse in una smorfia di rabbia: “Non perdere tempo: se non sacrificherai tua madre, ne prenderai il posto, e in più faremo di te quello che abbiamo fatto di Claudia…”
“Cosa le avete fatto? Dov’è ora?” chiese in lacrime Delia.
Hannah indicò il soffitto della cripta: Delia non potè trattenere un urlo. Il corpo di Claudia, dilaniato e coperto a fatica dagli stracci che erano stati i suoi vestiti, pendeva in modo innaturale dal soffitto di marmo, appeso alle catene che reggevano il baldacchino sopra l’altare. Il suo corpo era stato quasi interamente prosciugato dalla sete dei vampiri e penzolava rugoso e piagato. Le treccine rosa formavano un crudele contrasto con il resto della testa insanguinata della ragazza agonizzante.
“Non ha fatto che urlare mentre ci nutrivamo di lei: e io che la credevo una dura…” commentò Hannah.
“Questa sarà la sorte che ti spetterà se non assolverai il tuo dovere” disse Nefris spietata. “Avanti, decidi: la morte tra mille tormenti o il potere di una vita immortale?” Delia si volse verso il corpo della madre.
Dall’alto provenne un gemito: Claudia con uno sforzo immane piegò la testa verso Delia e tentò di dire qualcosa. “Del...del...non…” Con un salto Anna la raggiunse e le spezzò il collo con un colpo secco. Delia urlò di nuovo, annichilita dal dolore, ma ormai l’incantesimo era stato spezzato. Delia cadde a terra in lacrime.
“Compi il rito, ragazzina, e non dovrai temere più nulla da noi.” La voce di Nefris risuonò di nuovo tra le volte della cripta.
Rialzandosi a carponi, Delia sentì il peso del sacchetto di spezie di Paul rimbalzarle sul petto, e capì improvvisamente cosa fare. Tra le mani aveva ancora il medaglione maledetto: lo sollevò con la destra, portandosi vicino a sua madre, stesa a terra. Mentre i vampiri puntavano i loro occhi sul talismano, Delia con la sinistra strappò il laccio che teneva il sacchetto legato al suo collo e sparse il contenuto nell’aria davanti a sé, riparandosi poi nella nicchia più vicina.
La polvere esplose nell’aria, annebbiando i sensi dei vampiri: una cortina di fumo dorato si espanse nell’atmosfera, formando figure evanescenti di creature al di là di ogni incubo, scatenando il caos nella sala: i vampiri, incapaci di distinguere la visione dalla realtà, combattevano l’uno contro l’altro nel tentativo di difendersi dalle mostruose creazioni della nube di spezie. Delia sembrava l’unica indenne dall’effetto allucinogeno, e rimase a guardare inorridita la carneficina che si svolgeva davanti a lei. D’un tratto le figure di Anna e Hannah si stagliarono nell’oscurità luminosa: la ragazza si scosse e in preda al panico abbandonò la saletta, lasciando gli altri vampiri a combattere tra di loro, e salì le scale facendo cadere dietro di sé tutti gli oggetti che trovava nelle nicchie sul muro. Turiboli incrostati dal tempo e rovinati dalle ragnatele, colonne ornamentali sporche di sangue di innominabili sacrifici, scatole di ceri neri come l’inferno al quale erano stati consacrati, tutto questo rotolava alle spalle di Delia, estremo tentativo di favorire la sua fuga.
Si ritrovò in cima ad un'altra scalinata coperta da un lungo portico: il chiarore rossastro della luna illuminava il marmo bianco e nero e i mattoni rossi della costruzione, e la schiera di alberi sempreverdi che allungavano i loro rami, contorti come gli arti di un dannato, sulle file e file di tombe di ogni genere che si offrivano alla vista di Delia.
“Il Cimitero Maggiore….” Sussurrò la ragazza sconvolta.
“Dove credi di andare?” Hannah era comparsa in cima alle scale, seguita da Anna.
Delia scese i gradini del porticato e corse come mai aveva fatto prima, addentrandosi tra i monumenti funebri più imponenti nel tentativo di seminare le due creature uscite dai suoi incubi.
“Se non vuoi compiere il sacrificio, sveglieremo tua madre e chiederemo a lei: sarà meno potente ma…”
“Oppure potreste uccidervi a vicenda…”
 Le voci la inseguivano tra gli stretti viali invasi dalle erbe selvatiche e dalle ortiche, impedendole di ragionare. Conosceva il cimitero: anni prima veniva con la madre in lacrime quasi tutti i giorni per visitare la tomba di suo padre. Ricordava ogni strada e sapeva dove conduceva ogni vialetto in rovina, ma non riusciva a concentrarsi su come sfuggire al suo destino.
Non riuscirò a scappare… si disse sfrecciando tra gli angeli e le urne di marmo.
Provò a nascondersi nel vano tra due tombe di famiglia, fra le erbacce e la ghiaia; lentamente i commenti dei suoi inseguitori sfumarono in lontananza. Delia alzò cautamente la testa: “Trovata…” le sibilò Hannah sul collo. Scattando per il terrore la ragazza colpì la ragazza al viso, con il solo risultato di ferirsi le nocche. Hannah la sfiorò con una mano e la mandò a colpire una delle lapidi che occupavano la zona centrale del cimitero.
“Ricordati che ci serve viva!” scherzò Anna, apparendo istantaneamente alla destra di Delia, che si rialzò con la schiena a pezzi e ricominciò a correre, ma ad ogni passo una mano la faceva cadere sulle lapidi. Infine una spinta decisa la fece crollare per l’ultima volta sulla ghiaia di una delle tombe: i sassi le penetrarono nella carne con minuscole fitte di dolore quando Anna la bloccò con il peso del suo corpo.
“Lo sai, assomigli a Claudia, nell’istante prima di venire divorata…”
“Cosa…”
“Non ha fatto altro che piangere:...Tu non farai così , vero?…”
Un momento più tardi le braccia di Delia erano libere e Anna veniva scaraventata lontano da un’ombra blu: Paul era lì e  si chinava su di lei: “Fidati di me” le sussurrò all’orecchio.
“Cosa credi di fare?” chiese Anna, rialzandosi furiosa pochi metri più in là.
“Controllo che i tuoi giochi non l’abbiano uccisa prima di completare il rito.”
“Chi le ha dato la polvere esplosiva che ha usato nella cripta? Stai solo cercando un’altra occasione per prendere il mio posto, vero?” Gli occhi di Anna scintillavano d’ira. “Non ti è bastato tentare di creare un tuo clan, attirando Hannah in quella tomba, ora cosa vuoi? Impedire il rito? Manipolare la ragazza, così che i poteri del talismano passino su di te solamente? Le farai bere il tuo sangue?” Si volse verso Delia: “Ti userà, come ha usato Hannah, e poi ti lascerà morire quando non gli sarai più utile...”
Paul indietreggiò verso Delia,  che si ritrasse istintivamente contro la lapide contro cui era stata sbattuta, con un espressione di pura paura.
“Delia, non è il momento…” provò a dire l’uomo.
“Dietro di te!” Trovò la forza di urlare la ragazza: alle spalle di Paul Hannah aveva perso la testa. Con una smorfia di odio e ferocia incisa nel viso si lanciò contro Paul, immergendo le dita piegate ad uncino nel petto di lui. Paul riuscì a strapparsi all’abbraccio mortale, ma era distratto da Delia che ad ogni colpo rischiava di restare coinvolta nella lotta mortale, e incalzato dalla vampira che rideva impazzita ad ogni ferita che gli infliggeva.
 “Dove eravamo rimasti?” chiese Anna, voltandosi verso Delia.
Delia in lacrime quasi non si rese conto del pezzo di metallo che la pungeva alla base del collo. Si girò e scoprì che apparteneva ad una croce di ferro,mal fissata alla pietra della lapide, logorata dagli anni ma ancora affilata. Senza che i due vampiri la notassero, con le ultime forze la estrasse dal piedistallo e la nascose dietro di sé.
“Basta! Hannah, Paul non c’è tempo da perdere” La voce di Nefris riecheggiò nei viali, interrompendo il combattimento tra i due vampiri, che si staccarono l’una dall’altro.“Le stelle sono in posizione, le linee di potere sono al massimo della loro forza” La zingara comparve, il suo collo era piegato in una posizione innaturale: al suo fianco un ultimo vampiro reggeva il corpo della madre di Delia. Si arrestarono di fronte al gruppo: “Ora compi la tua scelta: uccidi tua madre e immergi il talismano nel suo cuore, o muori.” Il vampiro posò il corpo davanti a Delia e poi si sdraiò a terra vomitando un liquido trasparente e vischioso prima di morire.
Delia si accorse di avere in una mano il talismano, bollente e sanguigno; strisciando avanzò verso il corpo inerte di sua madre, nel silenzio che era calato sull’assemblea.
“Non avere timori o esitazioni: colpisci dritto nel cuore” la istruì Hannah.
Delia alzò la mano con il talismano sopra il petto del corpo ai suoi piedi, come se stesse per trafiggerlo con l’oggetto fumante. Sotto di lei, la terra aveva già iniziato a tremare.
Un fruscio ruppe il silenzio: Paul, veloce come un’ombra, aveva aperto un sacchetto di pelle simile a quello che aveva donato a Delia e ne aveva soffiato le spezie contenute contro le tre vampire.
Per un lunghissimo istante sembrò che il mondo si fosse fermato: Hannah e Anna sbatterono le palpebre piene di polvere rossa, come se stessero per starnutire.
Nell’aria Delia vide le stesse striature dorate che aveva notato durante la festa, ma questa volta il pulviscolo dorato emanava un profumo aspro e forte. Anna, colpita in pieno dalle spezie, barcollò incerta.
“Pazzo! Tenti di nuovo di ribellarti al mio dominio?” urlò Nefris “Non puoi nulla contro di noi,  la stirpe dannata degli imperatori del popolo antico, le tue polveri magiche hanno effetto solo su creature deboli come…”
Anna si preparò a saltare addosso a Paul, ma le sue gambe la tradirono: crollò a terra portandosi le mani alla testa, percorsa da tremiti incontrollabili. Paul era già su di lei, tra le sue mani era comparso un lungo puntale metallico, con il quale passò da parte a parte il corpo della vampira.
“Tu che ne dici, vecchia?” domandò a Nefris, che aveva assistito immobile alla scena. Hannah, barcollando per l’effetto delle misture di polvere, emise un grido inumano, spruzzando vomito e plasma sulle lastre di marmo che la circondavano.
 
La stanza colma di tesori non esisteva più: ora le quattro entità erano immerse nel niente di Maaya. Alcuni resti dell’arredamento che avevano creato nel corso dei millenni ancora volteggiava attorno alle loro teste, come incapace di dissolversi nel vuoto a cui apparteneva.
La struttura stessa della realtà tremava violentemente, allo stesso modo di un organismo in balia delle convulsioni della pazzia.
“Ci siamo….Astart, hai distrutto tutto?”
“Ogni dannata cosa, tutto! L’energia che si è manifestata rischia di ucciderci da un momento all’altro, se non s sbrigano…”
Mot sobbalzò: “Attenti, ecco il momento…” e con mano sicura spezzò la chiave.
 
Delia scelse quel momento per lanciarsi contro il gruppo di vampiri, brandendo il pugnale improvvisato: con un unico gesto fluido Hannah le strappo la croce dalle mani e se la conficcò nel petto.
Senza badare agli altri, si allargò la ferita, gelida e coriacea sotto il pugnale improvvisato, fino a che non vide il cuore, un organo grigio e rinsecchito percorso da vene verdognole, una disgustosa imitazione di quello che un tempo aveva battuto nel petto della giovane donna inglese, un secolo prima.
Reprimendo il vomito Delia, la quale in qualche modo sapeva quel che andava fatto, si gettò su di lei, lo afferrò a piene mani e tirò verso l’alto il muscolo atrofizzato: qui infisse il talismano incandescente, dopodiché mollò l’organo e lasciò che l’intrico di vene lo risucchiasse nel corpo scosso dai tremiti della vampira.
Hannah cercò di alzarsi in piedi: traballando fece pochi passi verso di lei, ma inciampò e cadde a terra. Le mani e le gambe erano scosse da tremiti fortissimi, il petto le pulsava e aumentava di temperatura. Non trovando sangue con cui nutrirsi il talismano tentò di attaccare la carne morta della vampira: Hannah si rotolava e si contorceva senza emettere suono mentre i suoi muscoli venivano ridotti a lava bollente nel suo corpo, ma il talismano non era sazio, non aveva abbastanza nutrimento per completare il rituale e scatenare il terremoto, così si spezzò all’interno del cuore di Hannah.
Un’esplosione investì le membra della vampira, un’onda luminosa colpì Delia accecandola e tramortendola.
La luce si mutò in buio: dall’oscurità emersero quattro forme avvolte da un’aura di potenza indescrivibile, così forte da impedire ogni movimento ai presenti.
 
Seth annusò l’aria gravida di neve: “Dopo millenni…finalmente…”
Gli occhi verticali di Sachmis brillavano terribili, mentre scrutavano il cielo bianco di nubi: “Il sigillo si è spezzato… posso di nuovo toccare le nuvole”
“Le catene sono scomparse” Astart scosse il polso, privo di bracciali, “Il potere scorre nelle mie vene come non faceva da secoli e secoli…” Mot non disse nulla, limitandosi a guardare Nefris, l’ultima superstite del clan che aveva osato imprigionarli secoli prima.
Con lentezza alzò una mano: il gatto di Nefris miagolò terrorizzato. La vampira, impossibilitata a muoversi, non potè far altro che osservare con occhi pieni di paura le entità che l’accerchiavano e che la sua superbia l’aveva spinta ad ingannare e sfruttare in cambio del potere su tutte le razze magiche.
Mot sfiorò la sua pelle con un dito, e Nefris si accartocciò e si raggrinzì sotto il potere della carestia; Astart la colpì al basso ventre, facendo cadere a terra il sangue e le viscere dell’anziana vampira; Sachmis la baciò con le sue labbra feline, e la peste e ogni altra malattia dimorarono nel corpo urlante della vecchia; infine Seth aprì le fauci scintillanti e soffiò su di lei il potere infero della morte: con un ultimo urlo d’agonia, Nefris cessò di esistere per l’eternità.
“Vendetta” mormorarono in coro le divinità. Si girarono verso Paul: “Ci hai servito bene: la tua ricompensa sarà la vita…E un potere al di sopra di tutti i tuoi incubi…” dissero all’ultimo membro del clan della luna rimasto sulla terra. Paul si inchinò: il gatto di Nefris gettò un’ultima occhiata al luogo dove la sua vecchia padrona era svanita, poi raggiunse il vampiro, scomparendo con lui e le entità liberate nelle tenebre.
 
 
Quando Delia riaprì gli occhi le ceneri di Hannah volteggiavano nel cielo, unendosi alla neve che finalmente scendeva dalle grosse nubi nere che coprivano le stelle. Di Paul e Nefris nessuna traccia, ma le scosse che preannunciavano il terremoto erano finite.
Delia raggiunse il corpo di sua madre, tentando di capire se la donna fosse ancora viva: non sentiva il battito del polso né il suo respiro, la carne era ghiacciata e aveva una sfumatura bluastra.
“La sua mente era debole dopotutto…” Le voci erano bisbigli indistinti tra i fiocchi di neve che turbinavano tutt’attorno ai rami spettrali degli alberi e alle punte delle croci delle lapidi, confondendo la vista della ragazza macchiata di sangue, ghiaccio e cenere.
“Il talismano è distrutto: non puoi più conservare il potere sugli altri clan…”
“Non ho mai avuto interesse verso il governo: è tempo che vampiri e creature dell’ombra riacquistino il libero arbitrio…”
“Hai ottenuto quello che volevi direi…Ma la ragazza morirà: il sigillo la sta già consumando…”
“Ha svolto il suo compito, il resto non importa…”
Il dialogo si spense e Delia, esausta, cadde nell’oscurità.
Sul suo corpo simboli rosso fuoco ruotavano vorticosamente sulla sua pelle, unendosi a formare frasi di una lingua dimenticata e scindendosi in migliaia di simboli più piccoli, pronti ad esplodere.
Le quattro entità ormai libere da ogni catena voltarono le spalle a quello spettacolo, pronte ad andarsene: con un gesto Mot creò una fenditura nell’aria, un varco verso una terra ancora deserta e dimenticata dalla razza umana. Ad uno ad uno i quattro scomparvero oltre la soglia del passaggio, senza curarsi dei glifi sempre più incandescenti sulla pelle di Delia e delle fiamme che da essi nascevano e minacciavano di divorare la ragazza e il cimitero da un momento all’altro. Una fiamma più alta delle altre lambì la caviglia di Sachmis, che stava per seguire i suoi compagni: la bambina abbassò lo sguardo, incuriosita, e sembrò notare solo allora lo spettacolo offerto da Delia. Avvicinandosi alla ragazza si chinò su di lei, incurante del fuoco che Delia sprigionava.
“Sachmis, ti vuoi muovere?” urlò Astart al di là della crepa nel cielo.
“Un momento.” I contorni del viso da gatta di Sachmis vibrarono prima di diventare nebbia, lasciando intravedere i lineamenti della bambina che l’entità non sarebbe mai stata: la dea pronunciò alcune parole e passò le mani sul volto di Delia. Al suo tocco i simboli sparirono, assorbiti dai suoi palmi. Il calore che si sprigionò riportò la vita sulle guance della ragazza e di sua madre. Sachmis agitò di nuovo le mani, e i due corpi, avvolti da una membrana di raggi lattei, scomparvero lentamente.
“Giochi di nuovo a guarire gli umani?” Domandò la voce di Mot irridendola. “Hai tempo da perdere…”.
Con un sorriso scaltro Sachmis riprese le sue sembianze feline: “Ormai abbiamo tutto il tempo che vogliamo…” rispose, nascondendo accuratamente dietro di sé la mano su cui danzavano ancora alcune scintille di fuoco, mentre raggiungeva gli altri. La fenditura si richiuse dopo il suo passaggio.
 
 
Al  risveglio, Delia trovò le lenzuola del suo letto e le mura familiari della sua stanza: impiegò qualche minuto a capire il perché della morsa che le attanagliava il cuore. Non c’era nessun segno attorno a lei di ciò che era accaduto durante la notte: Un incubo? E’stato solo un sogno? Si portò le mani al collo, ma il talismano non era più appeso alla catena d’argento. In un attimo corse fuori dal letto e fu nella stanza di sua madre: sotto la trapunta azzurra la donna dormiva tranquilla.
Delia si avvicinò al letto e si sdraiò vicino alla madre, che si svegliò: “Che succede?” domandò insonnolita.
“Ho…. avuto un incubo, mamma.”
Il gatto fuori dalla finestra si stiracchiò e con un balzo sparì nella neve.
 
 
Prima che questo sciocco e insulso pianeta si formasse, prima che si formasse il patetico sistema da esso composto, prima ancora che la via divenisse lattea, ancora indietro verso i più remoti abissi temporali quando ancora la materia tutta era concentrata densissima in un unico punto immerso nel nulla eterno, quando non esistevano né il prima né il dopo e lo spazio non aveva significato. Qui iniziava  questa storia. Qui finirà questa storia. Qui le infinite scelte delle infinite possibilità delle infinite vite sono state dipanate. Qui tutto si è deciso e tutto ciò che ora è, non è altro che ciò ivi s’era scritto. Come possono dei semplici mortali capirlo? Come possono pensare di decidere il loro destino? Come possono pensare di fermare un’Apocalisse?
   
 
Ma  noi…
 
 
Noi siamo stati adorati e odiati da popoli il cui nome è leggenda. Siamo stati chiamati con innumerevoli nomi, abbiamo cavalcato insieme portando l’Apocalisse alla fine di ogni era.
 
Noi siamo di nuovo liberi.
 
Ora saremo la devastazione che cambierà il vostro mondo.
Abbiate fede.
Sangria! 
  
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