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Autore: FRC Coazze    15/08/2011    25 recensioni
E se in una notte di fine ottobre 'qualcuno' fosse corso in aiuto ai Potter? E se questo qualcuno fosse riuscito a salvare la giovane Lily? E se sempre questo qualcuno fosse una persona innamorata da sempre di lei? E se Harry fosse scomparso?
Troverete risposta (forse) a queste domande nelle mia ff!
Dal primo capitolo: "Silente si era accostato ancora. La sagoma che giaceva accanto alle ginocchia della professoressa ora aveva un volto… e, per la miseria, anche un nome! Oh, Albus conosceva bene il colore di fuoco di quei lunghi capelli… conosceva bene i lineamenti freschi di quella giovane donna: Lily Evans giaceva lì, sul freddo pavimento, svenuta e con una sanguinante ferita sul petto… ma viva!"
Genere: Mistero, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Lily Evans, Severus Piton, Un po' tutti | Coppie: Lily/Severus
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Principe della Notte'
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Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me, ma a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti. I luoghi non inventati da J.K. Rowling, la trama di questa storia ed i personaggi originali presenti in essa sono invece di mia proprietà e pertanto occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.



 

 

Capitolo 1

IN UNA NOTTE DI FINE OTTOBRE


 

 

Le fiamme della notte avvolgevano i cieli coperti in quella gelida serata d’ottobre. Avvampavano in mille volute, mille mani si tendevano nel vuoto dell’aria. Mille mani gelide schiaffeggiavano gli alti alberi della foresta, lugubri monaci erti nelle loro preghiere, le schiene ritte che accettavano i colpi della notte, frustata dopo frustata, senza proferire lamento. Flagelli e lapilli silenziosi, onde nere che si infrangevano sulle mura dell’elegante castello, proteso, come un’antica sentinella memore di glorie passate, sulle acque attonite del lago. Un lago nero di piombo.

Alcune delle ampie vetrate del maniero divampavano di luce dorata, come messi sibillini del sole mandati a spiare gli orditi della notte, inviati a proteggere quelle mura impavide dagli assalti frenetici delle ombre. Scudieri fedeli della luce che osservavano silenziosi il buio intorno a loro. E mentre gli occhi dei suoi compagni si perdevano nel labirinto inseguendo irritati i messi ridacchianti della notte, uno di quei boati freschi di luce accettava accanto a sé uno degli abitanti mortali del castello. Stringeva la sua figura snella tra le braccia di fuoco e gli indicava una strana figura erta in riva al lago, un’ombra che non faceva parte delle schiere della tenebra. L’uomo sospirò notandola. Quindi si voltò liberandosi dalla presa della sentinella fulgente e allontanando lo sguardo dalla finestra.

Osservò il suo studio, invaso dal mantello di quella creatura di fuoco. Le decine di delicati strumenti d’argento tintinnavano lievi, bisbigliando tra loro segreti cristallini. Il vecchio fece un sospiro profondo lasciando che i suoi polmoni assorbissero l’aria tiepida intorno a lui. Chiuse gli occhi color del cielo per un momento ripercorrendo con la mente gli avvenimenti di quella tremenda serata, non era mai stato più preoccupato prima di allora… si maledì mentalmente per quella che, per lui, era stata una debolezza. Lui era Albus Silente, diamine! Si era sempre considerato al di sopra dei comuni sentimenti che legavano gli uomini… lui viveva per la causa. Il suo cuore, il suo spirito, il suo corpo erano completamente dediti ad essa. Eppure quando quel giovane che aveva accanto da più d’un anno, ormai, che era tornato a lui come il Figliol Prodigo, si era precipitato a Godric’s Hollow poche ore prima, aveva davvero avuto paura… paura di non rivederlo più. Sì, odiava doverlo ammettere, soprattutto a sé stesso, ma teneva davvero a quel ragazzo, aveva imparato a capirlo, a volergli bene… e ciò non era affatto un bene per un condottiero come lui.

La sua attesa era stata premiata da un profondo, liberatorio sospiro di sollievo quando aveva visto la figura snella del giovane dirigersi verso i cancelli di Hogwarts. Camminava a stento, aveva notato, ondeggiando e vacillando… di sicuro aveva pagato caro il suo coraggio. Aveva sospirato, sorridendo lievemente: non poteva permettersi altro. Che doveva fare? Corrergli incontro ad abbracciarlo? Confessandogli la sua angoscia… scusandosi per non aver mosso un dito per aiutarlo, per non essere corso a cercarlo… dirgli che gli voleva bene? No. Certo che no. Non poteva permetterselo, anche se era ciò che il suo cuore desiderava… E poi… e poi Severus non l’avrebbe mai accettato, si sarebbe scostato con rabbia, si sarebbe liberato dal suo abbraccio per accoccolarsi nella sua cupa solitudine, dove la sola consolazione per lui erano i sospiri delle creature ferine che abitavano il buio.

Poi aveva capito. Mentre la figura nera si avvicinava sempre di più… aveva compreso. L’incedere insicuro del giovane non era conseguenza di una ferita: portava qualcosa tra le braccia, una seconda sagoma scura. Silente si era allora subito precipitato lungo le scale. Quel ragazzo sapeva sempre sorprenderlo.

Quando era arrivato innanzi alle porte del castello aveva trovato Minerva McGranitt, strettamente abbracciata dalla sua vestaglia di stoffa scozzese, inginocchiata a terra che gli dava le spalle. Evidentemente la professoressa di trasfigurazione era stata più efficiente di lui quella sera. La donna era chinata su una figura stesa a terra e la osservava attentamente, passandole dolcemente una mano tra i lunghi capelli. Le sue mani tremavano mentre sfiorava quelle ciocche lisce.

Poco lontano, appoggiato rigidamente alla fredda parete, si trovava Severus. Le palpebre serrate come le labbra… saldi cancelli insormontabili, barriere infrangibili che recintavano il suo animo. Il capo reclinato indietro, appoggiato alla gelida pietra. I lunghi capelli color della notte stretti tra il bigio crepuscolo della parete e il chiarore cristallino della sua pelle. Le mani serrate dietro la schiena, impigliate come arpioni alla superficie rugosa delle scanalature che, come crepacci, si aprivano sul lato dell’arcata che cingeva il possente portone.


Silente si era avvicinato silenziosamente.

“Minerva…” Aveva sussurrato quando si era trovato a pochi passi dalla collega.

Questa si era girata lentamente. Aveva le lacrime agli occhi, ma sorrideva; un sorriso sincero che illuminava quelle piccole perle di tanti, lesti sfarfallii di conforto.
Silente si era accostato ancora. La sagoma che giaceva accanto alle ginocchia della professoressa ora aveva un volto… e, per la miseria, anche un nome! Oh, Albus conosceva bene il colore di fuoco di quei lunghi capelli… conosceva bene i lineamenti freschi di quella giovane donna: Lily Evans giaceva lì, sul freddo pavimento, svenuta e con una sanguinante ferita sul petto… ma viva!


Aveva alzato lo sguardo, il preside, spostandolo dalla giovane donna al giovane uomo ancora abbarbicato alla pietra come fosse parte integrante di essa. Anche lui era ferito, notò. Una vasta macchia scura scintillava alla luce delle candele, che osservavano la scena come gli spettatori di una rappresentazione teatrale, una vasta macchia cupa che si apriva sul suo fianco inzuppando le vesti nere. I lineamenti tesi del giovane riflettevano l’angoscia e la disperazione che laceravano le sue carni quanto, e forse più, della ferita sanguinante: era palesemente provato da ciò che aveva appena passato, qualunque cosa fosse… eppure eccolo lì; e non solo aveva probabilmente affrontato Voldemort ed era rimasto in vita, ma era anche riuscito a salvare Lily. Quel ragazzo era davvero straordinario, si era ritrovato a pensare Silente sorridendo.

“Minerva. –Aveva detto poi in tono autoritario, riportando lo sguardo sulla donna inginocchiata che, nel frattempo aveva estratto la bacchetta e lasciato che fresche bende bianche avvolgessero il petto lacerato della ragazza. -Avverti in fretta Madama Chips! Chiama un elfo… due… quanti ce n’è bisogno! Fatevi aiutare a scortare la signora Potter in infermeria! Presto!”

La McGranitt aveva annuito rigidamente, si era alzata in un balzo e affrettata verso l’ala dell’ospedale. Silente aveva preso prontamente il suo posto accanto a Lily. Le candide coorti dalla fasciatura stavano cedendo all’urto della vermiglia onda barbarica che si spandeva ora macchiando il bianco tessuto. Il preside aveva passato lentamente una mano sulla fronte della donna… non aveva la febbre… grazie a Dio. Le aveva preso gentilmente una mano tra le sue, sfiorandole il polso. Aveva udito distintamente i colpi impavidi del sangue che lottava per conquistare terreno nelle sue arterie, gli richiedeva fatica, il vecchio lo sentiva bene, il generale pulsante che guidava quell’esercito vermiglio era stanco, ma non aveva alcuna intenzione di cedere.

“Via, via. Ci penso io!” Aveva poi esclamato d’un tratto una voce inflessibile alle sue spalle. Silente si era voltato di scatto, alzandosi, mentre Poppy Chips, infagottata in una vestaglia porpora, si gettava in ginocchio accanto alla ragazza svenuta cominciando ad esaminarla con occhio critico, passando la bacchetta sul suo corpo inerme e bisbigliando incantesimi. Minerva McGranitt si era posizionata accanto al preside, due elfi domestici  stavano serrati alle sue calcagna, gli occhi ancora un po’ appannati dal sonno, ma le lunghe dita frementi pronte a scattare non appena fosse loro stato richiesto. Avevano portato con loro una barella che ora giaceva abbandonata poco lontano.

“La ferita è profonda. –Stava dicendo in un sussurro Madama Chips come se parlasse con sé stessa cercando conferma alle sue parole. –Ma non è in pericolo di vita.”


“Sulla barella! Svelti!” Aveva ordinato poco dopo agli elfi, alzandosi in piedi. Questi erano stati lesti a scattare, prendendo la barella e portandola affianco alla ragazza ferita.
Mentre le due creature, aiutate dalla professoressa McGranitt, sollevavano il corpo leggero di Lily per appoggiarlo con delicatezza sulle tele della barella sotto l’occhio vigile della medimaga, Silente aveva alzato i suoi occhi verso il luogo in cui Severus si appoggiava al muro e non si era stupito di vedere soltanto più gli occhi cerosi delle mura di Hogwarts osservarlo di rimando. Il portone, prima appena socchiuso, ora ansimava attraverso un ben più ampio spiraglio mentre le mani flaccide della notte si appoggiavano alle sue ante e occhi di perdute creature notturne spiavano attraverso le sue dita untuose.

Silente era rimasto immobile, le mani strette lungo i fianchi. Fermo nella sua lunga veste indaco, era rimasto ad osservare l’apertura tra le ante del portale: un terzo ferito, si era ritrovato a pensare l’anziano mago, solo che quella non era una ferita sanguinante, era una soglia, un crepaccio che precipitava in un altro mondo… nel mondo degli spiriti festanti della notte… ed egli sarebbe stato un intruso, un ospite non gradito che avrebbe infranto le loro danze e le loro ninnananne come una lastra di vetro, un sibilante fragore avrebbero provocato quelle schegge luminescenti, e quelle creature antiche si sarebbero infuriate, rese pazze dal dolore ai loro delicati timpani… sarebbero fuggite trovando nascondiglio in qualche oscuro anfratto… e lui non poteva permetterlo: quegli spiriti balzani erano i soli compagni che Severus accettava accanto a sé. Silente lo sapeva. Non avrebbe interrotto i sabba di quei sussurri piumati facendo fuggire i soli esseri che sapevano consolare quel ragazzo, quel ragazzo che era sparito prima che Madama Chips posasse gli occhi si di lui e lo trascinasse di forza in infermeria. Se la sarebbe cavata da solo… se l’era sempre cavata da solo.

Il preside aveva sospirato. Nessuno più rimaneva nell’androne. Si era avvicinato tranquillamente ai battenti della porta e li riavvicinò silenziosamente mentre la notte ritirava le falangi protese, poi si era avviato lentamente verso il suo ufficio. Poppy non aveva certo bisogno di lui, anzi, probabilmente lo avrebbe scacciato in malo modo dalla sua infermeria… bastava Minerva ad assisterla…


Ed ora eccolo lì: nel suo ufficio, nel suo cantuccio privato, la cima del ferro che lavorava incessantemente ad una maglia intricata e stretta. Eccolo lì: di nuovo alla finestra, ad osservare la sagome cura di Severus inginocchiato in riva al Lago Nero, da solo… intorno a lui solo gli invisibili sospiri della tenebra.

Per un attimo si sentì in colpa. Aveva lasciato là fuori, da solo, un giovane ferito e provato che non sapeva trovare consolazione se non nelle ombre. D’altra parte, però, sapeva che Severus non avrebbe mai accettato parole di conforto da parte sua… ma doveva sapere, sapere cos’era accaduto quella sera laggiù a Godric’s Hollow. Tuttavia Albus Silente era un uomo paziente: avrebbe atteso sino al mattino, quando, probabilmente il ragazzo si sarebbe calmato un po’. Sì, avrebbe fatto così.

Un movimento veloce fuori dalla finestra lo distrasse dai suoi pensieri, fu come se quella sentinella di luce, che ancora non aveva abbandonato la sua finestra, lo avesse afferrato per le spalle e teso un dito verso una seconda figura scura che si affrettava verso il lago, diretta, svelta, verso quella inginocchiata del giovane.

Albus scosse il capo.

“Minerva.” Sussurrò.


 

***

 

Minerva McGranitt aveva accompagnato Madama Chips all’infermeria e l’aveva aiutata a pulire e curare la ferita di Lily, dopo che l’infermiera aveva congedato i due elfi senza molti mezzi termini.

Era rimasta per qualche attimo accanto alla ragazza osservandone il riposo tranquillo mentre Poppy terminava le ultime medicazioni. Poi la medimaga le aveva rivolto un sorriso rassicurante: “Io vado a letto, Minerva. Le ho dato un sedativo. Dormirà tranquillamente sino al pomeriggio.” Così aveva detto prima di allontanarsi con passo svelto, le morbide ciabatte che strusciavano silenziose sul pavimento di pietra.

Fu solo quando l’infermiera era scomparsa oltre la porta dell’ospedale che la professoressa si ricordò improvvisamente di Severus. Quel povero ragazzo aveva rischiato la vita nel tentativo di salvare i Potter, e non c’era stato verso di trattenerlo.

Era nello studio di Silente, poche ore prima, con il preside stesso e, per l’appunto, Severus, quando Alastor Moody era corso ad avvertirli che Voldemort aveva trovato i Potter. Albus, come al solito, aveva tergiversato per un po’ cercando di stendere un nuovo piano per la salvaguardia dei giovani auror con Moody. Lei se n’era rimasta in disparte mentre Severus urlava cercando di spingerli ad agire subito… non l’aveva mai visto così, era sempre stato un ragazzo riservato e calcolatoree, sin da quando frequentava Hogwarts, il quel momento, invece sembrava quasi impazzito.

Quando aveva capito che Silente e Moody avrebbero continuato palesemente ad ignorarlo confabulando tra loro riguardo a intricati piani di evacuazione, aveva semplicemente afferrato il suo mantello nero, che giaceva abbandonato su una sedia di pelle, e aveva fatto per andarsene.

“Dove stai andando, Severus?” L’aveva trattenuto improvvisamente Albus, che non si era lasciato sfuggire il movimento lesto del giovane.

“Dai Potter.” Aveva semplicemente risposto questi, e aveva fatto un altro passo verso la porta, ma non riuscì a raggiungerla neanche quella volta.

“Che cosa intendi fare, ragazzino?” Gli aveva domandato duramente Moody.

“Vado a prenderli, portarli via da là, mentre voi continuate a discutere il piano d’evacuazione!” Il suo tono non ammetteva repliche.

“Dico, sei impazzito? –Aveva continuato l’auror. –Cosa speri di ottenere? Un mago ventenne contro il più potente fattucchiere oscuro dei nostri tempi?!”

Severus l’aveva guardato gelido: “Se faccio in fretta posso portarli via in tempo. Prima che lui…”

“Un bel modo per suicidarsi! –Aveva sbraitato Moody. –Ci vuole un’azione congiunta. Un piano. Dobbiamo trovare rinforzi!”


“Fate come vi pare. Io vado.” Severus aveva voltato nuovamente le spalle.

“Bah.” Face Alastor agitando la mano seccato.

A quel punto Silente aveva preso la parola: “Severus, ti prego. –Aveva detto dolcemente. –So cosa significa per te, ma, ti prego, siamo in pochi non possiamo permetterci il lusso dell’eroismo!”

“Se rimanete ancora qui a discutere sarà troppo tardi!”

“Severus, ti supplico. –Aveva infine detto Minerva. –Affrontare… Lui… non ti darà alcuna soddisfazione, non è ancora tempo per questo, non sei alla sua altezza.”
Il giovane l’aveva guardata con occhi di fuoco.

“Per l’amor del cielo! Non possiamo permetterci di perdere un elemento come te… ci servi, ragazzo! Non possiamo sperare di portare avanti la battaglia senza le tue informazioni!” Aveva ringhiato Moody.


“So che vuoi affrontare il Signore Oscuro allo scoperto, Severus, lo capisco. Vuoi chiudere con il tuo passato, sputargli in faccia la verità… e ne avrai occasione, ragazzo, te lo prometto. Ma non oggi.” Aveva detto la voce pacata del preside.

Severus aveva fatto balzare lo sguardo di carbone dal vecchio professore all’auror, poi aveva guardato Minerva, forse cercando una qualche sorta di appoggio nei suoi occhi chiari. La professoressa aveva sostenuto il suo sguardo senza sapere cosa dire, ma poi la donna aveva visto scattare qualcosa in quella sguardo scuro.

“Severus, no.” Aveva cercato di dire, ma quando l’ultima vocale aveva baciato l’aria il giovane era già scomparso oltre alla porta sbattendosela dietro di sè.

Detestava ammetterlo, ma aveva passato la serata in apprensione. Moody e Silente avevano continuato a discutere (e a litigare) ancora per un bel momento, prima di decidere di riunire un gruppetto dei più abili membri dell’Ordine della Fenice per salvare Lily, James, il loro piccolo figlioletto, Harry, e quello che, al momento, era il miglior affiliato dell’Ordine. Alastor se n’era poi andato con passo pesante, deciso a prender parte all’azione.

Poi però, l’unico ad essere tornato era stato proprio il giovane che si era precipitato imprudentemente  a Godric’s Hollow, correndo probabilmente incontro alla morte, quel giovane che aveva portato tra le braccia la bella ragazza che ora giaceva nel letto lì accanto. Quel giovane che era rimasto tutto il tempo con la schiena premuta contro la fretta pietra, gli occhi chiusi invasi da mute preghiere verso un dio cieco, le labbra serrate in quelle litanie. Quello stesso giovane, che era fuggito, allontanandosi dal via vai che avrebbe presto preso vita, voltando le spalle a lei e a Silente per rifugiarsi tra le ombre, in solitudine, non appena aveva capito che le sue preghiere erano state in qualche modo esaudite. Quel dio era cieco, sì, ma evidentemente non sordo. Quel giovane che ora era là fuori, ferito e solo…

No. Minerva McGranitt sarà anche stata la professoressa più severa e intransigente della scuola, ma non si poteva dire che non avesse un cuore. Si alzò dalla sedia accanto al letto gettando un ultimo sguardo alla ragazza che dormiva placidamente tra le lenzuola alla quale rivolse un lesto, dolce sorriso prima di affrettarsi verso i grandi cancelli di Hogwarts, decisa a trovare Severus, parlargli e scoprire che cos’era successo a casa Potter.

Faceva freddo fuori. Vestita solo della sua vestaglia a quadri neri e verdi sentiva molto bene gli spilli gelidi con cui i danzatori notturni si divertivano a pungolare la sua pelle. Sentiva le pietre acuminate spintonarsi con la soffice terra sotto la sottile suola delle sue ciabatte. La luna aveva fatto capolino tra le nubi e pareva quasi incuriosita da quella snella figura in vestaglia che camminava veloce laggiù, sulla terra. L’astro notò una seconda sagoma seduta in riva al lago silenzioso e pensò che forse era ciò che la donna in abiti da notte cercava così affannosamente, e dunque gliela indicò.

Minerva, gli occhi guidati luce della luna, raggiunse in fretta il giovane vestito di scuro. Rallentò il passo quando fu a pochi metri da lui e si avvicinò lentamente stringendosi nella lunga veste scozzese per proteggersi dagli schiaffi del gelo.


“Severus…” Disse gentilmente, quasi in un sussurro.

Il giovane era seduto sulla sponda, l’acqua gli lambiva appena la punta degli stivali neri. Guardava fisso avanti a sé gettando pietre nelle acque placide, senza osservarne le increspature che gli rispondevano come oracoli, quasi scocciati dalle domande rigide che infrangevano la superficie delle acque.

“Severus…” Mormorò di nuovo la McGranitt avvicinandosi di più.

“Se ne vada.” Fu la risposta fredda che ricevette.

“Quante volte devo dirti di darmi del tu?” Continuò la donna, ignorando quelle parole dure.

“Lasciami solo…” Mormorò il giovane abbandonando il tono crudo di poco prima per lasciarsi andare quasi ad un sospiro.

La professoressa di trasfigurazione semplicemente ignorò quelle ultime parole e si sedette al suo fianco. Spiò il viso del giovane: sembrava rilassato, eppure v’era qualcosa che si agitava nei suoi occhi cupi, qualcosa che lo turbava. Una smorfia di dolore macchiò i suoi lineamenti. Minerva spostò il suo sguardo sul fianco sinistro di Severus e vide che il tessuto era ancora macchiato di sangue fresco e così anche i ciottoli vicino ad esso riluceva di macchie scure, color dell’ebano alla luce della luna.

“Severus, sei ferito.” Disse la donna, cercando di portare l’attenzione del ragazzo sulla ferita che portava al fianco e che lui, evidentemente, nonostante il bruciante dolore che doveva provocargli, semplicemente ignorava.


“Sto bene.” Rispose il giovane.

“No, non stai bene. –Rispose subito la professoressa, severa. –Sei ferito e hai bisogno di cure.”

“A che servono le cure?”

Quella domanda la spiazzò. Osservò il giovane senza sapere cosa rispondere e in quell’attimo di esitazione, in quell’attimo di silenzio che si era interposo tra i due come un magico portale tra due mondi, una lacrima, una sola, scintillante e perfetta illuminò l’occhio tetro di Severus e scivolò giù lungo la sua guancia pallida.

Quando la piccola perla si fu persa sotto al mento del ragazzo, l’incantesimo che separava i due si ruppe, il portale svanì riunendo le sue due parti.

“Che cosa è successo, Severus? A Godric’s Hollow.” Domandò Minerva, la sua lingua ormai libera dai legacci del silenzio.

“Io… -Rantolò il ragazzo. –Io… non lo so.” Scosse la testa respirando profondamente. Altre lacrime rigarono il suo volto e la donna che gli sedeva le osservò correre senza cercare di interromperne l’incedere.

“Quando sono arrivato a casa dei Potter lui era già lì. -Continuò Severus, il respiro rotto. –Non c’era nessuno… James Potter era morto…”
“E Moody? –Domandò allora Minerva. –E l’Ordine?”


“Non… io non li ho visti… c’erano Mangiamorte tutt’attorno al paese. Io sono uno di loro: mi hanno lasciato passare. Mi sono precipitato a casa dei Potter… James giaceva all’entrata… l’ho superato, ho salito le scale… e poi…” Un singhiozzo lo scosse mentre cercava di riprendere fiato, mentre la McGranitt lo guardava allo stesso tempo interessata e impietosita.

“Lui era là. –Continuò Severus. –Puntava la bacchetta contro Lily. Non ho più pensato, mi sono gettato su di lui… la sua bacchetta lanciava incantesimi a destra e a manca mentre cercavo di evitare che colpisse Lily o il bambino… ma una maledizione l’ha colpita in pieno petto… Harry piangeva… e poi… poi c’è stata l’esplosione… ho afferrato la mano di Lily e mi sono smaterializzato nella Foresta Proibita…”

“E il bambino? –Domandò la professoressa al giovane che ormai quasi non riusciva più a respirare, soffocato dalle lacrime. –Severus… E Harry?” Lo incalzò.
“Io… -Balbettò il giovane. –Io.. io non…”

“Severus, il bambino è vivo?” Minerva McGranitt non era intenzionata a mollare la presa, lo avrebbe perseguitato con quella domanda finché non avesse ricevuto una risposta.

“Non lo so… ho afferrato la mano di Lily, ho agito d’istinto… lei era più vicina e non c’era tempo…” Rantolò Severus scuotendo il capo, le lacrime si erano ormai asciugate sul suo viso, tristi e solitarie strade di periferia.

“Lo capisco Severus, non devi giustificarti.” Disse la professoressa notando il tono con cui il giovane uomo aveva pronunciato quelle parole, ma più che a trovare una scusa di fronte a lei, Severus pareva cercare di perdonare sé stesso.

“Non so cosa è accaduto al bambino. Mentre mi smaterializzavo ho udito il grido di rabbia del Signore Oscuro, era furibondo… furibondo perché una delle sue prede gli era sfuggita e… e quello che credeva un suo fidato seguace si era rivelato un traditore… non credo che qualcosa sia rimasto in vita in quella casa. Io non… Mi dispiace!- Esclamò poi d’un tratto rompendo il monotono fiume di parole che usciva dalle sue labbra sottili. –Ho tentato… ma non sono riuscito a niente!”

Minerva lo osservò colpita, da una parte non si aspettava che Severus tenesse tanto ai Potter: sapeva quanto tumultuoso fosse il torrente d’odio che scorreva tra lui e James. Dall’altro lato non poteva accettare che il giovane non potesse perdonarsi per qualcosa che non era assolutamente colpa sua. La colpa era di tutti, pensò, di tutti… era di Albus che aveva agito tardivamente, di Moody e dell’Ordine che, dopo tante parole spese sull’operazione congiunta e sul schema d’azione da seguirsi, non si erano poi fatti vivi… era sua, sua, della professoressa Minerva McGranitt, che, come tutti, aveva riposto la sua fiducia in Silente cercando di trattenere il giovane, pur sapendo, nel profondo del suo cuore, che Severus aveva ragione… ed era di Voldemort, soprattutto di Voldemort. Sì, la colpa era di tutti loro, ognuno aveva una fetta più o meno grande, ma di certo non era stata una mancanza di Severus: il giovane aveva fatto tutto ciò ch’era in suo potere, forse anche di più, per salvare quella famiglia… e poi, Lily era viva.


“Lily è viva grazie a te, Severus.” Disse la donna dando voce ai propri pensieri. L’interpellato non rispose.

“Vieni, hai bisogno di cure.” Si alzò prendendo Severus sottobraccio e tirandolo in piedi. Il ragazzo si lasciò trascinare come un peso morto. Non proferì parola. Era come se la sua anima avesse abbandonato tutto d’un tratto il corpo, inquilino sfrattato in malo modo dal padrone di casa.

“Poppy è andata a letto. Mi occupo io di te. Coraggio.” Ciò detto, la professoressa passò un braccio intorno alle spalle del ventenne, che seguiva i suoi passi come mosso da una forza estranea, e si avviò verso le mura di Hogwarts.

Su in alto, dalla grande finestra di un’acuminata torre, una figura ammantata, accoccolata tra le braccia di fuoco della luce delle candele, sorrideva.

 

*******

    

D'accordo... ho poco da dire: è una sciocchezza che ho iniziato a cuor leggero e non so assolutamente che pieghe prenderà. Di solito le mie storie si evolvono da sole... e io ho ben poca voce in capitolo.
In ogni caso, se ora state leggendo queste parole, probabilmente, è perché avete letto anche quelle che si spintonano qui sopra... quindi vi sarete fatti un'idea della cosa... quindi siete nelle condizioni di recensire... oh, non c'è bisogno di fiumi di parole! Basta anche solo "Non mi piace", dopodiché toccherà a me assillarvi per sapere il perché.
Mi piacerebbe un sacco fare dello scrivere un lavoro... per cui, mi raccomando, ditemi cosa ne pensate perché a me serve davvero tanto!!!


 

POPOLO!!!! Dov'è la vostra voce? Dov'è la Vox Populi?

Fatela sentire:
RECENSITE!!!!!!!!    

 

  
 

  
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